mercoledì 4 novembre 2020

Gli anni caldi della Cisl in Lombardia 6

Pubblicazione realizzata in occasione dell'Assemblea programmatica e organizzativa della Fnp Cisl Lombardia, 20.21 ottobre 2015. Materiali preparatori del volume "Impegno e passione", Bibliolavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016. In questa parte 6 (di 6): Rapporti con la politica, i governi di unità nazionale, Idee e valori che restano.

Rapporti con la politica, i governi di unità nazionale 

La maggior parte dei dirigenti lombardi che hanno scelto la Cisl negli anni precedenti all'au­tunno caldo aveva in tasca la tessera della De, più variegati i riferimenti partitici per quelli arrivati nella fase successiva. Tutti, però, senza alcuna differenza, assicurano di avere difeso con convinzione l'autonomia della Cisl dalle interferenze della politica. Semmai, qualche in­terferenza potrebbe esserci stata ai livelli più alti. I più affermano di non avere subito perso­nalmente alcuna forma di pressione. Bastano poche testimonianze, tanto sono simili l'una all'altra. 

"Sono sempre stata iscritta alla Democrazia cristiana e poi a tutto quello che si è succe­duto fino ad oggi al Pd, però ho sempre avuto ben chiara la differenza tra sindacato e partito, non mi sono mai sentita condizionata e non ero una moderata. Certo ci si confrontava, ma ritengo che a Milano interventi significativi dei partiti sulla Cisl non ci siano mai stati". (Alber­ti) 

"Secondo me la politica non influenzava le scelte sindacali. Macario, ad esempio, aveva un rapporto di amicizia con Pietro Ingrao e una volta l'ha invitato al direttivo della Fim. Quan­do c'era qualche problema con la Dc era Storti che diceva ai democristiani che cosa dovevano fare e non viceversa. Per quello che ho conosciuto io, Storti era molto rispettato". (Cavazzuti) 

"Dentro la Cisl si sentiva a volte che c'erano delle spinte che nascevano al di fuori dall'or­ganizzazione, ma queste non sono mai arrivate a condizionare le nostre scelte". (Farina) 

"Non ho mai sentito il peso della politica sulla nostra azione sindacale nell'ambito del­la scuola, era una situazione decisamente diversa rispetto al resto del pubblico impiego. La scuola ha sempre scioperato anche contro i governi democristiani pur avendo al suo interno una maggioranza di persone che votavano per la Dc. Qualcuno dice che quando la scuola decideva di scioperare i governi cadevano". (Fabrizio) 

Non dappertutto, però, il rapporto con la politica è così lineare. Negli enti pubblici, gioco forza, la situazione è profondamente diversa. A volte, con comportamenti distorsivi della normale dialettica sindacale. 

"L'ingerenza della politica si sentiva in particolare nella realtà delle aziende municipa­lizzate, un po' meno all'Enel, però si sentiva, perché se pensiamo come veniva costituito il consiglio d'amministrazione è chiaro che c'erano delle precise appartenenze politiche. Certo, nelle aziende municipalizzate questa influenza della politica si sentiva molto di più anche nel­le faccende quotidiane, con preoccupanti forme di consociativismo. La presenza della politica condizionava molto l'azione sindacale e la mortificava perché le scelte erano in funzione di un rapporto clientelare. Questo portava a una grande confusione di ruoli, anche sul piano delle relazioni formali, con una clientela molto diffusa e neanche tanto mascherata. Con la conseguenza che le poche volte che il sindacato regionale o territoriale veniva chiamato in azienda, per i nostri eravamo il sindacato esterno". (Quolibetti) 

Un momento significativo del rapporto tra politica e azione sindacale viene vissuto durante i governi di unità nazionale. I dirigenti della Cisl hanno valutazioni magari differenti, ma anche in questo caso rivendicano la totale autonomia delle proprie scelte. Semmai accusano la Cgil di subire fortemente l'influenza del Partito comunista e di mutare atteggiamento sulla base dello schieramento ideologico e non per una maturata convinzione dell'organizzazione. Il cambio di passo dell'Eur, per la Cisl è frutto di una propria autonoma riflessione. 

"L'avvio dei governi di unità nazionale per me era un fatto positivo perché voleva dire allargare la democrazia e anche che le cose che noi sostenevamo venivano accettate dagli altri. Negli anni Cinquanta loro contestavano il sistema, entrando nel governo voleva dire che ora lo accettavano. La preoccupazione era che l'intesa politica condizionasse anche la nostra attività. Ero abituato ad avere governi amici, perché quando facevamo gli scioperi per la casa e contro il governo alla guida c'era la Democrazia cristiana, per la Cgil invece nei confronti di un governo che aveva all'interno il Pci c'era qualche problema. Mentre la Cgil tendeva alla moderazione noi continuavamo a fare il nostro mestiere". (Boldrini) 

"Io ho vissuto come un passaggio entusiasmante la nascita dei governi di unità nazio­nale e ho visto con favore che si mettessero insieme le anime popolari del paese. Da democri­stiano, ma da democristiano cislino, ho sostenuto quel processo". (Chianese) 

"Ho sempre pensato che l'associare i comunisti al governo fosse una cosa utile, non dico giusta, ma necessaria. Il Paese era ingovernabile senza che nel governo fossero coinvolti coloro che avevano una rappresentanza vera. E i comunisti ne rappresentavano una bella fetta. La cosa non mi entusiasmava, ma non la vedevo negativamente. Con il governo di unità nazionale si cominciarono a fare le riforme alla rovescia, si cominciò a parlare di moderazio­ne salariale, si decisero l'abolizione delle festività, i tagli dei ponti. L'idea che siccome erano arrivati i comunisti al governo allora si potesse ridurre ciò che avevamo conquistato in quegli anni non mi è mai andata giù del tutto. Mentre la moderazione salariale impostata all'Eur: il salario non più variabile indipendente, che qualcuno anche in casa Cisl aveva teorizzato, io l'ho sempre condivisa". (Regenzi) 

"Purtroppo l'unità nazionale è arrivato dopo il fallimento dell'unità sindacale, perché se fosse arrivata prima molte cose sarebbero cambiate". (Pillitteri) 


Idee e valori che restano 

Quanto rimane dei valori e delle idee che hanno caratterizzato le scelte e l'azione sindacale della Cisl? Quanto hanno inciso nella realtà economica, sociale e politica italiana? Quanto quelle scelte sono state capaci di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone e al cambiamento della società? Tra i dirigenti della Cisl lombarda è diffusa la convinzione che molto del patrimonio ideale e culturale della Cisl sia diventato patrimonio dell'intero movimento sindacale. In molti casi, prima criticato e poi fatto proprio anche dalla Cgil. 
Semmai si coglie in più testimonianze una certa dose di disillusione rispetto all'oggi. Ma que­sto non è argomento del presente lavoro. 

"Degli anni Settanta è rimasta una struttura normativa, legislativa, una tradizione...lo stesso Ceni viene riformulato in quegli anni, come la contrattazione aziendale...oggi la strut­tura contrattuale è ancora condizionata da quegli anni. Romani e Pastore hanno riflettuto bene, potevano agganciarsi alla tradizione del sindacato bianco, ma non era più adeguata: la Cisl è stato il sindacato nuovo, che acquisiva dai paesi più industrializzati il modello di sinda­cato che serviva al paese. Non a caso è la Cisl che si fa carico della volontà di industrializzazio­ne del Paese, la contrattazione aziendale non nasce per portare a casa più soldi, ma per met­tere in discussione il sistema del Ceni (ereditato dal sistema corporativo del fascismo), perché stimolasse l'industrializzazione. Il convegno di Ladispoli esprime questi elementi: sviluppare una contrattazione a livello aziendale e territoriale per sbloccare il vecchiume dell'industria italiana. Spingere sulla strada dell'innovazione. Una tela che la Cgil riprenderà solo più tardi". (Pezzotta) 

"E difficile dire quanto le idee e la cultura della Cisl abbiano inciso nella trasformazione del Paese, io penso di sì, ma molto è dipeso dagli uomini. In certe fasi storiche gli uomini della Cisl, portando avanti il pensiero della Cisl, hanno inciso notevolmente. Gli uomini. Il pensiero della Cisl in sé, direi non fortemente, ma gli uomini della Cisl, forti di quel pensiero, sono riusciti a incidere, a contare, a realizzare e a ottenere. Ho questa convinzione. Non posso dire che nel­lo sviluppo della democrazia italiana il pensiero della Cisl sia stato uno degli elementi determi­nanti, ritengo però che gli uomini dell'organizzazione, interpreti autorevoli di questo pensiero, con grande sensibilità politica, abbiamo inciso. In un rapporto tra un vertice democristiano e un vertice cislino non era il pensiero della Cisl, era la capacità di chi rappresentava la Cisl di portare avanti il pensiero della Cisl a influire su quella realtà, lo ho fatto così". (Pillitteri)

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