sabato 31 ottobre 2020

Gli anni caldi della Cisl in Lombardia 3

Pubblicazione realizzata in occasione dell'Assemblea programmatica e organizzativa della Fnp Cisl Lombardia, 20.21 ottobre 2015. Materiali preparatori del volume "Impegno e passione", Bibliolavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016. In questa parte 3 (di 6): Unità sindacale, La Cisl rischia di dividersi, Lo Statuto dei lavoratori.

Unità sindacale 

C'è un clima nuovo nei luoghi di lavoro. Le lotte si fanno insieme, c'è voglia di cambiamento, si costruisce l'unità. Ovunque è un fiorire di iniziative unitarie, ogni vertenza aziendale, ogni battaglia per il rinnovo di un contratto nazionale viene condotta sotto le insegne di Cgil, Cisl e Uil. La Lombardia si muove decisa lungo questa strada, si superano antichi contrasti, diffiden­ze. Anche nelle aree di maggiore resistenza vince la spinta alla costruzione di un sindacato unitario. 

"L'idea dell'unità era molto sentita. La nostra era una generazione nuova, che non ave­va vissuto le scissioni e ci sembrava ovvio muoverci unitariamente, i problemi erano gli stessi, non vedevamo grande differenze". (Vallini)

"Già negli anni ‘67, '68 il tema dell'unità sindacale nelle fabbriche era presente. Si litiga­va animosamente, e mi ricordo di aver fatto volantini di fuoco contro il rappresentante della Cgil con cui peraltro eravamo quasi amici, ma il clima era diverso, si vedeva che si andava verso la costruzione dell'unità. Non era più quel clima di rottura degli anni Cinquanta e inizio Sessanta". (Regenzi) 

"Abbiamo sempre lavorato con uno spirito unitario. I giovani della sezione sindacale hanno fatto un giornalino che sosteneva idee più aperte, più avanzate, che veniva distribuito in Pirelli a tutte le dodici portinerie. Era un'organizzazione impegnativa. Sul giornalino abbia­mo teorizzato la qualifica unica, facendo scalpore e ricevendo delle pressioni perché all'inter­no della sezione c'era un dualismo tra vecchi e giovani". (Perego) 

"Forse non c'era molta riflessione sullo strumento dell'unità, ma era una spinta, un'idea che portava naturalmente verso l'unità, erano i giovani che lottavano, che scendevano in strada e che non stavano a guardare se c'era più Firn o più Fiom, più Cgil o più Cisl. Chiedevano un sindacato che facesse il suo mestiere. La storia stava andando in quella direzione". (Bon) 

"Si può dire che l'unità sindacale sia nata pian piano dal basso ed è venuta avanti come una esigenza e io l'ho vissuta positivamente. A Varese la Uil è stata inventata perché non c'e­ra e noi addirittura avevamo proposto di fare la federazione Cgil-Cisl, ma la confederazione ci impose di inserire anche la Uil e allora abbiamo cercato una persona che potesse rappre­sentarla e abbiamo trovato un ex cislino. Ma la Uil non era affidabile. I comunisti della Cgil ci facevano ammattire, ma quando si faceva un accordo lo rispettavano. A Varese siamo riusciti a farfare i congressi per l'unità anche ai maestri e al parastato". (Boldrini) 

Il desiderio di unità è forte, la spinta che nasce dalle fabbriche porta a superare anche le perplessità che pure inizialmente sono presenti in diverse strutture dell'organizzazione e tra alcuni dirigenti. 

"Sono sempre stata per l'unità, ma siccome frequentavo i compagni della Cgil mi preoc­cupava la faziosità di alcuni - la Uil non la consideravo - e mi chiedevo come avremmo fatto a stare insieme. Ero unitaria perché capivo che l'unità ci voleva, che saremmo stati più forti. Per me l'obiettivo dell'unità deve ritornare di attualità anche se non mi nascondo le difficoltà". (Alberti) 

"Ero favorevole all'unità sindacale, lo sono sempre stato anche se chiedevo alcuni chia­rimenti al nostro interno per capire che cosa significava l'unità del movimento. Ero favore­vole soprattutto per un principio: senza l'unità del movimento non si va da nessuna parte, lo ragionavo così: se abbiamo fatto un accordo insieme che consideriamo positivo è perché la pensiamo allo stesso modo, che cosa ci impedisce di fare l'unità se la pensiamo allo stesso modo? Però poi le logiche erano di altra natura, allora la Cgil veniva frenata dall'esterno dal Partito comunista, magari bisognava scioperare per ragioni politiche mentre noi dicevamo che si sciopera con motivazioni precise nell'interesse di chi rappresentiamo, cioè dei lavora­tori". (Galli) 

"Ho preso parte alla costruzione del percorso unitario che si è sviluppato negli anni '70 con la nascita della Federazione dei lavoratori edili. Ma ripensando ora a quei momenti, devo dire che forse ci ho creduto poco. L'unità che prevedeva una divisione al 33% per ciascuna delle tre organizzazioni era una bufala perché, in una situazione in cui la Uil che pur essendo nettamente minoritaria rivendicava sempre il suo 33%, la realtà era falsata. Mi rendo conto che era comunque un passo avanti rispetto a quello che c'era prima ed era il modo per stare insieme. Prima era solo l'incontro di tre, adesso era un organismo con proprie regole ed isti­tuti". (Boffi) 

"Dopo il 1971 sull'onda della spinta unitaria, Cgil Cisl Uil hanno realizzato qualche spe­rimentazione di sedi unitarie. Mi hanno chiesto di lavorare al Centro operativo unitario di San Pellegrino, in Valle Brembana, dove sono rimasto per nove mesi. Non è stata una delle esperienze più felici della mia vita: è vero che tra le sigle c'era un accordo, ma per gli opera­tori non era stata superato il senso di appartenenza, per cui, nelle fabbriche io continuavo a rappresentare e a essere visto come uomo Cisl, così come accadeva agli operatori della Cgil o della Uil. In più, non mi sentivo libero di muovermi e di agire". (Gualeni) 

La scelta unitaria in casa Cisl è condivisa in tutti i territori e le categorie, anche se non man­cano contrasti tra le strutture locali di alcune categorie e i gruppi dirigenti nazionali che sono contrari a procedere lungo un percorso che porti alla costruzione dell'unità sindacale orga­nica. 

"Ero favorevole all'unità sindacale e anche nel pubblico impiego mi vedevano uno che portava avanti il percorso unitario. Mi rendevo conto che dietro non avevo molto, ma mi fa­cevo forza della posizione dell'organizzazione nel suo insieme. Quando intervenivo in qualche assemblea o al consiglio generale i rappresentanti del settore privato mi guardavano con occhio favorevole perché finalmente avevano uno del pubblico impiego con loro, lo sostenevo questa visione nuova". (Chianese) 

"Quando è iniziato il percorso della costruzione dell'unità sindacale noi abbiamo pagato anche uno scotto per questa scelta, perché la nostra organizzazione nazionale era contraria e a Milano siamo stati commissariati, così come a Brescia. La posizione del nazionale non era solo competitiva nei confronti della Cgil, ma conflittuale a priori. Il nostro segretario nazio­nale Luigi Sironi era un monzese ed era il grande supporter di Vito Scalia. Questi, però, erano dibattiti che nel luogo del lavoro non arrivavano. Ma ciò che avevamo costruito in termini di rapporto con i lavoratori ci ha premiato e in occasione del congresso del 1973 abbiamo imposto la costituzione di commissioni paritetiche e i risultati congressuali ci hanno dato ra­gione e nelle aree commissariate abbiamo vinto i congressi. Anche in Lombardia c'erano aree che remavano contro e il nazionale aveva mandato a Milano il responsabile del Veneto, ma questo non è bastato e hanno perso alla grande. Per me è stata una grande soddisfazione". (Quolibetti) 

La Cisl si spinge avanti con decisione mettendo in cantiere, e in molti casi realizzando, i con­gressi di scioglimento in vista della costruzione del nuovo sindacato unitario. Non solo le ca­tegorie, ma anche le unioni celebrano il proprio scioglimento. La Cgil, però, non lo farà mai. 

"L'unità sindacale era alla base del mio impegno, quando gli attivisti della Fim si trova­vano avevano in mente l'obiettivo di superare le divisioni e costruire l'unità. Con lo sviluppar­si delle rivendicazioni quasi naturalmente si sentiva la necessità di essere insieme. Quando abbiamo deciso di fare l'unità dei metalmeccanici a Lecco siamo stati tra i primi a realizzarla, ma anche la Cisl di Paolo Nardini ha fatto il congresso di scioglimento, però lo scioglimento l'ha fatto solo la Cisl". (Farina) 

L'unità organica, però, rimane un miraggio. Colpa delle pressioni esterne della politica, colpa delle resistente interne dei gruppi dirigenti, colpa delle mutate condizioni generali, fatto sta che il percorso si interrompe con la decisione di dare vita alla Federazione sindacale unitaria Cgil, Cisl, Uil. 

"Noi ci abbiamo creduto, perché la Fim, insieme a qualche altra categoria dell'industria, fu quella che più di tutte credette a questo processo, fece tutti i congressi di scioglimento nel 1972 e fece anche il congresso nazionale, mentre dall'altra parte Bruno Trentin non riuscì a reggere la spinta del Partito comunista e quindi l'unità si è arenata. All'inizio, quando si fece il patto federativo, l'idea era che fosse soltanto una sorta di pausa e poi il processo sarebbe andato avanti. Pensavamo che se l'unità non si faceva a Roma noi potevamo continuare a costruire il percorso unitario a livello locale. La delusione ci fu e mentre all'inizio si era molto più aperti a confrontarsi, discutere, dopo quella pausa cominciamo a interrogarci su che cosa sarebbe accaduto più avanti perché c'era la preoccupazione che l'organizzazione della Cgil fosse molto più forte. Così a Varese, in maniera molto discreta, cominciamo a ricostruire una rete di punti di riferimento della Fim e ogni tanto si faceva qualche incontro perché non si sa­peva come sarebbe andata a finire. Anche se intanto si era nella stessa sede unitaria". (Bon) 

"Mi sono impegnato per l'unità sindacale a Brescia. L'unica Unione in Italia che ha detto sì all'unità con tutte le categorie, compresa la Federpubblici e la Fisba. Venne Marini a scon­trarsi con me, dicendo: 'lo sono contrario, ma so già che voterete come dice Melino'. Nelle altre province c'è sempre stata qualche categoria che ha votato contro. C'era a Brescia una Cgil guidata da una persona squisita, Giovanni Foppoli, che riconosceva che la supremazia in una prima fase sarebbe stata della Cisl. Non lo metteva nessuno in dubbio e quindi abbiamo vissuto l'unità positivamente. Incomprensibilmente, come si sia rotto tutto questo non l'ho mai capito fino infondo". (Pillitteri) 

Per alcuni, però, la costituzione della Federazione è solo una fase di passaggio, forse anche necessaria, per procedere verso un processo di unità più maturo. 

"Quando è nata la federazione unitaria io non l'ho considerata una sconfitta, ma un proseguimento naturale del lavoro che stavamo facendo. Quando abbiamo aperto la sede unitaria all'Umanitaria è stata una grande soddisfazione. Quando ci sono state delle contrap­posizioni fra noi e la Cgil, le ho sempre vissute come fattori momentanei che poi avremmo superato e il processo unitario sarebbe andato avanti". (Perego) 

Per altri, la fine del progetto unitario è la naturale conclusione di un percorso che aveva in sé delle ambiguità che impedivano una pratica veramente condivisa. 

"Quando si è giunti alla rottura dell'unità non ho sofferto perché l'unità dentro le que­stioni organizzative era difficile da praticare. Erano poche le categorie che praticavano l'unità vera in quegli anni. La Fulc non aveva creato degli uffici comuni. La competizione l'ho sempre praticata, quando andavo nelle fabbriche io cercavo di fare le tessere". (Dioli) 

La Cisl rischia di dividersi

La spinta verso l'unità sindacale determina il formarsi nella Cisl confederale di due grandi schieramenti di favorevoli e contrari, pur se inizialmente tutti in qualche modo disponibili ad una forte unità d'azione. Ma quando appare chiaro che l'unità organica rimane un miraggio e si procede verso una più gestibile Federazione, le due anime coagulatesi nell'organizzazio­ne, guidate da Bruno Storti da una parte e Vito Scalia dall'altra, invece di abbassare le armi, alzano il livello dello scontro. Gli antiunitari cercano l'appoggio della De per dare corpo al loro progetto di scissione, ma dal VII congresso confederale del giugno 1973 escono sconfitti. Il rischio di rottura è evitato. La Lombardia, ancora una volta, salvo poche eccezioni, si schiera compatta a sostegno delle tesi unitarie di Storti e Camiti.

"Quando si è capito che l'unità non si poteva più fare, un pezzo di Cisl è emersa pensan­do di giocare la partita della rottura. Scalia è passato dall'estrema sinistra all'altro versante. La De di Flaminio Piccoli era parecchio tentennante sulla vicenda che si stava creando all'in­terno della Cisl con il rischio di rottura. Ho parlato con Mino Martinazzoli e, verificato che era contrario a una spaccatura, gli ho chiesto di intervenire. Allora Martinazzoli ha scritto una lettera a Piccoli nella quale diceva che doveva essere chiaro che se si spaccava la Cisl si spac­cava anche la De perché loro non l'avrebbero mai accettata. Non so se è stata determinante, ma certo da quel momento la situazione è cambiata. Se si fosse arrivati alla rotj/ura a Brescia avevamo la Fisba che avrebbe aderito alla scissione e poco altro, perché credo che anche all'interno del pubblico impiego non molti li avrebbero seguiti. Il pericolo scissione c'è stato, l'autonomia e l'incompatibilità hanno portato a questo". (Pillitteri)

"Molti della Cisl temevano una deriva pericolosa, tale da cancellare la sua cultura sinda­cale, la sua ispirazione cristiana. Noi stavamo con Storti, contro Scalia, che si fece interprete dell'ala tradizionalista. Mi ricordo che Scalia a Bergamo disse "Partirò con la mia valigetta e andrò in giro a convincere tutti sull'unità"... poi divenne il suo rivale più accanito. Noi giovani parteggiavamo per Storti, i segretari della Filta erano molto più prudenti. Facevano fatica a pensare di dover ricostruire l'unità con quelli da cui si erano separati non più di 15 anni prima. Noi li incalzavamo avendo con noi larga parte della base operaia. La Cisl si spaccò. Con Storti si schierarono le strutture del Nord, che seguivano Macario e Camiti, e le categorie dell'industria. Con Scalia si schierò il pubblico impiego di Marini che mantenne una posizione dialo­gante, i braccianti di Sartori, gli elettrici di Sironi e le federazioni del mezzogiorno". (Pezzotta)

"Le vicende del 1973 che portarono a un rischio di scissione della Cisl fu vissuto con una certa preoccupazione, anche perché noi pensavamo che fermando Scalia sarebbe potuto ri­partire il progetto unitario. In effetti Scalia venne fermato, ma il progetto unitario non ripartì più. A livello locale le nostre scelte erano totalmente condivise e non ci fu problema di sorta perché tutte le categorie e anche la Cisl di Varese avevano fatto il congresso di scioglimento". (Bon)

"Nel congresso del '73 e nei periodi successivi avevo una posizione strana in casa Cisl, perché pur essendo in Federpubblici, che a livello nazionale era allineata con la tesi due di Scalia e Franco Marini, io ero con tesi uno con Storti e Camiti. A Como ero schierato con l'in­dustria e con me c'era la scuola media". (Chianese)

"Quando in occasione del congresso del 1973 si contrapposero le tesi di Scalia e Storti io ero un po' titubante, mi sembrava che le tesi di Scalia mi convincessero maggiormente, poi però, riflettendo bene, ho capito che non erano posizioni che potevo condividere per cui alla fine mi sono schierato con Storti e Camiti. I miei dubbi nascevano al fatto che mi sembrava che la proposta carnitiana mi portasse ideologicamente fuori dalla mia cultura, che mi por­tasse a sinistra. Sbagliavo". (Galli)

"Nel confronto tra le aree di Storti e Scalia, io sono sempre stato vicino a Storti, più vi­cino alle mie aspirazioni sindacali, quelle di un sindacato libero. C'era chi voleva legarsi alla Dc. Bergamo, invece, era per l'autonomia". (Noris)

Lo scontro è duro e mentre a livello nazionale si discute delle grandi questioni generali, nei territori e nelle categorie lombarde si lavora per sostenere la linea dell'unità e battere i pro­getti scissionisti.

"In casa Cisl il processo di unità sindacale ha rischiato di rompere la nostra organizza­zione. Nel congresso del 1973, che si è giocato su due tesi contrapposte, ero in prima fila e a Milano, dove ero responsabile organizzativo, abbiamo presentato tre liste per non lasciare nessun spazio agli antiunitari. È stato un congresso molto teso, nel quale ognuno ha messo in gioco le proprie idee. Un fatto positivo, un momento fruttuoso che ci ha fatto crescere. Si discuteva in modo animato e si discuteva molto. Anche i lavoratori iscritti erano coinvolti in questa vicenda, non tutti alla stessa maniera, ma molti di loro partecipavano al dibattito". (Alberti)

"Ho vissuto direttamente tutta la fase della divisione interna alla Cisl tra chi era favo­revole all'unità e chi era contrario, lo ero pro Storti, vedevo Scalia come un restauratore, espressione della parte peggiore della Sicilia che rifiutava di modernizzarsi, e quelli che ave­va riunito, come Sironi degli elettrici e la Fisba, erano tutti coloro che non volevano nessun cambiamento e non erano interessati alle novità dello Statuto dei lavoratori. Nella Fisba vi­geva ancora il rapporto diretto con la Democrazia cristiana e i coltivatori diretti, mentre gli elettrici erano legati al sottobosco delle imprese di Stato. A Milano non ci furono dubbi sullo schierarsi contro Scalia e sostenemmo con la nostra solidarietà gli elettrici che erano stati commissariati". (Boffi)

"In occasione il congresso del '73 la Cisl ha rischiato la spaccatura sul tema dell'unità sindacale, lo mi ero identificato molto in Pierre Camiti, ero ancora nella Fisba e ho portato la mia categoria di Mantova sulla posizione dell'unità. Marini è venuto a Mantova per fare un incontro con gli antiunitari e io mi sono impegnato, insieme a tutti coloro che erano di­sponibili, a boicottare quella manifestazione. Come segreteria abbiamo deciso di cambiare tutte le serrature e ritirare le chiavi degli uffici e delle sedi che abbiamo tenuto in tre: io come segretario generale e altri due, per evitare che potessero esserci dei colpi di mano". (Iridile)

"Al congresso del 1973 noi eravamo con Storti ma la Cisl di Pavia era molto divisa. Noi avevamo la sede vecchia vicino al Comune, ma l'altro gruppo aveva già affittato un appar­tamento dove fare la nuova sede, lo gli ho intimato di chiuderla e superata la fase più critica quell'appartamento è stato abbandonato. Si erano organizzati come sindacato della terra e del pubblico impiego. Qui a Pavia è stato uno scontro duro". (Spunton)


Lo Statuto dei lavoratori 

Prima che la Cisl consumasse il suo decisivo congresso, però, alcuni fatti molto importanti erano accaduti. Fra questi figura certamente la nascita dello Statuto dei lavoratori. Una delle conquiste più significative dell'autunno caldo e del grande ciclo di lotte sindacali della se­conda metà degli anni Sessanta. Con la legge 300 del 20 maggio 1970, voluta dal socialista Giacomo Brodolini, si completa un processo riformista in tema di diritti del lavoro e di rap­presentanza sindacale immaginato fin dalla formazione dei primi governi di centrosinistra, ma concretizzatosi essenzialmente grazie alla mobilitazione delle tute blu. In molti casi, in­fatti, il diritto di assemblea o il diritto all'ingresso in fabbrica dei sindacalisti, sono conquistati attraverso le vertenze e solo successivamente accolti nello Statuto. 
La Cisl non ha mai visto con favore l'intervento del legislatore nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, prediligendo sempre l'accordo tra le parti. Anche in quest'occasione, quin­di si esprime contro l'intervento del governo, a difesa di uno dei principi cardine della propria azione, pur condividendo a pieno i contenuti dello Statuto.

"A quei tempi, la Cisl era contraria a uno Statuto dei lavoratori: riteneva che l'attività dovesse essere tutta nella contrattazione, non ammetteva 'intromissioni' della politica. Alla fine si convinse che una tutela diversa anche dell'attività sindacale dentro le fabbriche era necessaria. E lo Statuto veniva salutato come l'ingresso della Costituzione in fabbrica". (Pezzotta)

"L'arrivo dello Statuto dei lavoratori l'abbiamo in qualche modo subito e poi utilizzato. Era l'evoluzione dei tempi, in quei momenti c'era molta sensibilità e duttilità politica. La Cisl era contro la legge, ma intelligentemente ha gestito il passaggio al nuovo strumento". (Pillitteri)

"Noi metalmeccanici abbiamo conquistato il diritto all'assemblea nel contratto del 1969, ma a Lecco avanzavamo questa richiesta già prima. Si facevano le assemblee durante gli scioperi per il contratto che chiedeva questo diritto forzando le situazioni". (Gilardi)

Lo Statuto dei lavoratori cambia il modo di fare sindacato e gli operatori della Cisl imparano subito a sfruttarne appieno tutte le potenzialità offerte della nuova normativa. Nell'azione sindacale si respira una nuova aria di libertà, i lavoratori si sentono più tutelati e imparano ad esprimersi liberamente anche in fabbrica, la partecipazione è diffusa, le iscrizioni al sinda­cato crescono notevolmente.

"Con lo Statuto dei lavoratori è cambiato profondamente il modo di fare sindacato, è stata una frattura netta. Prima dello Statuto, quando si dovevano distribuire i volantini bisognava stare sul marciapiede opposto all'ingresso del cantiere, se si doveva volantinare in più aziende e non si riusciva a farlo contemporaneamente, non si poteva affiggerli ai pali intorno al cantiere perché altrimenti usciva la guardia e li strappava. È cambiato il clima, ma sono cambiate anche le regole. La Cisl teoricamente era contraria alla legge che regolava i rapporti di lavoro, ma non si è opposta, lo ero contento per queste nuove regole. La Cisl dopo l'approvazione dello Statuto è cresciuta in maniera esponenziale". (Regenzi)

"Fino ad allora, entrando in azienda portati dall'onda degli operai, avevamo preso di­verse denunce. Uscivano un centinaio di lavoratori, noi ci mettevamo davanti e loro ci spin­gevano all'interno, a quel punto le guardie dovevano farsi da parte, ma poi la Pirelli ci de­nunciava. Personalmente penso di essere stato denunciato sei o sette volte dall'azienda. Noi abbiamo anticipato lo Statuto e alla fine anche le guardie ci tolleravano ed entravamo tran­quillamente". (Perego)

"Quando è arrivato lo Statuto dei lavoratori noi avevamo già acquisito il diritto alla con­trattazione in fabbrica e il fatto che le nostre conquiste fossero trasferite dentro lo Statuto ci dava la sensazione che le cose che stavamo facendo ottenevano dei risultati. Ricordo di aver visto sul volto degli operai più anziani la gioia per aver conquistato il diritto di fare le assem­blee in fabbrica". (Farina)

"Alle assemblee introdotte con lo Statuto dei lavoratori c'era un'ottima partecipazione anche se inizialmente quasi nessuno interveniva perché tutti avevano o vergogna o paura". (Galli)

"L'autunno caldo ha lasciato il segno anche nelle campagne e quando sono partite le lotte per le riforme e gli scioperi generali, i braccianti hanno partecipano. Con il contratto del 1970 abbiamo conquistato i diritti sindacali, la possibilità di svolgere le assemblee e non abbiamo avuto problemi a individuare persone disposte a fare i delegati sindacali. L'arrivo dello Statuto dei lavoratori ha confermato i diritti che avevamo conquistato con il contratto". (Iridile)

segue: "Gli anni caldi della Cisl in Lombardia 4"