lunedì 2 novembre 2020

Gli anni caldi della Cisl in Lombardia 4

Pubblicazione realizzata in occasione dell'Assemblea programmatica e organizzativa della Fnp Cisl Lombardia, 20.21 ottobre 2015. Materiali preparatori del volume "Impegno e passione", Bibliolavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016. In questa parte 4 (di 6): Si amplia la contrattazione, cambiano i contenuti. Risposte padronali 

Si amplia la contrattazione, cambiano i contenuti

L'azione sindacale nei primi anni Settanta prosegue intensa. La contrattazione aziendale è ormai un patrimonio diffuso che investe anche le aziende più piccole e ambiti che fino ad allora ne erano stati esclusi. Ovunque nascono i nuovi consigli di fabbrica che sostituiscono definitivamente le commissioni interne. I delegati imparano a guidare le vertenze. Parte la stagione delle "riforme" della casa, della sanità, delle pensioni, mentre la contrattazione esce dai ristretti confini della fabbrica per occuparsi dei bisogni dei lavoratori sul territorio. Si avviano le vertenze per gli asili nido, le mense interaziendali, i trasporti, le scuole profes­sionali, le 150 ore. 

"Nei primi anni Settanta nella contrattazione si inseriscono nuovi temi fra cui le 150 ore, l'l% del monte salari da utilizzare per gli asili nido e le mense aziendali. Altro tema che si stava affermando era quello dell'ambiente di lavoro e della sicurezza. Nel contratto del 1973 si pose anche il tema dell'informazione sulle prospettive dell'impresa. Questa conquista creò parecchi problemi perché c'erano imprese che non dicevano nulla e poi non c'erano esperien­ze precedenti. In fabbrica sui temi più generali era importante avere dei quadri preparati, sindacalizzati, che sapessero trasmettere questi contenuti ai lavoratori, se invece si avevano delegati non formati a volte aveva addirittura poco senso andare a parlare di questioni non aziendali". (Bon) 

"Un nostro grande successo sono state le 150 ore: con questa operazione il sindacato ha dato a milioni di lavoratori la possibilità di studiare, leggere, scrivere, compiere un salto qualitativo". (Pezzotta) 

"Uno dei temi forti delle rivendicazioni sindacali di quegli anni è stato quello dell'egualitarismo, noi chiedevamo sempre aumenti uguali per tutti. Il tema nuovo era l'ambiente di lavoro che andava dalla carta igienica, alla tuta, ai guanti, all'ambiente in senso stretto. Più avanti si è costituito il nucleo di medicina del lavoro con verifiche all'interno dei luoghi di la­voro sulle malattie professionali e sulla sicurezza dei macchinari. Più avanti ancora abbiamo cominciato a porre il problema del contributo dell'1%, abbiamo fatto degli incontri con l'U­nione industriali per finanziare gli asili nido e le mense interaziendali". (Gilardi) 

"L'inquadramento unico ha cambiato tutti i parametri. Per questo accordo, ci furono trattative aziendali per la sua applicazione: fu il mio ingresso ufficiale nella schiera dei sinda­calisti della fabbrica. Partecipai a tutti gli incontri, una lunghissima sequela di sedute fiume, durante i quali stabilimmo l'intesa che ha definito i livelli, i passaggi di categoria, altri aspetti determinanti, come i cambi di orario di lavoro: si passò, allora da 42 ore medie a 40, dalle 39 domeniche e 39 sabati di lavoro, alle 26 domeniche, stabilendo un cambiamento epocale". (Regazzi) 

Sulle questioni di carattere generale non sempre la partecipazione è convinta come sulle questioni aziendali, ma gli scioperi generali e le manifestazioni vedono comunque una gran­de presenza di lavoratori. Più sentite, ma con risultati alterni, le vertenze aperte nel territorio con gli enti locali. 

"Gli scioperi e le manifestazioni sui temi più generali come la casa, le pensioni, le rifor­me hanno sempre visto una buona partecipazione anche se questi temi erano meno sentiti rispetto a quelli aziendali e ai contratti nazionali di lavoro. Si andava in piazza con entusia­smo per cercare di coinvolgere sempre più gente possibile". (Galli) 

"Nel 1970 venne proclamato un mese di mobilitazione sui temi delle riforme e all'inizio la partecipazione fu piuttosto buona, poi andò scemando perché avevamo come interlocutore il governo e con il governo portare a casa dei risultati era assai difficile perché le decisioni non arrivavano mai in tempi rapidi. Era un'azione necessaria. Avevamo ristabilito un certo equilibrio nelle fabbriche, dando più dignità alle persone, dando la possibilità di non essere più trattati come zerbini, ma questo non era vero fuori dalla fabbrica. Per i tantissimi immi­grati arrivati dal sud non c'erano le case, le scuole facevano i doppi e tripli turni. Su questi temi abbiamo ottenuto alcune cose, ma alla fine siamo stati sconfitti e secondo me fu colpa della classe politica italiana che non capiva ciò che stava accadendo". (Bon) 

"I lavoratori hanno sempre partecipato molto anche alle iniziative di carattere genera­le. Negli anni Settanta nell'ambito del consiglio di zona si discuteva di questioni quali la man­canza di asili nido, di case per i lavoratori, di mense interaziendali e noi riportavamo queste discussioni all'interno delle fabbriche per far sì che le richieste di contributi per la realizza­zione di quegli obiettivi entrassero nelle piattaforme aziendali. La sensibilità su questi temi non era molto alta, però mediamente siamo sempre riusciti ad ottenere una partecipazione anche su queste battaglie". (Mastaglia) 

"In quegli anni facevamo contrattazione territoriale sui trasporti o sulla casa o su altro, ma erano tutte chiacchiere. Facevamo molti documenti, sia noi sindacati che l'ente locale o la Regione, ma non abbiamo mai concluso niente: grandi dichiarazioni d'intenti ma nulla di concreto. Infatti i pendolari, per esempio, sono in ballo ancora adesso con i problemi dei trasporti pubblici. Era la cosiddetta contrattazione territoriale, ma è durata poco o almeno io non l'ho vissuta". (Corbari) 

Anche nel pubblico impiego si cercano di aprire nuovi spazi di contrattazione decentrata. 

"All'inizio degli anni Settanta le battaglie sindacali all'Enpi erano tutte rivolte al nostro interno e riguardavano il posto fisso, i contributi, le pensioni. Dentro la categoria erano i rappresentanti dei grandi gruppi pubblici, come l'Inps, che tiravano le fila dell'azione sin­dacale dei pubblici, noi come enti minori ci siamo accodati e pian piano il pubblico impiego ha iniziato ad avere un suo ruolo, avviando anche processi di contrattazione locale seppure tutto fosse sostanzialmente definito dai contratti nazionali. La mia attività in azienda si limi­tava a cercare di risolvere eventuali problemi che nascevano nella quotidianità del lavoro". (Chianese) 

Tra i nuovi contenuti della contrattazione emerge quello dell'egualitarismo, un tema partico­larmente sentito in casa Cisl, anche se non sempre condiviso, in particolare a causa di alcuni eccessi nella sua interpretazione concreta. La questione dell'egualitarismo si intreccia spesso con quella femminile e con il ruolo della donna sul lavoro. 

"Ho condiviso le richieste di aumenti uguali per tutti anche se ero contrario a certe esasperazioni, c'era l'esigenza di colmare alcune differenze che non avevano giustificazione, ma il vero egualitarismo era sulla parte normativa, invece si guardava solo la parte salariale. C'erano delle disparità tra operai e impiegati non giuste ed era contro queste che si sareb­bero dovuto indirizzare le politiche egualitarie, era la richiesta di riconoscere pari dignità ai lavoratori indipendentemente da quale fosse la loro occupazione. Ci siamo impegnati per co­struire una classificazione unica e questo non era solo per operai e impiegati, era fatto anche per le donne che allora avevano una classificazione diversa da quella degli uomini. Bisogna però dire che dal punto di vista culturale si trovavano delle resistenze tra gli stessi lavoratori maschi che non ritenevano giusto che le donne avessero lo stesso inquadramento degli uo­mini, così come qualche resistenza da parte degli operai più anziani ci fu quando si arrivò a chiedere ferie uguali per tutti indipendentemente dall'anzianità". (Boldrini) 

"Nel settore del legno c'erano molte donne occupate, ad esempio nel settore dell'imbot­tito, e negli anni Settanta si arrivò al superamento delle differenze conquistando ‘pari lavoro uguale pari salario". Le operaie partecipavano attivamente agli scioperi, in molti casi anche più degli stessi uomini, e diverse di loro furono elette delegate. Qualche delegata c’era anche nei grandi uffici delle imprese maggiori del settore edile". (Boffi) 

"C'è un egualitarismo dal punto di vista dei diritti e della dignità delle persone e un egualitarismo dal punto di vista salariale. Sul piano salariale c'erano delle ragioni molto pre­cise: con il costo della vita che cresceva non si capiva perché tra un lavoratore e l'altro doves­sero esserci aumenti diversi. Allora le paghe erano molto frammentate, anche per persone inquadrate allo stesso livello, e c'era bisogno di razionalizzare queste cose, un processo che è stato utile anche alle imprese. Poi l'abuso della parola egualitarismo è stato anche la sua condanna, perché in molti casi venne proposto come un meccanismo automatico senza più nessun legame con il merito". (Bon) 

"Non ho mai condiviso la cultura dell'egualitarismo perché ho sempre considerato la diversità dei valori. Le nostre richieste nelle vertenze sindacali però erano sempre di aumenti uguali per tutti, cosi come l’organizzazione in quel momento aveva deciso. Un conto sono le opinioni personali e un conto le scelte dell'organizzazione e anche il rispetto degli iscrit­ti all'organizzazione. Ho però sempre lottato per evitare che ci fosse una dicotomia tra la prestazione maschile e quella femminile, in questo senso sostenevo la battaglia egualitaria perché il lavoro degli uomini e delle donne avesse la stessa dignità". (Galli) 

"L'egualitarismo per noi è stato un cavallo di battaglia, anche rispetto all'unificazione del punto di contingenza, e farlo capire ai lavoratori è stato abbastanza facile perché guada­gnavano qualcosa, un po' meno facile per quelli che appartenevano alle categorie più alte, ma non è stato tolto niente a nessuno". (Mastaglia) 

"Ho condiviso profondamente l'idea dell'egualitarismo con le richieste di aumenti ugua­li per tutti, ci fu anche chi arrivò all'eccesso di chiedere che siccome gli impiegati guadagna­vano di più, gli aumenti dovevano essere inversamente proporzionali. In edilizia però l'idea di aumenti uguali per tutti non ha mai attecchito per la tipicità del mestiere e il contratto dell'edilizia non ha mai chiesto aumenti uguali per tutti. Le competenze e le responsabilità nei cantieri erano assai diverse, una realtà che gli stessi lavoratori ben comprendevano. Dove abbiamo avviato qualche discussione su questi temi erano gli stessi lavoratori a dire che non era giusto. Mi sono battuto come un leone per il punto unico di contingenza, salvo scoprire sei mesi dopo che forse non era la strada giusta". (Regenzi) 

"Non ho condiviso le richieste di aumenti uguali per tutti, sono sempre stato convinto che uno il salario se lo deve meritare, si deve garantire a tutti un minimo ma poi il resto va guadagnato". (Spunton) 

Risposte padronali

L'esplosione delle vertenze nei luoghi di lavoro in un clima di dure contestazioni al sistema produttivo, coglie di sorpresa le imprese. In Lombardia, inizialmente, i padroni reagiscono con lo strumento della repressione, con le denunce, affrontando a muso duro i lavoratori che chiedono migliori condizioni di vita e di lavoro. In qualche caso facendo ricorso a picchiatori in camicia nera. I più avveduti tra gli imprenditori, compreso che si tratta di un processo inarrestabile, cercano invece di adattarsi alla realtà mutata, puntando a costruire un nuovo sistema di relazioni con le organizzazioni sindacali e i delegati aziendali. Più avanti daranno il via ad un grande processo di ristrutturazione e di decentramento produttivo con l'obiettivo di recuperare i margini di profitto erosi dalle lotte sindacali.

"I padroni facevano fatica a capire cosa stava succedendo, a capire i tempi nuovi. Fu un fatto così inaspettato che ne furono scioccati, tant'è che più avanti, quando si riebbero da questa fase per loro difficile, avviarono una reazione che fu di destra. Poi acquisirono consa­pevolezza, ma in quel momento non capivano e di fronte agli scioperi e alle nostre rivendica­zioni quasi non erano in grado di reagire". (Boffi)

"Con l'esplodere delle proteste i padroni all'inizio hanno fatto fuoco e fiamme, hanno fatto denunce su denunce per occupazione di suolo privato, per l'occupazione di aziende, però dopo un po' la maggioranza degli imprenditori si è resa conto che il mondo era cambia­to e bisognava adeguarsi. Qualcuno che ha fatto resistenza, soprattutto nelle grandi aziende bresciane, c'è stato, qualche padrone assumeva i fascisti apposta per contrastare l'azione sindacale". (Regenzi)

"La reazione di Confindustria al nuovo clima sindacale fu di netta chiusura, la situazione cambiò un poco con l'arrivo di un nuovo dirigente, il dottor Timoncini, che li convinse che era inutile fare delle battaglie che prima o poi, con l'arrivo dello Statuto dei lavoratori di cui già si parlava, sarebbero state superate e i nuovi diritti acquisiti dai lavoratori. Inoltre, l'amplia­mento delle dimensioni delle aziende richiedeva metodi nuovi per regolare il conflitto all'in- terno delle fabbriche e infatti piano piano anche Confindustria arrivò ad accettare la nuova realtà". (Boldrini)

"I padroni tendevano a scoraggiare l'impegno e la combattività dei lavoratori. In quegli anni i padroni prendevano anche provvedimenti disciplinari con l'obiettivo di frenare l'azione dei lavoratori e abbiamo avuto molte denunce". (Gilardi)

"A Treviglio, nella bassa bergamasca in generale, c'erano tante grandi aziende, e gli scontri più duri li abbiamo avuti con gli imprenditori del settore legno, nel quale pensavo si potesse arrivare a un contratto di settore. C'è stata una battaglia pesante. Avevano addirittu­ra creato, nelle fabbriche, delle barriere per evitare che tra lavoratori e sindacalisti ci potesse essere alcun contatto". (Pagani)

In alcuni settori, così come nelle aziende più avvedute, emerge la volontà di mantenere vivo un confronto costruttivo tra le parti, anche in presenza di una forte spinta rivendicativa.

"La nuova forza sindacale, la partecipazione dei lavoratori, non hanno suscitato parti­colari reazioni da parte degli imprenditori del settore alimentare. Ricordo che il capo del per­sonale della Galbani, al quale in occasione di uno sciopero degli impiegati con picchetto ho impedito di passare, mi ha detto: "lo non farò mai più un accordo con lei", poi invece abbiamo ristabilito buoni e normali relazioni. Non ho mai vissuto particolari rivalse di parte padronale. Noi facevamo grande contrattazione e facevamo gli accordi." (Alberti)

"Di fronte alla grande crescita del movimento dei lavoratori e dell'organizzazione sinda­cale gli imprenditori del settore alimentare hanno mostrato disponibilità al confronto perché non abbiamo mai anteposto, soprattutto io ma anche i colleghi della Cgil, la lotta rispetto al merito delle questioni e ai risultati finali delle vertenze. Anche l'associazione industriali ha sempre avuto rispetto nei nostri confronti perché la nostra era una posizione di disponibilità a ragionare". (Galli)

"Di fronte alle nuove battaglie sindacali l'azienda, essendo una multinazionale ameri­cana, non ha reagito in modo particolare e con la dirigenza italiana c'è sempre stato un buon rapporto. Non mi hanno mai impedito niente". (Mastaglia)

"Le relazioni sindacali tra noi e la direzione erano positive: riuscimmo a superare anche i mesi dello shock petrolifero senza cassa integrazione. Organizzammo un rallentamento del lavoro e della produzione, e utilizzammo la crisi economica per rivoluzionare gli impianti. Con l'85% di iscritti, l'azienda sapeva che doveva fare i conti con il sindacato, e la preparazione dei delegati e attivisti, la loro serietà, era una garanzia anche per la Falck". (Regazzi)

"Nel frattempo era cambiato il clima in fabbrica: c'era stato un forte sviluppo, erano arrivati lavori importanti. Dall'altra parte del tavolo, poi, c'era un direttore generale con una mentalità molto aperta, alla Olivetti, per intendersi. Voleva la fabbrica di vetro, trasparente; si batteva per migliorare le condizioni di lavoro, oltre che la produttività. Con lui riusciamo anche a ottenere una sede sindacale dove riunirsi periodicamente". (Gelpi)

segue: "Gli anni caldi della Cisl in Lombardia 5"