martedì 16 giugno 2020

ENRICO DIOLI - Flerica, Fat, Cisl - Lecco, Sondrio e Lombardia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato il 2.2.1948 a Sondrio, diplomato perito elettromeccanico a Lecco. Il papà era dipendente del cotonificio Fossati di Sondrio, era un operaio con tre mucche e una vigna. Mia mamma era casalinga, ma le mucche le governava lei. Tutte le mattine andava a Sondrio a distribuire casa per casa il latte mentre la sera lo distribuiva a Ponchiera, la frazione dove abitavamo e spesso andavo con lei. Era anche una sarta provetta e cuciva abiti da uomo.
A un certo punto ci siamo trasferiti a Calco, in Brianza, perché mio papà è andato a fare il custode giardiniere della villa del Fossati. La ragione è perché a Sondrio non c'era un istituto tecnico che formasse i periti elettrotecnici e mio papà aveva in mente per me un posto di lavoro garantito e ben pagato in una centrale idroelettrica della Valtellina, infatti sosteneva che nelle centrali si usciva stufi e non stanchi. 
Era una villa del seicento molto bella e noi godevamo di questo giardino, orto e parco perché i Fossati venivano in quella villa due mesi all'anno. La mamma era cattolica, praticante, come sua madre, mia nonna, anticomunista viscerale che sosteneva che i comunisti non avevano voglia di lavorare. Papà aveva fatto il servizio militare nei carabinieri, aveva il rispetto delle regole, ma una visione un po' più laica della mamma. Io ho fatto il chierichetto.
Terminata la scuola, nel 1968 ho lavorato per tre mesi nel maglificio Fontana come impiegato, poi una sera sono andato da mio padre e gli ho detto che non volevo più lavorare e volevo andare all'università. Mio padre mi ha detto che avrebbe potuto darmi solamente 30mila lire al mese: “Di più no, se ce la fai bene”. Ho lasciato la Fontana e mi sono iscritto a Statistica all'Università Cattolica a Milano. Ho fatto il primo anno senza seguire un'ora di lezione, lì ho scoperto un altro mondo: assemblee, iniziative, manifestazioni, è stato un anno che mi ha cambiato la vita. Cominciavo a capire il fermento che c'era in quel momento nelle università milanesi. Però, siccome avevo bisogno di soldi, intanto ho fatto tre o quattro lavori: supplenza di matematica alle medie, supplenza di ginnastica, formazione agli apprendisti e, alla sera, dopo aver fatto il patentino, insegnante di scuola guida. Con questi impegni, seppure provvisori, guadagnavo più di mio padre. Erano gli anni ‘69, ’70 e ‘71. Poi sono andato a fare il servizio militare, alpino prima all'Aquila e poi a Bolzano. Finito il militare sono andato a lavorare come impiegato al Mulino Colombo di Paderno d'Adda, occupandomi di diverse cose come spalla del titolare. Dopo tre mesi, era il 1973, ho lasciato quel lavoro e ho iniziato da precario a fare i corsi serali allo Ial di Lecco, insegnando meccanica per automobili. In questo modo intendevo avvicinarmi al mondo sindacale. Ero innamorato delle assemblee, volevo andare in mezzo ai lavoratori. I corsi dello Ial mi hanno consentito di conoscere un po' la Cisl. Erano gli anni in cui si stava costruendo l’istituto di formazione che era ancora in una situazione precaria ed era una sfida interessante. Le mie lezioni sono diventate un libro che è stato in uso per diversi anni. Ad un certo punto la Cisl mi ha chiesto di costruire l'ente del turismo Etsi, probabilmente perché vedevano in me un giovane interessato al mondo del lavoro, al sindacato e che si dava da fare. La proposta è arrivata da Antonio Gilardi, che in quel momento era il segretario generale, e io credo che fosse anche lo strumento per misurarmi, per conoscermi un po' meglio. Costruendo l'ente del turismo ho iniziato a incontrare i sindaci della provincia per proporgli di mandare gli anziani al mare, una cosa che non era mai stata fatta. Così sono riuscito ad organizzare duemila persone da portare a Varazze. Non avevo un soldo, tutta la mia struttura era una scrivania nell'ufficio della categoria dei tessili, che qualche volta trovavo piena di volantini, e una valigetta. La caparra da dare agli albergatori me l'hanno anticipata i bancari della Cisl di Lecco. Andavo anche nelle fabbriche, in particolare alla Vismara, a proporre le vacanze per i lavoratori. È stata un'esperienza positiva, ma non la vivevo benissimo perché avevo in mente di fare le lotte con i lavoratori, fare le assemblee e qualche volta ho anche pensato di lasciare. Il contrasto di classe in quel periodo era forte e io avrei voluto fare lottare i lavoratori non mandarli in vacanza. Dopo un po’, vista quest'esperienza positiva, Gilardi mi ha chiesto di fare anche il responsabile della formazione. Ho iniziato a collaborare con l'ufficio formazione regionale, con Marco Carcano e Pier Antonio Varesi, organizzando corsi di formazione per le categorie industriali della Cisl di Lecco nella casa che la Fim aveva a Chiuro, in Valtellina. In quel periodo ho chiesto a Gilardi di mandarmi al Centro studi a Firenze, ma Gilardi mi ha detto che non avevo bisogno di studiare ma di operare concretamente.
Finché non si è aperta una crisi nella categoria dei chimici e Gilardi mi ha chiesto se me la sentivo di fare il segretario della categoria. Per me era un punto d'arrivo e sono diventato segretario generale. I chimici allora erano il luogo di raccolta di tutti gli extraparlamentari della Cisl. Segretario generale lombardo era Arnaldo Mariani, che manteneva rapporti con i delegati Cisl di Avanguardia operaia alla Vister. Era un modo per contrapporsi alla Cgil che aveva una struttura forte, inquadrata nel Partito comunista.
Nel territorio c'erano altre fabbriche chimiche, c’era la produzione di lampadine, la plastica. La categoria contava circa mille iscritti, ma era molto frizzante, gli scioperi si facevano, la gente partecipava. Ci sono stati anche scioperi e picchetti duri che hanno provocato la reazione negativa di alcuni iscritti. Dopo due anni, al congresso del ‘77, ho avuto la proposta di entrare nella segreteria regionale dei chimici. Per me è stata una grande soddisfazione, segretario generale lombardo era Lorenzo Moroni. In segreteria con noi c'erano Savi, Cristina Bombelli poi sono arrivati Vito Tediosi e Maggioni. Il congresso è andato molto bene e a me è stato dato l'incarico dell'organizzazione.
La sede regionale era decentrata al Giambellino, era una sede unitaria dove regnava un grande spirito di collaborazione. Arrivavo a casa alle 8,30, nove di sera, però questa dislocazione vicino a San Siro mi consentiva qualche volta di andare a vedere le partite del Milan. È stata un'esperienza molto bella, senza tensioni. Dal Giambellino ci siamo trasferiti in viale Sarca. Eravamo un gruppo che credeva nelle cose che faceva e non avevamo un'appartenenza a schieramenti all'interno dell'organizzazione. Il nostro capo era Lorenzo Moroni e quando uno è il segretario non si discute. Era un ottimo segretario, ma aveva un conflitto aperto con il segretario nazionale Trucchi che nasceva da questioni concrete, ma alimentato molto anche da atteggiamenti personali. Così, automaticamente, anche noi eravamo in conflitto con Trucchi. Poco prima del congresso nel 1985 Moroni si è dimesso e noi abbiamo perso il congresso perché non eravamo pronti ad affrontare questa nuova situazione. La nostra linea era quella di collocare il sindacato dei chimici tra i sindacati dell'industria su posizioni carnitiane. Trucchi invece cominciava ad orientarsi verso Franco Marini, però si rendeva conto di non avere la maggioranza in Lombardia. Noi abbiamo gestito il congresso e il periodo precedente scontrandoci con Trucchi. Trucchi è venuto in Lombardia dieci giorni prima del congresso a fare un direttivo regionale dei chimici proponendoci di fare un congresso unitario. Noi abbiamo ribadito le nostre posizioni e Trucchi a mezzogiorno se n’è andato. L'errore che mi sento di aver commesso è che non avrei mai pensato che alla battaglia contro Trucchi Moroni si defilasse, forse abbiamo mancato noi nel rapporto con lui, di fatto a pochi giorni dal congresso ha lasciato e noi ci siamo trovati impreparati perché non avevamo un progetto alternativo. A quel punto Trucchi ha mandato in Lombardia per preparare il congresso il responsabile nazionale di Federenergia. Lui ha sentito tutti, l'ultimo sono stato io. Alle cinque del pomeriggio di domenica, il congresso era di lunedì, in viale Sarca. Sulla scrivania c'erano dei foglietti con dei nomi. In quel momento Milano era a pieno titolo allineata con le altre categorie dell'industria, anzi per certi versi era un po' più in là rispetto ad altre strutture dei chimici lombardi, più a sinistra per capirci. Ad un certo punto mi ha chiesto cosa ne pensassi di Valeriano Formis come segretario generale al che ho risposto che andava benissimo. Formis era segretario di Milano, un amico, socialista da sempre. Quando gli ho detto che andava bene mi ha chiesto se ero sicuro e io gli ho riconfermato il mio sì. Allora, mi disse, si può fare il congresso unitario al che ho confermato che noi non avevamo pensato neppure per un attimo ad un congresso non unitario. Ci fosse stato Moroni forse le cose sarebbero andate diversamente, ma vista la situazione a noi andava bene così. Il commissario ha chiamato Trucchi il quale, quando gli ha detto questa cosa, non ci credeva. Probabilmente c'è stata dell'ingenuità da parte mia, ma io non vedevo altri disegni oltre quello di realizzare il congresso migliore possibile. Si svolge il congresso a Bergamo, i risultati danno primo Formis, secondo Dioli. Con Formis segretario non ci sono state incomprensioni e non mi ha mai imposto di andarmene, ma nella distribuzione degli incarichi di segreteria io non ne avevo. Per sei mesi sono stato senza incarichi e nessuno mi diceva una parola. Sei mesi a fare niente. Non ho avuto contrasti, ho capito dopo. Un giorno mi ha chiamato la segretaria della Cisl lombarda Luigia Alberti chiedendomi se volevo fare il segretario generale degli alimentaristi. Gli alimentaristi avevano un problema interno, erano spaccati e non trovando una sintesi si erano rivolti all'esterno. Io ho detto di sì. Ho fatto un colloquio a Roma con Ferruccio Pelos, che non conoscevo, e dopo quel colloquio abbiamo concordato che avrei assunto l'incarico di segretario generale degli alimentaristi della Lombardia. Ho fatto un'esperienza bellissima, intanto perché provenendo da fuori non avevo sulle spalle le vecchie beghe e credo di aver avuto la capacità di tenere insieme le varie anime della categoria senza dovermi schierare con nessuna. Inoltre venivo da una categoria, quella dei chimici, che aveva fatto in quegli anni pesanti ristrutturazioni in tanti settori mentre tra gli alimentaristi non c'era una sola cassa integrazione in atto. Situazione industriale buona, buoni stipendi, buona contrattazione, senza crisi.
Ho fatto in particolare tre cose che ricordo con piacere: una ricerca sul settore delle acque minerali insieme a Silvano Scajola che mi ha consentito di fare il responsabile nazionale del settore, una ricerca sul settore della bresaola che mi ha avvicinato alla Valtellina, lo sciopero del silenzio. È stato un periodo positivo, anche perché io arrivavo da un consumo ideologico della vicenda sindacale, negli alimentaristi ho dovuto fare partecipazione. Il passaggio dai chimici agli alimentaristi è stato anche un riposizionamento culturale sul modo di fare sindacato. E’ stato un cambio che mi ha dato una visione prospettica nuova, in una fase in cui gli alimentaristi a livello nazionale contrattavano il salario obiettivi e studiavano i bilanci. Un altro momento particolarmente significativo è stato l'accordo con la Ferrero, quando ha lanciato la Fetta al latte e ha cambiato gli impianti. La Ferrero non voleva la cassa integrazione, come ha ricordato ancora il figlio in occasione dei funerali del padre. Ho dovuto convincere i dirigenti a chiedere la cassa integrazione con salario pieno per chi stava a casa, più la rotazione, più la formazione al loro rientro.
Il lavoro negli alimentaristi mi ha consentito di ritornare a conoscere la Valtellina. La Valtellina, infatti, in questo settore ha aziende molto importanti: la Levissima, la Rigamonti e la Galbusera. Seguendo queste aziende sono tornato a Sondrio e ho scoperto che le mie radici erano lì.
In vista del congresso nazionale si è cominciato a parlare di una mia andata a Roma, io ho lasciato correre senza mai dare una precisa disponibilità perché nel frattempo iniziava ad aprirsi la possibilità di andare alla Cisl di Sondrio. Ad un certo punto Pelos, un Primo maggio, mi dice che ha parlato con Roberto Benaglia e ha chiesto a lui di andare a Roma. Mi si chiudeva una strada, ma ero comunque contento che un giovane assumesse un ruolo importante. A Sondrio però la situazione non si sbloccava, ma finalmente la possibilità si è aperta e sono andato in Valtellina anche perché nel frattempo avevo preparato il cambio negli alimentaristi. A Sondrio sono rimasto un po' in segreteria, poi nel 1993 sono diventato il segretario generale.
Sono contento di aver scelto Sondrio, innanzitutto perché ho rinsaldato le mie radici, la cultura del sindacato valtellinese era la cultura di un sindacato di territorio, molto coeso, più orizzontale che verticale. A Sondrio sostanzialmente non c'erano problemi e io ho realizzato un altro mio sogno, che era quello di fare un comizio in piazza Garibaldi. È stata una vera soddisfazione, di fronte alla mia gente, e so che un richiamo alle banche fatto in quell'occasione mi ha consentito di aprire delle significative interlocuzioni con questo mondo. Questo è stato possibile perché ho portato in piazza l'idea di un sindacato partecipativo, moderno, flessibile. I miei articoli sulla flessibilità venivano apprezzati dalle aziende, da Confindustria. Ed era facile per me perché a Sondrio non c'era crisi, non c'erano grandi aziende in difficoltà. Andavo avanti e indietro, non abitavo in valle ed è stata un'esperienza positiva anche sul piano personale, potevo passare da casa e i miei genitori, tornati a Ponchiera, erano contenti perché mi vedevano più frequentemente.
Un bel giorno, senza che ci fosse un progetto particolare, un percorso precostituito, è arrivato a parlarmi il segretario del Partito popolare, Ezio Trabucchi, che poi diventerà un amico, e mi ha proposto di candidarmi a presidente della Provincia alle elezioni del 1995. L'avevo conosciuto una settimana prima, quando gli avevo portato un libro di Carniti sul lavoro. Era un democristiano, io non lo sono mai stato. In un primo momento gli ho risposto di no, era lontano dalla mia logica, stavo bene in Cisl a fare il sindacato a Sondrio, avevo appena cominciato. Tornato a casa ne ho parlato con mia moglie e sorprendentemente non mi ha detto di no e io ho iniziato a riflettere. Quindici giorni dopo Trabucchi è tornato da me, mi ha rifatto la proposta e gli ho risposto di sì, ma commettendo un errore perché non avevo preparato un'alternativa in Cisl. Con la candidatura mi sono dimesso dalla Cisl, fortunatamente la Cisl mi ha dato una mano forte, non ci sono stati problemi dentro l'organizzazione. Sono stato eletto per 400 voti, vincendo il ballottaggio con il candidato della Lega che era anche il presidente della Regione Lombardia. Nella mia gestione ho sempre cercato di coinvolgere le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, in particolare nell'ambito del tavolo triangolare che ho attivato per la gestione della legge Valtellina.

Ho scelto la Cisl perché la Cisl aveva sindacalisti che erano vicini al mondo giovanile, alle forze extraparlamentari, all'associazionismo. Franco Giorgi era uno che ai tempi andava in piazza e faceva lo sciopero per l'1% per gli asili nido. Ho scoperto che veniva dalla cultura cattolica solo molto più avanti. L’impegno nella Cisl è nato anche un po' per caso, perché c’è stata la possibilità di essere parte di un percorso di formazione dei lavoratori che mi interessava. Devo confessare che se quella proposta me l'avesse fatta la Cgil probabilmente sarei andato da quella parte, perché la formazione si faceva insieme, non era divisa tra sigle sindacali. Però devo anche ammettere che appena ho iniziato a confrontarmi sui problemi ho imparato ad apprezzare la grande libertà che la Cisl mi concedeva. La Cisl lasciava liberi.

Quando si è giunti alla rottura dell'unità non ho sofferto perché l'unità dentro le questioni organizzative era difficile da praticare. Erano poche le categorie che praticavano l'unità vera in quegli anni. La Fulc non aveva creato degli uffici comuni. La competizione l'ho sempre praticata, quando andavo nelle fabbriche io cercavo di fare le tessere. Ho sofferto di più le spaccature dentro la Cisl che la rottura con le altre organizzazioni.
Quando mi hanno proposto di fare il segretario della Cisl di Sondrio, l'amministratore Lino Coiatelli un giorno mi ha chiamato e mi ha chiesto che sindacato volevo costruire, perché mi sentiva unitario: “Hai in mente un sindacato unico?”. Se gli avessi detto di sì molto probabilmente difficilmente avrei potuto fare il segretario generale a Sondrio.

Questione femminile nel sindacato. Seconda metà degli anni 70, contratto nazionale nel settore vetro lampade, gestisce Sergio Cofferati, noi siamo presenti con aziende dove c'è una grande presenza femminile. Insieme a noi i vetrai della Toscana, tutti maschi, occupati in produzioni a ciclo continuo, tutti iscritti alla Cgil. Fatta l'elaborazione della piattaforma, le donne della File di Lecco presentano un emendamento che prevede la richiesta di otto ore di permesso pagate, per madre e padre, per assistere i figli. Era un emendamento assolutamente innovativo, ma Cofferati nel fare la sintesi dei lavori disse che quell'emendamento non era condiviso. Si vota e l'emendamento passa. Io ero tutto contento, il clima che si era creato aveva portato la maggioranza degli uomini a votare a favore di un emendamento delle donne. Alla fine dei lavori mi ha chiamato Cofferati, con cui avevo un buon rapporto, e mi ha detto che quell'emendamento non stava né in cielo né in terra e che nella chimica non si poteva fare l'avanguardia con quel tipo di richieste, perché nella chimica gli occupati erano tutti uomini e gli uomini non volevano i permessi per restare a casa a curare i figli.

Facevo trattative senza parlare con la controparte. La prima volta che sono andato ad un incontro con l'associazione industriali mi ci ha mandato Antonio Gilardi, ma per me c'era la piattaforma e bisognava portarla a casa, gli spazi di mediazione erano pochissimi e se l'impresa non cedeva si faceva sciopero. La trattativa è una mediazione di per sé, occorre trovare una sintesi tra interessi diversi. Io quasi non concepivo questa possibilità. Bisognava portare a casa ciò che chiedevamo, uguale per tutti, sconfiggendo il padrone. La mediazione era una sconfitta. Questo all'inizio, poi ho iniziato a capire. Si picchia la testa contro il muro una volta, la si picchia la seconda e alla terza si capisce. Mi hanno rubato cinque automobili in quel periodo, una l'ho ritrovata schiantata contro un muro e l'altra sei mesi dopo lungo una strada. Due erano mie e tre del sindacato e Gilardi mi chiedeva come fosse possibile.
Il mestiere del sindacato è bello se ha l'anima e l'anima ce l'hai anche quando fai la mediazione, è la mediazione senz'anima che non serve a niente. L'ho scoperto cammin facendo, scontrandomi, facendo cose positive e facendo errori. Non sono mai stato contestato dai lavoratori per gli accordi che ho fatto perché ci mettevo l'anima e nella presentazione dei risultati finali si vedeva.
Le trattative normalmente si chiudono negli incontri riservati. L’abilità del mestiere suggerisce di non fare mediazioni che quando si devono spiegare non hanno nessuna possibilità di essere capite dai lavoratori, ma costruire le mediazioni che si sono già discusse e sono state condivise, altrimenti le persone perdono fiducia in te, non ti seguono più. Anche le aziende serie apprezzano un ruolo di questo tipo. I sindacalisti a cui va bene tutto non sono apprezzati dalle aziende.
Due esperienze: San pellegrino e Levissima. Alla San pellegrino il titolare della trattativa era il consiglio di fabbrica, non il sindacalista. Loro erano “zero flessibilità”, invece di ore di straordinario proponevano l'assunzione di personale. Era difficile per me dire di no. Levissima, al contrario, flessibilità massima. Le aziende appartenevano allo stesso gruppo e i dirigenti mi dicevano come fosse possibile avere due situazioni così diverse, per loro non era accettabile. Al che io rispondevo che non dovevano far altro che andare a parlare col consiglio di fabbrica della San pellegrino.

All'inizio della mia esperienza sindacale il sindacato era più forte della politica e tra i miei colleghi a Lecco non ce n'era uno che si diceva democristiano. In queste condizioni, in cui il rapporto con i partiti era marginale, nel mio percorso non ho mai avuto interferenze da parte dei partiti. Non sono mai stato iscritto a nessun partito, ero iscritto solo alla Cisl. Devo ringraziare la Cisl perché l'autonomia della Cisl mi ha dato un grandissimo aiuto, mi ha lasciato libero di fare un'esperienza sindacale molto bella, ricevendo molto e senza dovermi schierare politicamente. L'autonomia l’ho praticata concretamente, l'ho vissuta in modo entusiasmante.
Io ho questa idea. Il passaggio dal sindacato conflittuale al sindacato partecipativo ha favorito la possibilità per alcuni sindacalisti di fare politica. Soprattutto in Valtellina, quando ci si spende per la flessibilità, il salario legato agli obiettivi, la partecipazione alla vita dell'azienda e non si predica la contrapposizione, si favorisce l'attenzione della politica all'azione sindacale. Credo che Trabucchi sia venuto da me perché ha visto in me un sindacalista non tradizionale.