Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono
nato il 2.2.1948 a Sondrio, diplomato perito elettromeccanico a Lecco. Il papà era
dipendente del cotonificio Fossati di Sondrio, era un operaio con tre mucche e
una vigna. Mia mamma era casalinga, ma le mucche le governava lei. Tutte le
mattine andava a Sondrio a distribuire casa per casa il latte mentre la sera lo
distribuiva a Ponchiera, la frazione dove abitavamo e spesso andavo con lei.
Era anche una sarta provetta e cuciva abiti da uomo.
A
un certo punto ci siamo trasferiti a Calco, in Brianza, perché mio papà è
andato a fare il custode giardiniere della villa del Fossati. La ragione è
perché a Sondrio non c'era un istituto tecnico che formasse i periti
elettrotecnici e mio papà aveva in mente per me un posto di lavoro garantito e
ben pagato in una centrale idroelettrica della Valtellina, infatti sosteneva
che nelle centrali si usciva stufi e non stanchi.
Era una villa del seicento molto bella e noi godevamo di questo giardino, orto e parco perché i Fossati venivano in quella villa due mesi all'anno. La mamma era cattolica, praticante, come sua madre, mia nonna, anticomunista viscerale che sosteneva che i comunisti non avevano voglia di lavorare. Papà aveva fatto il servizio militare nei carabinieri, aveva il rispetto delle regole, ma una visione un po' più laica della mamma. Io ho fatto il chierichetto.
Terminata
la scuola, nel 1968 ho lavorato per tre mesi nel maglificio Fontana come
impiegato, poi una sera sono andato da mio padre e gli ho detto che non volevo
più lavorare e volevo andare all'università. Mio padre mi ha detto che avrebbe potuto
darmi solamente 30mila lire al mese: “Di più no, se ce la fai bene”. Ho
lasciato la Fontana e mi sono iscritto a Statistica all'Università Cattolica a
Milano. Ho fatto il primo anno senza seguire un'ora di lezione, lì ho scoperto
un altro mondo: assemblee, iniziative, manifestazioni, è stato un anno che mi
ha cambiato la vita. Cominciavo a capire il fermento che c'era in quel momento
nelle università milanesi. Però, siccome avevo bisogno di soldi, intanto ho
fatto tre o quattro lavori: supplenza di matematica alle medie, supplenza di
ginnastica, formazione agli apprendisti e, alla sera, dopo aver fatto il
patentino, insegnante di scuola guida. Con questi impegni, seppure provvisori, guadagnavo
più di mio padre. Erano gli anni ‘69, ’70 e ‘71. Poi sono andato a fare il
servizio militare, alpino prima all'Aquila e poi a Bolzano. Finito il militare
sono andato a lavorare come impiegato al Mulino Colombo di Paderno d'Adda,
occupandomi di diverse cose come spalla del titolare. Dopo tre mesi, era il
1973, ho lasciato quel lavoro e ho iniziato da precario a fare i corsi serali
allo Ial di Lecco, insegnando meccanica per automobili. In questo modo intendevo
avvicinarmi al mondo sindacale. Ero innamorato delle assemblee, volevo andare
in mezzo ai lavoratori. I corsi dello Ial mi hanno consentito di conoscere un
po' la Cisl. Erano gli anni in cui si stava costruendo l’istituto di formazione
che era ancora in una situazione precaria ed era una sfida interessante. Le mie
lezioni sono diventate un libro che è stato in uso per diversi anni. Ad un
certo punto la Cisl mi ha chiesto di costruire l'ente del turismo Etsi,
probabilmente perché vedevano in me un giovane interessato al mondo del lavoro,
al sindacato e che si dava da fare. La proposta è arrivata da Antonio Gilardi,
che in quel momento era il segretario generale, e io credo che fosse anche lo
strumento per misurarmi, per conoscermi un po' meglio. Costruendo l'ente del
turismo ho iniziato a incontrare i sindaci della provincia per proporgli di
mandare gli anziani al mare, una cosa che non era mai stata fatta. Così sono
riuscito ad organizzare duemila persone da portare a Varazze. Non avevo un
soldo, tutta la mia struttura era una scrivania nell'ufficio della categoria
dei tessili, che qualche volta trovavo piena di volantini, e una valigetta. La
caparra da dare agli albergatori me l'hanno anticipata i bancari della Cisl di
Lecco. Andavo anche nelle fabbriche, in particolare alla Vismara, a proporre le
vacanze per i lavoratori. È stata un'esperienza positiva, ma non la vivevo
benissimo perché avevo in mente di fare le lotte con i lavoratori, fare le
assemblee e qualche volta ho anche pensato di lasciare. Il contrasto di classe
in quel periodo era forte e io avrei voluto fare lottare i lavoratori non
mandarli in vacanza. Dopo un po’, vista quest'esperienza positiva, Gilardi mi ha
chiesto di fare anche il responsabile della formazione. Ho iniziato a
collaborare con l'ufficio formazione regionale, con Marco Carcano e Pier
Antonio Varesi, organizzando corsi di formazione per le categorie industriali
della Cisl di Lecco nella casa che la Fim aveva a Chiuro, in Valtellina. In quel
periodo ho chiesto a Gilardi di mandarmi al Centro studi a Firenze, ma Gilardi
mi ha detto che non avevo bisogno di studiare ma di operare concretamente.
Finché
non si è aperta una crisi nella categoria dei chimici e Gilardi mi ha chiesto
se me la sentivo di fare il segretario della categoria. Per me era un punto
d'arrivo e sono diventato segretario generale. I chimici allora erano il luogo
di raccolta di tutti gli extraparlamentari della Cisl. Segretario generale
lombardo era Arnaldo Mariani, che manteneva rapporti con i delegati Cisl di Avanguardia
operaia alla Vister. Era un modo per contrapporsi alla Cgil che aveva una struttura
forte, inquadrata nel Partito comunista.
Nel
territorio c'erano altre fabbriche chimiche, c’era la produzione di lampadine,
la plastica. La categoria contava circa mille iscritti, ma era molto frizzante,
gli scioperi si facevano, la gente partecipava. Ci sono stati anche scioperi e
picchetti duri che hanno provocato la reazione negativa di alcuni iscritti. Dopo
due anni, al congresso del ‘77, ho avuto la proposta di entrare nella
segreteria regionale dei chimici. Per me è stata una grande soddisfazione,
segretario generale lombardo era Lorenzo Moroni. In segreteria con noi c'erano
Savi, Cristina Bombelli poi sono arrivati Vito Tediosi e Maggioni. Il congresso
è andato molto bene e a me è stato dato l'incarico dell'organizzazione.
La
sede regionale era decentrata al Giambellino, era una sede unitaria dove
regnava un grande spirito di collaborazione. Arrivavo a casa alle 8,30, nove di
sera, però questa dislocazione vicino a San Siro mi consentiva qualche volta di
andare a vedere le partite del Milan. È stata un'esperienza molto bella, senza
tensioni. Dal Giambellino ci siamo trasferiti in viale Sarca. Eravamo un gruppo
che credeva nelle cose che faceva e non avevamo un'appartenenza a schieramenti
all'interno dell'organizzazione. Il nostro capo era Lorenzo Moroni e quando uno
è il segretario non si discute. Era un ottimo segretario, ma aveva un conflitto
aperto con il segretario nazionale Trucchi che nasceva da questioni concrete,
ma alimentato molto anche da atteggiamenti personali. Così, automaticamente,
anche noi eravamo in conflitto con Trucchi. Poco prima del congresso nel 1985
Moroni si è dimesso e noi abbiamo perso il congresso perché non eravamo pronti
ad affrontare questa nuova situazione. La nostra linea era quella di collocare
il sindacato dei chimici tra i sindacati dell'industria su posizioni carnitiane.
Trucchi invece cominciava ad orientarsi verso Franco Marini, però si rendeva
conto di non avere la maggioranza in Lombardia. Noi abbiamo gestito il
congresso e il periodo precedente scontrandoci con Trucchi. Trucchi è venuto in
Lombardia dieci giorni prima del congresso a fare un direttivo regionale dei
chimici proponendoci di fare un congresso unitario. Noi abbiamo ribadito le
nostre posizioni e Trucchi a mezzogiorno se n’è andato. L'errore che mi sento
di aver commesso è che non avrei mai pensato che alla battaglia contro Trucchi
Moroni si defilasse, forse abbiamo mancato noi nel rapporto con lui, di fatto a
pochi giorni dal congresso ha lasciato e noi ci siamo trovati impreparati
perché non avevamo un progetto alternativo. A quel punto Trucchi ha mandato in
Lombardia per preparare il congresso il responsabile nazionale di Federenergia.
Lui ha sentito tutti, l'ultimo sono stato io. Alle cinque del pomeriggio di
domenica, il congresso era di lunedì, in viale Sarca. Sulla scrivania c'erano
dei foglietti con dei nomi. In quel momento Milano era a pieno titolo allineata
con le altre categorie dell'industria, anzi per certi versi era un po' più in
là rispetto ad altre strutture dei chimici lombardi, più a sinistra per
capirci. Ad un certo punto mi ha chiesto cosa ne pensassi di Valeriano Formis
come segretario generale al che ho risposto che andava benissimo. Formis era
segretario di Milano, un amico, socialista da sempre. Quando gli ho detto che
andava bene mi ha chiesto se ero sicuro e io gli ho riconfermato il mio sì.
Allora, mi disse, si può fare il congresso unitario al che ho confermato che
noi non avevamo pensato neppure per un attimo ad un congresso non unitario. Ci
fosse stato Moroni forse le cose sarebbero andate diversamente, ma vista la
situazione a noi andava bene così. Il commissario ha chiamato Trucchi il quale,
quando gli ha detto questa cosa, non ci credeva. Probabilmente c'è stata
dell'ingenuità da parte mia, ma io non vedevo altri disegni oltre quello di
realizzare il congresso migliore possibile. Si svolge il congresso a Bergamo, i
risultati danno primo Formis, secondo Dioli. Con Formis segretario non ci sono
state incomprensioni e non mi ha mai imposto di andarmene, ma nella
distribuzione degli incarichi di segreteria io non ne avevo. Per sei mesi sono
stato senza incarichi e nessuno mi diceva una parola. Sei mesi a fare niente. Non
ho avuto contrasti, ho capito dopo. Un giorno mi ha chiamato la segretaria
della Cisl lombarda Luigia Alberti chiedendomi se volevo fare il segretario
generale degli alimentaristi. Gli alimentaristi avevano un problema interno,
erano spaccati e non trovando una sintesi si erano rivolti all'esterno. Io ho
detto di sì. Ho fatto un colloquio a Roma con Ferruccio Pelos, che non
conoscevo, e dopo quel colloquio abbiamo concordato che avrei assunto
l'incarico di segretario generale degli alimentaristi della Lombardia. Ho fatto
un'esperienza bellissima, intanto perché provenendo da fuori non avevo sulle
spalle le vecchie beghe e credo di aver avuto la capacità di tenere insieme le
varie anime della categoria senza dovermi schierare con nessuna. Inoltre venivo
da una categoria, quella dei chimici, che aveva fatto in quegli anni pesanti
ristrutturazioni in tanti settori mentre tra gli alimentaristi non c'era una
sola cassa integrazione in atto. Situazione industriale buona, buoni stipendi,
buona contrattazione, senza crisi.
Ho
fatto in particolare tre cose che ricordo con piacere: una ricerca sul settore
delle acque minerali insieme a Silvano Scajola che mi ha consentito di fare il
responsabile nazionale del settore, una ricerca sul settore della bresaola che
mi ha avvicinato alla Valtellina, lo sciopero del silenzio. È stato un periodo
positivo, anche perché io arrivavo da un consumo ideologico della vicenda
sindacale, negli alimentaristi ho dovuto fare partecipazione. Il passaggio dai
chimici agli alimentaristi è stato anche un riposizionamento culturale sul modo
di fare sindacato. E’ stato un cambio che mi ha dato una visione prospettica
nuova, in una fase in cui gli alimentaristi a livello nazionale contrattavano
il salario obiettivi e studiavano i bilanci. Un altro momento particolarmente
significativo è stato l'accordo con la Ferrero, quando ha lanciato la Fetta al
latte e ha cambiato gli impianti. La Ferrero non voleva la cassa integrazione,
come ha ricordato ancora il figlio in occasione dei funerali del padre. Ho dovuto
convincere i dirigenti a chiedere la cassa integrazione con salario pieno per
chi stava a casa, più la rotazione, più la formazione al loro rientro.
Il
lavoro negli alimentaristi mi ha consentito di ritornare a conoscere la
Valtellina. La Valtellina, infatti, in questo settore ha aziende molto importanti:
la Levissima, la Rigamonti e la Galbusera. Seguendo queste aziende sono tornato
a Sondrio e ho scoperto che le mie radici erano lì.
In
vista del congresso nazionale si è cominciato a parlare di una mia andata a
Roma, io ho lasciato correre senza mai dare una precisa disponibilità perché
nel frattempo iniziava ad aprirsi la possibilità di andare alla Cisl di Sondrio.
Ad un certo punto Pelos, un Primo maggio, mi dice che ha parlato con Roberto
Benaglia e ha chiesto a lui di andare a Roma. Mi si chiudeva una strada, ma ero
comunque contento che un giovane assumesse un ruolo importante. A Sondrio però
la situazione non si sbloccava, ma finalmente la possibilità si è aperta e sono
andato in Valtellina anche perché nel frattempo avevo preparato il cambio negli
alimentaristi. A Sondrio sono rimasto un po' in segreteria, poi nel 1993 sono
diventato il segretario generale.
Sono
contento di aver scelto Sondrio, innanzitutto perché ho rinsaldato le mie
radici, la cultura del sindacato valtellinese era la cultura di un sindacato di
territorio, molto coeso, più orizzontale che verticale. A Sondrio
sostanzialmente non c'erano problemi e io ho realizzato un altro mio sogno, che
era quello di fare un comizio in piazza Garibaldi. È stata una vera
soddisfazione, di fronte alla mia gente, e so che un richiamo alle banche fatto
in quell'occasione mi ha consentito di aprire delle significative
interlocuzioni con questo mondo. Questo è stato possibile perché ho portato in
piazza l'idea di un sindacato partecipativo, moderno, flessibile. I miei
articoli sulla flessibilità venivano apprezzati dalle aziende, da
Confindustria. Ed era facile per me perché a Sondrio non c'era crisi, non
c'erano grandi aziende in difficoltà. Andavo avanti e indietro, non abitavo in
valle ed è stata un'esperienza positiva anche sul piano personale, potevo
passare da casa e i miei genitori, tornati a Ponchiera, erano contenti perché
mi vedevano più frequentemente.
Un
bel giorno, senza che ci fosse un progetto particolare, un percorso
precostituito, è arrivato a parlarmi il segretario del Partito popolare, Ezio Trabucchi,
che poi diventerà un amico, e mi ha proposto di candidarmi a presidente della Provincia
alle elezioni del 1995. L'avevo conosciuto una settimana prima, quando gli
avevo portato un libro di Carniti sul lavoro. Era un democristiano, io non lo
sono mai stato. In un primo momento gli ho risposto di no, era lontano dalla
mia logica, stavo bene in Cisl a fare il sindacato a Sondrio, avevo appena
cominciato. Tornato a casa ne ho parlato con mia moglie e sorprendentemente non
mi ha detto di no e io ho iniziato a riflettere. Quindici giorni dopo Trabucchi
è tornato da me, mi ha rifatto la proposta e gli ho risposto di sì, ma
commettendo un errore perché non avevo preparato un'alternativa in Cisl. Con la
candidatura mi sono dimesso dalla Cisl, fortunatamente la Cisl mi ha dato una
mano forte, non ci sono stati problemi dentro l'organizzazione. Sono stato
eletto per 400 voti, vincendo il ballottaggio con il candidato della Lega che
era anche il presidente della Regione Lombardia. Nella mia gestione ho sempre cercato
di coinvolgere le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, in particolare
nell'ambito del tavolo triangolare che ho attivato per la gestione della legge
Valtellina.
Ho
scelto la Cisl perché la Cisl aveva sindacalisti che erano vicini al mondo giovanile,
alle forze extraparlamentari, all'associazionismo. Franco Giorgi era uno che ai
tempi andava in piazza e faceva lo sciopero per l'1% per gli asili nido. Ho
scoperto che veniva dalla cultura cattolica solo molto più avanti. L’impegno
nella Cisl è nato anche un po' per caso, perché c’è stata la possibilità di
essere parte di un percorso di formazione dei lavoratori che mi interessava. Devo
confessare che se quella proposta me l'avesse fatta la Cgil probabilmente sarei
andato da quella parte, perché la formazione si faceva insieme, non era divisa
tra sigle sindacali. Però devo anche ammettere che appena ho iniziato a
confrontarmi sui problemi ho imparato ad apprezzare la grande libertà che la
Cisl mi concedeva. La Cisl lasciava liberi.
Quando
si è giunti alla rottura dell'unità non ho sofferto perché l'unità dentro le
questioni organizzative era difficile da praticare. Erano poche le categorie
che praticavano l'unità vera in quegli anni. La Fulc non aveva creato degli
uffici comuni. La competizione l'ho sempre praticata, quando andavo nelle
fabbriche io cercavo di fare le tessere. Ho sofferto di più le spaccature
dentro la Cisl che la rottura con le altre organizzazioni.
Quando
mi hanno proposto di fare il segretario della Cisl di Sondrio, l'amministratore
Lino Coiatelli un giorno mi ha chiamato e mi ha chiesto che sindacato volevo
costruire, perché mi sentiva unitario: “Hai in mente un sindacato unico?”. Se
gli avessi detto di sì molto probabilmente difficilmente avrei potuto fare il
segretario generale a Sondrio.
Questione
femminile nel sindacato. Seconda metà degli anni 70, contratto nazionale nel
settore vetro lampade, gestisce Sergio Cofferati, noi siamo presenti con
aziende dove c'è una grande presenza femminile. Insieme a noi i vetrai della
Toscana, tutti maschi, occupati in produzioni a ciclo continuo, tutti iscritti
alla Cgil. Fatta l'elaborazione della piattaforma, le donne della File di Lecco
presentano un emendamento che prevede la richiesta di otto ore di permesso pagate,
per madre e padre, per assistere i figli. Era un emendamento assolutamente
innovativo, ma Cofferati nel fare la sintesi dei lavori disse che
quell'emendamento non era condiviso. Si vota e l'emendamento passa. Io ero
tutto contento, il clima che si era creato aveva portato la maggioranza degli
uomini a votare a favore di un emendamento delle donne. Alla fine dei lavori mi
ha chiamato Cofferati, con cui avevo un buon rapporto, e mi ha detto che
quell'emendamento non stava né in cielo né in terra e che nella chimica non si
poteva fare l'avanguardia con quel tipo di richieste, perché nella chimica gli
occupati erano tutti uomini e gli uomini non volevano i permessi per restare a
casa a curare i figli.
Facevo
trattative senza parlare con la controparte. La prima volta che sono andato ad
un incontro con l'associazione industriali mi ci ha mandato Antonio Gilardi, ma
per me c'era la piattaforma e bisognava portarla a casa, gli spazi di
mediazione erano pochissimi e se l'impresa non cedeva si faceva sciopero. La
trattativa è una mediazione di per sé, occorre trovare una sintesi tra interessi
diversi. Io quasi non concepivo questa possibilità. Bisognava portare a casa
ciò che chiedevamo, uguale per tutti, sconfiggendo il padrone. La mediazione era
una sconfitta. Questo all'inizio, poi ho iniziato a capire. Si picchia la testa
contro il muro una volta, la si picchia la seconda e alla terza si capisce. Mi
hanno rubato cinque automobili in quel periodo, una l'ho ritrovata schiantata
contro un muro e l'altra sei mesi dopo lungo una strada. Due erano mie e tre
del sindacato e Gilardi mi chiedeva come fosse possibile.
Il
mestiere del sindacato è bello se ha l'anima e l'anima ce l'hai anche quando
fai la mediazione, è la mediazione senz'anima che non serve a niente. L'ho
scoperto cammin facendo, scontrandomi, facendo cose positive e facendo errori.
Non sono mai stato contestato dai lavoratori per gli accordi che ho fatto
perché ci mettevo l'anima e nella presentazione dei risultati finali si vedeva.
Le
trattative normalmente si chiudono negli incontri riservati. L’abilità del
mestiere suggerisce di non fare mediazioni che quando si devono spiegare non
hanno nessuna possibilità di essere capite dai lavoratori, ma costruire le
mediazioni che si sono già discusse e sono state condivise, altrimenti le
persone perdono fiducia in te, non ti seguono più. Anche le aziende serie
apprezzano un ruolo di questo tipo. I sindacalisti a cui va bene tutto non sono
apprezzati dalle aziende.
Due
esperienze: San pellegrino e Levissima. Alla San pellegrino il titolare della
trattativa era il consiglio di fabbrica, non il sindacalista. Loro erano “zero
flessibilità”, invece di ore di straordinario proponevano l'assunzione di
personale. Era difficile per me dire di no. Levissima, al contrario,
flessibilità massima. Le aziende appartenevano allo stesso gruppo e i dirigenti
mi dicevano come fosse possibile avere due situazioni così diverse, per loro
non era accettabile. Al che io rispondevo che non dovevano far altro che andare
a parlare col consiglio di fabbrica della San pellegrino.
All'inizio
della mia esperienza sindacale il sindacato era più forte della politica e tra
i miei colleghi a Lecco non ce n'era uno che si diceva democristiano. In queste
condizioni, in cui il rapporto con i partiti era marginale, nel mio percorso
non ho mai avuto interferenze da parte dei partiti. Non sono mai stato iscritto
a nessun partito, ero iscritto solo alla Cisl. Devo ringraziare la Cisl perché
l'autonomia della Cisl mi ha dato un grandissimo aiuto, mi ha lasciato libero
di fare un'esperienza sindacale molto bella, ricevendo molto e senza dovermi
schierare politicamente. L'autonomia l’ho praticata concretamente, l'ho vissuta
in modo entusiasmante.
Io
ho questa idea. Il passaggio dal sindacato conflittuale al sindacato
partecipativo ha favorito la possibilità per alcuni sindacalisti di fare
politica. Soprattutto in Valtellina, quando ci si spende per la flessibilità,
il salario legato agli obiettivi, la partecipazione alla vita dell'azienda e
non si predica la contrapposizione, si favorisce l'attenzione della politica all'azione
sindacale. Credo che Trabucchi sia venuto da me perché ha visto in me un
sindacalista non tradizionale.