martedì 16 giugno 2020

GIANCARLO FILIBERTI - Pirelli, Bicocca e Bollate - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono un perito elettrotecnico, diploma che ho preso studiando alla sera. Dopo il primo anno di superiori ho abbandonato la scuola e ho iniziato il mio primo lavoro come commesso in un magazzino. L’ho fatto per alcuni mesi e a novembre dello stesso anno sono stato assunto in Pirelli dove lavorava già mio padre. 

Sono entrato come impiegato in un reparto di produzione, alla vulcanizzazione. Il grosso degli impiegati era nella sede al grattacielo, in Bicocca ce n'erano pochi e siccome le donne tra gli operai non ci volevano andare sono stato assunto io che non avevo ancora sedici anni. Sino a ventidue anni sono rimasto lì, poi ho sostituito un collega come assistente di produzione. Dopo due anni si è liberato un posto di capoturno nello stesso reparto dove avevo iniziato a lavorare e l’ho fatto per undici anni. Nel frattempo la Pirelli ha avviato i processi di ristrutturazione e così sono stato trasferito al “normale” a occuparmi di qualità. L’ho fatto per due anni, ma non mi piaceva, poi sono stato eletto delegato, componente dell'esecutivo, e ho avuto il distacco. Era abbastanza facile essere eletto perché di impiegati ce n'erano pochi e la mia permanenza nell'esecutivo è durata dal 1987 al 1992. Terminata questa esperienza sono rientrato in reparto, però a Bollate, perché ormai in Bicocca non c'era più niente. A Bollate lavoravo come assistente di produzione e nel 1999 sono diventato capo reparto e, dato che ero uno dei più vecchi, allo stesso tempo ero anche vice direttore e sono stato passato quadro, fino a quando nel 2002 sono andato in pensione.
Anche a Bollate, che aveva un suo consiglio di fabbrica separato dalla Bicocca, sono sempre stato eletto come delegato Rsu.
Nell'impianto di Bollate sulla base degli accordi sindacali avrebbero dovuto lavorarci settecento persone, ma in realtà gli addetti non hanno mai superato i 450 per una produzione di diecimila coperture. In Bicocca si facevano settemila coperture con mille persone. Lo stabilimento è nato in un vecchio impianto Pirelli dove lo spazio era limitato e settecento persone probabilmente non ci sarebbero neppure state, infatti non c'era nemmeno un magazzino per le materie prime. Quando è stato introdotto il ciclo continuo c’è stato bisogno di molto più personale addetto alla manutenzione. A Bollate erano le macchine a dettare i ritmi mentre l'operatore era al servizio della macchina per il rifornimento. L'ambiente era molto più pulito e rispetto alle condizioni di lavoro in Bicocca non c'era confronto, c'erano addirittura due reparti con l'aria condizionata.
Mentre all'inizio i lavoratori provenivano quasi tutti dalla Bicocca poi in azienda sono entrati molti giovani. In un primo tempo dalla Bicocca non ci voleva andare nessuno perché lì si lavorava su cinque giorni mentre a Bollate l'impianto è partito sui sei giorni di lavoro passando poi al ciclo continuo su sette. I giovani avevano maggiore dimestichezza con i nuovi impianti e pian piano hanno sostituito gli anziani andati in pensione, però è aumentato l'assenteismo.

Sindacato
Il sindacato l’ho scoperto nel ‘67, la scintilla è stata un primo sciopero non programmato da Cgil Cisl Uil nell'ottobre di quell'anno che è stato un trauma anche per l'azienda. I lavoratori chiedevano settanta lire di aumento e l'azienda ne offriva dodici, i lavoratori hanno tenuto duro e li hanno ottenuti. Ad animare la protesta c'erano molti attivisti della Cgil ma anche della Cisl e sono riusciti a fermare tutta la Bicocca. Si era creato un clima tale per cui bastavano pochissime persone per fermare interi reparti, non che ci fossero atti violenti, bastavano poche parole e tutto si bloccava.
Il mio primo impegno è stato uno sciopero degli impiegati, probabilmente il primo che si faceva, e abbiamo fatto anche un picchettaggio, ma erano altri che organizzavano. Era il ‘68 e mi sono iscritto al sindacato e ho scelto la Cisl semplicemente perché il delegato che me l'ha proposto era della Cisl. Conoscevo un po' le differenze, ma in quell'epoca mi sembravano assolutamente marginali, poi ho capito. Ma se quel giorno il delegato fosse stato della Cgil mi sarei iscritto alla Cgil. La Cisl con gli impiegati era un po' più attenta, ma era una questione di delegati. Sono sempre stato iscritto, però fino al 1987 sono rimasto ai margini. Partecipavo alle iniziative ma non avevo nessun ruolo attivo fino a quando, nel momento in cui c'erano cassa integrazione e mobilità, con molti problemi, ho pensato di poter dare una mano concretamente.
In quel periodo in azienda erano ancora presenti altre forze oltre a Cgil Cisl Uil. C'erano delegati della Cgil che facevano riferimento a Democrazia proletaria, ma erano controllati. Nelle assemblee questi delegati più politicizzati si facevano sentire, però non erano in grado di incidere sull'azione del consiglio di fabbrica. Il Pci aveva la sede accanto alla fabbrica e i lavoratori comunisti della Pirelli invece di iscriversi al loro paese erano invitati a farlo alla “Libero Temolo”, la sezione di fabbrica. Capitava a volte che in assemblea intervenisse il segretario della sezione del Pci indicando la linea decisa nelle riunioni del partito e tutti si adeguavano. La Cgil a volte accusava noi o la Uil di essere quelli che frenavano l'azione sindacale. Io ho impiegato due anni prima di riuscire a gestire un'assemblea, il delegato della Uil nemmeno ci provava perché c'era una preclusione nei nostri confronti.
Quando sono entrato in Bicocca ci lavoravano 14mila persone, poi hanno chiuso gli articoli vari e la sede del Pirellone e quando sono stato eletto nell'esecutivo eravamo ridotti a circa ottomila. In termini di iscritti il settanta per cento era della Cgil, il venti della Cisl e il dieci della Uil, ma il valore della nostra presenza era certamente superiore ed era riconosciuto dai lavoratori. La Cgil, però, aveva un rapporto privilegiato con la direzione.
A un certo punto sono stati creati tre consigli di fabbrica, uno ciascuno per pneumatici, cavi e articoli vari, ma quando si dovevano fare scioperi e picchettaggio si decideva comunque tutti insieme. Gli esecutivi erano composti di cinque delegati nella gomma, tre negli articoli vari e cinque nei cavi. Nel mio consiglio di fabbrica in esecutivo c'erano tre delegati della Cgil, uno della Cisl e uno della Uil, lo stesso avveniva nei cavi mentre agli articoli vari c'era un delegato ciascuno. Complessivamente gli esecutivi erano composti di tredici persone e i consigli di fabbrica di circa settanta delegati.
In occasione dei rinnovi dei contratti nazionali i lavoratori partecipavano, in particolare nelle assemblee in cui si discuteva la preparazione della piattaforma e nei contratti nazionali che ho seguito abbiamo fatto molte proposte. A Bollate il clima era diverso perché i giovani sembravano meno interessati, la partecipazione c'era anche lì ma non come alla Bicocca.

Relazioni industriali
Una grande azienda a mio avviso è sempre abbastanza disponibile a trattare, non vorrebbe mai delle turbolenze, per cui una disponibilità c'era, però non sempre era esercitata nella trattativa e dipendeva anche dai rapporti di forza. Mi sono trovato alcune volte in cui l'azienda era molto disponibile e altre invece dove aveva una posizione di chiusura e questo dipendeva anche dalle persone che in quel momento avevano la responsabilità delle relazioni sindacali. A livello di vertice certamente c'era un atteggiamento di apertura, ma poi era sempre necessario verificare cosa accadeva nei singoli stabilimenti. Secondo me in Pirelli non c'era una linea coerente.
Ricordo che in occasione della firma di un accordo, raggiunta l’intesa nel primo pomeriggio, il rappresentante della Cgil ha insistito perché le trattative proseguissero ancora un po', almeno fino a qualche minuto dopo l'uscita degli operai, perché il giorno dopo avremmo dovuto dire in assemblea che c'era stata una trattativa molto dura. In realtà si raggiungevano intese senza bisogno di particolari proteste, però un po' di scioperi li abbiamo fatti. Bollate invece era una polveriera perché nessuno voleva lavorare a ciclo continuo e quando si iniziò a parlarne abbiamo fatto due mesi di sciopero tutte le domeniche, poi però si è fatto un accordo.

Contrattazione
Ero anche delegato per la sicurezza e sull'antinfortunistica ho trovato una buona collaborazione da parte dell'azienda, soprattutto a Bollate. In Bicocca ormai si andava verso la chiusura è quindi non c'era molta disponibilità a fare nuovi interventi. Non abbiamo presentato delle piattaforme specifiche, ma facevamo regolarmente degli incontri e c'era ascolto e gli interventi che decidevamo venivano attuati. A Bollate infortuni gravi non ce ne sono mai stati.
Nell'ultimo contratto aziendale alla Bicocca la Cisl aveva alcuni impiegati ai quali stava a cuore il tema dell'orario flessibile. L'azienda concedeva gli straordinari a mo’ di contentino e quindi preferiva l'orario rigido e anche tra gli impiegati c'era chi preferiva quella soluzione, però noi abbiamo insistito e abbiamo ottenuto la flessibilità di un'ora al giorno. A Bollate la gran parte dei lavoratori era occupata nei turni e non si poteva parlare di orario flessibile. Abbiamo invece costruito un calendario di ferie meno rigido e non tutte concentrate ad agosto per venire incontro a esigenze di un personale che era cambiato e non era più costituito come in precedenza da una gran parte di lavoratori meridionali che preferivano usare tutto il periodo feriale per tornare al Sud.
In Bicocca c'era un premio di produzione economicamente irrilevante e per noi incontrollabile perché ormai non c'era più produzione, mentre a Bollate abbiamo contrattato un premio per obiettivi legato alle quantità e alla qualità delle produzioni che quasi sempre raggiungevamo ed era di circa tre milioni di lire. A un certo punto si è posta la questione dell'assenteismo e ci sono stati problemi, l'idea era quella di far pesare l'indicatore delle presenze per 500mila lire, ma la Cgil si è opposta. Alla fine l'intesa è stata trovata con l'inserimento di diverse clausole di garanzia per coloro che erano effettivamente ammalati o con dei problemi. Siamo poi riusciti a consolidare almeno il cinquanta per cento del premio anche perché Bollate era uno stabilimento che andava bene: le coperture erano discrete, il mercato tirava, il 70% dei nuovi ingressi era con contratti di formazione lavoro e quindi i costi della manodopera erano più bassi.
Si faceva un contratto di gruppo Pirelli però io non me ne sono mai occupato perché il coordinamento era a Roma, ma nell'ultimo periodo non funzionava dato che era difficile tenere insieme tutto e ogni stabilimento aveva il suo problema.

Welfare aziendale
In Pirelli avevamo una cassa previdenza che inizialmente era solo per gli impiegati e poi è stata allargata anche agli operai. L'accordo per la creazione della cassa era stato firmato solo da Cisl e Uil perché a quell'epoca la Cgil si era opposta dato che era previsto un contributo da parte dei lavoratori. Quando l'azienda ha deciso di chiudere la cassa perché cominciava a diventare troppo onerosa, si è appoggiata alla Cgil. Noi della Cisl abbiamo fatto un'opposizione molto dura, ma l'idea di chiudere la cassa è passata e anche la Flerica nazionale non l’ha difesa.
Quando la Pirelli ha posto il problema della chiusura del fondo Fas per ragioni economiche, dato che aumentavano i pensionati e diminuivano i lavoratori attivi, noi abbiamo proposto che i pensionati contribuissero al fondo continuando così a usufruire del servizio, anche perché nel frattempo era uscita l'idea che i pensionati avessero diritto a far ricorso al Fas solo per cinque anni dopo l'andata in pensione. Questo voleva dire che dovevano rinunciare al fondo proprio quando ne avevano più bisogno. La nostra proposta è stata però respinta dalla maggioranza guidata dalla Cgil. Il Fas esiste ancora oggi e gli ex dipendenti ne possono usufruire fino a tre anni dall'uscita.
Quando sono arrivato in Pirelli c'erano le colonie dell'azienda, la mutua, il dentista, la convenzione con la Pio X, poi con l'avvio del sistema sanitario nazionale la mutua è stata chiusa.