Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Il problema è lì e lo devi risolvere
Ogni
anno alla BTicino i contratti a termine erano più di cinquecento, trecento solo
a Varese, la sede centrale. Con l’esplodere della crisi sono stati tutti
cancellati. I primi a pagare sono stati i più deboli, i meno protetti. Ma non è
stato sufficiente, così qualche tempo dopo è toccato ai dipendenti a tempo
indeterminato essere messi in mobilità, 84 nel 2012 e altri 140 a inizio 2014.
Sorprendentemente, la maggior parte dei lavoratori coinvolti nel primo gruppo posto
in mobilità ha accolto favorevolmente quella decisione. Si tratta di operai, in
gran parte donne, che dopo quasi quarant’anni di lavoro in catena hanno visto
la possibilità di un accompagnamento anticipato alla pensione come una
opportunità da non perdere. “Guai a voi se non firmate l’accordo” hanno
minacciato i loro delegati sindacali. E così è stato. Il 40% degli occupati in
BTicino sono donne, ma in produzione sulle catene di montaggio stanno
praticamente solo loro, che tra l'altro sono inquadrate al terzo livello,
mentre gli uomini nelle officine sono collocati in quinta super con differenze
retributive anche notevoli.
Nessuna
protesta c’è stata neppure in occasione della secondo fase della mobilità.
Qualche preoccupazione in più c’era, ma alla fine si è discusso, si è trattato
ed è stata trovata un’intesa considerata accettabile dai lavoratori. Anche
perché l’azienda continua ad investire, la perdita di quote di mercato dovuta
essenzialmente alla crisi dell’edilizia è inferiore rispetto a quella della
concorrenza e questo sembra assicurare un solido futuro ai destini del gruppo.
Attualmente
negli stabilimenti della BTicino, azienda specializzata nella produzione di
materiale elettrico, nel nostro paese sono occupate circa tremila persona,
quasi 1.200 lavorano nella sede varesina dove sono presenti le direzioni, i
laboratori di ricerca e sviluppo e gli impianti produttivi. Lì abbiamo
incontrato Salvatore Palomba, delegato della Fim Cisl.
“Sono
nato a Varese nel 1965 e vivo a Castiglione Olona, sono sposato con due figli,
uno di vent'anni e una di diciassette. Alla fine della terza media sulla mia
pagella c'era scritto ‘si consiglia l'inserimento nel mondo del lavoro’ così
mio papà mi ha trovato un posto in un'officina meccanica dove si producevano
stampi. Per me è stata una fortuna, perché non avevo un titolo di studio, ma mi
sono fatto una professione. Sono stato sette anni da quell'artigiano, poi sono
passato in una media impresa dove sono rimasto per altri quattordici e infine
nel 2001sono arrivato in BTicino. L'azienda dove ero occupato operava nel
settore delle torce e un po' per la competizione con la Cina, un po' per
assenza di innovazione, si avviava verso il declino e la chiusura. Ho fatto
alcune domande, c'erano più occasioni e ho scelto la fabbrica più grande, che
mi sembrava offrisse maggiori garanzie. In BTicino lavoro nell'officina
prototipi, dove realizziamo i modelli di tutta la produzione, è un bel lavoro
creativo, che cambia continuamente. Nel mio reparto sono il più vecchio e
lavoro con tanti giovani, mentre sulle linee il personale è più avanti con gli
anni.
Nell'azienda
artigiana il sindacato non era presente - racconta Palomba -, mentre nella
media impresa sono entrato grazie alla segnalazione di un sindacalista, non con
una raccomandazione, ma semplicemente perché mi aveva informato che stavano
cercando un tornitore. Appena assunto mi sono iscritto alla Fim e nel giro di
poco tempo mi sono candidato e sono stato eletto delegato con molti voti. In
quell'azienda mi sono riconosciuto leader. Sono partito quasi non sapendo cosa
fosse il sindacato, poi piano piano sono cresciuto grazie ai corsi di
formazione, ho iniziato a costruire rapporti e di elezione in elezione è
aumentato il consenso nei miei confronti. Entrato in BTicino sono stato immediatamente
proposto come delegato però, lavorando in un reparto piccolo e non essendo
conosciuto, alle elezioni ho preso solo otto voti. Occorre tenere presente che
in BTicino non c'è l'agibilità tra i reparti e quindi il consenso posso
costruirmelo solo nella mia officina o quando incontro le persone sulle scale o
in assemblea. Ma anche alle assemblee del mio reparto, che è uno dei più
piccoli, partecipano circa cinquanta
persone, mentre negli altri si ritrovano più o meno trecento lavoratori,
inoltre io riesco meglio nel rapporto personale mentre non sono molto efficace
negli interventi in pubblico. Nonostante quel risultato – prosegue il suo
racconto Palomba - la Fim mi ha indicato come coordinatore, anche perché chi
svolgeva questo compito prima di me in quel momento stava uscendo in distacco
per fare l'operatore sindacale. In realtà non amo molto questo ruolo che è
anche un po’ politico, di relazioni, mi piace di più la parte pratica del
nostro impegno sindacale in fabbrica, mi manca la possibilità di andare nei
vari reparti, in quel caso per me tutto sarebbe più facile. Nonostante tutto
ciò, anche qui di elezione in elezione il consenso nei miei confronti è
cresciuto”.
Attualmente
il rapporto tra organizzazioni sindacali è di due terzi per la Fiom e un terzo
per la Fim, la Uilm non esiste, mentre sta nascendo l’Ugl. Sono 24 delegati,
otto Fim e 16 Fiom, per 1.136 dipendenti. Gli iscritti complessivi sono meno di
un terzo dei dipendenti, i fimmini sono circa un centinaio.
“Non
c'è molta sensibilità – prosegue il delegato -. In occasione degli scioperi per
il contratto nazionale l'adesione normalmente è tra il 28 e il 30%, questo
perché forse non siamo più capaci di trasmettere i nostri valori e le nostre
ragioni, ma c'è anche molto individualismo. L'azienda non interferisce in
quelli che sono i nostri diritti sindacali. Le relazioni sono certamente
positive anche se un po' strane, forse determinate anche dalle caratteristiche
del vecchio responsabile del personale, che voleva sempre prospettare insieme ai
problemi anche le sue soluzioni e noi più d'una volta siamo stati costretti a
intervenire per correggerle. Ora è da poco cambiato e il nuovo non lo
conosciamo ancora”.
BTicino
è nata nel 1936, fondata a Varese dai fratelli Bassani con il nome di Ticino interruttori
elettrici, denominazione che successivamente sarà mutata prima in Bassani Spa e
quindi in Bassani Ticino. Nel 1989 l’azienda è entrata a far parte del gruppo
francese Legrand, assumendo il nome attuale. In Italia è presente con numerose
sedi distribuite in tutto il territorio nazionale, le più importanti sono a
Tradate, Erba, Ospedaletto Lodigiano, Azzano San Paolo, Torre del Greco. Molti
sono insediamenti produttivi con specializzazioni diverse. BTicino nasce
facendo le placchette poi si espande nel mondo elettrico, acquisendo anche
altre aziende, ed oggi è attiva nella produzione di interruttori, placche,
citofoni, domotica, salvavita. Le produzioni vanno da quelle per il consumo
ordinario fino ai prodotti di alta gamma. Il design conta molto e si studiano
sempre forme nuove con materiali diversi. In BTicino è attivo un centro studi e
progettazione e le uniche assunzioni che avvengono in questo periodo sono
proprio nel settore ricerche e sviluppo e in quest'area sono impegnate diverse
decine di progettisti. L’azienda è presente su molti mercati esteri come Cina,
Turchia, Egitto, Messico, Sudamerica, oltre che in Europa.
“Una
cosa che mi è sempre piaciuta – sottolinea a questo proposito Salvatore Palomba
- è il modello di globalizzazione che la BTicino adotta. Le fabbriche attive
all’estero producono per il mercato locale e non per importare in Italia,
quindi fanno crescere il paese dove sono insediate. In Italia BTicino è leader
del mercato. Nella crisi noi abbiamo perso delle quote di mercato, ma le
aziende concorrenti hanno perso quote maggiori. Ci sono stabilimenti del gruppo
che la crisi non l'hanno proprio sentita come ad esempio Erba e Bergamo. Il
2008 l'abbiamo traghettato senza nessun problema, nel 2009 l'azienda, quasi con
il timore di dirlo, ci ha comunicato che doveva fare due giorni di chiusura
collettiva utilizzando le ferie e ha preso la scusa che c'erano i mondiali di
ciclismo a Varese, che tra l'altro sponsorizzava.
La
crisi è arrivata nel 2010, perché noi ne risentiamo più tardi. Infatti
l'acquirente decide che materiali utilizzare, in particolare le nostre placche,
solo quando la costruzione della casa è finita, e Varese è un sito produttivo
che si rivolge soprattutto al mercato civile. Fino a quel momento c'era ancora
il flusso positivo delle abitazioni costruite in precedenza, così abbiamo
iniziato un po' di cassa integrazione. Nel 2011 siamo andati ancora bene senza
dover ricorrere alla cassa, ma nel 2012 la crisi è diventata strutturale.
L'azienda ci ha comunicato che il fatturato continuava a calare e non era più
in grado di reggere i costi e quindi doveva procedere ad una riduzione di
personale. E’ iniziata una trattativa lunghissima. All'inizio c'è stato un po'
di panico, ma una volta capito come doveva avvenire la mobilità la situazione
si è tranquillizzata. Addirittura una cinquantina delle persone coinvolte,
tutte donne, con un'età intorno ai 55 anni e con quasi quarant'anni di catena
di montaggio alle spalle, erano ben felici di andare in mobilità. Abbiamo fatto
un accordo che prevedeva una verifica di quante persone attraverso la mobilità
avrebbero potuto raggiungere la pensione e su quello ci siamo misurati”.
Alla
fine sono state individuate 84 posizioni. La maggior parte ha accolto
favorevolmente questa opportunità. Per costoro i rappresentanti sindacali hanno
concordato una integrazione economica in grado di garantire al lavoratore un
reddito simile alla propria retribuzione mensile per tutto il periodo di
permanenza in mobilità. Per eventuali volontari non pensionandi, in aggiunta ad
una integrazione economica, è stato concordato un percorso di politiche attive
volte a favorire la ricollocazione dei lavoratori attraverso percorsi di
outplacement. L’accordo contiene inoltre l’impegno alla conferma degli
investimenti previsti nonostante le difficoltà del momento.
“L'azienda
in quel momento ha considerato non sufficiente, ma sostenibile
finanziariamente, la messa in mobilità delle 84 persone – precisa il delegato
della Fim -. L'ultima uscita con la mobilità era previsto a dicembre 2013, il
gennaio successivo l'azienda ci ha comunicato altri 140 esuberi. Nuova
trattativa e alla fine abbiamo concordato di partire con i contratti di
solidarietà, mentre il numero degli esuberi è stato ridotto a 75. Di questi, 55
sono in grado di raggiungere la pensione attraverso la mobilità e quindi non
sono volontari ma dovranno lasciare il lavoro per forza, gli altri venti sono
volontari. Nella mobilità precedente l'uscita era legata alle posizioni di
lavoro mentre ora tutti coloro che raggiungeranno le condizioni previste
dovranno lasciare, qualunque sia la posizione occupata, sia operai che
impiegati. Siccome l'azienda considerava cinque figure di quelle che avevano le
condizioni per uscire come indispensabili, nell'accordo abbiamo previsto che fossero
assunti cinque giovani da affiancare a quelli in uscita, con un percorso che
durerà fino a fine anno.
Negli
anni precedenti alla crisi BTicino faceva tantissime assunzioni con contratti a
termine, erano più di cinquecento, qui a Varese erano circa trecento. Nel 2008
abbiamo firmato un accordo per l'assunzione di ottanta di queste persone. Se
l’azienda avesse immaginato che cosa ci aspettava di lì a poco tempo certo non
lo avrebbe fatto. Con la crisi non ce n'è più nemmeno uno. Questa è un'azienda
precisa, che tiene molto al rispetto delle regole: se la legge gli consente di
utilizzare certe norme, di comportarsi in una determinata maniera loro lo
fanno. Oggi gli interinali vengono assunti solo per le sostituzioni, cioè vanno
a coprire posti di persone che sono assenti momentaneamente per maternità,
malattia o altro.
I
più preoccupati, quando l'azienda ci ha comunicato la prima mobilità, siamo
stati noi delegati, non eravamo abituati, ma non ci sono state reazioni forti,
non abbiamo fatto scioperi. In azienda i rapporti con la Fiom sono abbastanza
tranquilli, anche perché quando ci occupiamo delle vicende interne non facciamo
grandi differenze, il problema è lì e lo devi risolvere. Parlare in termini
generali è un conto, ma quando il problema ce l'hai davanti bisogna affrontarlo
concretamente. Non abbiamo fatto un'ora di sciopero neppure per la seconda
mobilità che pure ha colpito molto l'emotività delle persone. La differenza tra
le due mobilità è che, mentre la prima toccava persone che non vedevano l'ora
di smettere di lavorare, la seconda ha coinvolto particolarmente gli impiegati
che invece non avevano nessuna voglia di andarsene. Una situazione che ci ha
però portato a fare un accordo migliore, assicurando alle persone che
lasceranno una integrazione per dieci anni di un pezzo della penalizzazione che
avranno poi per tutta la vita. Abbiamo anche concordato di superare la cassa
integrazione con l’attivazione dei contratti di solidarietà che coinvolgono
tutti, ma in maniera differente: i reparti produttivi fanno una media di
quattro giorni al mese, mentre gli indiretti si fermano un giorno al mese.
Questo per un anno e poi si vedrà.
La
direzione ha confermato e sottoscritto nell'accordo che continuerà a fare gli
investimenti che aveva previsto. L'azienda ha sempre investito molto, anche se
negli ultimi anni ha un po' ridotto l’impegno. La BTicino secondo me ha un
futuro sicuro, anche se magari con un minore numero di addetti a causa della
flessione del mercato”.
In
BTicino esistono intese che prevedono per coloro che studiano la possibilità di
ricorrere a dei permessi retribuiti nei giorni di esame o in quelli che
precedono, è prevista anche una certa agevolazione negli orari. All'interno
dell'azienda è attivo un centro di formazione professionale per persone
disabili che ogni anno accoglie quindici giovani in un reparto dello
stabilimento. Dal 1981 ad oggi sono stati inseriti nel mondo del lavoro oltre
350 disabili, molti di questi in BTicino.