mercoledì 17 giugno 2020

SALVATORE PALOMBA - BTicino - Varese

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Il problema è lì e lo devi risolvere
Ogni anno alla BTicino i contratti a termine erano più di cinquecento, trecento solo a Varese, la sede centrale. Con l’esplodere della crisi sono stati tutti cancellati. I primi a pagare sono stati i più deboli, i meno protetti. Ma non è stato sufficiente, così qualche tempo dopo è toccato ai dipendenti a tempo indeterminato essere messi in mobilità, 84 nel 2012 e altri 140 a inizio 2014. 

Sorprendentemente, la maggior parte dei lavoratori coinvolti nel primo gruppo posto in mobilità ha accolto favorevolmente quella decisione. Si tratta di operai, in gran parte donne, che dopo quasi quarant’anni di lavoro in catena hanno visto la possibilità di un accompagnamento anticipato alla pensione come una opportunità da non perdere. “Guai a voi se non firmate l’accordo” hanno minacciato i loro delegati sindacali. E così è stato. Il 40% degli occupati in BTicino sono donne, ma in produzione sulle catene di montaggio stanno praticamente solo loro, che tra l'altro sono inquadrate al terzo livello, mentre gli uomini nelle officine sono collocati in quinta super con differenze retributive anche notevoli.
Nessuna protesta c’è stata neppure in occasione della secondo fase della mobilità. Qualche preoccupazione in più c’era, ma alla fine si è discusso, si è trattato ed è stata trovata un’intesa considerata accettabile dai lavoratori. Anche perché l’azienda continua ad investire, la perdita di quote di mercato dovuta essenzialmente alla crisi dell’edilizia è inferiore rispetto a quella della concorrenza e questo sembra assicurare un solido futuro ai destini del gruppo.
Attualmente negli stabilimenti della BTicino, azienda specializzata nella produzione di materiale elettrico, nel nostro paese sono occupate circa tremila persona, quasi 1.200 lavorano nella sede varesina dove sono presenti le direzioni, i laboratori di ricerca e sviluppo e gli impianti produttivi. Lì abbiamo incontrato Salvatore Palomba, delegato della Fim Cisl.
“Sono nato a Varese nel 1965 e vivo a Castiglione Olona, sono sposato con due figli, uno di vent'anni e una di diciassette. Alla fine della terza media sulla mia pagella c'era scritto ‘si consiglia l'inserimento nel mondo del lavoro’ così mio papà mi ha trovato un posto in un'officina meccanica dove si producevano stampi. Per me è stata una fortuna, perché non avevo un titolo di studio, ma mi sono fatto una professione. Sono stato sette anni da quell'artigiano, poi sono passato in una media impresa dove sono rimasto per altri quattordici e infine nel 2001sono arrivato in BTicino. L'azienda dove ero occupato operava nel settore delle torce e un po' per la competizione con la Cina, un po' per assenza di innovazione, si avviava verso il declino e la chiusura. Ho fatto alcune domande, c'erano più occasioni e ho scelto la fabbrica più grande, che mi sembrava offrisse maggiori garanzie. In BTicino lavoro nell'officina prototipi, dove realizziamo i modelli di tutta la produzione, è un bel lavoro creativo, che cambia continuamente. Nel mio reparto sono il più vecchio e lavoro con tanti giovani, mentre sulle linee il personale è più avanti con gli anni.
Nell'azienda artigiana il sindacato non era presente - racconta Palomba -, mentre nella media impresa sono entrato grazie alla segnalazione di un sindacalista, non con una raccomandazione, ma semplicemente perché mi aveva informato che stavano cercando un tornitore. Appena assunto mi sono iscritto alla Fim e nel giro di poco tempo mi sono candidato e sono stato eletto delegato con molti voti. In quell'azienda mi sono riconosciuto leader. Sono partito quasi non sapendo cosa fosse il sindacato, poi piano piano sono cresciuto grazie ai corsi di formazione, ho iniziato a costruire rapporti e di elezione in elezione è aumentato il consenso nei miei confronti. Entrato in BTicino sono stato immediatamente proposto come delegato però, lavorando in un reparto piccolo e non essendo conosciuto, alle elezioni ho preso solo otto voti. Occorre tenere presente che in BTicino non c'è l'agibilità tra i reparti e quindi il consenso posso costruirmelo solo nella mia officina o quando incontro le persone sulle scale o in assemblea. Ma anche alle assemblee del mio reparto, che è uno dei più piccoli,  partecipano circa cinquanta persone, mentre negli altri si ritrovano più o meno trecento lavoratori, inoltre io riesco meglio nel rapporto personale mentre non sono molto efficace negli interventi in pubblico. Nonostante quel risultato – prosegue il suo racconto Palomba - la Fim mi ha indicato come coordinatore, anche perché chi svolgeva questo compito prima di me in quel momento stava uscendo in distacco per fare l'operatore sindacale. In realtà non amo molto questo ruolo che è anche un po’ politico, di relazioni, mi piace di più la parte pratica del nostro impegno sindacale in fabbrica, mi manca la possibilità di andare nei vari reparti, in quel caso per me tutto sarebbe più facile. Nonostante tutto ciò, anche qui di elezione in elezione il consenso nei miei confronti è cresciuto”.
Attualmente il rapporto tra organizzazioni sindacali è di due terzi per la Fiom e un terzo per la Fim, la Uilm non esiste, mentre sta nascendo l’Ugl. Sono 24 delegati, otto Fim e 16 Fiom, per 1.136 dipendenti. Gli iscritti complessivi sono meno di un terzo dei dipendenti, i fimmini sono circa un centinaio.
“Non c'è molta sensibilità – prosegue il delegato -. In occasione degli scioperi per il contratto nazionale l'adesione normalmente è tra il 28 e il 30%, questo perché forse non siamo più capaci di trasmettere i nostri valori e le nostre ragioni, ma c'è anche molto individualismo. L'azienda non interferisce in quelli che sono i nostri diritti sindacali. Le relazioni sono certamente positive anche se un po' strane, forse determinate anche dalle caratteristiche del vecchio responsabile del personale, che voleva sempre prospettare insieme ai problemi anche le sue soluzioni e noi più d'una volta siamo stati costretti a intervenire per correggerle. Ora è da poco cambiato e il nuovo non lo conosciamo ancora”.
BTicino è nata nel 1936, fondata a Varese dai fratelli Bassani con il nome di Ticino interruttori elettrici, denominazione che successivamente sarà mutata prima in Bassani Spa e quindi in Bassani Ticino. Nel 1989 l’azienda è entrata a far parte del gruppo francese Legrand, assumendo il nome attuale. In Italia è presente con numerose sedi distribuite in tutto il territorio nazionale, le più importanti sono a Tradate, Erba, Ospedaletto Lodigiano, Azzano San Paolo, Torre del Greco. Molti sono insediamenti produttivi con specializzazioni diverse. BTicino nasce facendo le placchette poi si espande nel mondo elettrico, acquisendo anche altre aziende, ed oggi è attiva nella produzione di interruttori, placche, citofoni, domotica, salvavita. Le produzioni vanno da quelle per il consumo ordinario fino ai prodotti di alta gamma. Il design conta molto e si studiano sempre forme nuove con materiali diversi. In BTicino è attivo un centro studi e progettazione e le uniche assunzioni che avvengono in questo periodo sono proprio nel settore ricerche e sviluppo e in quest'area sono impegnate diverse decine di progettisti. L’azienda è presente su molti mercati esteri come Cina, Turchia, Egitto, Messico, Sudamerica, oltre che in Europa.
“Una cosa che mi è sempre piaciuta – sottolinea a questo proposito Salvatore Palomba - è il modello di globalizzazione che la BTicino adotta. Le fabbriche attive all’estero producono per il mercato locale e non per importare in Italia, quindi fanno crescere il paese dove sono insediate. In Italia BTicino è leader del mercato. Nella crisi noi abbiamo perso delle quote di mercato, ma le aziende concorrenti hanno perso quote maggiori. Ci sono stabilimenti del gruppo che la crisi non l'hanno proprio sentita come ad esempio Erba e Bergamo. Il 2008 l'abbiamo traghettato senza nessun problema, nel 2009 l'azienda, quasi con il timore di dirlo, ci ha comunicato che doveva fare due giorni di chiusura collettiva utilizzando le ferie e ha preso la scusa che c'erano i mondiali di ciclismo a Varese, che tra l'altro sponsorizzava.
La crisi è arrivata nel 2010, perché noi ne risentiamo più tardi. Infatti l'acquirente decide che materiali utilizzare, in particolare le nostre placche, solo quando la costruzione della casa è finita, e Varese è un sito produttivo che si rivolge soprattutto al mercato civile. Fino a quel momento c'era ancora il flusso positivo delle abitazioni costruite in precedenza, così abbiamo iniziato un po' di cassa integrazione. Nel 2011 siamo andati ancora bene senza dover ricorrere alla cassa, ma nel 2012 la crisi è diventata strutturale. L'azienda ci ha comunicato che il fatturato continuava a calare e non era più in grado di reggere i costi e quindi doveva procedere ad una riduzione di personale. E’ iniziata una trattativa lunghissima. All'inizio c'è stato un po' di panico, ma una volta capito come doveva avvenire la mobilità la situazione si è tranquillizzata. Addirittura una cinquantina delle persone coinvolte, tutte donne, con un'età intorno ai 55 anni e con quasi quarant'anni di catena di montaggio alle spalle, erano ben felici di andare in mobilità. Abbiamo fatto un accordo che prevedeva una verifica di quante persone attraverso la mobilità avrebbero potuto raggiungere la pensione e su quello ci siamo misurati”.
Alla fine sono state individuate 84 posizioni. La maggior parte ha accolto favorevolmente questa opportunità. Per costoro i rappresentanti sindacali hanno concordato una integrazione economica in grado di garantire al lavoratore un reddito simile alla propria retribuzione mensile per tutto il periodo di permanenza in mobilità. Per eventuali volontari non pensionandi, in aggiunta ad una integrazione economica, è stato concordato un percorso di politiche attive volte a favorire la ricollocazione dei lavoratori attraverso percorsi di outplacement. L’accordo contiene inoltre l’impegno alla conferma degli investimenti previsti nonostante le difficoltà del momento.
“L'azienda in quel momento ha considerato non sufficiente, ma sostenibile finanziariamente, la messa in mobilità delle 84 persone – precisa il delegato della Fim -. L'ultima uscita con la mobilità era previsto a dicembre 2013, il gennaio successivo l'azienda ci ha comunicato altri 140 esuberi. Nuova trattativa e alla fine abbiamo concordato di partire con i contratti di solidarietà, mentre il numero degli esuberi è stato ridotto a 75. Di questi, 55 sono in grado di raggiungere la pensione attraverso la mobilità e quindi non sono volontari ma dovranno lasciare il lavoro per forza, gli altri venti sono volontari. Nella mobilità precedente l'uscita era legata alle posizioni di lavoro mentre ora tutti coloro che raggiungeranno le condizioni previste dovranno lasciare, qualunque sia la posizione occupata, sia operai che impiegati. Siccome l'azienda considerava cinque figure di quelle che avevano le condizioni per uscire come indispensabili, nell'accordo abbiamo previsto che fossero assunti cinque giovani da affiancare a quelli in uscita, con un percorso che durerà fino a fine anno.
Negli anni precedenti alla crisi BTicino faceva tantissime assunzioni con contratti a termine, erano più di cinquecento, qui a Varese erano circa trecento. Nel 2008 abbiamo firmato un accordo per l'assunzione di ottanta di queste persone. Se l’azienda avesse immaginato che cosa ci aspettava di lì a poco tempo certo non lo avrebbe fatto. Con la crisi non ce n'è più nemmeno uno. Questa è un'azienda precisa, che tiene molto al rispetto delle regole: se la legge gli consente di utilizzare certe norme, di comportarsi in una determinata maniera loro lo fanno. Oggi gli interinali vengono assunti solo per le sostituzioni, cioè vanno a coprire posti di persone che sono assenti momentaneamente per maternità, malattia o altro.
I più preoccupati, quando l'azienda ci ha comunicato la prima mobilità, siamo stati noi delegati, non eravamo abituati, ma non ci sono state reazioni forti, non abbiamo fatto scioperi. In azienda i rapporti con la Fiom sono abbastanza tranquilli, anche perché quando ci occupiamo delle vicende interne non facciamo grandi differenze, il problema è lì e lo devi risolvere. Parlare in termini generali è un conto, ma quando il problema ce l'hai davanti bisogna affrontarlo concretamente. Non abbiamo fatto un'ora di sciopero neppure per la seconda mobilità che pure ha colpito molto l'emotività delle persone. La differenza tra le due mobilità è che, mentre la prima toccava persone che non vedevano l'ora di smettere di lavorare, la seconda ha coinvolto particolarmente gli impiegati che invece non avevano nessuna voglia di andarsene. Una situazione che ci ha però portato a fare un accordo migliore, assicurando alle persone che lasceranno una integrazione per dieci anni di un pezzo della penalizzazione che avranno poi per tutta la vita. Abbiamo anche concordato di superare la cassa integrazione con l’attivazione dei contratti di solidarietà che coinvolgono tutti, ma in maniera differente: i reparti produttivi fanno una media di quattro giorni al mese, mentre gli indiretti si fermano un giorno al mese. Questo per un anno e poi si vedrà.
La direzione ha confermato e sottoscritto nell'accordo che continuerà a fare gli investimenti che aveva previsto. L'azienda ha sempre investito molto, anche se negli ultimi anni ha un po' ridotto l’impegno. La BTicino secondo me ha un futuro sicuro, anche se magari con un minore numero di addetti a causa della flessione del mercato”.
In BTicino esistono intese che prevedono per coloro che studiano la possibilità di ricorrere a dei permessi retribuiti nei giorni di esame o in quelli che precedono, è prevista anche una certa agevolazione negli orari. All'interno dell'azienda è attivo un centro di formazione professionale per persone disabili che ogni anno accoglie quindici giovani in un reparto dello stabilimento. Dal 1981 ad oggi sono stati inseriti nel mondo del lavoro oltre 350 disabili, molti di questi in BTicino.