Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato il 21
novembre 1946 a Rivarolo Mantovano, dove vive. Sindacalista nei tessili della
Cisl, attualmente è direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale
di Cremona.
I miei genitori non andavano molto in chiesa, io ho
frequentato l'oratorio, l'Azione cattolica ragazzi e più avanti le Acli. È
stato un sacerdote che mi ha portato a frequentare questi ambienti e mi ha
spinto verso il sociale, era uno dei pochi preti che allora ci credeva.
Ho iniziato a lavorare che avevo quindici anni, nel
luglio del ‘61. La mia preparazione sui temi del lavoro è avvenuta nelle Acli
dove si faceva tanta formazione, iniziative formative che si svolgevano
soprattutto nel circolo in parrocchia e a livello diocesano e molti
sindacalisti come me sono usciti da quell'ambiente. Era una formazione che
puntava alla dimensione personale del mondo del lavoro, potremmo chiamarla una
formazione prepolitica.
Entrato in fabbrica mi sono iscritto quasi subito
alla Cisl perché già il sacerdote ci aveva spiegato quali erano le varie anime
del mondo sindacale. Le differenze allora erano molto pesanti. In fabbrica pian
piano è maturato il mio impegno, spinto dall'idea che si dovessero migliorare
le condizioni di lavoro e tutelare le persone non solo sul piano del salario. I
valori che avevo acquisiti nel percorso di formazione erano alla base della mia
azione e ho sempre cercato di mantenere un rapporto col mio ambiente di
provenienza anche se col tempo il legame si è affievolito.
In quel periodo per essere iscritti al sindacato
occorreva del coraggio, anche se per la verità io non ho mai avuto problemi con
l'imprenditore pur essendo diventato poi delegato di fabbrica. Nel 1977 ho
lasciato l’azienda per il sindacato. In quel momento la figura di riferimento
per me era Pierre Carniti, che era il segretario della Fim, una persona che
viveva l'esperienza sindacale con sobrietà. Non si limitava ad annunciarlo, lo
si vedeva.
I riferimenti culturali erano quelli che in quegli
anni si leggevano nel mondo cattolico a partire da Maritain. Io abito a cinque
chilometri da Bozzolo, il paese di don Mazzolari, e la sua influenza è stata
molto forte su di me. Non appaiono molto le riflessioni di Mazzolari sul tema
del lavoro, ma lui ha fatto molto attraverso la formazione dei giovani. Nei
suoi scritti ci sono alcuni passaggi sull'impegno dei giovani in fabbrica che
sono interessantissimi. Mi piaceva leggere i suoi testi, mi ricordo in
particolare il romanzo Tra l'argine e il
bosco di grande freschezza.
Già nei primi mesi di attività nella Filta, il
sindacato dei tessili, facevo parte della commissione di pastorale sociale a
Mantova e dentro la Cisl mi sono sempre trovato bene, non c'erano problemi,
anzi ero in qualche modo spinto verso un impegno di tipo pastorale per portare
la mia esperienza sindacale dentro il mondo cattolico.
Qualche problema l’ho avuto alla scuola di
formazione della Cisl di Firenze dove qualcuno teorizzava che un democristiano
non potesse fare il sindacalista. Ne ho parlato con Ballini, l'allora
segretario della Filta, che è uno dei ragazzi di Barbiana, e lui si è arrabbiato
moltissimo ed è intervenuto sul gruppo dei formatori. In quel momento c'erano
influenze extraparlamentari che non condividevo.
Con la Cgil per il mio essere un credente
riconosciuto non ho mai avuto difficoltà, anzi ritenevano questa mia fedeltà ai
valori cristiani un fatto positivo, anche se loro non credevano. Comunque ho
trovato dei buoni cristiani anche in Cgil.
A Mantova c'era un prete operaio che era in Cgil ed
era di tendenze extraparlamentari. A volte ci sono delle contraddizioni tra
essere preti e operai. Ho conosciuto l'esperienza di alcune suore operaie
nell'alto mantovano che lavoravano nei calzifici nella zona di Castel Goffredo
con l’obiettivo di formare le persone al senso cristiano del lavoro. Hanno
anche fatto parte della commissione di pastorale sociale di Mantova.
Nella mia esperienza a Castel Goffredo il parroco
era il mio punto di riferimento e anche nell'attività sindacale mi consigliava
perché conosceva bene la realtà locale.
Alcuni preti nella loro azione pastorale tenevano
molto in considerazione il ruolo della Cisl, perché la scelta della
conflittualità non paga e in una realtà di aziende molto piccole occorre avere
una capacità di mediazione e di tutela del lavoratore senza metterlo in
conflitto con l'imprenditore. Don Adriano più di una volta mi ha dato una mano
e nel giro di un decennio la Cisl, che era completamente assente, è diventata
predominante. Erano calzifici dove lavoravano in gran parte donne, il contratto
non veniva rispettato e il sindacato spesso non c'era.
Il rapporto della Cisl con il mondo cattolico non
sempre si è sviluppato in modo corretto. L'assemblea di Todi promossa da
Bonanni nel 2011 era in netto contrasto con i contenuti della settimana sociale
di Reggio Calabria cui ho partecipato. Bonanni di fatto ha riunito una sorta di
contro settimana sociale e in quell’occasione ho capito che la Cisl aveva preso
una brutta piega e oggi ne subiamo ancora le conseguenze. Se invece avesse
tentato un aggancio non con il mondo cattolico in quanto tale, ma con l'associazionismo
nel suo insieme sarebbe stato diverso perché ritengo che il volontariato sia
una risorsa importante indipendentemente da dove nasca. Avere un rapporto
chiaro con quel mondo fa bene al sindacato, il meno targato possibile però.
A Cremona, fino a quando ci sono stati dei sacerdoti
a guidare la pastorale sociale, l'ambiente era fortemente ecclesiale poi il
vescovo ha creduto fosse più opportuno laicizzarla al massimo e nel 2008 mi ha
chiamato a casa proponendomi di diventare responsabile diocesano, anche se non
tutti condividevano l’idea di affidare a un laico quell’incarico. Il sacerdote
che la seguiva era stato chiamato ad altro impegno e c'era tutta la dimensione
della formazione sociopolitica che doveva essere migliorata, spostata
dall'ambiente intellettuale e portata più vicina alla gente e al mondo del
lavoro. L'indicazione del vescovo era quella di fare formazione, preparare
delle persone che sapessero ragionare con la propria testa avendo come sfondo la
dottrina sociale della Chiesa. “Poi faranno le scelte che vorranno”.
L'obiettivo dichiarato era quello di formare delle persone attraverso una
riflessione di carattere prepolitico. Abbiamo fatto dei corsi di formazione
biennali, il primo anno è stato dedicato alle questioni interne del Paese e il
secondo alle questioni internazionali, in rapporto molto forte con l'Università
cattolica. Ci siamo rivolti direttamente alle parrocchie e abbiamo coinvolto
più di un centinaio di giovani.
Un difetto che emerge dall’azione della pastorale
sociale oggi è che appare più orientata alla formazione alla politica che al
lavoro. Per quanto riguarda il lavoro ci stiamo limitando a delle celebrazioni,
come ad esempio quella del 1° maggio in una fabbrica, una iniziativa che prima
non esisteva. Nel cremonese di grandi fabbriche non ce ne sono praticamente
più. Abbiamo un buon rapporto con il
mondo del lavoro nell'agricoltura, rappresentato da consorzi di piccoli
produttori. In queste imprese le relazioni con i lavoratori sono molto buone,
anche dal punto di vista sindacale.
Le encicliche e i documenti dei vescovi sono sempre
stati importanti, ma con il problema che rimanevano lì e non venivano calati
nella realtà. Anche gli input che arrivano da papa Francesco non riescono a
passare nelle parrocchie. Sia per l’Evangeli
gaudium che per la Laudato si’
noi cerchiamo di proporre delle riflessioni sui contenuti, ma oggi viviamo una
sorta di ostracismo verso tutto ciò che sa di sinistra e il lavoro è ancora
considerato una cosa di sinistra. Anche la Chiesa su questi temi si sta
dividendo, certamente ci sono anche coloro che stanno portando avanti
l’insegnamento papale.
La relazione positiva tra la gente, come viene
ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa, è sparita perché la politica ha
instillato una sorta di odio tra le persone. Anche nei paesi si critica
solamente, non c'è disponibilità al dialogo, n’è l'idea del bene comune. Un
povero prete di campagna che si trova di fronte a gente che quando esce dal
portone della chiesa si dà addosso pesantemente tende a starsene in disparte
piuttosto che suscitare ulteriori discussioni.
C'è anche un problema di formazione dei nuovi
sacerdoti in seminario. Ho chiesto che vengano introdotte nell'insegnamento
alcune questioni che riguardano il sociale. Nel mio percorso ho visto che quelli
che hanno più difficoltà a promuovere delle proposte di formazione
sociopolitica sono proprio i preti giovani perché i sacerdoti più anziani, che
provengono da un'esperienza di Acli o di pastorale sociale, sono più
disponibili.
I messaggi che ci arrivano dall’Evangeli gaudium e dalla Laudato
si’ devono fare da substrato formativo per creare le condizioni favorevoli
alla ricostruzione di un tessuto sociale con una ispirazione chiara. I
sacerdoti, vivendo una realtà ecclesiale, spesso non riescono a comprendere ciò
che sta avvenendo nel mondo.
In occasione della mia partecipazione alla settimana
sociale di Reggio Calabria sono stato chiamato più volte nelle parrocchie a
illustrarne i contenuti. Dopo Cagliari invece non si è fatto avanti nessuno.
A Cagliari abbiamo presentato una nostra esperienza
come buona pratica realizzata nell’ambito del Consorzio Casalasco del pomodoro.
Il tentativo è quello di riuscire a trasferire questi esempi positivi in altre
realtà con il coinvolgimento delle parrocchie. Avendo, come diocesi, tanti
terreni e beni, puntiamo anche a essere noi promotori di lavoro. Alcune realtà
si stanno muovendo, ad esempio all'interno del seminario a partire da
quest'anno sono stati istituiti dei corsi di formazione professionale in
stretto rapporto con le imprese per la formazione di figure professionali necessarie
alle esigenze delle aziende e quindi in qualche modo con l'occupazione
garantita.