mercoledì 17 giugno 2020

SANTE MUSSETOLA - Cisl - Mantova

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato il 21 novembre 1946 a Rivarolo Mantovano, dove vive. Sindacalista nei tessili della Cisl, attualmente è direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale di Cremona.

I miei genitori non andavano molto in chiesa, io ho frequentato l'oratorio, l'Azione cattolica ragazzi e più avanti le Acli. È stato un sacerdote che mi ha portato a frequentare questi ambienti e mi ha spinto verso il sociale, era uno dei pochi preti che allora ci credeva.
Ho iniziato a lavorare che avevo quindici anni, nel luglio del ‘61. La mia preparazione sui temi del lavoro è avvenuta nelle Acli dove si faceva tanta formazione, iniziative formative che si svolgevano soprattutto nel circolo in parrocchia e a livello diocesano e molti sindacalisti come me sono usciti da quell'ambiente. Era una formazione che puntava alla dimensione personale del mondo del lavoro, potremmo chiamarla una formazione prepolitica.

Entrato in fabbrica mi sono iscritto quasi subito alla Cisl perché già il sacerdote ci aveva spiegato quali erano le varie anime del mondo sindacale. Le differenze allora erano molto pesanti. In fabbrica pian piano è maturato il mio impegno, spinto dall'idea che si dovessero migliorare le condizioni di lavoro e tutelare le persone non solo sul piano del salario. I valori che avevo acquisiti nel percorso di formazione erano alla base della mia azione e ho sempre cercato di mantenere un rapporto col mio ambiente di provenienza anche se col tempo il legame si è affievolito.
In quel periodo per essere iscritti al sindacato occorreva del coraggio, anche se per la verità io non ho mai avuto problemi con l'imprenditore pur essendo diventato poi delegato di fabbrica. Nel 1977 ho lasciato l’azienda per il sindacato. In quel momento la figura di riferimento per me era Pierre Carniti, che era il segretario della Fim, una persona che viveva l'esperienza sindacale con sobrietà. Non si limitava ad annunciarlo, lo si vedeva.
I riferimenti culturali erano quelli che in quegli anni si leggevano nel mondo cattolico a partire da Maritain. Io abito a cinque chilometri da Bozzolo, il paese di don Mazzolari, e la sua influenza è stata molto forte su di me. Non appaiono molto le riflessioni di Mazzolari sul tema del lavoro, ma lui ha fatto molto attraverso la formazione dei giovani. Nei suoi scritti ci sono alcuni passaggi sull'impegno dei giovani in fabbrica che sono interessantissimi. Mi piaceva leggere i suoi testi, mi ricordo in particolare il romanzo Tra l'argine e il bosco di grande freschezza.
Già nei primi mesi di attività nella Filta, il sindacato dei tessili, facevo parte della commissione di pastorale sociale a Mantova e dentro la Cisl mi sono sempre trovato bene, non c'erano problemi, anzi ero in qualche modo spinto verso un impegno di tipo pastorale per portare la mia esperienza sindacale dentro il mondo cattolico.
Qualche problema l’ho avuto alla scuola di formazione della Cisl di Firenze dove qualcuno teorizzava che un democristiano non potesse fare il sindacalista. Ne ho parlato con Ballini, l'allora segretario della Filta, che è uno dei ragazzi di Barbiana, e lui si è arrabbiato moltissimo ed è intervenuto sul gruppo dei formatori. In quel momento c'erano influenze extraparlamentari che non condividevo.
Con la Cgil per il mio essere un credente riconosciuto non ho mai avuto difficoltà, anzi ritenevano questa mia fedeltà ai valori cristiani un fatto positivo, anche se loro non credevano. Comunque ho trovato dei buoni cristiani anche in Cgil.
A Mantova c'era un prete operaio che era in Cgil ed era di tendenze extraparlamentari. A volte ci sono delle contraddizioni tra essere preti e operai. Ho conosciuto l'esperienza di alcune suore operaie nell'alto mantovano che lavoravano nei calzifici nella zona di Castel Goffredo con l’obiettivo di formare le persone al senso cristiano del lavoro. Hanno anche fatto parte della commissione di pastorale sociale di Mantova.
Nella mia esperienza a Castel Goffredo il parroco era il mio punto di riferimento e anche nell'attività sindacale mi consigliava perché conosceva bene la realtà locale.
Alcuni preti nella loro azione pastorale tenevano molto in considerazione il ruolo della Cisl, perché la scelta della conflittualità non paga e in una realtà di aziende molto piccole occorre avere una capacità di mediazione e di tutela del lavoratore senza metterlo in conflitto con l'imprenditore. Don Adriano più di una volta mi ha dato una mano e nel giro di un decennio la Cisl, che era completamente assente, è diventata predominante. Erano calzifici dove lavoravano in gran parte donne, il contratto non veniva rispettato e il sindacato spesso non c'era.
Il rapporto della Cisl con il mondo cattolico non sempre si è sviluppato in modo corretto. L'assemblea di Todi promossa da Bonanni nel 2011 era in netto contrasto con i contenuti della settimana sociale di Reggio Calabria cui ho partecipato. Bonanni di fatto ha riunito una sorta di contro settimana sociale e in quell’occasione ho capito che la Cisl aveva preso una brutta piega e oggi ne subiamo ancora le conseguenze. Se invece avesse tentato un aggancio non con il mondo cattolico in quanto tale, ma con l'associazionismo nel suo insieme sarebbe stato diverso perché ritengo che il volontariato sia una risorsa importante indipendentemente da dove nasca. Avere un rapporto chiaro con quel mondo fa bene al sindacato, il meno targato possibile però.
A Cremona, fino a quando ci sono stati dei sacerdoti a guidare la pastorale sociale, l'ambiente era fortemente ecclesiale poi il vescovo ha creduto fosse più opportuno laicizzarla al massimo e nel 2008 mi ha chiamato a casa proponendomi di diventare responsabile diocesano, anche se non tutti condividevano l’idea di affidare a un laico quell’incarico. Il sacerdote che la seguiva era stato chiamato ad altro impegno e c'era tutta la dimensione della formazione sociopolitica che doveva essere migliorata, spostata dall'ambiente intellettuale e portata più vicina alla gente e al mondo del lavoro. L'indicazione del vescovo era quella di fare formazione, preparare delle persone che sapessero ragionare con la propria testa avendo come sfondo la dottrina sociale della Chiesa. “Poi faranno le scelte che vorranno”. L'obiettivo dichiarato era quello di formare delle persone attraverso una riflessione di carattere prepolitico. Abbiamo fatto dei corsi di formazione biennali, il primo anno è stato dedicato alle questioni interne del Paese e il secondo alle questioni internazionali, in rapporto molto forte con l'Università cattolica. Ci siamo rivolti direttamente alle parrocchie e abbiamo coinvolto più di un centinaio di giovani.
Un difetto che emerge dall’azione della pastorale sociale oggi è che appare più orientata alla formazione alla politica che al lavoro. Per quanto riguarda il lavoro ci stiamo limitando a delle celebrazioni, come ad esempio quella del 1° maggio in una fabbrica, una iniziativa che prima non esisteva. Nel cremonese di grandi fabbriche non ce ne sono praticamente più.  Abbiamo un buon rapporto con il mondo del lavoro nell'agricoltura, rappresentato da consorzi di piccoli produttori. In queste imprese le relazioni con i lavoratori sono molto buone, anche dal punto di vista sindacale.
Le encicliche e i documenti dei vescovi sono sempre stati importanti, ma con il problema che rimanevano lì e non venivano calati nella realtà. Anche gli input che arrivano da papa Francesco non riescono a passare nelle parrocchie. Sia per l’Evangeli gaudium che per la Laudato si’ noi cerchiamo di proporre delle riflessioni sui contenuti, ma oggi viviamo una sorta di ostracismo verso tutto ciò che sa di sinistra e il lavoro è ancora considerato una cosa di sinistra. Anche la Chiesa su questi temi si sta dividendo, certamente ci sono anche coloro che stanno portando avanti l’insegnamento papale.
La relazione positiva tra la gente, come viene ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa, è sparita perché la politica ha instillato una sorta di odio tra le persone. Anche nei paesi si critica solamente, non c'è disponibilità al dialogo, n’è l'idea del bene comune. Un povero prete di campagna che si trova di fronte a gente che quando esce dal portone della chiesa si dà addosso pesantemente tende a starsene in disparte piuttosto che suscitare ulteriori discussioni.
C'è anche un problema di formazione dei nuovi sacerdoti in seminario. Ho chiesto che vengano introdotte nell'insegnamento alcune questioni che riguardano il sociale. Nel mio percorso ho visto che quelli che hanno più difficoltà a promuovere delle proposte di formazione sociopolitica sono proprio i preti giovani perché i sacerdoti più anziani, che provengono da un'esperienza di Acli o di pastorale sociale, sono più disponibili.
I messaggi che ci arrivano dall’Evangeli gaudium e dalla Laudato si’ devono fare da substrato formativo per creare le condizioni favorevoli alla ricostruzione di un tessuto sociale con una ispirazione chiara. I sacerdoti, vivendo una realtà ecclesiale, spesso non riescono a comprendere ciò che sta avvenendo nel mondo.
In occasione della mia partecipazione alla settimana sociale di Reggio Calabria sono stato chiamato più volte nelle parrocchie a illustrarne i contenuti. Dopo Cagliari invece non si è fatto avanti nessuno.
A Cagliari abbiamo presentato una nostra esperienza come buona pratica realizzata nell’ambito del Consorzio Casalasco del pomodoro. Il tentativo è quello di riuscire a trasferire questi esempi positivi in altre realtà con il coinvolgimento delle parrocchie. Avendo, come diocesi, tanti terreni e beni, puntiamo anche a essere noi promotori di lavoro. Alcune realtà si stanno muovendo, ad esempio all'interno del seminario a partire da quest'anno sono stati istituiti dei corsi di formazione professionale in stretto rapporto con le imprese per la formazione di figure professionali necessarie alle esigenze delle aziende e quindi in qualche modo con l'occupazione garantita.