Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato il 25
novembre 1936 a Milano, dove ancora abita. Una vita da aclista, ha ricoperto
importanti incarichi nelle Acli provinciali ed è tuttora presidente del suo
circolo.
La mia era una famiglia artigiana di fabbri ferrai.
Mio padre è morto in guerra. La nonna era molto religiosa, andava in chiesa
tutti i giorni e io ho vissuto tanto con lei e ho preso da lei. Ho frequentato
l'avviamento al lavoro e poi un corso per disegnatori, quindi l’istituto per perito
industriale e poi mi sono iscritto all'Università cattolica a Economia e
commercio che però non ho concluso. Tutto di sera, tranne i tre anni
dell'avviamento.
Appena messo piede nel mondo del lavoro, ho capito
che c'erano dei diritti che andavano rispettati e quando sono entrato in
fabbrica, dopo un periodo di lavoro da un mio zio, ho preso contatto con i
rappresentanti sindacali aziendali. Non c'era la Cisl e insieme a un altro
ragazzo siamo stati noi i primi tesserati. Poi ho sindacalizzato gli impiegati,
abbiamo costituito un piccolo nucleo di iscritti alla Cisl e sono entrato in
commissione interna. Ero apprezzato anche dagli operai perché mi interessavo
dei problemi e parlavo con loro. Quando ad un certo punto sono stato costretto
a dimettermi la fabbrica si è fermata per solidarietà.
Avevo chiesto che il venerdì santo si
interrompessero le attività per qualche minuto, cosa che l'azienda mi aveva
concesso. In vista di quella fermata distribuivo ai lavoratori delle
immaginette e in quell'occasione alcuni reagivano bestemmiando. Nessuno mi
spingeva a fare queste cose, le sentivo io perché in me era nata l'esigenza di
un collegamento tra l'andare in chiesa e il lavoro. Contemporaneamente, grazie
anche alla scuola serale, cresceva in me il bisogno di riflettere sulla mia
condizione. Perché devo andare a scuola di sera? Perché si lavora in certe
condizioni?
Ho sempre letto molto e questo mi aiutava, però,
come diceva Lazzati, l'humus è il lavoro, lavorando capisci quello che non va e
io mi ero reso conto strada facendo che gli operai lavoravano in condizioni
disagiate, che addirittura non c'erano i bagni per loro.
Ho sempre frequentato la parrocchia di San Protaso,
partecipavo alle iniziative dell'Azione cattolica e ho fatto per qualche anno
il catechismo ai ragazzini. Erano ancora gli anni di Pio XII e alcuni amici
delle Acli mi coinvolsero in una discussione sulla realtà dell’associazione,
sulla sua presenza nella società e ho compreso che il circolo della nostra
parrocchia si stava spegnendo. Io consideravo l’azione delle Acli importante ma
non sufficiente perché per me il luogo delle battaglie per il cambiamento del
lavoro era il sindacato e la fabbrica. Però per sostenere il circolo nel 1955
ho deciso di iscrivermi, quasi subito sono diventato presidente e da allora lo
sono stato praticamente a vita. Ho lasciato nel 1969 quando sono andato alle
Acli provinciali e sono tornato quindici anni dopo.
Nel periodo in cui non c'ero il circolo è stato
cacciato dalla parrocchia a causa delle posizioni che aveva assunto, allora
abbiamo cercato una sede e l'abbiamo trovata in uno scantinato delle case popolari.
Per ventisette anni abbiamo avuto il problema che lì non si fidavano tanto di
noi perché eravamo quelli della Chiesa e la parrocchia non si fidava di noi
perché eravamo sicuramente dei comunisti, ma nonostante questo abbiamo fatto
tantissime iniziative.
Facevo le pratiche di patronato. Mi documentavo
molto, seguivo i materiali prodotti dalle Acli e dal sindacato e cercavo di
essere sempre informato. Leggevo i libri della Locusta di don Mazzolari,
l'umanesimo integrale dei francesi ma anche molto altro. Spesso letture
all'apparenza disordinate ma agganciate tra di loro, dal Manifesto del Partito
comunista alla Rerum novarum. Conosco
a memoria le encicliche sociali e andavo in altri circoli a fare degli incontri
sulla dottrina sociale.
Al congresso delle Acli del 1966 ero delegato. In
quel momento le Acli erano veramente movimento operaio cristiano perché erano
riuscite a combinare i due aspetti: se uno va a lavorare, è sfruttato e i suoi
diritti sono negati, la Chiesa afferma che questo è inaccettabile e quindi ti
devi dare da fare perché la situazione cambi. In questo senso il legame tra
Chiesa e mondo del lavoro nasce naturalmente. Mentre studi l'insegnamento della
Chiesa, vivi l'esperienza dell'oratorio, delle Acli e della fabbrica senza
nessuna dissociazione. A volte in oratorio mi accoglievano dicendo “ecco che è
arrivato l’operaio” perché portavo all'attenzione delle persone il problema del
lavoro. Io ho sempre visto la spiritualità delle Acli più di tipo parrocchiale.
Nel primo discorso di Pio XII alle Acli, in parte
ispirato da Montini, il papa afferma che le Acli sono cellule dell'apostolato
cristiano nel mondo del lavoro, e da lì nasce un'idea delle Acli come
associazione tuttofare dove le diverse idee sono tutte legittime, dove
messaggio evangelico e dottrina sociale della Chiesa non sono in
contraddizione. Ebbene, io non ho mai vissuto una contraddizione della
gerarchia tra il dover essere nella Chiesa in relazione alla sua missione nel
il mondo del lavoro. Direi quasi che il limite della Cgil e del Partito
comunista era proprio quello di avere scartato a priori il messaggio
evangelico, una autoesclusione che però non c'era nella fabbrica. Ho condiviso
questa esperienza della Chiesa non contrapposta agli interessi degli operai,
semmai il problema non era la gerarchia ma le comunità parrocchiali cittadine
fatte in gran parte da persone non operaie che non avevano una sensibilità sul
problema del lavoro e lì ho avuto delle difficoltà. Si faceva confusione tra
occuparsi dei problemi del lavoro e il comunismo, noi eravamo comunistelli di
sacrestia o cattocomunisti solamente perché si riteneva che certe
rivendicazioni, la voglia di cambiare, fossero in contraddizione con il
messaggio evangelico. In realtà è
proprio il messaggio evangelico che ti dà la spinta a cambiare. Figure come
padre Turoldo, don Tonino Bello, monsignor Oscar Romero fino al cardinal
Martini sono espressione di un rapporto positivo della Chiesa con il mondo del
lavoro. Ma c'è sempre stata la paura del rosso e si continua in questa separazione.
Nei confronti di tutti i documenti di pastorale sociale della Chiesa c'è sempre
stata l'accusa di filo marxismo.
Una volta in Duomo, in occasione della veglia di
preghiera della sera prima del 1° maggio con il cardinal Martini ho detto che
forse bisognava chiudere le porte del Duomo e fare uscire i presenti alla
veglia solo la mattina successiva per partecipare alla manifestazione
sindacale.
Il lavoro è preghiera, la manifestazione è
preghiera. Immaginare che si stia ad ascoltare la voce dei lavoratori in chiesa
ma non si possa tutti insieme manifestare per i propri diritti è una visione
sbagliata. Io non immagino Dio chiuso nelle chiese.
Nel 1967 Pietro Praderi mi ha proposto di fare il
vice presidente del patronato provinciale e ho accettato. Dopo due anni in cui
ero fuori tutte le sere per partecipare a incontri sulla riforma delle pensioni
che si stava preparando, al congresso del 1969 ho ricevuto molti voti. Praderi
è diventato presidente e io sono stato eletto nella presidenza con l'incarico di
amministratore. Le Acli allora avevano 650 dipendenti. Ho chiesto sei mesi di
aspettativa e a fine anno ho abbandonato definitivamente la fabbrica.
Dopo aver lasciato gli incarichi nella presidenza
provinciale nel 1982 ho continuato a lavorare come segretario dell'associazione
artigiana degli orafi fino a quando sono andato in pensione. Però non sono mai
uscito dalle Acli, perché se mi trovo in un luogo nel quale sono libero di
continuare a sviluppare le mie idee non vedo perché lo debba lasciare. Non ho mai
sentito un distacco. Le Acli mi sono entrate nel sangue come una tossina
positiva e sono tornato nel mio vecchio circolo.