domenica 8 gennaio 2023

Teresio Ferraroni (3): l'unità sindacale

Conversazioni con Mons. Ferraroni. Interviste fatte in occasione della realizzazione del libro "Lo sciopero di Giacomo" (1995) e del video per i 50 anni della Cisl di Lecco "Vietato calpestare le idee" (2000).

Non c'erano altri nuclei di lavoratori organizzati nelle fabbriche lecchesi, oltre ai raggi. Gli ideali più diffusi erano quelli marxisti. Quest'idea largamente accolta non creava l'urgenza di dare vita a nuovi gruppi. Era quasi scontato che gli operai seguissero il movimento comunista e socialista e questo sorse più come organizzazione cittadina che non localizzato nelle diverse aziende, come avvenne invece per i raggi. C'erano i gruppi partigiani, certo, i Gap. Nascevano con un obiettivo molto preciso: cacciare i tedeschi, riconquistare la democrazia. E il movimento operaio lecchese sostenne i sacrifici per la battaglia di liberazione cominciata nell'autunno del 1943. Ed ebbe i suoi deportati, i suoi morti nei campi di concentramento tedeschi.

Furono ventisei i lavoratori della Rocco Bonaiti portati a Mauthausen. Ne tornarono sette. Erano scesi in sciope­ro alle dieci del mattino del 7 marzo 1944 per protestare contro la scarsità di viveri e i bassi salari. Con loro, al suono della sirena di prova dell'allarme aereo, si erano fermati la Badoni, la File, il Caleotto e l'Arlenico. Cessato lo sciopero nelle altre fabbriche, alla Rocco Bonaiti decisero di proseguire. Nel primo pomeriggio i fascisti, giunti da Como armati di mitra e bombe a mano, costrinsero i lavoratori a radunarsi sul piazzale. Con una corda legarono ventiquattro uomini e cinque donne e li fecero sfilare per le vie di Lecco. Domenica venti marzo per ventisei di loro un lungo viaggio in treno si concluse nel campo di concentramento austriaco. Fu uno degli ultimi, feroci atti compiuti da un regime giunto ormai alla fine.

Anche queste vittime contribuirono a creare un forte spirito unitario tra gli operai: nelle fabbriche si cominciava a respirare il sapore della libertà e si pensava a come riorganizzarsi. Nel giorno stesso della liberazione, Flavio Albizzati venne nominato segretario del nuovo sindacato unitario. Le tre grandi correnti sindacali - cristiana, socialista e comunista - erano già forti e scelsero un uomo che prima del fascismo era stato segretario della Fiom, l'or­ganizzazione dei metalmeccanici per il nord della Lombardia. Pur non vivendo a Lecco, nel 1919-20 aveva diretto anche la locale Lega dei Metallurgici.

Nel comprensorio lecchese l'unità sindacale non incontrò ostacoli. La sinistra la sosteneva. I cattolici, con­vinti del valore dell'unità, vi aderirono senza discussione. I raggi bianchi si trasformarono in nuclei aziendali e insieme diedero vita alle Acli.

La Confederazione generale italiana del lavoro - nata il tre giugno 1944 con il Patto di Roma firmato da Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari - cominciava così il suo breve cammino. A livello nazionale era nata come creatura dei partiti democratici. In provincia, nelle aree dove i fascisti comandarono fino alla fine, il sindacato come organismo di difesa dei diritti dei lavoratori cominciò a organizzarsi solo dopo la liberazione.

A Lecco, dove ancora si sentiva l'eredità delle vecchie organizzazioni operaie socialiste e cattoliche, il sindacato unitario non faticò a sorgere. I lavoratori si presentavano spontaneamente in via Ongania, alla Camera del lavoro, per iscriversi e le adesioni furono numerose fin dall'inizio. Il gruppo dirigente si mise subito al lavoro per dare gambe al nuovo sindacato e già il sei agosto del '45 veniva realizzato un accordo con l'Unione industriali lecchese che regolamentava la vita delle commissioni interne e tutelava la loro attività. Furono organizzate sottoscrizioni per sostenere la scuola professionale, l'Elip, chiedendo a padroni e lavoratori un'ora del loro salario. Si pensò a equipaggiare la Croce Rossa di due autoambulanze e a ricostruire il tetto del ricovero per anziani "Airoldi e Muzzi".

In quei mesi la milizia di partito non strideva ancora con l'appartenenza al sindacato. L'adesione era a un sindacato unitario e, allo stesso tempo, al proprio partito, senza che si manifestassero contraddizioni. Ma fu un'esperienza di breve durata. L'unità sindacale e l'unità antifascista furono la stessa cosa e quando gli equilibri politici nati dalla resistenza si ruppero, anche le intese dentro la Cgil si frantumarono fragorosamente. Al congresso di Firenze, nel giugno del 1947, si ebbe una prima frattura fra sinistra e corrente cristiana sulla questione degli scioperi politici. L'anno successivo, in occasione dell'attentato a Togliatti e delle polemiche sugli scioperi che ne seguirono, il primo sindacato unitario dei lavoratori italiani pose fine al suo breve cammino.

In due anni, a Lecco, l'organizzazione sindacale era cresciuta molto. In occasione del primo e unico congresso provinciale, in preparazione di quello nazionale di Firenze, la Cgil unitaria contava 44 mila iscritti. La maggioranza relativa era della corrente cristiana, che raggiunse le 10.560 preferenze. Seguivano i socialisti, con 10.012 voti, e i comunisti con 9.728.

Racconta don Teresio che il movimento operaio cattolico l'unità l'aveva accolta bene. Si sentiva l'influenza di Achille Grandi, comasco, primo presidente delle Acli, uno degli artefici dell'unità. I parroci sapevano che la Santa Sede aveva dato il suo nulla osta all'adesione dei cattolici al sindacato unitario. I vescovi avevano posto la condizione che il mondo cattolico avesse una sua organizzazione capace di fermentare l'unità sindacale: le Acli, appunto. Nel primo comitato che nacque a Lecco la corrente cristiana era presente con due rappresentanti.

In un primo tempo le Acli e la corrente cristiana nel sindacato coincidevano: con comunisti e socialisti le opinioni erano spesso divergenti e non era facile mettersi d'accordo sulle metodologie di intervento dentro le fabbriche, ma grossi scontri non ci furono mai e le contrapposizioni non furono mai drammatiche. Quando si arrivò alla rottura del '48, don Teresio ci rimase male. Si era sentito estromesso, con una decisione arrivata dall'alto. Era l'assistente delle Acli, ed essendone stato l'iniziatore, aveva parecchia influenza e ottimi rapporti con Gabriele Invernizzi, con il quale si davano del tu. Ma il Paese cercava una nuova strada, gli avvenimenti esterni si imponevano ed erano più forti della loro amicizia. E fu rottura anche a Lecco.

Ma non si fermò, don Teresio. Subita, piuttosto che accettata, la decisione, si buttò subito nel nuovo impegno. Si doveva costruire una nuova organizzazione, una nuova autonomia con i pochi mezzi che c'erano. La bicicletta era stata sostituita dal Cardellino 65 cc. Si spostava instancabilmente da Colico alla Brianza, fino a Casatenovo, fino a Lomagna. La vecchia rete dei nuclei aziendali riprese a girare a pieno ritmo. Le informazioni passavano di fabbrica in fabbrica, di parrocchia in parrocchia. Nel volgere di poco tempo la corrente cristiana diventò sindacato.

Al Cardellino sostituì il Galletto e finalmente, nel 1956, la prima automobile, la 600. Ma lo stesso anno don Teresio lasciava Lecco per Sesto San Giovanni, la città operaia. Serviva la sua esperienza.