Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono
nato il 13.11.1939 a Olginate, abitavo in una frazione a Consonno e ho
frequentato le elementari in pluriclasse perché eravamo pochi ragazzi. La mia era
una famiglia contadina di mezza collina, numerosissima, una famiglia allargata
di 25 persone, credenti, di ambiente cattolico.
Durante
la guerra è stato nascosto a casa mia per quindici mesi un “ribelle”, un
socialista che non andava a messa e discuteva animatamente con mio padre, che
però lo ha protetto per tutto quel tempo. Mio papà è morto nel 1946 in un
incidente sul lavoro in campagna, travolto dalla slitta trainata dai buoi.
Ho
iniziato a lavorare nel febbraio del 1952, avevo dodici anni compiuti da poco,
occupato in una aziendina "Invernizzi e Mutazzi" che esiste ancora e
uno dei soci oggi è mio genero. Si fabbricavano le molle che servivano per
chiudere i vasi per le conserve.
Mi ricordo che in occasione di un San Pietro e
Paolo, che allora era festa, abbiamo lavorato per 24 ore di fila, dal sabato
alla domenica mattina. Sono rimasto lì per due anni, lavorando in nero, anche
se avrei potuto fare il libretto di lavoro perché ero il sostegno di famiglia.
Da lì sono andato in un’altra piccola azienda dove sono stato assunto con i
libri, ma sono rimasto solo due mesi perché nel frattempo, grazie al sostegno
dell'Enaoli, l’Ente nazionale per l’assistenza agli orfani dei lavoratori
italiani, nel maggio del 1954 sono stato assunto alla Sae come manovale comune.
Sono rimasto in Sae fino a quando sono uscito per il sindacato l'1 gennaio
1964. Quando ho lasciato la Sae ho posto come condizione al sindacato la
partecipazione al corso lungo alla scuola Cisl di Firenze. Uscito a gennaio, a ottobre
ho cominciato a frequentare il corso lungo per sei mesi.
Il
primo impegno è stato quello di operatore di zona per la Fim a Merate, fino a
quando nel '69 è arrivato Rino Caviglioli e sono passato a fare il responsabile
della zona di Lecco, entrando in segreteria provinciale. Fino a quel momento
c'era stata una segreteria a quattro, con Paolo Nardini segretario generale,
Primo Negri vicesegretario a pieno tempo, e due segretari che lavoravano in
fabbrica. Con l'arrivo di Caviglioli, che ha sostituito Nardini, tutti e
quattro i componenti avevano il ruolo di segretario senza che nessuno fosse il
segretario generale, con la firma affidata a Negri che aspirava a fare il
numero uno. Dopo qualche mese che ci eravamo insediati siamo andati io e lui a
fare un picchetto alla Black & Decker, c'era un po' di tensione, i
carabinieri hanno estratto la pistola e la Cgil ha cavalcato la situazione. Si
decise di fare un manifesto contro quel gesto, ma a causa del manifesto siamo
stati denunciati. A quel punto si pose il problema di chi rappresentasse la
Fim. Negri si sottrasse e quindi fu chiaro che non poteva essere lui il leader della
Fim. Incarico che sarà assunto al congresso successivo da Caviglioli.
Nel
gennaio 1971, quando Caviglioli è entrato in segreteria nazionale della Fim, io
sono diventato il segretario generale di Lecco. Dopo tre mesi volevo
abbandonare l'incarico. Alla fine di un incontro unitario di Fim Fiom Uilm sono
stato invitato a pranzo da Caviglioli e Pierre Carniti e in quell’occasione ho
chiesto di andare a fare l'operatore di zona a Sesto San Giovanni. Conoscevo
Sesto perché molti lavoratori e delegati sindacali Fim di Sesto San Giovanni
arrivavano dal meratese. Carniti è stato irremovibile, mi ha detto di non
preoccuparmi che ce l'avrei sicuramente fatta e di rimanere a Lecco. E così è
stato. Nel 1976, quando Nardini è entrato a tempo pieno nella segreteria della
Cisl regionale, sono diventato segretario generale della Cisl di Lecco. Tra i
candidati per quel ruolo c'era Franco Giorgi, che era stato in segreteria con
Nardini, ma Mario Colombo mi ha imposto di candidarmi e così il 1° aprile di
quell'anno ho assunto il nuovo incarico. Nell'ottobre del 1981 sono entrato
nella segreteria regionale della Cisl, fino al 1993. Dopo dodici anni sono
andato a fare il segretario della Cisl di Monza, per tre anni, per risolvere
una questione locale. Superata quella fase ho cessato il mio impegno sindacale.
Alla
Sae le difficili vicende successive al periodo bellico avevano visto i
lavoratori allontanarsi dal sindacato e c'è stato sostanzialmente un periodo di
vuoto. La prima iniziativa sindacale da quando sono entrato in fabbrica è stata
uno sciopero nel 1959. Io però conoscevo già il sindacato perché partecipavo
alle iniziative delle Acli. Ero iscritto alle Acli del mio paese e quando a
Lecco hanno dato vita a un corso di formazione che prevedeva incontri serali
per una durata di due anni ho partecipato. L'animatore era don Aldo Farina e ci
spiegavano l'economia, che cos'è il sindacato, la storia. Queste cose mi
appassionavano e poi per me era l'occasione per riprendere in mano qualche
libro, perché dalla fine della scuola al massimo leggevo la Gazzetta, che prendevo
da qualcuno perché soldi per comperarla non ne avevo. Don Aldo a mezzogiorno di
un giorno fisso della settimana riuniva gli scritti alle Acli e ai nuclei
aziendali. Ci si incontrava appena fuori dalla fabbrica ad Aquate, con dei
momenti di preghiera, e poi si parlava dei problemi del lavoro e sociali. Era
la preparazione a un impegno. Poi la Cisl ha costituito il movimento giovanile
del sindacato e alle Acli hanno detto che bisognava iscriversi al sindacato.
Facevamo anche qui dei corsi di formazione e mi ricordo che ho incontrato Sandro
Antoniazzi, che una domenica mattina è venuto a tenere un incontro con i
giovani della Cisl. In quel periodo in azienda non si faceva ancora niente. Il
mio impegno è iniziato quando mi sono candidato per la commissione interna. C'era
il rinnovo della commissione, che era il segno che qualcosa stava cambiando, e
io mi sono candidato di mia iniziativa. Solo successivamente un anziano
dell'azienda si è avvicinato a me e mi ha sostenuto. Ero il più giovane della
commissione e uno che rappresentava il sindacato giallo e aveva i baffi diceva
che avevano messo in lista un ragazzo. Gli ho risposto che non era necessario
avere i baffi per candidarsi e un operaio che era lì vicino, che mi aveva
sentito, mi ha detto che ero stato bravo a rispondergli e che mi avrebbe
votato. Il mio primo impegno è stato quello di spezzare il clima che c'era in
fabbrica, non c'era ad esempio l'abitudine di fare il verbale delle riunioni
della commissione interna. Io, che partecipavo sempre, alla sera passavo dalla
sede sindacale e vedevo i commissari del Caleotto che facevano battere il
verbale delle loro riunioni, così ho cominciato a chiedere che anche noi ne
facessimo uno. Alla mia proposta il capo del personale ha sottolineato che quella
era una novità, ma quando ho detto che l'avrei fatto io ha subito reagito
affermando che ci avrebbe pensato lui. Un giorno, guardando negli armadi nella
sala della commissione interna ho trovato un quadro di Matteotti, l'ho preso e
l'ho appeso al muro e quando il capo è arrivato nella saletta ha guardato un
po' e ha detto: “Si capisce che c'è qualcosa di nuovo”.
Il
giorno in cui sono andato a ritirare la busta paga subito dopo la mia elezione
a commissario, all'ufficio del personale, insieme alla busta, mi hanno dato una
tessera del calcio Lecco. Quando l’ho vista ho detto all'impiegata che non
avevo prenotato nessuna tessera, ma un'altra impiegata che stava alle spalle di
questa ha detto che essendo della commissione interna mi spettava. Chi era in
fila dietro di me ha visto e sentito tutto quanto, al che sono andato in
reparto e ho chiesto ai miei colleghi come comportarmi, indeciso se tenerla o
restituirla, ma loro mi hanno detto che avremmo dovuto tenerla e se la sono presa.
La vicenda ha creato un problema e la Cgil ha dovuto fare un volantino per
spiegare che cosa era successo, perché gli altri commissari la ricevevano già da
tempo senza che nessuno sapesse niente.
La
prima questione di cui mi sono occupato concretamente è stata la decisione sulla
sottoscrizione di un'ora o due a favore dei colpiti dal disastro del Vajont.
In
occasione del 25º di fondazione dell'azienda la direzione ha organizzato una
visita alla fabbrica di Napoli invitando la commissione interna. Ho fatto
presente che magari gli operai avrebbero potuto arrabbiarsi con noi, ma uno dei
vecchi della commissione mi ha detto di non esagerare. La direzione però ha
capito il problema e ha deciso di invitare anche alcuni degli anziani della
fabbrica.
Nella
zona dove ero impegnato, nella seconda metà degli anni Sessanta c'era stata una
crisi pesante, pesava anche il contratto del 1966 firmato in condizioni di debolezza,
c'erano molte aziendine piccole e la preoccupazione principale era legata ai
problemi di quell'area. Sentivo gli echi di quello che iniziava a muoversi
nella società, in particolare grazie al racconto che gli operai che abitavano
in quella zona e lavoravano a Milano riportavano nelle riunioni che facevamo la
sera o il sabato. Ma a partire dal ‘68 e nel 1969 la partecipazione è cresciuta
notevolmente anche da noi, molti chiedevano di fare il sindacalista, in
particolare i giovani iniziavano a muoversi anche nelle fabbriche più piccole.
Prima del rinnovo del contratto nazionale del 1969 è partita una lunga serie di
contrattazione aziendale che chiedeva sostanzialmente aumenti salariali. Qualche
anno dopo abbiamo iniziato ad occuparci di ambiente e di altre questioni, per
qualificare maggiormente le piattaforme, ma prima il tema erano i soldi.
I
padroni tendevano a scoraggiare l'impegno e la combattività dei lavoratori. Mi
ricordo la situazione in una piccola azienda a Barzanò dove un gruppo di
giovani si era dato da fare eleggendo due delegati e si doveva avviare una
trattativa con la proprietà, ma il padrone non ci convocava mai dicendo che non
aveva tempo. Una volta gli ho ribattuto che ero disponibile anche la domenica e
lui mi ha fissato l'appuntamento una domenica pomeriggio.
In
quegli anni i padroni prendevano anche provvedimenti disciplinari con l'obiettivo
di frenare l'azione dei lavoratori e abbiamo avuto molte denunce.
In
quel periodo nascono i gruppi i extraparlamentari, i Cub, ma da noi non c'è
stata una grande presenza, si sono fatti sentire poco, abbiamo visto i seguaci
di Servire il popolo fare una manifestazione, ma complessivamente è stato poca
cosa.
Nei
primi anni Settanta avevamo assunto in categoria una ragazza, una delle prime
che veniva a lavorare al sindacato, una delegata della zona che seguivo io. Brava,
ma che si era infatuata di Lotta continua e qualcuno mi ha chiesto di mandarla
via, i più scatenati erano coloro che facevano riferimento al Partito
comunista. Lei seguiva anche la formazione e a Chiuro, dove si tenevano i
corsi, tracciati sui muri della casa si era passati dagli slogan politici a quelli
triviali a sfondo sessuale. Più volte ho chiesto a un delegato di andare in
Valtellina a cancellare le scritte. Dopo un po' mi ha detto che era stufo di
andare su a coprire le sciocchezze e a quel punto le ho detto che doveva
lasciare.
Ero
profondamente unitario e a Lecco abbiamo partecipato a uno sciopero che inizialmente
era stato proclamato dalla sola Cgil cui poi si era aggiunta la Fim di Milano. Il
tema erano le pensioni. Mi ricordo che Caviglioli mi disse che se fosse andata
male ci avrebbero licenziati entrambi. Fin dal 1968 abbiamo iniziato a fare
iniziative unitarie e l'unità col tempo è andata crescendo e noi come Fim
abbiamo fatto il congresso di scioglimento. Probabilmente abbiamo fatto la
prima tessera unitaria della Flm con la Fiom, la Uilm non c'era. Avevamo un
solo responsabile per la formazione e un solo responsabile della stampa,
facevamo bollettini unitari e stampavamo materiale unitario. Quando nel 1974
siamo arrivati alla federazione Cgil-Cisl-Uil l'abbiamo vissuta come un freno
al processo unitario. Dentro la Fim la scelta dell'unità era convinta e noi
eravamo schierati con convinzione con Carniti. A sostegno delle sue tesi
c'erano gli alimentaristi, i tessili, ma si può dire che l'insieme
dell'organizzazione in Cisl a Lecco non ha avuto nessun problema a livello
locale. Qualche mugugno, ma senza nessuno scontro. C'era un po' di polemica
portata avanti degli edili, ma questo perché il segretario aveva ragioni sue
particolari.
Uno
dei temi forti delle rivendicazioni sindacali di quegli anni è stato quello
dell'egualitarismo, noi chiedevamo sempre aumenti uguali per tutti. Il tema
nuovo era l'ambiente di lavoro che andava dalla carta igienica, alla tuta, ai
guanti, all'ambiente in senso stretto. Più avanti si è costituito il nucleo di
medicina del lavoro con verifiche all'interno dei luoghi di lavoro sulle
malattie professionali e sulla sicurezza dei macchinari. Più avanti ancora
abbiamo cominciato a porre il problema del contributo dell'1%, abbiamo fatto
degli incontri con l'Unione industriali per finanziare gli asili nido e le
mense interaziendali.
L'approvazione
dello Statuto dei lavoratori ha cambiato il modo di fare sindacato. Noi
metalmeccanici abbiamo conquistato il diritto all'assemblea nel contratto del
1969, ma a Lecco avanzavamo questa richiesta già prima. Si facevano le assemblee
durante gli scioperi per il contratto che chiedeva questo diritto forzando le
situazioni. In diverse piccole aziende, peraltro, spesso il padrone evitava di
fare opposizione e ci lasciava entrare senza problemi. La mia prima assemblea
in fabbrica è stata alla Fiocchi, dove c'era un padrone che si sentiva un po'
un ducetto e abbiamo dovuto aprire i cancelli. Successivamente al contratto,
durante una vertenza abbiamo dovuto forzare la mano alla Guzzi, dove il
cancello rimaneva chiuso e il mio collega della Cgil lo ha saltato entrando in
fabbrica. A quel punto anch'io, seppure non molto convinto di quel gesto, ho
scavalcato il cancello perché non potevo essere da meno della Cgil. Dentro
c'erano le guardie, ma ci hanno lasciato fare e abbiamo aperto il cancello.
L'esperienza
sindacale è stata un periodo arricchente e incredibile che mi dava il senso di
fare qualcosa di utile. Mi ricordo la conclusione di una trattativa alla Fomas,
dove probabilmente ero apparso particolarmente brillante, e il giovane
padroncino è venuto a chiedermi di fare il capo ufficio vendite dell'azienda.
Abbiamo avuto un incontro per parlarne, ma non mi consideravo adatto e se ci
penso mi considero fortunato ad aver rifiutato perché con l'esperienza
sindacale mi si è aperto il mondo davanti. Un impegno gratificante sul piano
dei rapporti umani. È stata anche l'occasione per crescere, appena c'era
un'opportunità per imparare io mi buttavo. Mentre ero in commissione interna mi
sono iscritto ad un corso per diventare saldatore e ho preso il diploma. Quando
nel 1958,’59 la Sae ha organizzato dei corsi di lingue straniere mi sono
iscritto a francese.
Durante
alcune vertenze dure che ho dovuto affrontare mi interrogavo su quello che stavo
facendo, perché ero io che provocavo quelle situazioni. Ad esempio alla Moto
Guzzi, quando abbiamo occupato la sala consiliare del Comune di Mandello per 35
o 40 giorni, con Cesare Golfari al congresso della Dc che ci ha sparato contro,
oppure la vertenza alla Sae, con il Decanato che ha distribuito un foglietto
per dire una preghiera per i lavoratori della Sae.
Mi
sono sempre guardato bene dall'espormi sul versante della politica, l'unica
volta in cui l'ho fatto è stato in occasione del referendum sul divorzio. Non
so perché, ma era considerato più anti democristiano Nardini di me, io mi
tenevo alla larga dalle vicende dei partiti, era anche un modo di essere
rispettoso nei confronti dei vecchi attivisti che erano quasi tutti vicini alla
Dc. Non penso che la politica potesse condizionare più di tanto l'azione della
Cisl. Quando sono diventato segretario generale a Lecco ha incontrato i partiti
solo per presentarmi.
I
valori e le scelte della Cisl hanno segnato l'esperienza sindacale, hanno
impiegato un po' a riconoscerlo ma poi lo hanno ammesso tutti. Al Centro studi
mi hanno insegnato a contrattare i premi di risultato, con lo schema del P su
H. Gli operai traducevano questo in una richiesta di aumenti salariali, ma dove
c'erano le condizioni sono riuscito a introdurre qualche elemento di
valutazione dell'andamento produttivo. L'egualitarismo era una cosa nostra,
l'autonomia è stato il valore principale che abbiamo sostenuto, anche se poi
magari non era sempre così lineare, un valore vero che ha costretto anche la
Cgil a prendere atto della necessità di un comportamento simile, che ha
lasciato un segno nell'esperienza sindacale. E poi le scelte di politica
economica come le proposte di Tarantelli, un modo di fare sindacato che
guardava avanti. Quando andavo a fare un'assemblea per spiegare la necessità di
bloccare la scala mobile ho avuto tante bacchettate da parte della Cgil, ma quella
è stata una grande scelta riconosciuta in ritardo da tutti. Anche il tema della
concertazione, un modo di fare sindacato che secondo me ha inciso. C'è sempre
stato dentro la Cisl maggior respiro, un orizzonte più ampio anche grazie ai
rapporti internazionali che la Cisl manteneva.