giovedì 16 luglio 2020

ANTONIO GILARDI 2 - Fim Lecco - Cisl Lecco, Lombardia

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016

Sono nato il 13.11.1939 a Olginate, abitavo in una frazione a Consonno e ho frequentato le elementari in pluriclasse perché eravamo pochi ragazzi. La mia era una famiglia contadina di mezza collina, numerosissima, una famiglia allargata di 25 persone, credenti, di ambiente cattolico.
Durante la guerra è stato nascosto a casa mia per quindici mesi un “ribelle”, un socialista che non andava a messa e discuteva animatamente con mio padre, che però lo ha protetto per tutto quel tempo. Mio papà è morto nel 1946 in un incidente sul lavoro in campagna, travolto dalla slitta trainata dai buoi.
Ho iniziato a lavorare nel febbraio del 1952, avevo dodici anni compiuti da poco, occupato in una aziendina "Invernizzi e Mutazzi" che esiste ancora e uno dei soci oggi è mio genero. Si fabbricavano le molle che servivano per chiudere i vasi per le conserve. 

Mi ricordo che in occasione di un San Pietro e Paolo, che allora era festa, abbiamo lavorato per 24 ore di fila, dal sabato alla domenica mattina. Sono rimasto lì per due anni, lavorando in nero, anche se avrei potuto fare il libretto di lavoro perché ero il sostegno di famiglia. Da lì sono andato in un’altra piccola azienda dove sono stato assunto con i libri, ma sono rimasto solo due mesi perché nel frattempo, grazie al sostegno dell'Enaoli, l’Ente nazionale per l’assistenza agli orfani dei lavoratori italiani, nel maggio del 1954 sono stato assunto alla Sae come manovale comune. Sono rimasto in Sae fino a quando sono uscito per il sindacato l'1 gennaio 1964. Quando ho lasciato la Sae ho posto come condizione al sindacato la partecipazione al corso lungo alla scuola Cisl di Firenze. Uscito a gennaio, a ottobre ho cominciato a frequentare il corso lungo per sei mesi.
Il primo impegno è stato quello di operatore di zona per la Fim a Merate, fino a quando nel '69 è arrivato Rino Caviglioli e sono passato a fare il responsabile della zona di Lecco, entrando in segreteria provinciale. Fino a quel momento c'era stata una segreteria a quattro, con Paolo Nardini segretario generale, Primo Negri vicesegretario a pieno tempo, e due segretari che lavoravano in fabbrica. Con l'arrivo di Caviglioli, che ha sostituito Nardini, tutti e quattro i componenti avevano il ruolo di segretario senza che nessuno fosse il segretario generale, con la firma affidata a Negri che aspirava a fare il numero uno. Dopo qualche mese che ci eravamo insediati siamo andati io e lui a fare un picchetto alla Black & Decker, c'era un po' di tensione, i carabinieri hanno estratto la pistola e la Cgil ha cavalcato la situazione. Si decise di fare un manifesto contro quel gesto, ma a causa del manifesto siamo stati denunciati. A quel punto si pose il problema di chi rappresentasse la Fim. Negri si sottrasse e quindi fu chiaro che non poteva essere lui il leader della Fim. Incarico che sarà assunto al congresso successivo da Caviglioli.
Nel gennaio 1971, quando Caviglioli è entrato in segreteria nazionale della Fim, io sono diventato il segretario generale di Lecco. Dopo tre mesi volevo abbandonare l'incarico. Alla fine di un incontro unitario di Fim Fiom Uilm sono stato invitato a pranzo da Caviglioli e Pierre Carniti e in quell’occasione ho chiesto di andare a fare l'operatore di zona a Sesto San Giovanni. Conoscevo Sesto perché molti lavoratori e delegati sindacali Fim di Sesto San Giovanni arrivavano dal meratese. Carniti è stato irremovibile, mi ha detto di non preoccuparmi che ce l'avrei sicuramente fatta e di rimanere a Lecco. E così è stato. Nel 1976, quando Nardini è entrato a tempo pieno nella segreteria della Cisl regionale, sono diventato segretario generale della Cisl di Lecco. Tra i candidati per quel ruolo c'era Franco Giorgi, che era stato in segreteria con Nardini, ma Mario Colombo mi ha imposto di candidarmi e così il 1° aprile di quell'anno ho assunto il nuovo incarico. Nell'ottobre del 1981 sono entrato nella segreteria regionale della Cisl, fino al 1993. Dopo dodici anni sono andato a fare il segretario della Cisl di Monza, per tre anni, per risolvere una questione locale. Superata quella fase ho cessato il mio impegno sindacale.

Alla Sae le difficili vicende successive al periodo bellico avevano visto i lavoratori allontanarsi dal sindacato e c'è stato sostanzialmente un periodo di vuoto. La prima iniziativa sindacale da quando sono entrato in fabbrica è stata uno sciopero nel 1959. Io però conoscevo già il sindacato perché partecipavo alle iniziative delle Acli. Ero iscritto alle Acli del mio paese e quando a Lecco hanno dato vita a un corso di formazione che prevedeva incontri serali per una durata di due anni ho partecipato. L'animatore era don Aldo Farina e ci spiegavano l'economia, che cos'è il sindacato, la storia. Queste cose mi appassionavano e poi per me era l'occasione per riprendere in mano qualche libro, perché dalla fine della scuola al massimo leggevo la Gazzetta, che prendevo da qualcuno perché soldi per comperarla non ne avevo. Don Aldo a mezzogiorno di un giorno fisso della settimana riuniva gli scritti alle Acli e ai nuclei aziendali. Ci si incontrava appena fuori dalla fabbrica ad Aquate, con dei momenti di preghiera, e poi si parlava dei problemi del lavoro e sociali. Era la preparazione a un impegno. Poi la Cisl ha costituito il movimento giovanile del sindacato e alle Acli hanno detto che bisognava iscriversi al sindacato. Facevamo anche qui dei corsi di formazione e mi ricordo che ho incontrato Sandro Antoniazzi, che una domenica mattina è venuto a tenere un incontro con i giovani della Cisl. In quel periodo in azienda non si faceva ancora niente. Il mio impegno è iniziato quando mi sono candidato per la commissione interna. C'era il rinnovo della commissione, che era il segno che qualcosa stava cambiando, e io mi sono candidato di mia iniziativa. Solo successivamente un anziano dell'azienda si è avvicinato a me e mi ha sostenuto. Ero il più giovane della commissione e uno che rappresentava il sindacato giallo e aveva i baffi diceva che avevano messo in lista un ragazzo. Gli ho risposto che non era necessario avere i baffi per candidarsi e un operaio che era lì vicino, che mi aveva sentito, mi ha detto che ero stato bravo a rispondergli e che mi avrebbe votato. Il mio primo impegno è stato quello di spezzare il clima che c'era in fabbrica, non c'era ad esempio l'abitudine di fare il verbale delle riunioni della commissione interna. Io, che partecipavo sempre, alla sera passavo dalla sede sindacale e vedevo i commissari del Caleotto che facevano battere il verbale delle loro riunioni, così ho cominciato a chiedere che anche noi ne facessimo uno. Alla mia proposta il capo del personale ha sottolineato che quella era una novità, ma quando ho detto che l'avrei fatto io ha subito reagito affermando che ci avrebbe pensato lui. Un giorno, guardando negli armadi nella sala della commissione interna ho trovato un quadro di Matteotti, l'ho preso e l'ho appeso al muro e quando il capo è arrivato nella saletta ha guardato un po' e ha detto: “Si capisce che c'è qualcosa di nuovo”.
Il giorno in cui sono andato a ritirare la busta paga subito dopo la mia elezione a commissario, all'ufficio del personale, insieme alla busta, mi hanno dato una tessera del calcio Lecco. Quando l’ho vista ho detto all'impiegata che non avevo prenotato nessuna tessera, ma un'altra impiegata che stava alle spalle di questa ha detto che essendo della commissione interna mi spettava. Chi era in fila dietro di me ha visto e sentito tutto quanto, al che sono andato in reparto e ho chiesto ai miei colleghi come comportarmi, indeciso se tenerla o restituirla, ma loro mi hanno detto che avremmo dovuto tenerla e se la sono presa. La vicenda ha creato un problema e la Cgil ha dovuto fare un volantino per spiegare che cosa era successo, perché gli altri commissari la ricevevano già da tempo senza che nessuno sapesse niente.
La prima questione di cui mi sono occupato concretamente è stata la decisione sulla sottoscrizione di un'ora o due a favore dei colpiti dal disastro del Vajont.
In occasione del 25º di fondazione dell'azienda la direzione ha organizzato una visita alla fabbrica di Napoli invitando la commissione interna. Ho fatto presente che magari gli operai avrebbero potuto arrabbiarsi con noi, ma uno dei vecchi della commissione mi ha detto di non esagerare. La direzione però ha capito il problema e ha deciso di invitare anche alcuni degli anziani della fabbrica.

Nella zona dove ero impegnato, nella seconda metà degli anni Sessanta c'era stata una crisi pesante, pesava anche il contratto del 1966 firmato in condizioni di debolezza, c'erano molte aziendine piccole e la preoccupazione principale era legata ai problemi di quell'area. Sentivo gli echi di quello che iniziava a muoversi nella società, in particolare grazie al racconto che gli operai che abitavano in quella zona e lavoravano a Milano riportavano nelle riunioni che facevamo la sera o il sabato. Ma a partire dal ‘68 e nel 1969 la partecipazione è cresciuta notevolmente anche da noi, molti chiedevano di fare il sindacalista, in particolare i giovani iniziavano a muoversi anche nelle fabbriche più piccole. Prima del rinnovo del contratto nazionale del 1969 è partita una lunga serie di contrattazione aziendale che chiedeva sostanzialmente aumenti salariali. Qualche anno dopo abbiamo iniziato ad occuparci di ambiente e di altre questioni, per qualificare maggiormente le piattaforme, ma prima il tema erano i soldi.

I padroni tendevano a scoraggiare l'impegno e la combattività dei lavoratori. Mi ricordo la situazione in una piccola azienda a Barzanò dove un gruppo di giovani si era dato da fare eleggendo due delegati e si doveva avviare una trattativa con la proprietà, ma il padrone non ci convocava mai dicendo che non aveva tempo. Una volta gli ho ribattuto che ero disponibile anche la domenica e lui mi ha fissato l'appuntamento una domenica pomeriggio.
In quegli anni i padroni prendevano anche provvedimenti disciplinari con l'obiettivo di frenare l'azione dei lavoratori e abbiamo avuto molte denunce.

In quel periodo nascono i gruppi i extraparlamentari, i Cub, ma da noi non c'è stata una grande presenza, si sono fatti sentire poco, abbiamo visto i seguaci di Servire il popolo fare una manifestazione, ma complessivamente è stato poca cosa.
Nei primi anni Settanta avevamo assunto in categoria una ragazza, una delle prime che veniva a lavorare al sindacato, una delegata della zona che seguivo io. Brava, ma che si era infatuata di Lotta continua e qualcuno mi ha chiesto di mandarla via, i più scatenati erano coloro che facevano riferimento al Partito comunista. Lei seguiva anche la formazione e a Chiuro, dove si tenevano i corsi, tracciati sui muri della casa si era passati dagli slogan politici a quelli triviali a sfondo sessuale. Più volte ho chiesto a un delegato di andare in Valtellina a cancellare le scritte. Dopo un po' mi ha detto che era stufo di andare su a coprire le sciocchezze e a quel punto le ho detto che doveva lasciare.

Ero profondamente unitario e a Lecco abbiamo partecipato a uno sciopero che inizialmente era stato proclamato dalla sola Cgil cui poi si era aggiunta la Fim di Milano. Il tema erano le pensioni. Mi ricordo che Caviglioli mi disse che se fosse andata male ci avrebbero licenziati entrambi. Fin dal 1968 abbiamo iniziato a fare iniziative unitarie e l'unità col tempo è andata crescendo e noi come Fim abbiamo fatto il congresso di scioglimento. Probabilmente abbiamo fatto la prima tessera unitaria della Flm con la Fiom, la Uilm non c'era. Avevamo un solo responsabile per la formazione e un solo responsabile della stampa, facevamo bollettini unitari e stampavamo materiale unitario. Quando nel 1974 siamo arrivati alla federazione Cgil-Cisl-Uil l'abbiamo vissuta come un freno al processo unitario. Dentro la Fim la scelta dell'unità era convinta e noi eravamo schierati con convinzione con Carniti. A sostegno delle sue tesi c'erano gli alimentaristi, i tessili, ma si può dire che l'insieme dell'organizzazione in Cisl a Lecco non ha avuto nessun problema a livello locale. Qualche mugugno, ma senza nessuno scontro. C'era un po' di polemica portata avanti degli edili, ma questo perché il segretario aveva ragioni sue particolari.

Uno dei temi forti delle rivendicazioni sindacali di quegli anni è stato quello dell'egualitarismo, noi chiedevamo sempre aumenti uguali per tutti. Il tema nuovo era l'ambiente di lavoro che andava dalla carta igienica, alla tuta, ai guanti, all'ambiente in senso stretto. Più avanti si è costituito il nucleo di medicina del lavoro con verifiche all'interno dei luoghi di lavoro sulle malattie professionali e sulla sicurezza dei macchinari. Più avanti ancora abbiamo cominciato a porre il problema del contributo dell'1%, abbiamo fatto degli incontri con l'Unione industriali per finanziare gli asili nido e le mense interaziendali.

L'approvazione dello Statuto dei lavoratori ha cambiato il modo di fare sindacato. Noi metalmeccanici abbiamo conquistato il diritto all'assemblea nel contratto del 1969, ma a Lecco avanzavamo questa richiesta già prima. Si facevano le assemblee durante gli scioperi per il contratto che chiedeva questo diritto forzando le situazioni. In diverse piccole aziende, peraltro, spesso il padrone evitava di fare opposizione e ci lasciava entrare senza problemi. La mia prima assemblea in fabbrica è stata alla Fiocchi, dove c'era un padrone che si sentiva un po' un ducetto e abbiamo dovuto aprire i cancelli. Successivamente al contratto, durante una vertenza abbiamo dovuto forzare la mano alla Guzzi, dove il cancello rimaneva chiuso e il mio collega della Cgil lo ha saltato entrando in fabbrica. A quel punto anch'io, seppure non molto convinto di quel gesto, ho scavalcato il cancello perché non potevo essere da meno della Cgil. Dentro c'erano le guardie, ma ci hanno lasciato fare e abbiamo aperto il cancello.

L'esperienza sindacale è stata un periodo arricchente e incredibile che mi dava il senso di fare qualcosa di utile. Mi ricordo la conclusione di una trattativa alla Fomas, dove probabilmente ero apparso particolarmente brillante, e il giovane padroncino è venuto a chiedermi di fare il capo ufficio vendite dell'azienda. Abbiamo avuto un incontro per parlarne, ma non mi consideravo adatto e se ci penso mi considero fortunato ad aver rifiutato perché con l'esperienza sindacale mi si è aperto il mondo davanti. Un impegno gratificante sul piano dei rapporti umani. È stata anche l'occasione per crescere, appena c'era un'opportunità per imparare io mi buttavo. Mentre ero in commissione interna mi sono iscritto ad un corso per diventare saldatore e ho preso il diploma. Quando nel 1958,’59 la Sae ha organizzato dei corsi di lingue straniere mi sono iscritto a francese.
Durante alcune vertenze dure che ho dovuto affrontare mi interrogavo su quello che stavo facendo, perché ero io che provocavo quelle situazioni. Ad esempio alla Moto Guzzi, quando abbiamo occupato la sala consiliare del Comune di Mandello per 35 o 40 giorni, con Cesare Golfari al congresso della Dc che ci ha sparato contro, oppure la vertenza alla Sae, con il Decanato che ha distribuito un foglietto per dire una preghiera per i lavoratori della Sae.

Mi sono sempre guardato bene dall'espormi sul versante della politica, l'unica volta in cui l'ho fatto è stato in occasione del referendum sul divorzio. Non so perché, ma era considerato più anti democristiano Nardini di me, io mi tenevo alla larga dalle vicende dei partiti, era anche un modo di essere rispettoso nei confronti dei vecchi attivisti che erano quasi tutti vicini alla Dc. Non penso che la politica potesse condizionare più di tanto l'azione della Cisl. Quando sono diventato segretario generale a Lecco ha incontrato i partiti solo per presentarmi.

I valori e le scelte della Cisl hanno segnato l'esperienza sindacale, hanno impiegato un po' a riconoscerlo ma poi lo hanno ammesso tutti. Al Centro studi mi hanno insegnato a contrattare i premi di risultato, con lo schema del P su H. Gli operai traducevano questo in una richiesta di aumenti salariali, ma dove c'erano le condizioni sono riuscito a introdurre qualche elemento di valutazione dell'andamento produttivo. L'egualitarismo era una cosa nostra, l'autonomia è stato il valore principale che abbiamo sostenuto, anche se poi magari non era sempre così lineare, un valore vero che ha costretto anche la Cgil a prendere atto della necessità di un comportamento simile, che ha lasciato un segno nell'esperienza sindacale. E poi le scelte di politica economica come le proposte di Tarantelli, un modo di fare sindacato che guardava avanti. Quando andavo a fare un'assemblea per spiegare la necessità di bloccare la scala mobile ho avuto tante bacchettate da parte della Cgil, ma quella è stata una grande scelta riconosciuta in ritardo da tutti. Anche il tema della concertazione, un modo di fare sindacato che secondo me ha inciso. C'è sempre stato dentro la Cisl maggior respiro, un orizzonte più ampio anche grazie ai rapporti internazionali che la Cisl manteneva.