giovedì 16 luglio 2020

VINCENZO GUARAGNO - Snamprogetti, San Donato (Mi)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Ho iniziato a lavorare a sedici anni a Bari, come commesso nel settore del commercio, poi sono venuto a Milano e sono stato assunto alla Snamprogetti nel novembre del 1970 e sono rimasto lì fino al 2000. Nel primo posto di lavoro ho fatto una breve esperienza sindacale anche se il settore era molto complicato, difficile, perché non era un supermercato ma un negozio con due commessi e quattro padroni. Mi sono subito iscritto al sindacato anche perché mio padre era un attivista della Cisl degli edili e aveva insegnato a me e a mio fratello che quando si lavora bisogna iscriversi al sindacato, in particolare alla Cisl. In quel negozio sono rimasto fino a tutto il 1969.
Alla Snam sono stato inserito nel settore dei servizi generali al centro stampa dove, in una società di ingegneria come la Snamprogetti che in quegli anni aveva tantissimo lavoro e non c'erano le tecnologie di oggi, si producevano tonnellate di carta in disegni, fotocopie che dovevano essere organizzate e rese utilizzabili. Sono stato assunto come operaio e dopo circa sette anni sono passato impiegato e sono stato trasferito alla gestione progetti. Dove, all'inizio, mi occupavo essenzialmente di parti di ricambio.
Nel reparto stampa, al mio ingresso eravamo una trentina di lavoratori, sei o sette persone valide e il resto erano o assunzioni obbligatorie o personale che per vari motivi di salute o altro rientrava dai cantieri. Avveniva così in quasi tutto l'Eni, non solo nella mia azienda, i servizi generali erano un luogo dove si collocavano quelle persone che non potevano più svolgere le loro mansioni originarie. Il reparto successivo dove sono stato occupato si chiamava Gec, Gestione commesse, in pratica una volta che veniva assegnato un progetto c'era un team che stava sul cantiere e uno che stava nella sede per soddisfare tutte le esigenze del cantiere. Su ogni commessa si creavano team diversi per quantità e qualità del personale in base al rilievo e alla complessità del progetto. Sono rimasto in quel settore fino a metà degli anni Ottanta, poi è stato avviato un ufficio che si occupava di editing, cioè preparare la documentazione finale su come deve essere gestito un nuovo impianto, di fatto un manuale di istruzioni. Concretamente si trattava di centinaia di volumi dei quali bisognava fare un certo numero di copie e io ero il coordinatore di un gruppo di quattro persone che organizzava questo lavoro.
Sono stato in missione in Grecia, in Inghilterra, sono stato parecchio tempo in Egitto ad Alessandria, ma andavo e tornavo, a volte per un weekend, a volte per qualche settimana, ma non ero un uomo di cantiere, qualche volta per occuparmi del problema dei ricambi, ma spesso per definire le modalità di realizzazione dei manuali di istruzione.

Organizzazione del lavoro
Quando sono entrato in Snamprogetti a San Donato ci lavoravano circa duemila persone. L'azienda aveva tre filiali a Fano, Vibo e Roma. Complessivamente nel momento di massima espansione dell'occupazione eravamo circa 3.800, quattromila addetti. Quando sono uscito eravamo ridotti a circa tremila. Occorre però precisare che mentre il personale di sede era fisso, assunto con contratti a tempo indeterminato, per quanto riguarda la realizzazione dei progetti si assumevano delle persone a termine che erano occupate solo fino alla conclusione dell'opera.
All'interno dell'Eni la mia azienda è stata un fiore all'occhiello, ma allo stesso tempo non eravamo core business perché noi facevamo costruzione di impianti e a un certo punto una società di ingegneria non è più servita all'Eni.

Sindacato
Quattro giorni dopo il mio arrivo in Snam mi hanno tesserato alla Cisl. Al mio ingresso sono arrivate subito due persone sollecitandomi l’iscrizione, ma io ho detto che non erano quelli giusti e che ne dovevano arrivare altri e così è stato. Sono stato eletto delegato nel primo consiglio di fabbrica che ha sostituito le commissioni interne nel 1972. Sono rimasto delegato per parecchio tempo e intanto sono entrato a far parte dei vari consigli generali a diversi livelli, anche di un consiglio nazionale della Flerica. Nell'ambito del consiglio di fabbrica, che era composto da ventuno delegati eletti più nove nominati, c'erano un esecutivo, di cui facevo parte anch'io, e una segreteria operativa composta da un rappresentante ciascuno di Cgil, Cisl e Uil ed erano questi tre che andavano al confronto con l'azienda. C'era un coordinamento tra le Rsu dei diversi stabilimenti e quando si faceva contrattazione si coinvolgevano tutti e quattro gli impianti. La Cgil aveva la maggioranza, anche se non era schiacciante, negli ultimi anni si è ulteriormente rafforzata, ma ora i rapporti di forza si sono abbastanza riequilibrati. Quando ho lasciato la fabbrica ho continuato a impegnarmi nel sindacato per la Cisl.
In azienda non ci sono mai state altre presenze sindacali, mentre negli anni Settanta molti hanno aderito ai gruppi extraparlamentari che a volte hanno avuto anche una presenza significativa. C'era un Collettivo Eni con posizioni molto radicali. Era una presenza diffusa in tutte le aziende del gruppo e quando decidevano di fare un'iniziativa, essendo persone preparate e capaci di gestire le assemblee, riuscivano a monopolizzare l'attenzione dei lavoratori. Pochi erano iscritti al sindacato, qualcuno aveva la tessera Cgil e qualcun altro della Cisl, e riuscivano a condizionare l'azione sindacale, ma nelle elezioni dei delegati non prendevano voti. Abbiamo avuto anche la presenza di brigatisti tra di noi, coinvolti in un omicidio a Milano, e un nostro collega è stato arrestato direttamente in azienda.
I primi anni Ottanta noi non avevamo il contratto dell'Eni, avevamo un “contratto bianco” che non faceva riferimento a nessun contratto nazionale, eravamo più vicini ai metalmeccanici che non ai chimici. Alla fine siamo confluiti anche noi in quello dei chimici. Su questo tema ci sono state parecchie iniziative molto seguite, con un'alta partecipazione dei lavoratori. Quando si affrontavano temi di carattere generale le assemblee erano comunque sempre partecipate, ma se si decideva di fare scioperi e manifestazioni allora la partecipazione era più limitata.

Relazioni industriali
In azienda tra noi e il capo del personale c'era una figura intermedia di responsabile delle relazioni sindacali, per cui noi dovevamo prima parlare con questa persona e se si riusciva a risolvere il problema bene altrimenti saremmo andati al livello successivo. L'organizzazione imprenditoriale dell'Eni non era la Confindustria, l'Eni aveva un suo sindacato che si chiamava Asap. Quando l’Asap è stata sciolta tutto il personale è stato distribuito fra le varie aziende del gruppo e in tutte è stato creato l'ufficio relazioni sindacali e così ci siamo trovati di fronte non più un collega come prima ma un professionista. Comunque l'ascolto delle nostre ragioni c'è sempre stato, anche se molte volte i problemi erano affrontati a livello regionale o nazionale e non in azienda. Anche le trattative di secondo livello che si facevano in azienda avvenivano con la supervisione del nazionale. In termini generali il rapporto tra sindacato interno e azienda è stato sicuramente positivo, anche se sulle decisioni veramente importanti non era in azienda che si decideva.
La disponibilità al confronto c'era sempre. Nessuno mai in azienda ha creato problemi alla nostra azione sindacale. Pochissime volte sono stati fatti scioperi per i contratti. Scioperi molto duri ne abbiamo fatti solo quando abbiamo chiesto di passare dal contratto bianco a quello dell'Eni. Per la prima volta si sono viste le camionette della polizia e dei carabinieri, erano gli anni caldi, però una volta ottenuto il passaggio tutto si è tranquillizzato ed è rientrato nella normale dialettica sindacale.

Contrattazione
I nostri luoghi di lavoro erano uffici costruiti in quegli anni, così come la gran parte dell'Eni, e le condizioni ambientali erano generalmente buone e se c'era qualche manutenzione da fare l'azienda non risparmiava su questo. Sono stato anche Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e ci siamo scontrati con l'azienda perché volevamo un'aria migliore negli uffici, salvo poi scoprire che l'aria esterna era peggiore di quella interna. Non abbiamo fatto una vera e propria vertenza, ma certamente delle belle discussioni.
Ci occupavamo anche dei problemi della sicurezza di tutte le attività che la Snamprogetti svolgeva in Italia. Con l'azienda concordavamo sei o sette visite all'anno e noi rappresentanti dei lavoratori, insieme a dirigenti dell'azienda, andavamo a fare le visite di verifica. Alcune volte ci sono state delle emergenze, abbiamo dovuto spiegare ai lavoratori che le regole vanno seguite. Su questo tema avevamo un interlocutore specifico che era il Rappresentante del datore di lavoro per la sicurezza e quasi mai il rapporto è stato conflittuale e, pur cambiando più volte il nostro interlocutore, la linea aziendale generalmente è stata positiva.
Orari e flessibilità. Su queste questioni ci sono stati problemi all'interno delle Rsu perché avevamo valutazioni diverse su che cosa si dovesse chiedere all'azienda, però a San Donato siamo stati i primi a realizzare un orario di lavoro elastico che oggi, a distanza di vent'anni, è applicato nel 95% delle aziende. Si è stabilita una fascia di presenza obbligatoria per tutti e quattro i centri italiani. Per il resto c'era la possibilità di entrare la mattina dalle 8,15 alle 9, fare un intervallo da 45 a 115 minuti a pranzo, e uscire dalle 17 alle 18,30. Tutto quello che eventualmente si faceva in più rispetto all'orario contrattuale veniva accantonato in uno strumento che abbiamo chiamato “zainetto” e poteva essere utilizzato in base alle esigenze delle persone. Abbiamo fatto una trattativa ed è stato firmato un accordo. Ci sono stati dei contrasti su come considerare le brevi indisposizioni. Al momento della firma la situazione era che chi non stava bene telefonava in ufficio e poi rimaneva a casa, con l'accordo l'azienda ha preteso che per quelle assenze fosse utilizzato lo zainetto.
Premio di produzione. Non abbiamo mai avuto la necessità di fare scioperi per il premio, anche perché a livello centrale si stabiliva qual era la cifra disponibile e poi in azienda si definivano i parametri di riferimento sulle ore lavorate, sulle assenze e così via. C'era una commissione tecnica, e io ne ho fatto parte per parecchi anni, che stabiliva i parametri, però agivamo su mandato del nazionale e l'accordo aveva la firma congiunta delle Rsu e del sindacato nazionale.
L'organizzazione del lavoro è dell'azienda e l'azienda non ha mai voluto che noi ci intromettessimo. Però tutte le volte che c'era una riorganizzazione di uffici o significative modifiche, gli ordini di servizio venivano illustrati al sindacato. Nei processi di ristrutturazione ci sono state cessioni di rami d'azienda, su alcune eravamo abbastanza d'accordo, su altre un po' meno. E’ il caso, ad esempio, della fusione tra Snamprogetti e Saipem, due aziende del gruppo Eni che facevano più o meno la stessa cosa - parliamo dei terminali marini che la Snam progettava la Saipem realizzava – e si è deciso di fonderle non all'interno di una delle due aziende bensì dando vita ad una nuova società esterna, seppure conservando il nome Saipem. I lavoratori che sono stati trasferiti nella nuova azienda erano preoccupati perché non erano più parte del gruppo Eni e in caso di difficoltà si sarebbero trovati soli. Altro esempio è quella della esternalizzazione dei servizi generali, che prima venivano fatti all'interno delle diverse aziende del gruppo, come la gestione della sala posta, il reparto riproduzioni, l'ufficio viaggi. Di queste persone ne sono rimaste ben poche perché pian piano gli affitti di ramo d'azienda sono diventati cessioni. Snam ha garantito l'appalto per un certo numero di anni, dopo di che queste aziende sono andate sul mercato. E questo è successo con lavoratori di professionalità medio alta e in alcuni casi anche molto alta. Ad esempio l'Ict. Tutta la parte operativa è stata trasferita, prima sono andati in un'azienda, poi sono finiti nella Hp e a un certo punto, quando hanno iniziato ad avere problemi, questi lavoratori sono stati posti in mobilità e per i nostri colleghi non c'è stato praticamente nulla da fare. Quando invece la cessione del ramo di attività veniva fatta a un'altra azienda all'interno del gruppo non ci sono stati problemi particolari. Erano scelte definite nell'ambito di Eni sulle quali il sindacato ha sempre discusso, ma che se non comportavano una riduzione di manodopera venivano normalmente accettate.
Per due volte c'è stata una revisione del sistema classificatorio. In queste occasioni ci sono pochissimi che ci guadagnano e molti che vedono invece allungarsi i tempi di un'eventuale possibilità di carriera. Avevamo dieci categorie che sono diventate otto, ma all'interno delle singole categorie è stato inserito un livello che si chiama “crea” e quindi per passare da una categoria all'altra ci voleva più tempo di prima. Su questi passaggi abbiamo aperto molte vertenze, ma non ci sono mai stati veti categorici da parte dei responsabili. In occasione dei due cambi del sistema classificatorio si sono fatte delle apposite sessioni di verifica dove ognuno di noi portava dieci nominativi di persone che si riteneva non fossero correttamente inquadrate nel nuovo sistema. L'azienda ascoltava e dopo dieci giorni portava le sue controdeduzioni accogliendo alcune richieste e respingendone altre. Noi ci impegnavamo per alcuni casi e si ottenevano dei risultati.

Welfare aziendale
Al mio ingresso in Snamprogetti c'era un istituto che si chiamava Fondo sociale, che era gestito dal sindacato e riceveva il contributo dell'azienda e del lavoratore. Adesso questo istituto si chiama Fasen (Fondo attività e servizi sociali energia Eni). Inizialmente il Fondo interveniva genericamente sulla solidarietà, destinando risorse a fondo perduto a chi aveva dei problemi. C'erano tanti consigli di Fasen per ciascuna delle aziende del gruppo Eni, ognuno con un proprio consiglio di amministrazione. Il fondo nazionale assegnava per ogni azienda un contributo che questi dovevano gestirsi in autonomia. Ad un certo punto le segreterie nazionali dei sindacati dei chimici hanno sciolto i consigli aziendali sostituendoli con quattro nuovi: uno nazionale, uno del Nord, uno del Centro e uno del Sud. Io sono stato nel consiglio del Fasen della Snamprogetti e poi in quello del Nord dove ero vicepresidente vicario. L'azienda metteva dei soldi ma non partecipava alla gestione delle risorse che era affidata totalmente ai lavoratori e quindi alle organizzazioni sindacali. Il consiglio del Fasen del Nord era composto da ventuno persone perché doveva avere al proprio interno rappresentanti di tutti gli impianti, che erano molti. In questo modo le risorse disponibili sono aumentate e pertanto abbiamo deciso di ampliare la nostra azione anche sul terreno sanitario e abbiamo promosso delle campagne di check-up per tutti i lavoratori. Oggi anche la solidarietà si è allargata alle molte difficoltà che possono avere le persone: da chi ha uno sfratto a chi è vittima del gioco e altro ancora. Il Fasen organizza anche dei corsi di inglese o francese per i figli dei dipendenti in college o case, coprendo gran parte delle spese.
Fino agli anni Ottanta l’Eni aveva l'abitudine di dare dei pacchi dono ai propri dipendenti a Natale, alla Befana per i bambini, a chi si sposava dava una coperta Lanerossi oppure la cucina a gas. Di quel welfare non c'è più nulla. Anche il cral aziendale non c'è più. L'unica cosa rimasta è il Trofeo della neve, che è un grande appuntamento che riunisce colleghi di tutte le aziende italiane e anche di quelle che stanno all'estero, che si sfidano in tutte le specialità dello sport della neve.
Le colonie esistono ancora, ma sono molto ridimensionate. Ci sono dei campeggi in montagna, però la gestione è completamente affidata all'esterno, anche la selezione di chi ha diritto di partecipare. Una volta c'era la commissione welfare interna che aveva questo compito e doveva anche controllare le condizioni delle strutture dove venivano mandati i giovani. Personalmente sono andato un paio di volte a Bocca di Cadore.
Quando c'è stata la privatizzazione dell'Eni è stato possibile avere un anticipo sul Tfr per acquistare le azioni. Io l'ho fatto e per me è stato molto conveniente.