Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Ho
iniziato a lavorare a sedici anni a Bari, come commesso nel settore del
commercio, poi sono venuto a Milano e sono stato assunto alla Snamprogetti nel
novembre del 1970 e sono rimasto lì fino al 2000. Nel primo posto di lavoro ho fatto
una breve esperienza sindacale anche se il settore era molto complicato,
difficile, perché non era un supermercato ma un negozio con due commessi e
quattro padroni. Mi sono subito iscritto al sindacato anche perché mio padre
era un attivista della Cisl degli edili e aveva insegnato a me e a mio fratello
che quando si lavora bisogna iscriversi al sindacato, in particolare alla Cisl.
In quel negozio sono rimasto fino a tutto il 1969.
Alla
Snam sono stato inserito nel settore dei servizi generali al centro stampa
dove, in una società di ingegneria come la Snamprogetti che in quegli anni
aveva tantissimo lavoro e non c'erano le tecnologie di oggi, si producevano
tonnellate di carta in disegni, fotocopie che dovevano essere organizzate e
rese utilizzabili. Sono stato assunto come operaio e dopo circa sette anni sono
passato impiegato e sono stato trasferito alla gestione progetti. Dove, all'inizio,
mi occupavo essenzialmente di parti di ricambio.
Nel
reparto stampa, al mio ingresso eravamo una trentina di lavoratori, sei o sette
persone valide e il resto erano o assunzioni obbligatorie o personale che per
vari motivi di salute o altro rientrava dai cantieri. Avveniva così in quasi
tutto l'Eni, non solo nella mia azienda, i servizi generali erano un luogo dove
si collocavano quelle persone che non potevano più svolgere le loro mansioni
originarie. Il reparto successivo dove sono stato occupato si chiamava Gec, Gestione
commesse, in pratica una volta che veniva assegnato un progetto c'era un team
che stava sul cantiere e uno che stava nella sede per soddisfare tutte le
esigenze del cantiere. Su ogni commessa si creavano team diversi per quantità e
qualità del personale in base al rilievo e alla complessità del progetto. Sono
rimasto in quel settore fino a metà degli anni Ottanta, poi è stato avviato un
ufficio che si occupava di editing, cioè preparare la documentazione finale su
come deve essere gestito un nuovo impianto, di fatto un manuale di istruzioni.
Concretamente si trattava di centinaia di volumi dei quali bisognava fare un
certo numero di copie e io ero il coordinatore di un gruppo di quattro persone
che organizzava questo lavoro.
Sono
stato in missione in Grecia, in Inghilterra, sono stato parecchio tempo in
Egitto ad Alessandria, ma andavo e tornavo, a volte per un weekend, a volte per
qualche settimana, ma non ero un uomo di cantiere, qualche volta per occuparmi
del problema dei ricambi, ma spesso per definire le modalità di realizzazione
dei manuali di istruzione.
Organizzazione del lavoro
Quando
sono entrato in Snamprogetti a San Donato ci lavoravano circa duemila persone.
L'azienda aveva tre filiali a Fano, Vibo e Roma. Complessivamente nel momento
di massima espansione dell'occupazione eravamo circa 3.800, quattromila
addetti. Quando sono uscito eravamo ridotti a circa tremila. Occorre però
precisare che mentre il personale di sede era fisso, assunto con contratti a
tempo indeterminato, per quanto riguarda la realizzazione dei progetti si
assumevano delle persone a termine che erano occupate solo fino alla
conclusione dell'opera.
All'interno
dell'Eni la mia azienda è stata un fiore all'occhiello, ma allo stesso tempo
non eravamo core business perché noi facevamo costruzione di impianti e a un
certo punto una società di ingegneria non è più servita all'Eni.
Sindacato
Quattro
giorni dopo il mio arrivo in Snam mi hanno tesserato alla Cisl. Al mio ingresso
sono arrivate subito due persone sollecitandomi l’iscrizione, ma io ho detto
che non erano quelli giusti e che ne dovevano arrivare altri e così è stato.
Sono stato eletto delegato nel primo consiglio di fabbrica che ha sostituito le
commissioni interne nel 1972. Sono rimasto delegato per parecchio tempo e
intanto sono entrato a far parte dei vari consigli generali a diversi livelli,
anche di un consiglio nazionale della Flerica. Nell'ambito del consiglio di
fabbrica, che era composto da ventuno delegati eletti più nove nominati, c'erano
un esecutivo, di cui facevo parte anch'io, e una segreteria operativa composta
da un rappresentante ciascuno di Cgil, Cisl e Uil ed erano questi tre che
andavano al confronto con l'azienda. C'era un coordinamento tra le Rsu dei
diversi stabilimenti e quando si faceva contrattazione si coinvolgevano tutti e
quattro gli impianti. La Cgil aveva la maggioranza, anche se non era
schiacciante, negli ultimi anni si è ulteriormente rafforzata, ma ora i
rapporti di forza si sono abbastanza riequilibrati. Quando ho lasciato la
fabbrica ho continuato a impegnarmi nel sindacato per la Cisl.
In
azienda non ci sono mai state altre presenze sindacali, mentre negli anni Settanta
molti hanno aderito ai gruppi extraparlamentari che a volte hanno avuto anche
una presenza significativa. C'era un Collettivo Eni con posizioni molto
radicali. Era una presenza diffusa in tutte le aziende del gruppo e quando
decidevano di fare un'iniziativa, essendo persone preparate e capaci di gestire
le assemblee, riuscivano a monopolizzare l'attenzione dei lavoratori. Pochi
erano iscritti al sindacato, qualcuno aveva la tessera Cgil e qualcun altro
della Cisl, e riuscivano a condizionare l'azione sindacale, ma nelle elezioni
dei delegati non prendevano voti. Abbiamo avuto anche la presenza di brigatisti
tra di noi, coinvolti in un omicidio a Milano, e un nostro collega è stato
arrestato direttamente in azienda.
I
primi anni Ottanta noi non avevamo il contratto dell'Eni, avevamo un “contratto
bianco” che non faceva riferimento a nessun contratto nazionale, eravamo più
vicini ai metalmeccanici che non ai chimici. Alla fine siamo confluiti anche
noi in quello dei chimici. Su questo tema ci sono state parecchie iniziative
molto seguite, con un'alta partecipazione dei lavoratori. Quando si
affrontavano temi di carattere generale le assemblee erano comunque sempre
partecipate, ma se si decideva di fare scioperi e manifestazioni allora la
partecipazione era più limitata.
Relazioni industriali
In
azienda tra noi e il capo del personale c'era una figura intermedia di
responsabile delle relazioni sindacali, per cui noi dovevamo prima parlare con
questa persona e se si riusciva a risolvere il problema bene altrimenti saremmo
andati al livello successivo. L'organizzazione imprenditoriale dell'Eni non era
la Confindustria, l'Eni aveva un suo sindacato che si chiamava Asap. Quando l’Asap
è stata sciolta tutto il personale è stato distribuito fra le varie aziende del
gruppo e in tutte è stato creato l'ufficio relazioni sindacali e così ci siamo
trovati di fronte non più un collega come prima ma un professionista. Comunque
l'ascolto delle nostre ragioni c'è sempre stato, anche se molte volte i
problemi erano affrontati a livello regionale o nazionale e non in azienda.
Anche le trattative di secondo livello che si facevano in azienda avvenivano
con la supervisione del nazionale. In termini generali il rapporto tra
sindacato interno e azienda è stato sicuramente positivo, anche se sulle
decisioni veramente importanti non era in azienda che si decideva.
La
disponibilità al confronto c'era sempre. Nessuno mai in azienda ha creato
problemi alla nostra azione sindacale. Pochissime volte sono stati fatti
scioperi per i contratti. Scioperi molto duri ne abbiamo fatti solo quando abbiamo
chiesto di passare dal contratto bianco a quello dell'Eni. Per la prima volta
si sono viste le camionette della polizia e dei carabinieri, erano gli anni
caldi, però una volta ottenuto il passaggio tutto si è tranquillizzato ed è
rientrato nella normale dialettica sindacale.
Contrattazione
I
nostri luoghi di lavoro erano uffici costruiti in quegli anni, così come la
gran parte dell'Eni, e le condizioni ambientali erano generalmente buone e se
c'era qualche manutenzione da fare l'azienda non risparmiava su questo. Sono
stato anche Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e ci siamo scontrati
con l'azienda perché volevamo un'aria migliore negli uffici, salvo poi scoprire
che l'aria esterna era peggiore di quella interna. Non abbiamo fatto una vera e
propria vertenza, ma certamente delle belle discussioni.
Ci
occupavamo anche dei problemi della sicurezza di tutte le attività che la Snamprogetti
svolgeva in Italia. Con l'azienda concordavamo sei o sette visite all'anno e
noi rappresentanti dei lavoratori, insieme a dirigenti dell'azienda, andavamo a
fare le visite di verifica. Alcune volte ci sono state delle emergenze, abbiamo
dovuto spiegare ai lavoratori che le regole vanno seguite. Su questo tema
avevamo un interlocutore specifico che era il Rappresentante del datore di
lavoro per la sicurezza e quasi mai il rapporto è stato conflittuale e, pur
cambiando più volte il nostro interlocutore, la linea aziendale generalmente è
stata positiva.
Orari
e flessibilità. Su queste questioni ci sono stati problemi all'interno delle
Rsu perché avevamo valutazioni diverse su che cosa si dovesse chiedere
all'azienda, però a San Donato siamo stati i primi a realizzare un orario di
lavoro elastico che oggi, a distanza di vent'anni, è applicato nel 95% delle
aziende. Si è stabilita una fascia di presenza obbligatoria per tutti e quattro
i centri italiani. Per il resto c'era la possibilità di entrare la mattina
dalle 8,15 alle 9, fare un intervallo da 45 a 115 minuti a pranzo, e uscire
dalle 17 alle 18,30. Tutto quello che eventualmente si faceva in più rispetto
all'orario contrattuale veniva accantonato in uno strumento che abbiamo
chiamato “zainetto” e poteva essere utilizzato in base alle esigenze delle
persone. Abbiamo fatto una trattativa ed è stato firmato un accordo. Ci sono
stati dei contrasti su come considerare le brevi indisposizioni. Al momento
della firma la situazione era che chi non stava bene telefonava in ufficio e
poi rimaneva a casa, con l'accordo l'azienda ha preteso che per quelle assenze
fosse utilizzato lo zainetto.
Premio
di produzione. Non abbiamo mai avuto la necessità di fare scioperi per il
premio, anche perché a livello centrale si stabiliva qual era la cifra
disponibile e poi in azienda si definivano i parametri di riferimento sulle ore
lavorate, sulle assenze e così via. C'era una commissione tecnica, e io ne ho
fatto parte per parecchi anni, che stabiliva i parametri, però agivamo su
mandato del nazionale e l'accordo aveva la firma congiunta delle Rsu e del
sindacato nazionale.
L'organizzazione
del lavoro è dell'azienda e l'azienda non ha mai voluto che noi ci
intromettessimo. Però tutte le volte che c'era una riorganizzazione di uffici o
significative modifiche, gli ordini di servizio venivano illustrati al
sindacato. Nei processi di ristrutturazione ci sono state cessioni di rami
d'azienda, su alcune eravamo abbastanza d'accordo, su altre un po' meno. E’ il
caso, ad esempio, della fusione tra Snamprogetti e Saipem, due aziende del
gruppo Eni che facevano più o meno la stessa cosa - parliamo dei terminali
marini che la Snam progettava la Saipem realizzava – e si è deciso di fonderle
non all'interno di una delle due aziende bensì dando vita ad una nuova società
esterna, seppure conservando il nome Saipem. I lavoratori che sono stati
trasferiti nella nuova azienda erano preoccupati perché non erano più parte del
gruppo Eni e in caso di difficoltà si sarebbero trovati soli. Altro esempio è
quella della esternalizzazione dei servizi generali, che prima venivano fatti
all'interno delle diverse aziende del gruppo, come la gestione della sala
posta, il reparto riproduzioni, l'ufficio viaggi. Di queste persone ne sono
rimaste ben poche perché pian piano gli affitti di ramo d'azienda sono
diventati cessioni. Snam ha garantito l'appalto per un certo numero di anni,
dopo di che queste aziende sono andate sul mercato. E questo è successo con
lavoratori di professionalità medio alta e in alcuni casi anche molto alta. Ad
esempio l'Ict. Tutta la parte operativa è stata trasferita, prima sono andati
in un'azienda, poi sono finiti nella Hp e a un certo punto, quando hanno
iniziato ad avere problemi, questi lavoratori sono stati posti in mobilità e
per i nostri colleghi non c'è stato praticamente nulla da fare. Quando invece la
cessione del ramo di attività veniva fatta a un'altra azienda all'interno del
gruppo non ci sono stati problemi particolari. Erano scelte definite
nell'ambito di Eni sulle quali il sindacato ha sempre discusso, ma che se non
comportavano una riduzione di manodopera venivano normalmente accettate.
Per
due volte c'è stata una revisione del sistema classificatorio. In queste
occasioni ci sono pochissimi che ci guadagnano e molti che vedono invece
allungarsi i tempi di un'eventuale possibilità di carriera. Avevamo dieci
categorie che sono diventate otto, ma all'interno delle singole categorie è
stato inserito un livello che si chiama “crea” e quindi per passare da una categoria
all'altra ci voleva più tempo di prima. Su questi passaggi abbiamo aperto molte
vertenze, ma non ci sono mai stati veti categorici da parte dei responsabili.
In occasione dei due cambi del sistema classificatorio si sono fatte delle
apposite sessioni di verifica dove ognuno di noi portava dieci nominativi di
persone che si riteneva non fossero correttamente inquadrate nel nuovo sistema.
L'azienda ascoltava e dopo dieci giorni portava le sue controdeduzioni
accogliendo alcune richieste e respingendone altre. Noi ci impegnavamo per
alcuni casi e si ottenevano dei risultati.
Welfare aziendale
Al
mio ingresso in Snamprogetti c'era un istituto che si chiamava Fondo sociale,
che era gestito dal sindacato e riceveva il contributo dell'azienda e del
lavoratore. Adesso questo istituto si chiama Fasen (Fondo attività e servizi
sociali energia Eni). Inizialmente il Fondo interveniva genericamente sulla
solidarietà, destinando risorse a fondo perduto a chi aveva dei problemi.
C'erano tanti consigli di Fasen per ciascuna delle aziende del gruppo Eni, ognuno
con un proprio consiglio di amministrazione. Il fondo nazionale assegnava per
ogni azienda un contributo che questi dovevano gestirsi in autonomia. Ad un
certo punto le segreterie nazionali dei sindacati dei chimici hanno sciolto i
consigli aziendali sostituendoli con quattro nuovi: uno nazionale, uno del
Nord, uno del Centro e uno del Sud. Io sono stato nel consiglio del Fasen della
Snamprogetti e poi in quello del Nord dove ero vicepresidente vicario. L'azienda
metteva dei soldi ma non partecipava alla gestione delle risorse che era
affidata totalmente ai lavoratori e quindi alle organizzazioni sindacali. Il
consiglio del Fasen del Nord era composto da ventuno persone perché doveva
avere al proprio interno rappresentanti di tutti gli impianti, che erano molti.
In questo modo le risorse disponibili sono aumentate e pertanto abbiamo deciso
di ampliare la nostra azione anche sul terreno sanitario e abbiamo promosso
delle campagne di check-up per tutti i lavoratori. Oggi anche la solidarietà si
è allargata alle molte difficoltà che possono avere le persone: da chi ha uno
sfratto a chi è vittima del gioco e altro ancora. Il Fasen organizza anche dei
corsi di inglese o francese per i figli dei dipendenti in college o case,
coprendo gran parte delle spese.
Fino
agli anni Ottanta l’Eni aveva l'abitudine di dare dei pacchi dono ai propri
dipendenti a Natale, alla Befana per i bambini, a chi si sposava dava una
coperta Lanerossi oppure la cucina a gas. Di quel welfare non c'è più nulla.
Anche il cral aziendale non c'è più. L'unica cosa rimasta è il Trofeo della
neve, che è un grande appuntamento che riunisce colleghi di tutte le aziende italiane
e anche di quelle che stanno all'estero, che si sfidano in tutte le specialità
dello sport della neve.
Le
colonie esistono ancora, ma sono molto ridimensionate. Ci sono dei campeggi in
montagna, però la gestione è completamente affidata all'esterno, anche la
selezione di chi ha diritto di partecipare. Una volta c'era la commissione
welfare interna che aveva questo compito e doveva anche controllare le
condizioni delle strutture dove venivano mandati i giovani. Personalmente sono andato
un paio di volte a Bocca di Cadore.
Quando
c'è stata la privatizzazione dell'Eni è stato possibile avere un anticipo sul
Tfr per acquistare le azioni. Io l'ho fatto e per me è stato molto conveniente.