mercoledì 27 maggio 2020

GINO VILLA 2 - Vismara - Lecco

Testimonianza (bozza) raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Affettato misto. La storia di Giorgio, operaio e sindacalista alla Vismara”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2008

Sono entrato in Vismara il 2 settembre 1946. Avevo studiato e sono stato assunto come impiegato. Non so perché, ma sono passato attraverso il ragionier Isacchi, il capo del personale, andando a casa sua per chiedergli di essere assunto. Era il genero di Piero Scaletta, che era pretore a Lecco. Era un antifascista. Lui durante la Resistenza, con il supporto di Vismara, aiutava i partigiani.
Ugo Zino, segretario dei partigiani cristiani, racconta che nonostante la presenza in fabbrica di un piccolo presidio di tre tedeschi, Vismara ha ricevuto in azienda Mattei e alla Vismara c’era un gruppo di dipendenti, armati, legati alla resistenza che avevano l’impegno di difendere l’azienda, facevano parte delle brigate partigiane “con il fazzoletto  azzurro“, ed erano collegati al figlio minore Uberto Vismara. 

Il dott. Pessina il 23 aprile era già in piazza, figlio del farmacista di Villa Daverio, insieme all’Uberto Vismara aveva organizzato la difesa dello stabilimento.
Anch’io faceva parte di un gruppo partigiano armato che si riuniva in casa di don Giuseppe Parenti, coadiutore dell’oratorio San Giorgio negli anni della guerra, anche se non capivo bene cosa significasse.
Sono stato assunto all’ufficio personale. Ero molto contento di quel posto, avevo un contatto continuo con i dipendenti. Eravamo in sei o sette, ma i lavoratori venivano tutti da me quando c’era qualche errore in busta paga, oppure dovevano chiedere gli assegni familiari o i congedi quando si sposavano. Moltissimi, che nel periodo in cui sono rimasto in azienda, fino a tutti gli anni ’70, sono arrivati ad essere 2.500, compresa la Vister, li conosco ancora il loro numero di registrazione. Ancora oggi, quando trovo qualcuno, gli dico “tu eri il numero ….”. Mi piaceva moltissimo il rapporto con la gente.
Mi sono iscritto subito al sindacato. Nel 1949 facevo già parte del direttivo. Era molto difficile fare sindacato allora. Vismara ha sempre usato un sistema paternalistico. Io mi trovavo in una situazione più difficile rispetto ai comunisti. Essendo cattolico, democristiano come Vismara, per me è stato difficile. La carriera non mi interessava, però ho dovuto lasciare l’ufficio personale perché la mia posizione di sindacalista era incompatibile con quel lavoro. Ho lavorato 40 anni in azienda, dal ’46 all’86.

Gli operai erano specializzati ed erano bravissimi nel loro lavoro perché facevano solo quello.
C’erano diversi reparti dove le condizioni di lavoro erano difficili sia per il freddo, sia per l’umidità, sia per il caldo. Allora attraverso l’iniziativa sindacale è stata introdotta l’indennità di disagio mentre non è passata la tesi di lavorare meno. E’ stata comunque una conquista perché prima non c’era niente. Alla Vismara ci sono stati scioperi duri.
Nei primi tempi della Vister, nel ’48, ’49 si pensava di applicare in quello stabilimento il contratto dei chimici perché offriva condizioni migliori, ma si finì per fare un contratto aziendale unico.
Per il settore agroalimentare c’era un contratto unico, noi abbiamo sostenuto che era meglio dividerlo. Perché si potevano ottenere risultati migliori sfruttando la stagionalità di molti prodotti e quindi la possibilità di essere più forti nei momenti in cui maggiore erano le richieste del mercato. In base a questa impostazione abbiamo fatto i contratti e la nostra richiesta è stata accolta. I contratti venivano rinnovati ogni due anni. Sul finire degli anni Sessanta, in due tornate contrattuali si fece il percorso inverso passando da 17 contratti di settore, prima a tre raggruppamenti e poi al contratto unico degli alimentaristi.
Il contratto nazionale del settore alimentare si faceva alla Vismara, poi veniva ufficializzato a Roma. Negli anni ’50 ero a Roma per discutere di un rinnovo contrattuale, ma non si riusciva a trovare l’intesa. Così il sottoscritto, insieme a Francesco Vismara, Panzeri e Bianchi, segretario nazionale della Fulpia, ci siamo trovati al ristante “Il Griso” a mangiare e poi abbiamo discusso fino alle tre di notte e abbiamo fatto il contratto. Poi siamo andati a Roma e Ettore Calvi, che allora era sottosegretario al lavoro, si è arrabbiato moltissimo perché il contratto era già stato fatto senza la sua mediazione. 
In Vismara, mentre gli altri faticavano per raccogliere i bollini mensili di iscrizioni al sindacato, noi abbiamo ottenuto che si facesse la trattenuta direttamente in busta paga. Cosa che poi venne generalizzata a tutto il mondo del lavoro. Per questo siamo stati criticati moltissimo dalla Cisl di Lecco, perché in particolare i metalmeccanici non erano d’accordo. Però noi con quel sistema, e con i nostri 1.300 iscritti e più, siamo stati in grado di finanziare la Cisl di Lecco e anche il sindacato Fulpia nazionale.

Paternalismo voleva dire che Vincenzo Vismara faceva moltissimo per gli altri. Se una persona aveva bisogno di un’automobile per andare a trovare un ammalato o un’altra necessità, lui metteva a disposizione gratuitamente l’auto aziendale con l’autista. Tra le cose più significative che ha fatto c’era l’assunzione di persone con problemi fisici o psichici anche se non era obbligato, perché per lui era una grande opera sociale.
Il suo rapporto con il paese è sempre stato molto stretto. Luigi Vismara è stato vicesindaco. Numerose le iniziative a favore di Casatenovo. Dopo la guerra, ad esempio, siccome non c’era l’acqua potabile ci ha pensato lui a farla arrivare dall’azienda. Ha finanziato la costruzione dell’asilo. Ha sostenuto moltissime opere sociali di tutti i tipi.
Io, però, sono sempre stato profondamente contrario a queste cose, perché avevo letto su Aggiornamenti Sociali un articolo che diceva che il paternalismo poteva essere una cosa buona per chi lo attua, ma non per chi lo subisce. Sono stato assessore provinciale della Dc, segretario della Cisl di Lecco, ma non ho mai raccomandato nessuno perché credevo che non era giusto privilegiare qualcuno, perché questo toglieva un diritto ad altri.  
In azienda il metodo della raccomandazione era molto forte e utilizzato da qualcuno della mia parte, ma io non lo condividevo. Questo metodo influiva anche sull’azione sindacale. Veniva applicato anche nelle decisioni di aumentare la paga a qualcuno.
I Vismara erano cattolici convinti. Vincenzo ha dato soldi e sostegno a numerosi ordini religiosi. Don Carlo Vismara, rettore del collegio di Desio, fratello di Luigi e Vincenzo, ha ristrutturato l’intero collegio a spese della Vismara. Per anni, 7 o 8 muratori a libro paga della Vismara andavano a lavorare al collegio.
Lui ha aiutato tutti, la chiesa innanzitutto, ma anche altri. Ha finanziato la costruzione dell’asilo, è intervenuto nell’acquisto della casa di riposo Monzino.
Per la costruzione delle chiese nelle nuove parrocchie a Valaperta e Rogoredo i lavoratori che volevano versavano una giornata al mese e Vismara raddoppiava quei soldi. In questo modo ha contribuito con cifre notevoli.
Tutte le domeniche per molti anni Vincenzo Vismara a tutti coloro che si presentavano davanti al cancello della fabbrica distribuiva un sacchetto con dentro un salamino, dei ritagli e altro da mangiare. Arrivavano da tutte le parti, non meno di duecento, trecento persone tutte le domeniche. Lo distribuiva personalmente dopo la messa, davanti al suo stabilimento. A volte distribuiva anche dei soldi. Normalmente era gente che veniva da fuori, anche perché tutti quelli di Casatenovo erano stati assunti in azienda.
Indubbiamente questo paternalismo portava a far si che in fabbrica chi era dichiaratamente comunista non venisse assunto, anche se in azienda ce n’erano e col tempo la loro presenza è andata crescendo. Anche se occorre considerare che tutti i 70, 80 comuni della zona erano tutti amministrati dalla Dc e quindi la presenza dei comunisti era decisamente scarsa.
Colonie marine e montane. In un primo tempo erano organizzate dalle Acli.
Esercizi spirituali. Molti lavoratori ci andavano e l’azienda pagava la giornata come fossero al lavoro. Io non sono mai andato. Duravano tre giorni. C’era il trasporto organizzato dall’azienda.
Centro culturale brianteo. Riuscivano a fare le prove qui di spettacoli importanti. Io non sono mai andato. Anche questo faceva parte del paternalismo. Durante un contratto, una serata i lavoratori inscenarono una manifestazione prima dello spettacolo e quindi l’iniziativa venne poi sospesa.
Il villaggio Vismara è stato costruito dall’azienda per i suoi dipendenti più bisognosi nei primi anni Cinquanta. 50 famiglie che pagavano un affitto molto modesto. Ora le hanno vendute a coloro che le abitavano. Il merito indiretto è di mons. Ettore Pozzoni, che era il parroco di Casatenovo dal 1945 al 1955, che ha fatto moltissimo come suggeritore. Il territorio era quasi tutto contadino e gli operai abitavano nelle cascine della Brianza e c’era bisogno di case. Non è piano Fanfani. Per il piano Fanfani vennero costruite 16 appartamenti, non tutti della Vismara, ma anche di altre aziende.

Reparto donne. La “madona” aveva sposato un dipendente Vismara che veniva chiamato “ul madona”. Poi è rimasta vedova ed ha eredito il posto di lavoro e anche il soprannome dal marito. Si chiamava Elisa Gagliani. Io andavo spesso in quel reparto e le donne non alzavano neppure la testa dal loro posto di lavoro. Forse semplicemente perché ero un uomo. Non so. Era molto severa con le donne. Mentre lavoravano tutti i pomeriggi recitavano il rosario. Nessuno chiacchierava in quel reparto. Non per esigenze produttive. Questo si faceva anche nel reparto salami dove a guidarlo c’era il cavalier Corbetta.
Questo clima si respirava in tutto lo stabilimento. L’ambiente era molto chiuso. Il signor Vincenzo era molto religioso, andava tutti i giorni a messa. Il signor Luigi era più liberale e lei andava più d’accodo con Vincenzo.
La “madona” alla Vismara era un’istituzione. Per i suoi modi era criticata, ma quando si è ammalata c’era la fila delle donne che andavano a trovarla.
Anche alla Vister, probabilmente adottando lo steso modello, c’era un reparto simile di donne addette al confezionamento, guidato dalla Maria Brambilla.
Perlasca, veterinario di Como, parente del famoso Perlasca. Poi è diventato dipendente dell’azienda non facendo più il veterinario. Lui è quello che ha messo in piedi la produzione dei wurstel che Vismara non aveva. 
Quatela, una persona capace. Con lui è cambiato il rapporto con il personale. Il sig. Vincenzo è morto e amministratore delegato è diventato il figlio Francesco che aveva una visione più moderna della gestione dell’azienda.
Citterio Carlo, di Montesiro, era direttore dello stabilimento. Era un lavoratore instancabile e diceva agli operai che la domenica sera dovevano andare a casa presto perché l’indomani avrebbero dovuto andare a lavorare. Comprava i maiali. Si macellavano mille maiali al giorno per cinque giorni alla settimana. Nell’ultima fase erano 1.200 su tre giorni.
Anche la gestione degli straordinari è cambiata. Prima succedeva che a chi entrava prima delle 7 veniva dato un pacchetto di misto di un etto, chi stava in reparto fino alle 12 e mezzo riceveva un altro pacchetto di misto, chi rimaneva fino a dopo le 7 di sera un altro pacchetto ancora. A volte glielo portavano in ufficio, altre lo trovava all’uscita. Ma il pacchetto veniva consegnato ogni giorno. C’erano delle persone addette a questo che li preparavano e li distribuivano. Era tutta roba buona. Ogni giorno. Mia moglie, che era impiegata in Vismara, con il pacchetto contrattuale e quelli che riceveva perché lavorava al sabato o anche la domenica mattina dava da mangiare a tutta la sua famiglia. E’ stata una manna per loro.
Bisogna ricordare che fino alla guerra i contadini non avevano la stufa per scaldarsi, la zona era molto povera. Vismara ha cambiato la zona, ha creato sviluppo. Anche se si è trattato di una monocultura e non hanno potuto svilupparsi altre attività perché lui ha assorbito tutta la manodopera.
Occorre anche ricordare che un pacchetto veniva dato anche a chi non scioperava. Costoro ricevevano anche un chilo di burro.
A volte questo modo paternalistico di gestire il rapporto con il personale generava anche reazioni forti, come quando un operaio che riteneva di avere diritto al premio se lo vide rifiutare mente i suoi compagni lo ricevettero. Ma il sig. Vincenzo riteneva giusto premiare i lavoratori che secondo lui lo meritavano, erano più disponibili, in qualche modo premiava il merito, ma a sua totale discrezione.
Lui andava alla cassa a ritirare pacchi di 500 lire, poi passava nei reparti a distribuirli secondo il suo personale criterio. Proprio per questo sia qualcuno in paese che una parte degli stessi operai non riconoscono ai Vismara il valore di ciò che hanno fatto di buono. Visto globalmente hanno fatto cose buone, ma poi hanno usato criteri molto personali, aiutando coloro che avevano bisogno, ma dal loro punto di vista. Dicendo di no ad altri che comunque avevano bisogno.
Tutto questo è finito con la vendita dell’azienda.

Il Vismara Vincenzo era alpino e insieme all’Associazione alpini di Casatenovo hanno fatto costruire una grande statua della Madonna, finanziata da lui, che è stata esposta per alcuni giorni sul piazzale della Chiesa e poi trasportata all’Alpe Motta.