Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Dall’oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d’Italia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007
Sono nato il 5.2.1931 a Cernusco Montevecchia (oggi Lombardone) in provincia di Lecco. Secondo di dieci fratelli.
Ho frequentato le scuole di avviamento professionale Falck insieme a mio fratello maggiore. Era un istituto privato e per avere il riconoscimento statale del titolo dovevamo andare alla Feltrinelli a dare un esame. Ma siccome non avevamo partecipato al sabato fascista, ci hanno impedito di dare gli esami e quindi avere il diploma. Così non abbiamo potuto essere assunti in Falck.
Dopo la scuola, per un po’ ho fatto dei lavori artigianali in diversi laboratori fino a quando, nel 1951, sono entrato in Falck.
Sono stato prima allo stabilimento Vittoria, dove si produceva il nastro magnetico, impegnato sulla taglierina. Poi, avendo fatto le scuole professionali, sono stato trasferito alla Falck Unione. Ho iniziato come tornitore e poi, quasi subito, sono passato a fare il “calibrista” in torneria cilindri. Sono rimasto in quel reparto fino a quando sono andato in pensione nel 1984, con il prepensionamento delle siderurgia privata.
Il sindacato l’avevo in famiglia. In casa ero sollecitato a impegnarmi e partecipavo a incontri di formazione per prepararmi. Il papà era un attivista della Cisl, suo fratello, essendo socialista, era nella Cgil. Subito dopo la guerra erano stati tutti e due nella Cgil unitaria. Entrambi membri di commissione interna alla Falck.
In Falck mi ha preceduto anche mio fratello maggiore, anche in commissione interna. Dopo di me è arrivato anche un terzo fratello, in fonderia, e pure lui è entrato in commissione. Eravamo tutti occupati alla Falck Unione. Lo stabilimento allora aveva 6100 lavoratori.
Io sono stato eletto in commissione interna nel 1962, prima mi ero sempre impegnato, ma non volevo candidarmi perché c’erano già mio padre e mio fratello. Intorno a quegli anni abbiamo iniziato a dar vita alle iniziative unitarie. Per questa scelta abbiamo avuto problemi con i nostri attivisti più tradizionalisti, in particolare gli impiegati. In quel periodo ho preso parte al congresso provinciale della Fim e sono stato sollecitato da Pierre Carniti e Sandro Antoniazzi a intervenire per dare la voce ai “falchetti” nella battaglia interna alla Cisl, perché si erano manifestati dei tentativi di dare vita a un sindacato “giallo” e c’erano stati dei dirigenti che avevano spinto su alcuni della Fim perché andassero in quella direzione.
Più tardi il consiglio di fabbrica ha sostituito la commissione e sono stato eletto delegato. In seguito si è costituito il coordinamento del gruppo Falck e sono entrato anche lì, diventando membro dell’esecutivo. Ero impegnato tutti i giorni e, insieme ad alcuni altri, gestivo l’attività del coordinamento.
Quando siamo partiti a costituire la Fim nei primi anni ’50 eravamo molto deboli rispetto alla Fiom. Nel nostro stabilimento gli iscritti erano circa 200, contro quasi 2000. Siamo arrivati alla fine degli anni Sessanta quasi alla pari: noi circa 1600 e loro 1800, perché avevamo recuperato molti dei non iscritti. Lo stesso dicasi in commissione interna: avevamo un rapporto di 7 a 4 e siamo arrivati a 6 a 5, alla pari se contavamo anche il nostro rappresentante degli impiegati.
Il rapporto con i nostri iscritti in azienda è sempre stato buono e avevamo un buon consenso anche da parte degli iscritti alla Fiom, perché la nostra attenzione all’unità ci consentiva di avere consenso anche da parte di iscritti alla Cgil.
Negli anni ’50 i rapporti tra Fim e Fiom non erano facili, perché venivamo dalla divisione. Si sono fatti accordi separati. La Cgil non ha condiviso le intese sui premi di produzione, istituti molto significativi promossi dalla Cisl, ai quali la Fiom, per ragioni più che altro ideologiche, non riteneva di aderire. Ci sono stati anche degli scioperi separati.
Nel 1961, in occasione delle proteste contro il governo Tambroni, noi non abbiamo aderito. Alla Falck Unione hanno picchiato coloro che non partecipavano allo sciopero e alcuni dei nostri sono stati malmenati. Erano squadre di gente arrivate da Genova, probabilmente guidate dal Pci più che dalla Cgil. I pestaggi sono avvenuti all’uscita dallo stabilimento ed era difficile sfuggire ai picchiatori. In un’occasione è arrivato anche il sindaco di Sesto, Abramo Oldrini, il papà dell’attuale primo cittadino, per cercare di contenere il più possibile il duro scontro che c’è stato fuori dalla fabbrica.
Nel reparto, a causa delle divisione esterne, c’era un clima non molto buono e c’erano delle difficoltà a rapportarsi fra Fim e Fiom. C’erano delle polemiche, anche delle minacce e qualcuno le ha subite pesantemente ma non siamo mai arrivati a scontri fisici.
Però eravamo in una fase in cui, a livello di partecipazioni statali, si era già iniziato un percorso condiviso, si stava dando vita ad un coordinamento nazionale e si stavano facendo passi unitari. Anche in casa Cisl si è creato a un coordinamento nazionale.
In quel momento, però, erano più forti le divisioni e solo a partire dal ’62 si può cominciare a parlare di iniziative comuni.
Anni Cinquanta. L’amministrazione comunale non aveva relazioni con la Cisl. Le divisioni che c’erano a livello aziendale si trovavano anche in Comune. La Dc era all’opposizione. Noi facevamo le riunioni alla sera, al circolo della cooperativa San Clemente, vicino alla parrocchia. Al coordinamento Cisl della Falck partecipavano rappresentanti di tutti gli stabilimenti. In fabbrica non c’erano presenze cattoliche organizzate, né delle Acli né di partito. Anche se negli anni Cinquanta una grande parte dei rappresentanti della Cisl trovava una forte identità nelle Acli. In azienda c’era la San Vincenzo, che gestiva iniziative di beneficenza.
Nello stabilimento era attiva una cellula del Pci e il loro ritrovo era il circolo Il Progresso, appena fuori dalla fabbrica, a poca distanza dalla portineria. Non ci sono mai stati interventi espliciti del Pci, ma neanche della Dc, sui problemi interni alla Falck.
Oltre le questioni economiche, che hanno avuto una loro rilevanza, sul finire degli anni ’50, dentro la fabbrica c’è stata una forte battaglia sull’ambiente. Una delle vittime di questa situazione è stato mio zio, membro di commissione interna della Fiom, morto in un incidente sul lavoro. Il ‘57 è stato l’anno con il maggior numero di morti e infortuni nello stabilimento. Da lì è partita una grossa mobilitazione, con iniziative di sensibilizzazione e distribuzione di volantini. Sul settimanale della Cisl, Conquiste del lavoro, venne pubblicato un articolo dal titolo “Alla Falck manca solo il cimitero”.
Anni Sessanta. Carniti, arrivato a Milano, ha iniziato a sostenere la necessità di dialogare e a sollecitare le commissioni perché verificassero questa possibilità nei luoghi di lavoro. Con l’obiettivo di condurre l’attività sindacale in modo unitario. C’erano dei dubbi, delle ostilità, in particolare tra gli impiegati, e quindi siamo stati soprattutto noi operai a sostenere questo cammino in casa Fim. Dubbi e perplessità che nascevano dagli scontri che c’erano stati fino ad allora e non era facile lavorare insieme.
L’azienda si è resa conta che ormai l’unità d’azione andava avanti, pur nell’autonomia delle diverse organizzazioni. Vedeva che cresceva una forza unitaria a cui cercava di trovare un freno, un impedimento. E’ nata così la Uil, con l’intervento della direzione che puntava a rompere l’impegno unitario di Cisl e Cgil. Ma non ci è riuscita. Infatti, anche la Uilm dopo poco tempo si è messa a lavorare insieme a Fim e Fiom, altrimenti sarebbe stata squalificata. Non aveva però molto peso.
Tra i moltissimi impegni di quel periodo, ricordo di aver partecipato a Roma alla trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro nel 1969.
Anni Settanta. Nel mio reparto i gruppi extraparlamentari non hanno mai trovato appiglio. Erano presenti all’esterno della fabbrica. Più avanti sono nati dei gruppi di iscritti alla Fiom, che però si presentavano in modo autonomo e creavano dei problemi. Nelle assemblee contestavano fortemente. Erano concentrati soprattutto nel reparto della manutenzione e tentavano di dividere la forza unitaria. Più che altro intervenendo nelle assemblee. Durante gli scioperi c’è stato qualche tentativo di vandalismo, ma generalmente si riusciva a controllare e gestire la situazione. All’esterno dello stabilimento diffondevano volantini di appoggio alla loro azione. Ma tutto questo non è mai stato fattore di divisione tra Fim e Fiom.
Negli anni Settanta abbiamo partecipato a numerose assemblee con gli studenti sulla prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro. L’obiettivo era contrastare la monetizzazione della salute.
Un’altra battaglia significativa è stata quella sulla ricomposizione delle mansioni e la nascita del nuovo inquadramento unico con l’introduzione dei livelli. Con un lungo percorso di discussione e di partecipazione.
Scioperi ne abbiamo fatti parecchi, anche per le vertenze aziendali. Ci sono stati confronti abbastanza duri, anche con il tentativo da parte dell’azienda di privilegiare qualche delegato, creando confusione.
Anni Ottanta. In occasione di una campagna di assemblee delle aziende più grandi per spiegare un accordo nazionale che molti non avevano condiviso sono arrivati a Milano Lama, Carniti e Benvenuto. Luciano Lama è andato alla Pirelli, Giorgio Benvenuto al Corriere della Sera, mentre Pierre Carniti è venuto alla Falck. All’assemblea era presente la Digos. C’era un attivista della Fiom appartenente a un gruppuscolo, che lavorava al Concordia, e la Digos lo ha portato via all’uscita dell’assemblea. In quei giorni avevamo trovato dei volantini delle Br anche nella sede del consiglio di fabbrica. Questo era venuto in sede il giorno prima a prendere del materiale, così a posteriori abbiamo pensato che potesse averli lasciati lui. Sapevamo che all’interno c’erano alcuni che provocavano e che c’era un collegamento tra di loro nei diversi stabilimenti, però era difficile dire chi fossero quelli effettivamente legati alle Br. Noi abbiamo sempre pensato che i terroristi fossero esterni.
L’unità sindacale è sempre stata cercata con convinzione da entrambe le parti, almeno fino al 1984. Anche se la Fiom aveva sempre delle riserve a trovare l’intesa definitiva, fintanto che non arrivava il consenso del partito. Che di solito si decideva nelle riunioni che tenevano al circolo Il Progresso. Difficoltà le abbiamo sempre avute. La Fim era più avanzata sui problemi della partecipazione e dell’autonomia e su questi temi ha avuto un ruolo molto forte. La Fiom ha sempre mostrato qualche riserva, ad esempio sulla riduzione dell’orario a 35 ore non ha mai spinto a fondo. In un direttivo della Fim al Pian dei Resinelli c’era stata una frattura anche all’interno della Fim. Erano discussioni che avvenivano più nei coordinamenti che non nei reparti.
La divisione tra Fim e Fiom nata sulla vicenda delle 35 ore è stato un elemento che ha iniziato a mettere in discussione l’unità che fino a quel momento era stata abbastanza condivisa. Veniva avanti la tentazione di ritrovarsi solo come organizzazione. La Fiom cercava un rafforzamento della propria posizione, anche se verificava che questo comportamento produceva un ulteriore indebolimento del sindacato nel suo insieme.
Anche al nostro interno, nel momento in cui la Fiom aveva scelto di rinchiudersi in casa propria, è nata l’esigenza di riorganizzarci come Fim. E’ stata quasi una reazione al comportamento della Fiom.
Per un certo periodo, nella seconda metà degli anni Sessanta, ogni 15 giorni ci riunivamo con un sacerdote, don Luigi, insieme a delegati delle altre aziende sestesi. Ci fermavamo dopo il lavoro. Erano incontri che ci aiutavano a sostenerci nel nostro impegno.
Il mondo cattolico sestese era presente e la sua azione si sentiva. Il Luce, il giornale delle parrocchie, riportava frequentemente le posizioni della Cisl sui contenuti delle nostre battaglie. Il suo era un appoggio discreto.
Qualche impiegato del Concordia che partecipava alla vita del mondo cattolico, a volte scriveva anche degli articoli e in qualche caso ha disturbato un po’. La lotta abbastanza dura che si portava avanti in fabbrica dava fastidio a qualcuno. Non sempre la partecipazione degli impiegati era sentita fino in fondo e il loro comportamento indeboliva l’azione sindacale. Erano scelte conseguenza delle pressioni aziendali ma anche dell’appartenenza politica.
C’era una divisione anche all’interno della direzione aziendale. Si sentiva l’identità di una società con un presidente impegnato nel mondo cattolico, ma non era manifestata. C’era, però, una dirigenza che opportunisticamente tendeva ad avere un rapporto privilegiato con alcuni della Cgil, per cui negli anni carnitiani era più facile per la Cgil fare gli accordi, pur avendo un consenso inferiore, che non per la Fim, che aveva una forza maggiore e cercava di ottenere risultati più alti.