martedì 7 aprile 2020

LUIGI CORBETTA 1 - Vismara – Casatenovo (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Sono nato il 29.11.37 e sono entrato in Vismara nell'agosto del 1953, come operaio. Ho lavorato fino al 1992. Mi sono iscritto subito al sindacato, ma sono diventato un attivista alla fine degli anni '60 con la costituzione dei consigli di fabbrica.


All'inizio, il leader della Cisl in Vismara era Angelo Corbetta, aveva molto credito all'interno del paese, era un po’ come un ufficio di collocamento alla Vismara. Chi cercava un lavoro si rivolgeva a lui. Probabilmente anche questo ha contato nel fare iscritti alla Cisl. E' stato quello che ha portato la Cisl ad alti livelli di tesseramento. Questo è durato fino all'inizio degli anni '60. Poi, nel '63, è nata un po’ di contestazione in azienda nei suoi confronti e ha dovuto lasciare la commissione interna. La Cisl è cambiata e un modo vecchio di fare sindacato è stato abbandonato. Così nel '63 sono stati fatti i primi scioperi veri per il rinnovo del contratto. Prima Vismara diceva "voi non fate sciopero, tanto poi quello che decidono a Roma io ve lo do". C'era un rapporto di questo tipo, poi sono nate le prime contestazioni. Nel '67 c'è stata anche una divisione tra i lavoratori. C'erano i dipendenti della Vister, l'industria farmaceutica della Vismara - c'era una sola entrata anche se erano divisi, e questi lavoratori avevano anche loro il contratto degli alimentaristi - che durante gli scioperi per il rinnovo del contratto nazionale entravano a lavorare, mentre gli operai in produzione, nel salumificio, facevano sciopero. Sono nati così dei dissapori tra i lavoratori e in occasione dell'ultimo sciopero non è rimasta fuori nemmeno tutta la commissione interna. Poi nel ‘69 ci si è ripresi, ma il contratto con le lotte più dure è stato quello del '71. Da li in avanti la Vismara ha sempre aderito in massa a tutti gli scioperi nazionali, non solo quelli per il rinnovo del contratto.
Il contratto nazionale del '71 è stato praticamente sulle spalle della Vismara, perché Francesco Vismara era il presidente degli industriali alimentaristi. Quindi al tavolo delle trattative c'era lui.
In quell'occasione furono fatte 171 ore di sciopero, con blocchi totali delle merci, con presidi giorni e notte; scioperi articolati di un quarto d'ora, anche nella macellazione. Si decideva prima quanti dovevano essere i suini macellati, in base alla produzione che il consiglio di fabbrica decideva dovesse essere permessa. Programmando tutto quanto.
I contratti integrativi alla Vismara erano superiori a tutti i contratti realizzati nelle altre aziende del settore dell'alimentazione.

Lo sciopero dei cappellini. Fine anni '80. Per questioni sanitarie avevano dato un cappellino ai lavoratori, ma non era funzionale e allora abbiamo organizzato il rifiuto e nessuno lo ha utilizzato fino a quando non è stato sostituito. L'azienda era già passata sotto la Nestlè.
In precedenza nel '73/’74 c'è stato uno sciopero contro il direttore di produzione. Quando lui entrava nei reparti, tutti smettevano di lavorare. C'erano stati dei contrasti con il consiglio di fabbrica perché aveva dato del lazzarone a un lavoratore solo perché era membro del consiglio di fabbrica; un altro membro del consiglio di fabbrica aveva avuto una lite con una donna fuori dall'azienda e lui aveva preso dei provvedimenti come se la cosa fosse avvenuta in fabbrica. Noi non potevamo accettare che lui potesse permettersi di offendere un lavoratore impunemente mentre per un lavoratore venisse addirittura minacciato il licenziamento per un fatto avvenuto all'esterno dell'azienda. Quindi abbiamo deciso una nuova forma di sciopero contro il direttore.
Durante un contratto (1969)(?) c'erano gli scioperi e si erano bloccati gli straordinari quindi alle 17,30 si usciva e si piantava li di lavorare. Un gruppo di lavoratori era stato mandato a Besana Brianza, alla stazione, a scaricare dei vagoni. Lì c'era il vecchio Vismara, era già anziano, a controllare. Gli operai gli hanno detto "guardi che alle 5 e mezzo stacchiamo e ce ne andiamo" "No, no state qui che finiamo" e Vismara ha mandato in fabbrica il camion che aveva portato a Besana gli operai, convinto che avrebbero comunque finito di scaricare il treno. Questi alle 5 e mezzo sono scesi dal vagone e si sono avviati a piedi per tornare a Casatenovo.
Questi quindici lavoratori che venivano a piedi da Besana, e lui dietro con la macchina che li voleva caricare per portarli in fabbrica, perché ormai aveva visto che aveva perso e gli dispiaceva fargli fare la strada a piedi. Davanti alla fabbrica tutti i lavoratori della Vismara li aspettavano e li applaudivano.
Dopo la firma del contratto Vismara ha tagliato gli straordinari e questa era una perdita notevole. Vismara si aspettava una reazione contro il sindacato, invece i lavoratori hanno capito e la cosa è stata superata senza problemi. C'è stato solo qualche mugugno.
Gli impiegati non scioperavano e quindi gli operai passavano dagli uffici per farli uscire.

Nel 1971 siamo andati a Cremona a far scioperare i dipendenti della Negroni perché nel ‘69 presidente degli industriali era Negroni e il contratto l'avevano praticamente fatto lì. Negroni gli aveva evidentemente promesso qualcosa e loro non scioperavano. Ci fu l’intervento della polizia.
La nocività. Inizialmente i lavoratori erano partiti dicendo facciamo costare di più i lavori nocivi, attraverso l'indennità di disagio, così forse questi lavori verranno modificati. Successivamente i consigli di fabbrica hanno cambiato questo concetto. Non chiediamo più soldi, ma facciamo modificare l'ambiente. Oggi nelle celle frigorifere si entra pochissimo. Chi entra è protetto. Il macello è stato meccanizzato e quindi la situazione è stata risolta. Peraltro la Vismara era una delle situazioni migliori. Ho visitato parecchie fabbriche del settore e ho sempre trovato condizioni peggiori.
L'aria condizionata, per chi deve maneggiare carne fredda, è mal tollerata e quindi si è sempre discusso sulle modalità di utilizzo e sulle temperature.
L'aria condizionata è un problema per chi è in produzione. Il problema è d'estate. Quando si entra si passa dal caldo a 14 gradi e lavorando roba fredda diventa un problema. Su tutti questi problemi si è sviluppata una continua contrattazione.
Nel 1973, con un contratto integrativo, abbiamo rivendicato alla Vismara un locale con del personale (una persona fissa ed altre due part-time) per cercare di creare un centro di distribuzione alternativo alla grossa distribuzione. Era una iniziativa completamente autonoma e tutto veniva fatto da noi e quindi abbiamo creato la cooperativa. Poi l'iniziativa è cresciuta e abbiamo ottenuto due persone fisse e tre part-time a carico dell'azienda.
E' stata una buona iniziativa ed ha portato grossi risparmi per i lavoratori. Per l'acquisto dei prodotti abbiamo privilegiato inizialmente le fabbriche locali. Ora la cooperativa si è trasformata in un vero e proprio centro di distribuzione, con un giro d'affari di 12/13 miliardi. Quest'anno abbiamo una crescita del 36% rispetto all'anno scorso. Si chiama Cooperativa lavoratori della Vismara ed ha livelli di redditività che nessun supermercato raggiunge. Si sta anche espandendo. Si ristruttura avendo acquisito tutta la mensa Vismara e raggiungerà i 1.400 mq di vendita e sta creando anche delle sedi staccate a Besana Brianza.

Le donne in produzione erano il 30% della manodopera, ma lavoravano in reparti staccati, da sole. C'era il reparto donne dove addirittura gli uomini non potevano entrare. Alla vita sindacale però partecipavano anche loro anche se fino al 1963 la Vismara era considerata il posto per la vita, gli stipendi erano buoni, il padrone era onesto e quindi a volte erano restie a partecipare. Poi la situazione è cambiata anche per loro.
Io ho vissuto male la divisone degli anni '80. Sono entrato con i consigli di fabbrica in uno spirito unitario e credevo in certe cose. Poi mi sono trovato di fronte a situazioni che mi hanno fatto capire che forse ero ingenuo io, perché qualcuno lavorava in modo diverso. La divisione ha portato tra i lavoratori un rifiuto del sindacato. Il problema maggiore è stato quello dell'autonomia dai partiti, per cui non ci si capiva con la Cgil.
Abbiamo anche organizzato forme di sostegno attivo a fabbriche in difficoltà della nostra zona. Il consiglio di fabbrica organizzava raccolte di fondi per aiutare i lavoratori che rischiavano di perdere il lavoro. Era un po’ un centro di riferimento per tutte le fabbriche della zona. Si andava nelle fabbriche della zona a farli uscire. Alla Molteni di Peregallo, nel ’64 è arrivata la Celere e non scherzavano, ci hanno fatto scappare.