Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995
Sono nato a Colico il 10.11.1925. Ho lavorato inizialmente un paio d'anni in paese e poi ho fatto per 35 anni il pendolare alla Guzzi di Mandello. Sono entrato il 2 gennaio 1946 e ho lavorato fino al novembre del ‘79. Ho aderito subito al sindacato unitario. Sono stato eletto in commissione interna nel 1959, sono stato qualche anno anche nel consiglio di fabbrica. Ho fatto parte degli organismi provinciali della Fim e per 4 anni ho fatto parte dei probiviri della Cisl. Noi della Fim abbiano sempre avuto un ottimo collegamento con il sindacato fuori dalla fabbrica. Ero fresatore. Operaio qualificato. Lavoro di serie.
Contrattazione sul cottimo. Io mi sono battuto per il suo superamento e i risultati sono stati una soddisfazione. Nei primi anni '60 avevamo un cottimo differenziato per categoria, calcolato sulla paga base e legato ai pezzi prodotti - un tanto al pezzo -. Manovali specializzati e operai qualificati svolgevano la stessa mansione e avevano una paga differente e quindi anche un cottimo diverso. Siamo riusciti ad unificarli. L'intenzione era quello di superarlo, ma intanto si cercava di farlo diventare uguale per chi faceva lo stesso lavoro, renderlo meno iniquo. Non ci furono scioperi ma pian pianino la direzione aveva accettato questa impostazione.
In azienda non ci sono mai stati grossi problemi con gli altri sindacati. La Uil era piuttosto padronale. Noi eravamo un po’ moderati, ma più chiari, invece certe volte la Fiom non sempre diceva la verità ai suoi iscritti. A me è capitato una volta, in occasione della conquista dei 35 anni per andare in pensione, di assistere ad una discussione in cui due lavoratori dicevano che quella era una bella conquista e un funzionario della Fiom che li invitava a non crederci, che era una falsità, e dopo pochi giorni i 35 anni divennero operanti. Loro erano un po’ troppo inquadrati. Noi invece avevamo una maggiore autonomia e libertà d'azione. Forse eravamo un po’ moderati ma ci occupavamo dei problemi concreti, come quello delle qualifiche.
Prima della guerra erano tutti operai qualificati. Dopo la guerra si è fatta strada la teoria di introdurre la categoria dei manovali specializzati e chi lavorava in serie, cioè la maggior parte dei 'lavoratori, era inquadrato in quella categoria. Anche i giovani che avevano frequentato le scuole professionali non riuscivano a passare ad una categoria superiore. Io mi occupavo anche di quello. Mi facevo portare i certificati, delle scuole professionali, andavo in direzione e dicevo "Volete condannarli tutti a rimanere sempre dei manovali? Che riconoscimento date alla professionalità? Visto che non tutti possono andare a lavorare in attrezzeria o in manutenzione". Pian pianino mi ero specializzato in questo campo e uno un mese, uno il mese successivo, riuscivo a fargli avere il passaggio di categoria.
Era una contrattazione continua. Bisognava essere costanti. Essere sempre alla carica. Picchia oggi, picchia domani, i risultati venivano.
Negli anni '60 lavoravano alla Moto Guzzi 1.300 persone. Quando sono andato in pensione saranno stati 800. Oggi sono forse 250.
Sono anche riuscito a far ottenere agli ex-combattenti il riconoscimento, agli effetti della liquidazione, del periodo di guerra, perché la legge non lo prevedeva.
Quando sono entrato in azienda il clima era molto paternalistico.
Direttore generale, dal ‘43/’44 al ‘58/’60, era il rag. Bonelli. Lui faceva molto paternalismo e non vedeva di buon occhio il sindacato.
Voleva gestire lui i rapporti con l'operaio, come fosse un buon padre di famiglia. Allora l'azienda andava a gonfie vele, era il momento del boom. Faceva i prestiti ai lavoratori per costruire le case. Entrava nei particolari della vita personale della gente. C'era chi andava a riferirgli i suoi problemi familiari. Non ci trattava male, ma se uno faceva sindacato non era visto di buon occhio. Qualcuno ha anche pagato di persona. Un delegato della Fiom è stato licenziato. Si veniva discriminati. Poi è caduto in disgrazia anche lui e con i dirigenti che lo hanno sostituito è cominciato una certa apertura, ma poi l'azienda ha cominciato ad andare male.
Però abbiamo fatto buoni accordi anche in momenti difficili, come ad esempio quello sull'orario di lavoro. Tutte le sere, a turno, per un'ora, i rappresentanti della commissione interna ricevevano gli operai, in un locale messo a disposizione dell'azienda.
Un giorno, mentre aspettavo un lavoratore, ho letto su un giornale che alla Piaggio, un'altra azienda motoristica, anche loro in crisi, avevano ottenuto la riduzione dell'orario di lavoro. Allora ho proposto la cosa in una riunione senza prima aver detto niente. Ogni tanto c'erano degli incontri con la direzione, cui partecipavano il capo del personale, il direttore della produzione e il direttore generale.. Al primo incontro ho fatto la proposta: "Perché non proviamo anche noi a trovare un sistema per ridurre l'orario di lavoro in modo da rendere libero il sabato?". La settimana, allora, era di 44 ore e si lavorava regolarmente anche il sabato mattina, (metà anni ‘60).
Con mia stessa sorpresa il direttore dice “Si è un problema che possiamo studiare” e infatti la cosa è stata fatta. Abbiamo aumentato di un quarto d'ora l'orario dei cinque giorni della settimana, con circa due ore e mezzo di effettiva riduzione d'orario senza riduzione del salario. Così abbiamo ottenuto il sabato libero. Gli impiegati erano tutti giulivi. Era un momento difficile eppure ci è andata bene. Il segretario. Panzeri dopo mi ha detto: ma Bettiga, dovevi informarmi prima. Ma io non pensavo lontanamente che la cosa sarebbe andata in porto e invece la mia proposta è stata subito presa in considerazione.
Nel 1972 c'è stata una vertenza lunga sei mesi, quando la crisi ha cominciato a diventare pesante. Si sono fatte più di 300 ore di sciopero e alla fine si è chiuso senza ottenere nulla.
In una vertenza successiva, abbiamo occupato il Municipio di Mandello Lario per 40 giorni, (forse, avevano licenziato 40/50 impiegati, non ricordo).
Le moto della Moto Guzzi si differenziavano dalle altre per il sistema di raffreddamento ad aria, con il cilindro orizzontale, mentre le altre lo avevano verticale. Durante il servizio militare si erano trovati l'autore del brevetto. E' sorta nel 1921. Durante la guerra si faceva produzione militare, motocarri e l'Alce. Dopo la guerra ha fatto strage (ha avuto un successo enorme) la 65 di cilindrata, il Guzzino, una moto molto forte e potente poi il Galletto. Il motocarro Ercole, che ha dominato il mercato per 15 anni, lo usavano soprattutto nei cantieri, ma poi non sono stati capaci di aggiornarsi e il mercato è stato conquistato dalla Piaggio.
Donne solo impiegate, non in produzione.
Era da poco arrivato alla Moto Guzzi l'ing. Grimi, un consulente tecnico per la motorizzazione che non ha resistito molto ed è stato il periodo i cui abbiamo ottenuto la riduzione dell'orario di lavoro. In quegli anni c'era la tradizione per cui ci davano un pacco a Natale e a Pasqua, (primi anni ‘60). Pochi mesi dopo aver attenuto la riduzione d'orario, in una delle periodiche riunioni della commissione interna con la direzione, circa una volta al mese, la direzione ci disse che, siccome spesso ci lamentavamo della qualità dei prodotti, in particolare ci veniva dato un pollo decisamente poco buono, per quell'anno il pacco di Pasqua non ci sarebbe stato dato, mentre sarebbe stata migliorata la qualità dei prodotti del pacco di Natale. Tutta la commissione interna fu d'accordo con questa scelta. Un mattino, facevo il turno delle 6, viene da me un attivista con un volantino preparato dalla Cisl provinciale in cui si denunciava la scelta unilaterale della direzione che, abolendo il pacco di Pasqua, aveva decurtato il salario.
Io ho detto che non si poteva uscire con un volantino così, perché la decisione era stata concordata. Non so perché la Fim lo fece, forse perché sollecitata da qualche lavoratore, forse perché aveva l'esigenza di far sentire la propria voce in una fabbrica dove era in minoranza. Prima che il nostro attivista uscisse dalla fabbrica con la mia risposta, i volantini erano già stati distribuiti a tutti lavoratori del turno di giornata che entravano a lavorare. Tutti i lavoratori entravano con il volantino in mano. Alle 10 mi chiama il capo del personale: "Come mai questo volantino, se avevamo concordato tutto?". Ma la vicenda non era finita li. A mezzogiorno la Fiom, che non voleva essere scavalcata dalla Fim, distribuiva un suo volantino che chiamava i lavoratori ad un'ora di sciopero, per le tre dello stesso giorno, contro la decurtazione del salario voluta dall'azienda. Quando esco dalla fabbrica a mezzogiorno trovo ad aspettarmi Bonanomi, segretario aggiunto della Fim provinciale e qualche altro attivista, e gli dico che hanno sbagliato a fare quel volantino, gli spiego che la cosa era concordata e che la direzione ci ha richiamato perché non abbiamo rispettato gli accordi e che comunque è disponibile a ridiscutere la cosa.
Si discute sul cosa fare e la Cisl dice che, visto che la direzione è d'accordo sul ridiscutere la cosa, bisogna sospendere lo sciopero. Però io ribatto che la cosa è pazzesca, che a quell'ora è impossibile sospendere lo sciopero e andare contro la scelta della Cgil. Dobbiamo sentire anche loro. Avete sbagliato a non informarli del vostro volantino e adesso anche noi dobbiamo scioperare, altrimenti vien fuori una spaccatura in fabbrica tra i lavoratori e dopo sono guai. Discussioni, telefonate in sede provinciale, ma alla fine la Cisl dice che non bisogna scioperare. Se questa è la vostra decisione io vi seguo, ma guardate che sciopereranno tutti e anche i nostri, se qualcuno si ferma, si fermeranno insieme a loro. Non eravamo più in tempo nemmeno a fare un volantino. Non si riuscì nemmeno a far circolare la voce. E' stata una bidonata, un errore. E infatti i segretari provinciali di Fim e Fiom, e Nardini, sono stati richiamati dai livelli regionali. Intanto, se proprio, dovevano parlarne tra di loro e fare un volantino unitario.
Io, però, piuttosto mi faccio ammazzare, ma rimango al mio posto. Non saremmo mai arrivati a quegli estremi ma ho passato un'ora, ma che ora. Arrivano le tre e nel mio reparto su ima cinquantina, venti rimangono al loro posto a lavorare. Dopo un po’ arrivano gli scioperanti degli altri reparti e cominciano con insulti e sputi. Molti abbandonano.
Tra quelli che si scagliavano contro me ce n'era anche uno che avevo salvato pochi giorni prima. Questi era uno che ne combinava di tutte le qualità. Non timbrava mai il cartellino regolarmente, correggeva i dati dei tempi di produzione per il cottimo, aveva già avuto oltre cinquanta, sessanta tra multe e ammonimenti, e l'azienda aveva deciso di licenziarlo. A me dispiaceva anche perché si era appena sposato. Si sarebbe così creato un problema familiare e ho pensato che non poteva essere quello il momento per licenziarlo. Lui si è rivolto a me e io sono andato in direzione a parlare con il direttore della produzione.
"Perché lo avete licenziato?". "Aspetta un momento". Il direttore telefona all'ufficio manodopera e dopo un po’ arriva un impiegato con tre cartelle piene di richiami e io mi sono trovato in difficoltà, disarmato di fronte quella sfilza di contestazioni. Il direttore mi dice: "Quando vuole venire a difendere qualcuno, deve venire documentato e poi è inutile difendere le cause perse". Non sapevo più cosa pensare, quale stratagemma inventare e ho detto "Lo avete sopportato per 60 volte, finora non avete preso provvedimenti. Vorrà dire che questa sarà l'ultima volta, se dovesse comportarsi ancora così allora lo licenzierete. Conosco la moglie (in verità io non la conoscevo proprio) e chissà che con il matrimonio non metta la testa a posto". E' stata un'ispirazione, un'idea che mi è venuta al momento. Non mi hanno detto né si né no, però non lo hanno licenziato. E ora era lì davanti a sputarmi in faccia. Questo mi ha proprio seccato. Ma taci disgraziato, che ti ho salvato. Pensa ai tuoi problemi perché adesso sarà difficile che possa salvarti un'altra volta.
Poco a poco gli altri hanno abbandonato. Alla fine siamo rimasti in due. Mancavano forse 10 minuti allo scadere dell'ora di sciopero e arriva il mio socio che mi dice che vuole smettere, che non ce la fa più. Ma io dico "resistiamo, resistiamo fino alla fine".
Il mattino successivo, di buonora sono arrivati a casa mia Nardini e altri dirigenti sindacali. Io volevo dare le dimissioni dalla commissione interna. Ero talmente, stanco, talmente nauseato, talmente avvilito che non volevo più continuare e loro a insistere, a pregarmi. Mancavano pochi mesi alla fine del mandato e mi sono lasciato convincere a non dare le dimissioni con l'intesa che non mi sarei più candidato. Ma quando siamo arrivati alla scadenza mi dicono, se proprio te ne vuoi andare, entra in lista e poi, se vieni eletto, darai subito le dimissioni. Accetto anche questo e facciamo così, ho preso il maggior numero di preferenze tra tutti i membri della commissione interna, anche se la maggioranza era della Fiom. Per me è stata una bella soddisfazione. Vuol dire che i lavoratori avevano capito il mio gesto. Arrivano ancora i dirigenti della Fim e mi dicono, dai, per quest'anno vai avanti ancora. E sono arrivato fino al cambiamento con il nuovo sistema dei consigli di fabbrica. Si votava per reparto e mi hanno buttato dentro ancora. Ci sono stato per alcuni anni ma poi ho detto definitivamente basta. Ma anche se non ero delegato mi hanno sempre invitato a partecipare alle riunioni e io ci sono sempre andato fino all'età della pensione. E quando sono andato in pensione il povero Pirola mi ha chiamato nel sindacato dei pensionati Ma ora che ho passato i settant'anni ho proprio detto basta.
Ma la Cisl continua a chiamarlo e lui non dice mai di no.