giovedì 16 aprile 2020

GIUSEPPE PEREGO - Carniti – Oggiono (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Ho iniziato a lavorare a 12 anni alla Righetti, fino a 14 anni. Poi sono entrato alla Carniti fino a 19 anni, quando sono andato militare. Sono stati anni molto duri per noi ragazzi, perché a mio giudizio il Carniti non era una persona umana. Se mentre lavoravo si rompeva una punta, me la faceva pagare. C'erano delle quindicine o dei mesi in cui non prendevamo neanche la metà dello stipendio. Ci veniva trattenuto per pagare i danni fatti, che in realtà erano cose che succedevano nel lavoro normalmente. Sono stato soldato un anno in Grecia. Due anni di prigionia in Germania.

Rientrato dalla Germania mi sono ripresentato alla Carniti. Prendono tutti gli operai degli altri paesi e noi eravamo in tre di Annone e non ci prendevano a lavorare. Io dicevo “ma qui c'è qualcosa, c'è anche l'obbligo che i prigionieri, i reduci, le ditte li devono assumere, ma noi di Annone non ci prendono”.
Un mattino eravamo davanti al portone della fabbrica, arriva Carniti, scende dalla macchina, entra in portineria e viene verso di noi. Voi tre siete di Annone, dice. Voi andate a casa dal vostro barbone di sindaco e ditegli che vi prenda lui a lavorare. Allora abbiamo preso la bicicletta e siamo tornati a casa. Allora ho detto agli altri due amici "non diciamo al nostro sindaco che gli ha dato del barbone" perché non era un barbone Gabella che ha aiutato molta gente. Noi reduci ci ha dato un vestito a tutti, ci ha dato per un mese un etto di carne al giorno, tre etti di pane bianco e diversa biancheria. "Andiamo solo a dirgli che il Carniti dice che quelli di Annone non li prende e non sappiamo perché".
"E pensare che quell'uomo lì c'è perché c'ero io in Comune, perché se non c'ero io può darsi che qui ad Annone ci lasciva le penne" “per cosa?” chiediamo noi. "Un inverno si era fermato il camion a Suello in mezzo alla neve. Allora per portarlo ad Oggiono sono stati chiamati dei contadini di Annone che glielo hanno trainato a Oggiono. Questi contadini si aspettavano una ricompensa ed aspettavano in portineria. Allora il Carniti li ha minacciati “prendo il telefono e vi faccio portare via tutti”. I contadini allora sono andati a casa. Dopo la liberazione è stato chiamato ad Annone in Comune a rispondere dei propri comportamenti e si è trovato di fronte quegli uomini che erano diventati dei partigiani. Uno diceva 'lo facciamo fuori?" un altro "diamogli un sacco di botte" e io ho cercato di far di tutto per salvarlo quest'uomo. E così è stato. Se non c'ero io non so come sarebbe andata a finire. Comunque voi state tranquilli e vedrete che entrerete alla Carniti. Ditemi la data del primo giorno in cui siete andati a chiedere il posto e quando rientrerete tutti quei giorni vi saranno retribuiti. E così è stato. Il giorno dopo siamo andati là e siamo stati assunti. Come lui aveva detto".
Era bravo quel sindaco, era ingegnere, ed è rimasto senza un soldo perché imbrogliato dai suoi amministratori di cui si fidava troppo. Alla Carniti ho lavorato fino alla fine del ‘77.

Negli anni successivi la Carniti è sempre stata in testa alle battaglie sindacali. Con la Cgil i rapporti a volte sono diventati anche molto duri. Qualche volta siamo arrivati a metterci le mani addosso, però prima di prenderle le abbiamo anche date. E' successo anche quello. La ditta però è andata a finire molto male con il fallimento.