Sono iscritta alla Cisl da 40
anni. Ho lavorato 32 anni alla File, sono entrata nel ‘59 e sono uscita a fine ‘90.
Abito a Cairate e sono nata a Cremona. Sono arrivata lì da piccola.
Il primo contatto con la Cisl
l'ho avuto perché inizialmente ho lavorato in una piccola fabbrichetta nei
dintorni di Garlate.
Quando mi sono licenziata per andare alla File non mi
hanno dato la liquidazione. Io non sapevo nemmeno che ci fosse il diritto alla
liquidazione, ma parlando con gli altri mi sono accorta che mi avevano
imbrogliato e allora sono andata alla
Cisl, senza neanche sapere bene cosa fosse. Senza chiedermi di iscrivermi, mi
hanno fatto lo specchietto calcolando quando mi spettava e mi hanno mandato in
azienda dicendo di presentare lo specchietto al proprietario e che se
necessario, sarebbero intervenuti loro. Invece non è stato necessario. Appena
hanno visto il timbro del sindacato si sono scusati dicendo che era stato un
errore e mi hanno dato la mia liquidazione, solo che non mi sono accorta che
non mi avevano versato i contributi. A 16, 17 anni non pensavo alla pensione.
Me ne sono accorta molti anni dopo.
Alla File, invece, sono entrata
subito nelle strutture di fabbrica. Alla File si costruiscono lampade di tutti
i tipi, dalle piccole per le automobili alle fluorescenti.
Allora eravamo soprattutto donne.
Uomini erano i capireparto, gli elettricisti ed i meccanici. Nel 1982 c'è stata
una ristrutturazione, con 100 unità in meno
e nell'ultimo periodo che sono stata in azienda cominciavano ad assumere personale
specializzato, soprattutto per le novità introdotte con l'elettronica.
La maggioranza del consiglio di
fabbrica era costituito da uomini. Però la partecipazione alla vita sindacale
era molto intensa e nelle diverse azioni le donne erano in prima fila, però non
si impegnavano molto direttamente, perché avevano una casa e una famiglia da
mandare avanti e non gli rimaneva molto tempo per altro.
Io non sono sposata e quindi ho
potuto dedicare più tempo all'impegno sindacale. E vero che c'erano i permessi
sindacali, ma si dava anche molto tempo extra lavoro e per le donne sposate era
davvero difficile. Ma l'idealità c'era e se partiva un'azione sindacale si
sapeva che dietro c'erano le lavoratrici.
Almeno una volta al mese il
consiglio di fabbrica si incontrava con il capo del personale. Ai tempi della
commissione interna i rapporti erano più difficili e c'erano anche più scontri,
come ad esempio per il cottimo. Attraverso la contrattazione aziendale, reparto
per reparto, il cottimo è stato poi abolito.
Si sono sempre dovuti fare molti
scioperi per conquistare gli accordi aziendali. Abbiamo fatto manifestazioni
per Lecco e cortei fino alla Confindustria (associazione padronale). A volte
chiedendo anche la collaborazione e il sostegno di altre fabbriche lecchesi. Anche
noi facevamo scioperi di solidarietà con altre fabbriche, ad esempio la Sae,
magari due ore e facevamo dei cortei insieme a loro. Fiocchi e Metalgraf
avevano manodopera femminile.
C'era forse meno partecipazione
per i contratti nazionali. Noi eravamo inquadrati con il contratto dei chimici,
mentre solitamente tutta la battaglia la facevano i metalmeccanici. Noi
arrivavamo dopo e con risultati solitamente migliori.
La File era una società per
azioni controllata dalla famiglia Ceppi. Il dott. Mario Ceppi era molto
paternalistico, non era sposato e si è dedicato completamente alla fabbrica.
Una volta abbiamo fatto sciopero e lui ci ha chiamato dicendo che lui per noi
era come un papà e non dovevamo fare queste cose. Ma noi abbiamo continuato per
la nostra strada. Non che fossimo felici di fare sciopero. Lo sciopero era
l'ultima arma se non si trovava un accordo.
Quando dovevamo avviare una
contrattazione studiavamo il problema, si cercava di sviscerarlo ma a volte si
sbagliava. Alcuni allora davano la colpa al sindacato. Ma in realtà non era
semplice, a noi mancavano sempre alcione conoscenze. Noi rispettavamo la
direzione, che era brava nel suo lavoro, e dicevamo che eravamo noi che
dovevamo agguerrirci di più, in conoscenza, questo ci stimolava.
I nostri colleghi maschi ci hanno
sempre rispettato. Io ho avuto un rapporto corretto anche con la Cgil, che era
maggioranza in azienda.
L'unico scontro è stato il 14
febbraio, con l'accordo di S. Valentino sul punto di contingenza, l'unica volta
che non ho potuto parlare in assemblea, me lo hanno proprio impedito. Non che io avessi le idee molto
chiare, ho capito dopo. Queste cose, infatti, cadevano
un po’ sulle nostre teste e poi avevo sentito Camiti una settimana prima a Bergamo
che aveva detto che avrebbe fatto di tutto per non andare a una firma separata.
Si capiva dopo, e non è stata una scelta sbagliata.
Alle compagne di lavoro della
Cisl dicevo: sentite io ho un grande stima dei nostri dirigenti. Hanno sempre
fatto delle scelte giuste e quindi anche se questa scelta non la capiamo fino
in fondo una ragione ci sarà, cerchiamo di capirla.
Tutto questo non ha lasciato
conseguenze nei miei rapporti in fabbrica perché c'erano cose emotive che venivano
fuori al momento ma poi si dimenticavano.
Io ho avuto un rapporto molto
corretto sia con i rappresentanti maschi della Cisl, sia della Cgil e anche coi
lavoratori. Gli ultimi giorni è stata tutta una testimonianza di affetto. Il
mio capo non poteva più guardarmi. La gente veniva a salutarmi, mi portava i
bigliettini, mi dicevano: è vero che hai dato le dimissioni, ma dai sei giovane
ancora, potevi andare vanti. Adesso, son cinque anni che sono a casa, mi
telefonano ancora.
"Mari devo fare la lettera
per il part-time". Però sono cose gratificanti. Mentre sei impegnata non
sembra che sia così. Sembra anzi che tu ti dai da fare e gli altri se ne
fregano e dopo invece li trovi vicini a te. Io portavo anche il messaggio
ideale oltre ai servizi.
Alla liberazione di Foi c'eravamo
anche noi. Finché non è uscito non siamo andati via perché secondo noi era stato
un abuso il suo arresto. Siamo state una delle prime fabbriche che hanno avuto
la medicina del lavoro, perché la lavorazione fluorescente era una lavorazione al mercurio. Allora
abbiamo contrattato ('68/'70 buona contrattazione) l'intervento della medicina
del lavoro, con i medici che entravano a fare i prelievi e visite specifiche
sulla nocività del mercurio e visite oculistiche perché il sottilissimo filetto
delle lampadine veniva messo a mano, con un
lavorazione semiautomatica, con pericolo per la vista. Ora è tutto elettronico.
Almeno due volte all'anno si facevano questi controlli e le visite periodiche
di tutti i lavoratori.
C'è voluta un grande forza dei
lavoratori. Ma l'azienda riusciva forse a captare quando i lavoratori volevano
veramente certe cose e le ha concesse, anche se non con facilità perché in
questo modo noi intervenivamo sull'organizzazione del lavoro.
C'era anche molto calore e
abbiamo messo degli aspiratori, perché il vetro va lavorato con la fiamma e
d'estate era una cosa impossibile.
Non abbiamo mai fatto richieste
specifiche su problemi che riguardavano il territorio. Abbiamo però partecipato
quando il sindacato aveva deciso di chiedere dei fondi per la realizzazione degli
asili nido.
All'interno dell'azienda ci siamo
battuti per le pari opportunità. La direzione diceva che in azienda c'erano
già, ma erano solo parole. Nei fatti, a livello concreto, non c'erano. Esempio
pratico: l'azienda ha fatto dei corsi di formazione interna per gli operatori
sulle macchine cui partecipavano anche delle donne. Poi quelle donne dovevano
passare a turni per potere fare quella mansione. Una delle signore aveva dei
genitori anziani e non poteva passare a turni. Nell'ambito dei corsisti anche
due uomini non potevano passare a turni e per loro hanno trovato la collocazione.
Per la donna no. O passava a turni o niente. (‘76/’77).
Contratti di formazione lavoro.
Ci sono stati degli scontri perché non volevano confermare l'assunzione di
alcuni giovani, avevano dato dei giudizi negativi su alcuni lavoratori su cui
noi non eravamo d'accordo e allora abbiamo ottenuto una revisione del giudizio
e l'assunzione oppure il prolungamento di altri sei mesi dei contratti per
poter esprimere un giudizio più ragionato e fare la formazione adatta.
Quando sono stata assunta avevamo
uno spaccio aziendale con prodotti alimentari con prezzi buoni e a pranzo la
ditta ci passava un piatto di minestra, poi abbiamo concordato la mensa
aziendale con un pasto completo, con prezzo completo, però è stato tolto lo
spaccio, ma eravamo d'accordo anche noi.