mercoledì 15 aprile 2020

MARIELLA PANZERI - File - Lecco

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995
  
Sono iscritta alla Cisl da 40 anni. Ho lavorato 32 anni alla File, sono entrata nel ‘59 e sono uscita a fine ‘90. Abito a Cairate e sono nata a Cremona. Sono arrivata lì da piccola.
Il primo contatto con la Cisl l'ho avuto perché inizialmente ho lavorato in una piccola fabbrichetta nei dintorni di Garlate. 

Quando mi sono licenziata per andare alla File non mi hanno dato la liquidazione. Io non sapevo nemmeno che ci fosse il diritto alla liquidazione, ma parlando con gli altri mi sono accorta che mi avevano imbrogliato e  allora sono andata alla Cisl, senza neanche sapere bene cosa fosse. Senza chiedermi di iscrivermi, mi hanno fatto lo specchietto calcolando quando mi spettava e mi hanno mandato in azienda dicendo di presentare lo specchietto al proprietario e che se necessario, sarebbero intervenuti loro. Invece non è stato necessario. Appena hanno visto il timbro del sindacato si sono scusati dicendo che era stato un errore e mi hanno dato la mia liquidazione, solo che non mi sono accorta che non mi avevano versato i contributi. A 16, 17 anni non pensavo alla pensione. Me ne sono accorta molti anni dopo.
Alla File, invece, sono entrata subito nelle strutture di fabbrica. Alla File si costruiscono lampade di tutti i tipi, dalle piccole per le automobili alle fluorescenti.
Allora eravamo soprattutto donne. Uomini erano i capireparto, gli elettricisti ed i meccanici. Nel 1982 c'è stata una ristrutturazione, con 100 unità in meno e nell'ultimo periodo che sono stata in azienda cominciavano ad assumere personale specializzato, soprattutto per le novità introdotte con l'elettronica.
La maggioranza del consiglio di fabbrica era costituito da uomini. Però la partecipazione alla vita sindacale era molto intensa e nelle diverse azioni le donne erano in prima fila, però non si impegnavano molto direttamente, perché avevano una casa e una famiglia da mandare avanti e non gli rimaneva molto tempo per altro.

Io non sono sposata e quindi ho potuto dedicare più tempo all'impegno sindacale. E vero che c'erano i permessi sindacali, ma si dava anche molto tempo extra lavoro e per le donne sposate era davvero difficile. Ma l'idealità c'era e se partiva un'azione sindacale si sapeva che dietro c'erano le lavoratrici.
Almeno una volta al mese il consiglio di fabbrica si incontrava con il capo del personale. Ai tempi della commissione interna i rapporti erano più difficili e c'erano anche più scontri, come ad esempio per il cottimo. Attraverso la contrattazione aziendale, reparto per reparto, il cottimo è stato poi abolito.
Si sono sempre dovuti fare molti scioperi per conquistare gli accordi aziendali. Abbiamo fatto manifestazioni per Lecco e cortei fino alla Confindustria (associazione padronale). A volte chiedendo anche la collaborazione e il sostegno di altre fabbriche lecchesi. Anche noi facevamo scioperi di solidarietà con altre fabbriche, ad esempio la Sae, magari due ore e facevamo dei cortei insieme a loro. Fiocchi e Metalgraf avevano manodopera femminile.
C'era forse meno partecipazione per i contratti nazionali. Noi eravamo inquadrati con il contratto dei chimici, mentre solitamente tutta la battaglia la facevano i metalmeccanici. Noi arrivavamo dopo e con risultati solitamente migliori.
La File era una società per azioni controllata dalla famiglia Ceppi. Il dott. Mario Ceppi era molto paternalistico, non era sposato e si è dedicato completamente alla fabbrica. Una volta abbiamo fatto sciopero e lui ci ha chiamato dicendo che lui per noi era come un papà e non dovevamo fare queste cose. Ma noi abbiamo continuato per la nostra strada. Non che fossimo felici di fare sciopero. Lo sciopero era l'ultima arma se non si trovava un accordo.
Quando dovevamo avviare una contrattazione studiavamo il problema, si cercava di sviscerarlo ma a volte si sbagliava. Alcuni allora davano la colpa al sindacato. Ma in realtà non era semplice, a noi mancavano sempre alcione conoscenze. Noi rispettavamo la direzione, che era brava nel suo lavoro, e dicevamo che eravamo noi che dovevamo agguerrirci di più, in conoscenza, questo ci stimolava.
I nostri colleghi maschi ci hanno sempre rispettato. Io ho avuto un rapporto corretto anche con la Cgil, che era maggioranza in azienda.
L'unico scontro è stato il 14 febbraio, con l'accordo di S. Valentino sul punto di contingenza, l'unica volta che non ho potuto parlare in assemblea, me lo hanno proprio impedito. Non che io avessi le idee molto chiare, ho capito dopo. Queste cose, infatti, cadevano un po’ sulle nostre teste e poi avevo sentito Camiti una settimana prima a Bergamo che aveva detto che avrebbe fatto di tutto per non andare a una firma separata. Si capiva dopo, e non è stata una scelta sbagliata.
Alle compagne di lavoro della Cisl dicevo: sentite io ho un grande stima dei nostri dirigenti. Hanno sempre fatto delle scelte giuste e quindi anche se questa scelta non la capiamo fino in fondo una ragione ci sarà, cerchiamo di capirla.
Tutto questo non ha lasciato conseguenze nei miei rapporti in fabbrica perché c'erano cose emotive che venivano fuori al momento ma poi si dimenticavano.
Io ho avuto un rapporto molto corretto sia con i rappresentanti maschi della Cisl, sia della Cgil e anche coi lavoratori. Gli ultimi giorni è stata tutta una testimonianza di affetto. Il mio capo non poteva più guardarmi. La gente veniva a salutarmi, mi portava i bigliettini, mi dicevano: è vero che hai dato le dimissioni, ma dai sei giovane ancora, potevi andare vanti. Adesso, son cinque anni che sono a casa, mi telefonano ancora.
"Mari devo fare la lettera per il part-time". Però sono cose gratificanti. Mentre sei impegnata non sembra che sia così. Sembra anzi che tu ti dai da fare e gli altri se ne fregano e dopo invece li trovi vicini a te. Io portavo anche il messaggio ideale oltre ai servizi.

Alla liberazione di Foi c'eravamo anche noi. Finché non è uscito non siamo andati via perché secondo noi era stato un abuso il suo arresto. Siamo state una delle prime fabbriche che hanno avuto la medicina del lavoro, perché la lavorazione fluorescente era una lavorazione al mercurio. Allora abbiamo contrattato ('68/'70 buona contrattazione) l'intervento della medicina del lavoro, con i medici che entravano a fare i prelievi e visite specifiche sulla nocività del mercurio e visite oculistiche perché il sottilissimo filetto delle lampadine veniva messo a mano, con un lavorazione semiautomatica, con pericolo per la vista. Ora è tutto elettronico. Almeno due volte all'anno si facevano questi controlli e le visite periodiche di tutti i lavoratori.
C'è voluta un grande forza dei lavoratori. Ma l'azienda riusciva forse a captare quando i lavoratori volevano veramente certe cose e le ha concesse, anche se non con facilità perché in questo modo noi intervenivamo sull'organizzazione del lavoro.
C'era anche molto calore e abbiamo messo degli aspiratori, perché il vetro va lavorato con la fiamma e d'estate era una cosa impossibile.
Non abbiamo mai fatto richieste specifiche su problemi che riguardavano il territorio. Abbiamo però partecipato quando il sindacato aveva deciso di chiedere dei fondi per la realizzazione degli asili nido.
All'interno dell'azienda ci siamo battuti per le pari opportunità. La direzione diceva che in azienda c'erano già, ma erano solo parole. Nei fatti, a livello concreto, non c'erano. Esempio pratico: l'azienda ha fatto dei corsi di formazione interna per gli operatori sulle macchine cui partecipavano anche delle donne. Poi quelle donne dovevano passare a turni per potere fare quella mansione. Una delle signore aveva dei genitori anziani e non poteva passare a turni. Nell'ambito dei corsisti anche due uomini non potevano passare a turni e per loro hanno trovato la collocazione. Per la donna no. O passava a turni o niente. (‘76/’77).
Contratti di formazione lavoro. Ci sono stati degli scontri perché non volevano confermare l'assunzione di alcuni giovani, avevano dato dei giudizi negativi su alcuni lavoratori su cui noi non eravamo d'accordo e allora abbiamo ottenuto una revisione del giudizio e l'assunzione oppure il prolungamento di altri sei mesi dei contratti per poter esprimere un giudizio più ragionato e fare la formazione adatta.
Quando sono stata assunta avevamo uno spaccio aziendale con prodotti alimentari con prezzi buoni e a pranzo la ditta ci passava un piatto di minestra, poi abbiamo concordato la mensa aziendale con un pasto completo, con prezzo completo, però è stato tolto lo spaccio, ma eravamo d'accordo anche noi.