Il 12 dicembre 1969 una bomba esplode alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, causando 17 morti e circa 90 feriti.
La strage della Banca dell'Agricoltura diede avvio alla strategia della tensione che vide la realizzazione di numerosi attentati come la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, del treno Italicus del 4 agosto 1974 e la strage di Bologna del 2 agosto 1980 con 85 vittime
Per la sua gravità e la sua rilevanza politica, la strage di piazza Fontana divenne il momento più alto di un progetto eversivo preparato attraverso gli altri attentati di quello stesso anno e diretto - come emerge dalle sentenze - a utilizzare il disordine e la paura per sbocchi di tipo autoritario.
Dopo aver inizialmente imboccato la "pista anarchica", le indagini portarono a individuare le responsabilità di gruppi fascisti e il coinvolgimento di esponenti dei servizi segreti.
Ricordo che la mattina del 12 dicembre ’69 eravamo riuniti nel mio ufficio tutti e tre i segretari generali: Polotti della Uil, Bonaccini della Cgil e io. Si parlava di organizzare una manifestazione per l’antivigilia di Natale a sostegno del rinnovo dei contratti in scadenza. Doveva essere una manifestazione di pacificazione degli animi, una festa. Venivano fuori le proposte più astruse: uno, per dare visibilità e memorabilità all’evento, voleva portare sul palco i giocatori del Milan e dell’Inter. Un altro voleva la benedizione e la solidarietà dell’Arcivescovo. Altri volevano riempire i cieli di Milano di palloncini colorati. Io non riuscii a trattenere una battuta: perché allora non vestirsi da Babbo Natale, con tanto di contratto-regalo nella sacca. A un certo punto suonò il telefono. Era Pietro Roncato, addetto stampa della Cisl di Milano. “E’ scoppiata una caldaia alla Banca dell’Agricoltura, ci sono un sacco di morti”, mi disse. Tempo due minuti e mi richiamò: “Ma che caldaia, è una bomba!”. La notizia ci portò brutalmente alla realtà. Ad una realtà tremenda e sconosciuta.
Dopo un primo momento di disorientamento, scartammo l’ipotesi dello sciopero di protesta e decidemmo di chiamare i lavoratori a manifestare la loro solidarietà nel giorno dei funerali. Quella mattina del 17 dicembre gli operai, tutti uniti, uscirono dalle fabbriche con le tute ancora indosso, la città intera si fermò per tutta la mattinata.
Il clima di tensione, di rabbia per una violenza cieca e senza spiegazione si respirava, si toccava con mano. Piazza Duomo era stracolma. C’erano quelli della Pirelli in tuta, della Siemens, dell’Alfa Romeo, con facce serie, tese. Era evidente che quel loro comportamento manifestava un senso di dispiacere ma anche di forte monito contro queste forme di violenza. Era una mattina piena si smog, erano le undici ma sembrava notte tanto non si vedeva nulla. Un silenzio irreale e si contavano i morti dal rumore delle bare che venivano chiuse.
La sera la radio disse che questi fatti erano la conseguenza di troppi scioperi, ma noi non smettemmo mai di ripetere che uno degli obiettivi del terrorismo fu anche quello bloccare e danneggiare l’attività sindacale.
Qualcuno disse che il clima di contrasti sociali era il terreno più fertile sul quale far prosperare i comportamenti violenti. I lavoratori che parteciparono ai funerali furono la migliore risposta a quelle affermazioni: dissero no alla violenza, scelsero chiaramente da che parte stare.
Avevamo fatto da poco una manifestazione a Roma molto partecipata senza nessun problema e ci preparavamo a un nuovo momento di mobilitazione. Vi era una discussione intorno all'eventualità o meno di organizzare il Natale dei metalmeccanici in piazza Duomo nel caso il contratto non si fosse sbloccato. In Camera del lavoro stavamo discutendo proprio di questo quando nel pomeriggio del 12 dicembre ci fu l'esplosione alla Banca dell'Agricoltura. Inizialmente non pensammo a un attentato ma un incidente, l'esplosione di una caldaia per il riscaldamento, anche se era già in atto una certa strategia della tensione. Nel giro di mezz'ora però ci fu detto che si trattava di una bomba di estremisti di sinistra, probabilmente un anarchico. Immediatamente Pierre Carniti, in rapporto con Annio Breschi, che in quel momento era il segretario della Fiom di Milano, propose di organizzare uno sciopero generale contro la strategia della tensione, il terrorismo e la violenza, perché si intuiva che la bomba era anche contro i lavoratori e le loro lotte. Le Confederazioni, e anche alcune strutture, erano però contrarie. Ci furono due giorni di confronti serrati e la decisione finale fu quella dello sciopero generale con la presenza ai funerali in silenzio e senza simboli. In quella plumbea giornata ci fu una grande partecipazione, nella convinzione di essere in piazza solidali con i familiari delle vittime ma anche a difendere la democrazia. Conseguenza di quella mobilitazione fu il definitivo consolidamento del Comitato permanente antifascista per la difesa dell'ordine repubblicano che vede insieme Cgil Cisl Uil, le forze politiche democratiche e le istituzioni.
Un’esperienza molto forte è stata la strage di Piazza Fontana. Ero in ufficio e mi telefonò Piergiorgio Tiboni: “Ho sentito che è successo qualcosa alla Banca dell’Agricoltura, forse è scoppiata una caldaia”. Cinque minuti dopo arrivò la conferma che era una bomba. Allora ho preso la mia cinquecento per andare sul posto ma, arrivato in zona Palestro, era tutto bloccato e non si poteva passare. Ho parcheggiato la macchina e mi sono incamminato a piedi. Sono arrivato vicino a Piazza Fontana dove ho trovato un poliziotto che mi conosceva e, accompagnato da lui, sono arrivato fin quasi sulla soglia della banca. E’ stata una visione tragica. C’era gente che urlava, piangeva, bestemmiava. Tornato in sede, è arrivata una telefonata da Roma che convocava il consiglio generale della Fim per l’indomani mattina. Abbiamo viaggiato tutta notte in treno e la mattina dopo abbiamo fatto la nostra riunione. Il pomeriggio ce n’è stata un’altra, questa volta unitaria. Il messaggio fu: “Chiudere immediatamente il contratto”.