Intervista realizzata per il volume “Pensiero, azione, autonomia. Saggi e testimonianze per Pierre Carniti”, a cura di Mario Colombo e Raffaele Morese, Edizioni Lavoro, Roma, 2016
L’unità d’azione come fattore di cambiamento
Hanno solo quattro anni di differenza e un percorso sindacale e politico simile, se non parallelo. Sindacalisti a Milano, l'uno nella Fim e l'altro nella Fiom, e a Roma, l'uno segretario generale della Cisl, l'altro della Cgil. Inizialmente su fronti avversi, sono stati attori di un cammino unitario che ha segnato l’esperienza sindacale dei metalmeccanici milanesi e non solo. Su posizioni aspramente contrapposte in occasione dell’accordo di San Valentino e il successivo referendum, ad un certo punto del loro lungo cammino si sono ritrovati contemporaneamente parlamentari, eletti nello stesso partito, l'uno in Europa e l’altro in Italia. Ma se nel periodo dell’attività politica sono state scarse le occasioni di incontro, è essenzialmente negli anni milanesi che nasce e si rafforza un rapporto che è vissuto di significative battaglie sindacali unitarie per la tutela dei lavoratori e la conquista di nuovi diritti oltre che dell’impegno comune contro terrorismo e stragi nere.
“Ho incontrato Carniti per la prima volta negli anni Cinquanta quando ero membro della commissione interna della Borletti e lui era responsabile della zona Sempione della Fim Cisl e partecipavamo ad una riunione. Fu un incontro molto formale. La conoscenza vera avviene negli anni Sessanta, Carniti è segretario della Fim provinciale quando io divento funzionario della Fiom al provinciale, con la responsabilità in particolare della contrattazione integrativa e la ricerca sulla realtà economica delle aziende, che ci serviva per costruire le piattaforme. Era la fase in cui, dopo gli scioperi degli elettromeccanici, si era sviluppata a Milano una contrattazione articolata molto intensa condotta unitariamente. Erano circa 100mila i lavoratori che nelle aziende milanesi, tra il 1961 e ’62, conducevano lotte per la conquista di nuovi diritti. Erano scioperi molto impegnativi, che portarono anche all'anticipazione della disdetta del contratto nazionale di lavoro del 1962. Si tenne una grande assemblea unitaria al Vigorelli, con decine di migliaia di lavoratori in sciopero, con l'obiettivo di chiudere le vertenze aziendali e aprire la trattativa per il rinnovo del contratto. In quella fase abbiamo avuto occasione di incontrarci più volte, seguendo anche alcune vertenze aziendali insieme”.
Cosa ricordi di quei momenti, che impressione avevi di Carniti?
“Pierre svolgeva un ruolo fondamentale su due terreni. Uno, sui contenuti rivendicativi, su come elaborare le richieste, le piattaforme e come condurre le vertenze, e l'altro, ancora più importante, nell’opera di convinzione affinché fossero lotte unitarie. Da subito diede un apporto molto importante, sviluppando l'esperienza della lotta degli elettromeccanici. Un apporto che pesava. In molti casi ci si incontrava a quattrocchi, in particolare Carniti allora aveva un rapporto molto intenso con Giuseppe Sacchi, che era il segretario della Fiom di Milano”.
Come era vissuto dentro la Cgil la figura di Pierre Carniti, convinto sostenitore dell’unità mentre la Cisl faticava ancora a condividere quelle posizioni?
“Vivevamo come un momento importante l'apporto che lui dava. Nel 1965 era stato eletto nella segreteria nazionale della Fim e contribuiva a costruire i percorsi e i contenuti unitari. Spesso le “chiacchierate” con lui consentivano di tenere conto degli elementi necessari a realizzare dei percorsi unitari percorribili da tutti”.
Quali erano i temi sui quali c'era maggiore sintonia, le questioni sulle quali è stato più facile trovare un'intesa per costruire piattaforme unitarie?
“Il fatto nuovo erano le condizioni di lavoro che in quegli anni, con il fordismo, stavano mutando e quindi occorreva decidere come rispondere. C’erano la questione dei trattamenti economici, dell’organizzazione del lavoro e della tutela della salute. Quest’ultimo era un problema che si iniziava ad affrontare allora, perché i ritmi di lavoro portavano a fortissime tensioni. Ricordo due momenti. La battaglia delle donne della Borletti e quella dell'Alfa Romeo. Furono due vertenze separate, avviate in momenti diversi, ma nelle quali emersero i primi contenuti conseguenza della nuova organizzazione del lavoro e si capì che cosa volevano dire il fordismo e le catene di montaggio. In entrambe si pose il problema della modalità di utilizzo delle pause attraverso la conquista di una percentuale di sostituti da inserire in linea in relazione ai ritmi di lavoro. Alla Borletti vi furono delle lotte articolate per mesi, molto dure, e si raggiunse un accordo unitario. All'Alfa Romeo, invece, emersero dei dissensi e un primo accordo venne siglato da Fim e Uilm e non dalla Fiom, ma la protesta continuò fino a quando anche all'Alfa Romeo, riprese le trattative, non vennero conquistati i sostituti. L'intesa venne rivista e anche in questo caso si arrivò a un accordo unitario”.
Sono le vertenze aziendali, quindi, che aprono la strada che porta a una conoscenza e a un rapporto sempre più stretti tra Fim e Fiom?
“Le vertenze aziendali sono quelle che fanno compiere un passo avanti molto significativo sulla strada dell'unità e dei contenuti rivendicativi. La realtà nelle fabbriche, con il fordismo, è molto articolata e molto diversa, cambiano anche le professionalità dei singoli e quindi necessitano dei confronti. Non c'è il diritto d'assemblea, ma gli incontri con i lavoratori si fanno sui piazzali davanti alle fabbriche, sui marciapiedi. Si rafforzano i rapporti unitari perché le soluzioni che si devono trovare per i nuovi aspetti dell'organizzazione del lavoro richiedono una conoscenza approfondita delle diverse situazioni. Questo ha fatto fare un forte passo avanti nel rapporto con le commissioni interne, con chi stava in fabbrica, e si è intrecciato con la battaglia contrattuale".
Qual è stato il contributo di Carniti nell’elaborazione dei contenuti della piattaforma contrattuale?
La vertenza per il rinnovo del contratto del 1962 è stata una cosa straordinaria. La piattaforma era unica, anche se c'era stato un punto di dissenso e su questo ha pesato la posizione di Pierre Carniti che sosteneva la richiesta di aumenti uguali per tutti. Pierre era il più determinato. In Fiom non eravamo d'accordo, ma volevamo che la piattaforma fosse unitaria, anche se questo fatto dell'aumento salariale uguale per tutti rendeva difficili i rapporti con i livelli professionali più alti, in particolare con gli impiegati. Mi ricordo che facemmo il comitato centrale della Fiom dicendoci che non condividevamo quell’idea, ma decidemmo che si andava avanti insieme. E abbiamo operato unitariamente per tutto il lungo periodo della vertenza, con 208 ore di sciopero. Il contratto venne stipulato all'inizio del 1963”.
Superata la fase del rinnovo contrattuale, come è proseguito il rapporto tra Fim e Fiom?
“I rapporti unitari si sono rafforzati con lo sviluppo della contrattazione articolata e si è arrivati alla piattaforma per il rinnovo del contratto del 1965-’66 con una discussione unitaria e con alle spalle ormai una diffusa contrattazione aziendale, in particolare in tutto il Nord Italia. Per ottenere il contratto si sono fatte 180 ore di sciopero. Il malessere dei lavoratori ha sostenuto uno scontro avvenuto essenzialmente sulla questione salariale. Nel momento in cui si ipotizzava la conclusione del contratto, con un limitato miglioramento delle buste paga, il governo ha aumentato le tasse sulle retribuzioni. Di fatto lo stesso giorno in cui si è ottenuto l'aumento salariale, questo è stato sottratto con l'aumento delle tasse. Ma il contratto prevedeva la contrattazione aziendale e il premio di produzione. Pertanto, sottoscritto l'accordo e presentato nelle assemblee sui piazzali, l'anno successivo si è avuto uno sviluppo eccezionale della contrattazione articolata che ha prodotto più di 1.500 vertenze con 670mila lavoratori coinvolti, oltre 100mila i milanesi. In molti di quegli accordi è stata ottenuta una riduzione dell'orario e sono state stipulate le prime intese sulla sicurezza e la salute sul lavoro. L'intesa alla Breda di Sesto San Giovanni porterà alla nascita degli Smal, i servizi di medicina negli ambienti di lavoro”.
Ci sono alcune vertenze che ricordi in particolare, nelle quali siete stati coinvolti sia tu che Carniti?
“Prima di andare a Sesto come responsabile della zona Fiom, nella vertenza Alfa Romeo e per altre fabbriche, mi sono incontrato più volte con Carniti. Nel 1965 ho assunto la responsabilità della zona di Sesto San Giovanni, che allora contava 50mila lavoratori, concentrati essenzialmente in quattro fabbriche: Breda, Falck, Ercole Marelli e Magneti Marelli. Ricordo un momento particolare della vertenza della Falck, quando dopo oltre un centinaio di ore di sciopero non si riusciva ad arrivare a una conclusione. Noi ponevamo il problema dell'applicazione della riduzione dell'orario di lavoro. Nell'acciaieria per farlo bisognava passare da tre a quattro squadre, con l’introduzione del lavoro 24 ore su 24, per sette giorni su sette, escluso solo Natale e Capodanno. Con la quarta squadra e la riorganizzazione del lavoro si aveva la garanzia che le persone potessero effettivamente godere delle ferie e dei riposi, perché c'erano lavoratori che avevano parecchie decine di giorni di ferie arretrate. Inoltre si sarebbe avuta l’assunzione di alcune centinaia di lavoratori. Sul piano salariale però la proposta dell'azienda era considerata inadeguata. A quel punto intervennero nella trattativa i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm e Carniti fece la proposta di destinare tutte le risorse disponibili per gli aumenti salariali solo agli operai. L'accordo venne fatto su questa base. L'intesa fu firmata di notte e al mattino successivo abbiamo illustrato l’accordo nelle assemblee. C'era malessere tra i lavoratori delle acciaierie, che mal volentieri accettavano l'idea di lavorare a turno la domenica, c'erano state delle proteste anche da parte dei sacerdoti delle parrocchie. Sul piazzale davanti all'ingresso dello stabilimento Unione della Falck erano riuniti migliaia di lavoratori e l'accordo è stato illustrato da Pierre Carniti. A conclusione dell'assemblea l'accordo è stato approvato dai lavoratori e gli operai hanno applaudito quando Carniti ha sottolineato che l'aumento era destinato solo a loro. Contemporaneamente, però, è iniziata la protesta degli impiegati. Si decise allora che la sera stessa ci sarebbe stata un'assemblea degli impiegati nella sala dell'oratorio lì vicino.
Il confronto con gli impiegati non è stato semplice. C'era una grande partecipazione, con diverse centinaia di persone, la sala non riusciva a contenerle tutte e fummo costretti a trasferirci nei campi di bocce. La gestione dell'assemblea era affidata a noi responsabili di zona e alla fine si decise di aprire una vertenza specifica per gli impiegati, con l’avvio di una trattativa con la Falck in Assolombarda. Si sono fatti un paio di scioperi di soli impiegati e si è arrivati a firmare un accordo. Si è trattato di una vertenza che ha aperto la strada a molte altre iniziative simili in diverse aziende e che, di fronte alla resistenza padronale, ha visto per la prima volta un corteo a Milano con la partecipazione di decine di migliaia di impiegati.
Per varie settimane le chiese di Sesto San Giovanni la domenica – quando le acciaierie iniziarono a lavorare - hanno fatto suonare le campane a morto”.
Come avete reagito alla proposta di Carniti di dare l'aumento solo agli operai?
“Noi che eravamo alla trattativa eravamo un po' preoccupati, ma i dubbi furono superati nel momento in cui si determinò una vertenza per gli impiegati. Cosa che non era mai accaduta con quella dimensione e qualità”.
Carniti è sempre stato sostenitore della necessità di una riduzione dell'orario di lavoro. Quanto ha inciso questa sua posizione nella definizione dei contenuti della piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale successivo?
“Pierre era determinato ad arrivare alle 40 ore e alla parificazione tra operai e impiegati, anche per quanto riguardava il mese di ferie. Lui fu decisivo su questi aspetti, compreso quello sulle modalità di attuazione della riduzione dell'orario di lavoro, perché quando si arrivò alle 40 ore la battaglia fu per conquistare una settimana lavorativa non più di sei giorni, ma di cinque. Ci fu contemporaneamente un'altra rivendicazione sostenuta da Pierre. Se si lavorava per cinque giorni, perché gli abbonamenti dei trasporti pubblici dovevano essere basati su sei? Si aprì una vertenza con il Comune di Milano e questi accettò di intervenire sull'Atm per modificare gli abbonamenti”.
Le battaglie condotte insieme dai metalmeccanici portarono alla nascita della Flm. Quanto ha inciso Carniti nella costruzione del progetto unitario?
“La battaglia per la costruzione dell'unità sindacale in Italia vide Carniti – che nel 1970 era diventato segretario generale della Fim Cisl – protagonista determinato per lo scioglimento delle Confederazioni e la costruzione del sindacato unitario. Poi anche per il solo scioglimento dei sindacati dei metalmeccanici e per dare vita a un’organizzazione unitaria. Il progetto non fu però condiviso e portò, nel marzo del 1970, ad una conferenza di Fim Fiom Uilm a Genova che creò le premesse perché l'esecutivo unitario il 22 luglio 1971 costituisse la Flm nazionale, con sede unitaria a Roma e l’impegno a realizzarle in tutta Italia”.
Come si concretizzò questo percorso a Milano?
“A Milano, nel momento in cui ci scelse di dare vita alla Flm, furono costruite sedi unitarie, non solo per il provinciale, ma in tutte le zone. All'Umanitaria furono costituiti gruppi di lavoro sulla contrattazione, le 150 ore, la formazione sindacale, l'organizzazione. Si compì un salto che consentì alla struttura unitaria di essere presente tra i lavoratori metalmeccanici. Furono trasformati i giornali. Tutte le testate divennero unitarie. Si fecero iniziative formative unitarie. Si creò una struttura che favoriva la democrazia e la partecipazione nei luoghi di lavoro con i consigli dei delegati. I consigli di zona consentivano politiche unitarie nel territorio. Sedi e strutture offrivano formazione e informazione e contemporaneamente contribuivano a elaborare le scelte rivendicative. Era una unità sindacale vissuta e partecipata. A Milano gli iscritti alla Flm erano più di 150mila e si era forti sia nelle politiche rivendicative che in quelle generali. Il modo di operare dei metalmeccanici ha contribuito anche a spingere le Confederazioni a muoversi unitariamente. Credo che l'impostazione data unitariamente quando Pierre era a Milano, via via abbia contribuito a realizzare questi percorsi. Un’esperienza molto significativa anche per il resto d'Italia”.
A partire dal 1968, durante l'autunno caldo e per alcuni anni successivi, si fece sentire con una certa forza la presenza del movimento gli studenti. Qual è stato il vostro atteggiamento nei loro confronti?
“La nostra posizione era che dovevamo avere delle discussioni e dei confronti, ma allo stesso tempo essere autonomi, anche se ci sono stati dei momenti significativi del rapporto con gli studenti grazie a indicazioni che dava anche Carniti, cioè di rapportarsi sui contenuti. Particolarmente significativo il rapporto che si è attivato alla Breda di Sesto San Giovanni e alla Franco Tosi di Legnano, con gli studenti della facoltà di medicina che aiutarono a studiare quali erano i problemi e anche a individuare le rivendicazioni da sostenere, sia dal punto di vista della salute che della forma degli interventi. Allo stesso tempo ci sono stati momenti di forte tensione, come quando hanno tentato di entrare in alcune fabbriche. Il confronto al nostro interno però, a mio parere, non era adeguato a quella situazione”.
Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1969 è un momento significativo dell'azione sindacale, una delle fasi più alte della capacità di mobilitazione di Fim Fiom Uilm. Allo stesso tempo è emblematico perché la sua firma avviene pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana. Come valuti quanto è accaduto in quei giorni? Che ruolo ebbe Carniti?
“Avevamo fatto da poco una manifestazione a Roma molto partecipata senza nessun problema e ci preparavamo a un nuovo momento di mobilitazione. Vi era una discussione intorno all'eventualità o meno di organizzare il Natale dei metalmeccanici in piazza Duomo nel caso il contratto non si fosse sbloccato. In Camera del lavoro stavamo discutendo proprio di questo quando nel pomeriggio del 12 dicembre ci fu l'esplosione alla Banca dell'Agricoltura. Inizialmente non pensammo a un attentato ma un incidente, l'esplosione di una caldaia per il riscaldamento, anche se era già in atto una certa strategia della tensione. Nel giro di mezz'ora però ci fu detto che si trattava di una bomba di estremisti di sinistra, probabilmente un anarchico. Immediatamente Pierre Carniti, in rapporto con Annio Breschi, che in quel momento era il segretario della Fiom di Milano, propose di organizzare uno sciopero generale contro la strategia della tensione, il terrorismo e la violenza, perché si intuiva che la bomba era anche contro i lavoratori e le loro lotte. Le Confederazioni, e anche alcune strutture, erano però contrarie. Ci furono due giorni di confronti serrati e la decisione finale fu quella dello sciopero generale con la presenza ai funerali in silenzio e senza simboli. In quella plumbea giornata ci fu una grande partecipazione, nella convinzione di essere in piazza solidali con i familiari delle vittime ma anche a difendere la democrazia. Conseguenza di quella mobilitazione fu il definitivo consolidamento del Comitato permanente antifascista per la difesa dell'ordine repubblicano che vede insieme Cgil Cisl Uil, le forze politiche democratiche e le istituzioni”.
Immediatamente dopo si arriva alla firma del contratto nazionale dei metalmeccanici. La strage di Piazza Fontana in qualche modo ha condizionato la chiusura delle trattative?
“La trattativa era già a buon punto per quanto riguardava le partecipazioni statali, l'Intersind, e il confronto proseguì con Confindustria fino alla firma di gennaio. Secondo me la chiusura dell’accordo non fu condizionata dall'attentato, anche se vi era certamente una forte preoccupazione per possibili colpi di mano e per la tenuta della democrazia”.
Nel maggio del 1970 il Parlamento approva lo Statuto dei lavoratori. La Cisl non ha mai amato l'intervento della legge nelle questioni sindacali. Hai avuto modo di confrontarti con Carniti?
“La prima approvazione al Senato era avvenuta la sera precedente l'attentato di Piazza Fontana. Io credo che Pierre abbia apprezzato la legge nel momento in cui fu varata, perché l'approvazione dello Statuto ha voluto dire immediatamente aprire una nuova fase. Si entrava in fabbrica. Si eleggevano le rappresentanze. Rapidamente, negli stabilimenti milanesi si operò per l'elezione dei consigli dei delegati su scheda bianca. A Sesto San Giovanni, a partire dal quel momento, in tutte le fabbriche furono eletti 1.320 delegati. Fu convocata l'assemblea dei delegati e si decise che a Sesto nascesse il Sum, Sindacato unitario metalmeccanico, e venne creata una sede unitaria. Vi era a Milano chi non era d'accordo, ma Carniti sostenne queste decisioni e quell’esperienza venne realizzata anche grazie a lui”.
Alcune novità introdotte dallo Statuto dei lavoratori in realtà erano già state conquistate in precedenza in diverse fabbriche, come testimoniano le numerose assemblee tenute in azienda con la partecipazione dei sindacalisti.
“In una di queste partecipò anche Pierre Carniti. I lavoratori uscivano dalla stabilimento, prendevano in spalla il dirigente sindacale e lo portavano dentro a fare l'assemblea. Anche queste iniziative contribuirono a consolidare il percorso verso l'unità sindacale. Negli anni successivi, grazie anche al forte e determinato contributo di Carniti, è proseguito il cammino nella costruzione dell'unità. Il ruolo che ha avuto Carniti, non solo nel confronto con Fiom e Uilm, ma anche all'interno della Cisl, da questo punto di vista è stato decisivo per i passi in avanti che sono stati compiuti. Se non vi fosse stato lo Statuto, con il diritto di entrare in fabbrica e tutto quanto la nuova legge ha permesso, si sarebbero potuti fare i passi avanti compiuti verso l'unità? In particolare, nei metalmeccanici, l'assemblea dei delegati che si è tenuta a Genova e ha portato alla costituzione della Flm? La realizzazione della sede unitaria nazionale?
Ricordo che dopo Firenze 1, 2, 3 vi è stato il passo indietro che ha portato alla costituzione della Federazione Cgil Cisl Uil. Carniti era però determinato ad andare avanti nella costruzione del sindacato unitario dei metalmeccanici, tant'è che nel 1972 si è arrivati a fare il tesseramento Flm e Pierre sosteneva che si doveva arrivare allo scioglimento di Fim, Fiom e Uilm di modo che i metalmeccanici diventassero non solo l’esempio, ma la spinta per tutto il movimento”.
Come vivevi questo personaggio, questo cislino così particolare, e come era visto dentro la Fiom?
“Carniti era vissuto come un dirigente che dava un apporto determinante. Era una persona che consideravamo fondamentale nella costruzione del percorso unitario, anche se vi erano momenti di contrasto. Poi si andava avanti insieme perché l'unità era l'obiettivo fondamentale. Il dissenso c'è stato quando si è arrivati al punto unico della scala mobile. Lui era vissuto, malgrado questi momenti di forte divergenza e indipendentemente dall'orientamento politico, come una figura unitaria molto importante e determinante. Vi potevano essere differenti valutazioni, ma l'impostazione complessiva era condivisa. Era un dirigente sindacale risoluto sul merito delle questioni e sulla qualità del rapporto che voleva avere con i lavoratori e quindi era una figura determinante per il processo unitario che volevamo costruire. Il suo contributo, se vogliamo a partire dalla zona Sempione a Milano, poi al provinciale e quindi da segretario nazionale Fim e segretario generale della Cisl, è stato, sotto questo aspetto, decisivo”.
E tu, personalmente, che giudizio ne davi?
“Io ero responsabile della zona di Sesto e lui era segretario nazionale, ma il rapporto era di parità e quindi sul piano personale la mia esperienza con lui è stata una cosa molto bella e positiva, fermo restando che su quelle questioni che abbiamo ricordato da parte mia il dissenso è stato esplicito. Tant'è che sugli aumenti uguali per tutti a Sesto San Giovanni si fece una consultazione scritta con voto segreto dei lavoratori e l'80% si dichiarò contrario a quella scelta. I momenti di dissenso però, per quanto importanti, non mettevano in discussione il rapporto. Ancora recentemente, alla presentazione del suo libro ‘Dalle lotte operaie allo Statuto dei lavoratori’ Giuseppe Sacchi, segretario della Fiom di Milano tra il 1958 e il 1964, ha ricordato che se non ci fosse stato Pierre Carniti non saremmo riusciti a costruire il cammino unitario e a realizzare le conquiste che abbiamo fatto”.
Negli anni successivi alla strage di Piazza Fontana, seppure in ruoli diversi, vi siete trovati insieme ad affrontare la grave minaccia del terrorismo.
“C'era stata la strage alla Banca dell’Agricoltura e c'era stata la nostra mobilitazione e quasi contemporaneamente il Collettivo politico metropolitano, prima forma di organizzazione terroristica italiana, fece un convegno nel Savonese decidendo di passare alla lotta armata, tentando di organizzarsi nelle fabbriche. In particolare cercarono di radicarsi alla Pirelli, alla Sit Siemens e all'Alfa Romeo e al fine di riuscire si accanirono in particolare contro i dirigenti d'azienda, oltreché contro i magistrati. Alla Sit Siemens hanno sequestrato Idalgo Macchiarini nella fase in cui era in corso una vertenza sindacale e per la prima volta è comparsa la stella a cinque punte. Via via gli episodi si sono infittiti e hanno colpito in particolare coloro che nelle aziende erano più disponibili al confronto con il sindacato. Tentando di far passare l’idea che la rappresentanza dei lavoratori era fatta dai gruppi armati. Il sindacato in quegli anni ha condotto una grande battaglia alla quale Pierre Carniti ha dato il suo contributo. Nelle fabbriche si sono fatte numerose assemblee contro il terrorismo. Ne ricordo una alla Falck a cui aveva partecipato Carniti, appena usciti i terroristi hanno sparato a un dirigente. Il sindacato ha risposto intensificando le assemblee, non più solo generali ma di reparto, non solo per dire che si era contro la violenza e il terrorismo, ma contemporaneamente per formare i lavoratori. Con il contributo di dirigenti sindacali, di magistrati e di intellettuali, per rendere le persone partecipi della lotta per la difesa della democrazia nel Paese e nei luoghi di lavoro. È stata una battaglia difficile, ma ha portato dei risultati, con una forte crescita di consapevolezza dei lavoratori sui rischi del terrorismo.
Il sindacato milanese è stato all'avanguardia nella risposta e nella lotta al terrorismo e ciò che avevamo realizzato in occasione dell'attentato alla Banca dell'Agricoltura ci ha aiutato in questa battaglia. Quindi il contributo di Pierre è stato molto importante”.
Come hai vissuto l'accordo di San Valentino. Cosa hai pensato di Carniti in quel momento? Un dirigente che era stato il fautore dell'unità sindacale e ora guidava la fase di maggiore scontro tra Cgil e Cisl?
“In quel momento ero segretario generale aggiunto della Cgil della Lombardia, dove stavamo realizzando delle iniziative unitarie, e la cosa che mi stupì era come si poteva pensare che i contenuti e le proposte del governo fossero la base per un'intesa. Io non riuscivo a spiegarmi il cambiamento di posizione della Cisl in relazione al fatto che si era insediato un nuovo governo di centro-sinistra. Ancora adesso, a tanti anni di distanza, non mi spiego come sia potuto accadere che parte del sindacato potesse compiere delle scelte che violavano le regole più elementari della contrattazione. Perché il governo ha varato un decreto-legge su un'intesa fatta solo con una parte, con una violazione aperta della Costituzione. Perché la Costituzione dice che un accordo vale per tutti quando è firmato da chi rappresenta la maggioranza dei lavoratori.
Avendo vissuto un percorso di costruzione del nuovo, di elaborazione dei contenuti, di sviluppo della partecipazione e dell'unità concreta, mi sono trovato di fronte a scelte che hanno fatto saltare tutta quell'esperienza unitaria. È un fatto estremamente grave che non ha una spiegazione, perché Pierre era una persona che durante tutta l'esperienza fatta con i metalmeccanici aveva dato il suo contributo a rendere la partecipazione dei lavoratori, la consultazione, la democrazia nelle scelte un aspetto fondamentale dell’azione, dell'operare sindacale. Com'è stato possibile, al di là dei contenuti, far venir meno questa costruzione? Non c'è stata una consultazione. Vi è stato un salto che non ha nulla a che vedere con l'esperienza precedente fatta dal 1962 al 1984.
Quel momento ha pesato sul movimento sindacale italiano, perché ha offerto spazio a coloro che volevano mettere in discussione le conquiste dei quindicennio precedente oltre che l’esperienza unitaria.
Purtroppo non ho mai avuto la possibilità di parlarne con Pierre.
Nella fase che portò dopo l'accordo di San Valentino allo scioglimento della Federazione unitaria Cgil Cisl Uil e della Flm, io fui coinvolto solo in occasione della chiusura della sede unitaria confederale nazionale per spostare alcuni scatoloni di documenti.
Nei tre anni successivi in cui sono stato alla guida della Cgil sono stati fatti solamente accordi unitari”.
I vostri percorsi sindacali hanno molti aspetti in comune. Compresa l’esperienza di parlamentari. Tu nel Parlamento italiano e Carniti in Europa. Avete avuto modo di incontravi in questo ruolo?
“È vero che siamo entrati entrambi in politica ma in ruoli diversi, e non ho mai avuto l’opportunità di incontrarlo, al di là di qualche occasione casuale o formale. Vivendo io a Sesto San Giovanni e lui a Roma non abbiamo mai avuto modo di portare avanti quei rapporti eccezionali che avevamo avuto a Milano”.
Dopo anni di contrasti vi siete trovati nello stesso partito dei Democratici di sinistra. Hai mai riflettuto su questa scelta comune?
“Le sue scelte politiche in qualche modo hanno confermato la sua visione, che aveva al centro i lavoratori, non solo sul piano contrattuale ma anche su quello sociale, mentre io ero iscritto al Pci dal 1948. E’ un'altra cosa che mi porta ancora a chiedermi come abbia potuto arrivare all'accordo del 1984, a compiere quella scelta di rottura, perché era una contraddizione. Considero il suo impegno politico dopo l'esperienza sindacale un fatto importante, ma contemporaneamente credo che sarebbe importante se lui volesse esprimere nuovamente una riflessione su questo aspetto e motivare la ragione che l'ha portato a quella scelta”.
Cosa pensi sia rimasto oggi dell’azione sindacale e del pensiero di Carniti?
“Di fronte ai grandi cambiamenti dei processi produttivi, le trasformazioni del fordismo, l'informatizzazione servirebbe una nuova rifondazione del sindacato come quella che tra gli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta ha portato all'avvio del percorso unitario, lo sviluppo della contrattazione e la conquista dei diritti sindacali. Servirebbe un nuovo Carniti, come quello che in quegli anni ha avuto un ruolo importante, ma oggi mancano proposte e disegni strategici unitari. Oggi abbiamo molti mondi del lavoro che sono a loro volta frammentati al loro interno e non hanno tutele, non hanno rappresentanza, non hanno regole. E' necessario fare un esame approfondito della nuova realtà come si è fatto negli anni Sessanta e Settanta e, attraverso un confronto con i soggetti coinvolti, ricostruire un processo unitario, le strategie, le politiche contrattuali, le politiche sociali, le regole democratiche che rendano tutti i lavoratori partecipi e decisivi nelle scelte che si compiono”.