Sono un perito chimico. Ho sempre lavorato in Montecatini, il primo anno l'ho passato a Milano dove venivano inviati i neoassunti e c'era un centro di formazione dove si insegnavano i primi approcci al mondo del lavoro, poi sono stato trasferito a Ferrara. Ho sempre lavorato in laboratorio ma con funzioni diverse, inizialmente facevo l'analista poi ho fatto altro e alla fine ero responsabile della qualità e della sicurezza. Durante la mia attività di lavoro a 24, 25 anni ho fatto una trasferta di due anni in Romania a “mettere in marcia” un nuovo impianto e negli ultimi anni sono stato continuamente in trasferta negli impianti in Italia. Sono stato assunto a 19 anni e sono uscito a 61.
L'impianto
di Ferrara è nato all'inizio degli anni Cinquanta per la produzione della gomma
sintetica e poi si è allargato diventando il Petrolchimico. Da noi c'è sempre
stato questo grande impianto di lavorazione di chimica di base, anche se col
tempo si è trasformato in una lavorazione un po' più fine. Da questo impianto
uscivano polimeri e fertilizzanti. Eravamo collegati con pipeline con Marghera
per quanto riguarda le olefine (etilene e propilene) e con Ravenna per quanto
riguarda l'ammoniaca. Negli anni Sessanta ci lavoravano già cinquemila persone,
negli anni Settanta sono scese a quattromila. Di queste, 1.800 lavoravano sugli
impianti e le altre 2.200 erano tutte giornalieri. Oggi siamo a 1.600.
Sindacato
Ho
scoperto il sindacato negli anni dell'autunno caldo di ritorno dalla Romania e
ho deciso di impegnarmi, però non ho mai smesso di fare il mio lavoro di
analista chimico. Ho fatto otto anni il segretario della Flerica a Ferrara
quando avevamo circa mille iscritti, ma rimanendo in fabbrica. Ho scelto la
Cisl perché i primi amici che incontrai tornando dalla Romania erano della
Cisl, se fossero stati della Cgil probabilmente sarei andato in Cgil.
I
quadri e i tecnici sono sempre stati a capo del sindacato dei chimici di
Ferrara. Fino agli anni Duemila il rapporto unitario tra Cgil e Cisl dentro
l'azienda è sempre stato ottimo. Dal 1968 al 2003 non è mai uscito un volantino
che non fosse unitario. Il tasso di sindacalizzazione ha raggiunto l'80% dei
lavoratori con la Cgil sempre in leggera maggioranza, ma la predominanza
intellettuale, la guida è sempre stata della Federchimici prima e della Flerica
poi. In quegli anni in fabbrica girava uno slogan: “La Cgil ha il diritto di
non fare niente, la Cisl ha il dovere di studiare e fare progetti, la Uil ha
l’obbligo di non fare niente”.
Sui
cancelli, nei picchetti arrivavano esponenti dei gruppi extraparlamentari, ma
in fabbrica non hanno mai messo piede, questo perché con posizioni non violente
ma abbastanza radicali forse riuscivamo a coprire anche tutta l'area della
contestazione.
Il
consiglio di fabbrica è arrivato ad avere 120 delegati con un esecutivo di
trenta, ma senza mai distacchi. Noi utilizzavamo soltanto la quota di monte ore
che il contratto nazionale ci consentiva e la gestivamo in modo da riuscire
sempre a non superarla per non chiedere niente in più all'azienda. Abbiamo
fatto una lotta sindacale per far sì che il monte ore, che in base a quanto
previsto dal contratto nazionale era di tipo individuale, fosse cumulativo in
modo che ognuno utilizzasse quanto serviva.
Relazioni industriali
In
tutti questi anni con l'azienda si sono sviluppate relazioni sindacali
partecipative, io ho visto giorno per giorno il cambiamento. Negli anni
Sessanta quando entravamo in fabbrica eravamo un numero, io ero il 128, non ero
Bruno Zannoni. Relazioni sindacali innovative sono andate consolidandosi passo dopo
passo, non tanto per gli aspetti formali, come ad esempio la prima parte dei
contratti nazionali, ma come approccio di tipo contrattuale. Erano relazioni
costruttive non solo con la direzione aziendale, ma diffuse a tutti i livelli.
Anche nei reparti, dove il caporeparto non era la controparte del gruppo
omogeneo sindacale ma un interlocutore con cui si dialogava. È stato un
rapporto che non ha negato il conflitto, però è stato costruttivo e ha portato
risultati che tuttora valgono. Un percorso riconosciuto anche dai dirigenti che
si sono succeduti nell'impianto.
Contrattazione
Abbiamo
fatto tantissimo sul piano dell'ambiente e della sicurezza. C'era una
commissione ambiente costituita nell'ambito del consiglio di fabbrica che aveva
un ruolo molto importante e ha prodotto piattaforme e lotte sindacali, perché
la situazione in azienda era abbastanza grigia. La nostra fortuna è che al
Petrolchimico di Ferrara la produzione di clorati non c'è quasi mai stata, noi
abbiamo sempre avuto solo olefine e grazie a questo l'inquinamento, sia
all'interno della fabbrica che all'esterno, era molto meno pesante di altre
realtà petrolchimiche. Però c'era il problema dei solventi e di altri prodotti
e c'era da impegnarsi parecchio e su questo abbiamo fatto delle lotte. Al tempo
della Montecatini, all'inizio degli anni Settanta, l'azienda voleva insediare
un impianto pilota per la produzione di crittogamici, noi abbiamo detto di no,
abbiamo fatto degli scioperi e l'azienda ha dovuto rinunciare e non se n'è mai
più parlato. Sul tema dell'ambiente e della sicurezza abbiamo dovuto fare
sciopero anche per altre situazioni, magari articolati, non di tutta la
fabbrica, nei reparti dove c'era il problema. Con le nostre iniziative abbiamo
coinvolto le autorità esterne, l’università, medicina del lavoro. Ricordo un
medico del lavoro, che veniva da Marghera, che pur essendo un dipendente
dell'azienda ci ha dato una grossa mano dal punto di vista tecnico
professionale per sostenere le nostre lotte.
Rispetto
all'orario di lavoro il nostro cavallo di battaglia è stata l'introduzione
della quinta squadra, che voleva dire ridurre l'orario settimanale per i
turnisti a 33,36 ore. Un obiettivo delle piattaforme per i contratti nazionali
di lavoro che non è mai stato raggiunto, ma che in pratica noi abbiamo
realizzato. Abbiamo lottato molto di più per i turnisti che non per i
giornalieri, perché da noi la flessibilità in entrata e in uscita non è mai
stata molto sentita, non avevamo molto pendolarismo e come sindacato non
l’abbiamo mai chiesta. Tuttora al Petrolchimico di Ferrara l'orario è
8-12,13-17.
L'applicazione
del nuovo inquadramento ci ha impegnati per lungo tempo con una trattativa
continua, con i delegati che illustravano alla direzione la reale
professionalità dei singoli lavoratori del loro reparto. Noi ovviamente
interpretavamo la declaratoria sempre in maniera più estensiva. Per noi la
figura più importante era quella di cerniera tra operai e impiegati. La nostra
battaglia è stata per la cosiddetta scala unica, non la qualifica unica che
invece era la richiesta di Potere operaio e Lotta continua sui picchetti, una
scala professionale senza blocchi, che non prevedesse gradini troppo alti e con
un differenziale economico non eccessivo. Era un confronto non facile, perché
l'azienda non era disposta ad accettare la nostra impostazione. La loro
interpretazione del contratto era molto rigida, mentre noi cercavamo di forzare
la lettura delle norme. Nelle nostre piattaforme aziendali non chiedevamo
aumenti uguali per tutti perché sono sbagliati, perché una paga uguale per
tutti è impensabile dal punto di vista organizzativo, gestionale, ma anche
sindacale. Non ha senso.
Il
confronto sul nuovo inquadramento ci ha portato a riflettere
sull'organizzazione del lavoro, in particolare per quanto riguardava i quadri e
i tecnici. Su questo abbiamo fatto delle grandissime esperienze avendo la
capacità di formulare delle proposte che sovente venivano accettate dalla
direzione aziendale senza dover confliggere. Uno dei punti discriminanti per
noi era la polivalenza, cosa che ad esempio i siciliani aborrivano, ma anche
Porto Marghera non ne voleva sentir parlare. Per percorrere nel migliore dei
modi la scala unica professionale e per evitare un'eccessiva parcellizzazione
delle mansioni un lavoratore non doveva fare soltanto una mansione ma doveva
saperne fare diverse. La polivalenza, la poli-capacità di sapere fare più
lavori è stata una proposta che l'azienda in un primo momento non voleva
accettare, perché le sembrava di perdere potere, perché polivalenza vuol dire
anche che il lavoratore diventa più cosciente e più capace di conoscere tutto
il processo produttivo. Però alla fine ha capito e tuttora la polivalenza è
sponsorizzata dall'azienda e qualche volta è contestata dal sindacato perché la
direzione, con la scusa della polivalenza, pretende troppo. Allora questa
nostra posizione non era ben vista dai consigli di fabbrica delle altre aziende
e però noi negli anni Ottanta riuscimmo a farla passare nella piattaforma per
il rinnovo del contratto nazionale.
In
precedenza ci fu un tentativo dell’azienda di definire dei tempi standard delle
varie operazioni, ma abbiamo fatto sciopero contro e l'esperimento è fallito.
Agli
inizi degli anni Ottanta abbiamo vissuto la fase più difficile, una crisi
durata quasi quattro anni. La ragione, oltre ai continui alti e bassi del
settore del petrolio, era l’invecchiamento degli impianti. Con apparecchiature
vecchie, perdita di competitività e con una capacità produttiva troppo piccola
per poter stare sui mercati mondiali, si decise la chiusura di moltissimi
impianti. In quel momento l'azienda chiedeva di ridurre il personale. Chiudendo
alcuni reparti gli esuberi crescevano a vista d'occhio, inoltre stavano
prendendo piede le nuove tecnologie che richiedevano meno personale, così già
nel 1980 la Montedison dichiarò 500 esuberi in tre mesi e altri 500 da
risolvere entro la fine dello stesso anno. Noi abbiamo reagito. Ci rendevamo
conto che con la chiusura di parte degli impianti il personale necessario si
riduceva, ma reclamavamo nel contempo nuovi investimenti e il rinnovamento
dello stabilimento. Inoltre, non eravamo disponibili ad accettare una soluzione
così drastica e abbiamo fatto la proposta dell'accordo di solidarietà. Siccome
l'azienda voleva ridurre i costi lasciando a casa delle persone, noi abbiamo
proposto di quantificare il beneficio economico che sarebbe arrivato nei tre
anni successivi con il taglio di mille lavoratori e ci siamo impegnati a fare
in modo che avesse quel beneficio, ma senza licenziamenti, gestendo gli esodi
con l'uso di prepensionamenti, mobilità interna ed esterna. Così tutti, a
rotazione, abbiamo fatto un mese a casa non pagati e questo è servito per
costruire quel beneficio economico che l'azienda avrebbe avuto se avesse
lasciato a casa 500 persone alla volta.
La
proposta venne elaborata con il contributo del Centro di documentazione
sindacale che operava in sinergia con la Fulc.
Centro di documentazione sindacale
Oggi
Cds significa Centro documentazione e studi, ma quando è nato la “esse” della
sigla stava per “sindacale”. Il Centro è nato all'inizio degli anni Settanta in
concomitanza con le prime lotte dell'autunno caldo. Inizialmente come Centro di
documentazione dei chimici della Cisl poi pian piano è diventato unitario, però
la Cisl ha sempre avuto una predominanza e la gestione era affidata
essenzialmente ai quadri del Petrolchimico che non solo partecipavano alle
lotte, ma ne erano spesso i promotori e i gestori. A Ferrara è attivo il Centro
di ricerca Giulio Natta con quasi novecento dipendenti e quella era la base dei
quadri e dei tecnici, lì si concentrava il maggior numero di impiegati di alto
livello. Il Centro di ricerche è sempre stata la forza di Ferrara e non solo.
Gran parte delle menti del Cds sono uscite da lì e lì è emerso anche il primo
gruppo che ha organizzato le lotte sindacali. Molti di coloro che erano
impegnati nel Cds erano componenti della segreteria o degli altri organismi
della Fulc. Praticamente era un tutt'uno, anche perché la Fulc era il
Petrolchimico.
Oggi
il Centro di documentazione ha ampliato la propria attività, più che altro fa
ricerche di carattere economico e sociale. Da allora produciamo l'Annuario
socio economico che affronta tutte le tematiche del territorio ferrarese, ma
ora gli aspetti sindacali sono marginali. Quando è nato l'esigenza era quello
di diffondere la documentazione su quanto veniva fatto nel
"fabbricone" come si diceva allora, nel Petrolchimico, perché la
chimica era solo il Petrolchimico. Non è che ci fossero molte altre aziende
dell'indotto nel territorio. Negli anni Ottanta si fece una vertenza per
costruire un indotto, ma non ha avuto un grande successo.
Il
Cds era nato per fare in modo che la nostra esperienza, che ritenevamo essere
abbastanza importante rispetto a come gestivamo le iniziative sindacali e le
relazioni industriali, si diffondesse informando anche gli altri centri
chimici, in particolare i petrolchimici. Noi diffondevamo le nostre elaborazioni
con l'Annuario socio economico e con tante, tantissime altre pubblicazioni, che
riguardavano in particolare quadri e tecnici.
Fondamentalmente
l'attenzione era rivolta alle relazioni industriali, però di fatto c'era anche
un collegamento con le attività produttive. Noi pensavamo di avere qualcosa da
dire in più rispetto alle altre realtà, ad esempio sulla modalità di gestione
delle lotte sindacali durante gli scioperi. In particolare, nella gestione
degli impianti a ciclo continuo ritenevamo di avere inventato e di realizzare
delle azioni che da un lato erano efficaci ai fini della lotta che stavamo
facendo, limitando l'attività produttiva, ma allo stesso tempo non creando
problemi alla tenuta degli impianti. L'azienda, fino ad allora, quando
decidevamo la fermata ci diceva che li distruggevamo, ma noi siamo riusciti a
imporre delle modalità di lotta che avessero efficacia per la battaglia
sindacale ma allo stesso tempo non fossero penalizzanti per gli impianti. Lo
sciopero prevedeva la riduzione della produzione a un minimo tecnico, con la
presenza di squadre di sicurezza. Squadre che facevamo noi, non l'azienda. Gli
impianti da gestire in questo modo a Ferrara erano quasi trenta. I lavoratori
ci seguivano e coloro che erano esentati dallo sciopero per partecipare alle
squadre di emergenza che gestivano l'impianto al minimo tecnico erano pagati,
ma i soldi che ricevevano per quel lavoro erano versati su un fondo di
solidarietà e venivano utilizzati per coprire eventuali azioni di forza da
parte dell'azienda nei confronti di coloro che, ad esempio, facevano lo
sciopero bianco.
Quello
fu uno dei primi motivi che ci spinse a costruire il Cds, volevamo far
conoscere una modalità di lotta che credevamo potesse essere utile anche da
altre parti. L'altro aspetto che intendevamo sostenere e che ha caratterizzato
la nostra azione è il grande rapporto che abbiamo sempre avuto con i quadri e i
tecnici di livello medio alto, fino ad arrivare quasi ai dirigenti. Sappiamo
che i dirigenti hanno un altro contratto, ma erano talmente coinvolti dalle
nostre capacità di relazioni industriali di questo tipo che anche alcuni
dirigenti si rapportavano con il gruppo sindacale, con il consiglio di
fabbrica. Avevamo messo in piedi un coordinamento quadri e tecnici che
affiancava il consiglio di fabbrica che ci sembrava una cosa molto importante.
Si tenga conto che questa iniziativa nacque quasi in contrapposizione con la
marcia dei 40mila di Torino. Un'iniziativa che è partita tra metà e fine anni
Settanta per cui noi non solo non abbiamo mai avuto confronti aspri negli anni
Ottanta, ma non ci sono mai state rotture tra impiegati e operai e tutte le
manifestazioni che abbiamo fatto, anche con il blocco della ferrovia, le
abbiamo fatte insieme ai quadri. Qui la marcia i quadri non l'hanno fatta
contro gli operai come in Fiat, ma insieme agli operai. Anche a Porto Marghera
non c'è mai stata molta collaborazione tra quadri e operai, noi qui a Ferrara
ci vantiamo di essere riusciti ad avere sempre questo collegamento anche nelle
fasi più difficili, anche in occasione di lotte piuttosto dure, come ad esempio
negli anni Ottanta con l'occupazione di tre giorni della fabbrica.
Le
nostre proposte non erano sempre accolte positivamente, mi ricordo ad esempio
in Sicilia, a Gela e Priolo, quando abbiamo presentato le nostre esperienze
sulla gestione degli impianti loro non le hanno condivise. Loro erano per
fermare e scioperare, noi invece eravamo per la gestione. Nei petrolchimici
dell'area padana, invece, le nostre proposte sono sempre state accolte positivamente.