venerdì 14 agosto 2020

BRUNO ZANNONI - Petrolchimico di Ferrara

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono un perito chimico. Ho sempre lavorato in Montecatini, il primo anno l'ho passato a Milano dove venivano inviati i neoassunti e c'era un centro di formazione dove si insegnavano i primi approcci al mondo del lavoro, poi sono stato trasferito a Ferrara. Ho sempre lavorato in laboratorio ma con funzioni diverse, inizialmente facevo l'analista poi ho fatto altro e alla fine ero responsabile della qualità e della sicurezza. Durante la mia attività di lavoro a 24, 25 anni ho fatto una trasferta di due anni in Romania a “mettere in marcia” un nuovo impianto e negli ultimi anni sono stato continuamente in trasferta negli impianti in Italia. Sono stato assunto a 19 anni e sono uscito a 61.

L'impianto di Ferrara è nato all'inizio degli anni Cinquanta per la produzione della gomma sintetica e poi si è allargato diventando il Petrolchimico. Da noi c'è sempre stato questo grande impianto di lavorazione di chimica di base, anche se col tempo si è trasformato in una lavorazione un po' più fine. Da questo impianto uscivano polimeri e fertilizzanti. Eravamo collegati con pipeline con Marghera per quanto riguarda le olefine (etilene e propilene) e con Ravenna per quanto riguarda l'ammoniaca. Negli anni Sessanta ci lavoravano già cinquemila persone, negli anni Settanta sono scese a quattromila. Di queste, 1.800 lavoravano sugli impianti e le altre 2.200 erano tutte giornalieri. Oggi siamo a 1.600.

Sindacato

Ho scoperto il sindacato negli anni dell'autunno caldo di ritorno dalla Romania e ho deciso di impegnarmi, però non ho mai smesso di fare il mio lavoro di analista chimico. Ho fatto otto anni il segretario della Flerica a Ferrara quando avevamo circa mille iscritti, ma rimanendo in fabbrica. Ho scelto la Cisl perché i primi amici che incontrai tornando dalla Romania erano della Cisl, se fossero stati della Cgil probabilmente sarei andato in Cgil.

I quadri e i tecnici sono sempre stati a capo del sindacato dei chimici di Ferrara. Fino agli anni Duemila il rapporto unitario tra Cgil e Cisl dentro l'azienda è sempre stato ottimo. Dal 1968 al 2003 non è mai uscito un volantino che non fosse unitario. Il tasso di sindacalizzazione ha raggiunto l'80% dei lavoratori con la Cgil sempre in leggera maggioranza, ma la predominanza intellettuale, la guida è sempre stata della Federchimici prima e della Flerica poi. In quegli anni in fabbrica girava uno slogan: “La Cgil ha il diritto di non fare niente, la Cisl ha il dovere di studiare e fare progetti, la Uil ha l’obbligo di non fare niente”.

Sui cancelli, nei picchetti arrivavano esponenti dei gruppi extraparlamentari, ma in fabbrica non hanno mai messo piede, questo perché con posizioni non violente ma abbastanza radicali forse riuscivamo a coprire anche tutta l'area della contestazione.

Il consiglio di fabbrica è arrivato ad avere 120 delegati con un esecutivo di trenta, ma senza mai distacchi. Noi utilizzavamo soltanto la quota di monte ore che il contratto nazionale ci consentiva e la gestivamo in modo da riuscire sempre a non superarla per non chiedere niente in più all'azienda. Abbiamo fatto una lotta sindacale per far sì che il monte ore, che in base a quanto previsto dal contratto nazionale era di tipo individuale, fosse cumulativo in modo che ognuno utilizzasse quanto serviva.

Relazioni industriali

In tutti questi anni con l'azienda si sono sviluppate relazioni sindacali partecipative, io ho visto giorno per giorno il cambiamento. Negli anni Sessanta quando entravamo in fabbrica eravamo un numero, io ero il 128, non ero Bruno Zannoni. Relazioni sindacali innovative sono andate consolidandosi passo dopo passo, non tanto per gli aspetti formali, come ad esempio la prima parte dei contratti nazionali, ma come approccio di tipo contrattuale. Erano relazioni costruttive non solo con la direzione aziendale, ma diffuse a tutti i livelli. Anche nei reparti, dove il caporeparto non era la controparte del gruppo omogeneo sindacale ma un interlocutore con cui si dialogava. È stato un rapporto che non ha negato il conflitto, però è stato costruttivo e ha portato risultati che tuttora valgono. Un percorso riconosciuto anche dai dirigenti che si sono succeduti nell'impianto.

Contrattazione

Abbiamo fatto tantissimo sul piano dell'ambiente e della sicurezza. C'era una commissione ambiente costituita nell'ambito del consiglio di fabbrica che aveva un ruolo molto importante e ha prodotto piattaforme e lotte sindacali, perché la situazione in azienda era abbastanza grigia. La nostra fortuna è che al Petrolchimico di Ferrara la produzione di clorati non c'è quasi mai stata, noi abbiamo sempre avuto solo olefine e grazie a questo l'inquinamento, sia all'interno della fabbrica che all'esterno, era molto meno pesante di altre realtà petrolchimiche. Però c'era il problema dei solventi e di altri prodotti e c'era da impegnarsi parecchio e su questo abbiamo fatto delle lotte. Al tempo della Montecatini, all'inizio degli anni Settanta, l'azienda voleva insediare un impianto pilota per la produzione di crittogamici, noi abbiamo detto di no, abbiamo fatto degli scioperi e l'azienda ha dovuto rinunciare e non se n'è mai più parlato. Sul tema dell'ambiente e della sicurezza abbiamo dovuto fare sciopero anche per altre situazioni, magari articolati, non di tutta la fabbrica, nei reparti dove c'era il problema. Con le nostre iniziative abbiamo coinvolto le autorità esterne, l’università, medicina del lavoro. Ricordo un medico del lavoro, che veniva da Marghera, che pur essendo un dipendente dell'azienda ci ha dato una grossa mano dal punto di vista tecnico professionale per sostenere le nostre lotte.

Rispetto all'orario di lavoro il nostro cavallo di battaglia è stata l'introduzione della quinta squadra, che voleva dire ridurre l'orario settimanale per i turnisti a 33,36 ore. Un obiettivo delle piattaforme per i contratti nazionali di lavoro che non è mai stato raggiunto, ma che in pratica noi abbiamo realizzato. Abbiamo lottato molto di più per i turnisti che non per i giornalieri, perché da noi la flessibilità in entrata e in uscita non è mai stata molto sentita, non avevamo molto pendolarismo e come sindacato non l’abbiamo mai chiesta. Tuttora al Petrolchimico di Ferrara l'orario è 8-12,13-17.

L'applicazione del nuovo inquadramento ci ha impegnati per lungo tempo con una trattativa continua, con i delegati che illustravano alla direzione la reale professionalità dei singoli lavoratori del loro reparto. Noi ovviamente interpretavamo la declaratoria sempre in maniera più estensiva. Per noi la figura più importante era quella di cerniera tra operai e impiegati. La nostra battaglia è stata per la cosiddetta scala unica, non la qualifica unica che invece era la richiesta di Potere operaio e Lotta continua sui picchetti, una scala professionale senza blocchi, che non prevedesse gradini troppo alti e con un differenziale economico non eccessivo. Era un confronto non facile, perché l'azienda non era disposta ad accettare la nostra impostazione. La loro interpretazione del contratto era molto rigida, mentre noi cercavamo di forzare la lettura delle norme. Nelle nostre piattaforme aziendali non chiedevamo aumenti uguali per tutti perché sono sbagliati, perché una paga uguale per tutti è impensabile dal punto di vista organizzativo, gestionale, ma anche sindacale. Non ha senso.

Il confronto sul nuovo inquadramento ci ha portato a riflettere sull'organizzazione del lavoro, in particolare per quanto riguardava i quadri e i tecnici. Su questo abbiamo fatto delle grandissime esperienze avendo la capacità di formulare delle proposte che sovente venivano accettate dalla direzione aziendale senza dover confliggere. Uno dei punti discriminanti per noi era la polivalenza, cosa che ad esempio i siciliani aborrivano, ma anche Porto Marghera non ne voleva sentir parlare. Per percorrere nel migliore dei modi la scala unica professionale e per evitare un'eccessiva parcellizzazione delle mansioni un lavoratore non doveva fare soltanto una mansione ma doveva saperne fare diverse. La polivalenza, la poli-capacità di sapere fare più lavori è stata una proposta che l'azienda in un primo momento non voleva accettare, perché le sembrava di perdere potere, perché polivalenza vuol dire anche che il lavoratore diventa più cosciente e più capace di conoscere tutto il processo produttivo. Però alla fine ha capito e tuttora la polivalenza è sponsorizzata dall'azienda e qualche volta è contestata dal sindacato perché la direzione, con la scusa della polivalenza, pretende troppo. Allora questa nostra posizione non era ben vista dai consigli di fabbrica delle altre aziende e però noi negli anni Ottanta riuscimmo a farla passare nella piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale.

In precedenza ci fu un tentativo dell’azienda di definire dei tempi standard delle varie operazioni, ma abbiamo fatto sciopero contro e l'esperimento è fallito.

Agli inizi degli anni Ottanta abbiamo vissuto la fase più difficile, una crisi durata quasi quattro anni. La ragione, oltre ai continui alti e bassi del settore del petrolio, era l’invecchiamento degli impianti. Con apparecchiature vecchie, perdita di competitività e con una capacità produttiva troppo piccola per poter stare sui mercati mondiali, si decise la chiusura di moltissimi impianti. In quel momento l'azienda chiedeva di ridurre il personale. Chiudendo alcuni reparti gli esuberi crescevano a vista d'occhio, inoltre stavano prendendo piede le nuove tecnologie che richiedevano meno personale, così già nel 1980 la Montedison dichiarò 500 esuberi in tre mesi e altri 500 da risolvere entro la fine dello stesso anno. Noi abbiamo reagito. Ci rendevamo conto che con la chiusura di parte degli impianti il personale necessario si riduceva, ma reclamavamo nel contempo nuovi investimenti e il rinnovamento dello stabilimento. Inoltre, non eravamo disponibili ad accettare una soluzione così drastica e abbiamo fatto la proposta dell'accordo di solidarietà. Siccome l'azienda voleva ridurre i costi lasciando a casa delle persone, noi abbiamo proposto di quantificare il beneficio economico che sarebbe arrivato nei tre anni successivi con il taglio di mille lavoratori e ci siamo impegnati a fare in modo che avesse quel beneficio, ma senza licenziamenti, gestendo gli esodi con l'uso di prepensionamenti, mobilità interna ed esterna. Così tutti, a rotazione, abbiamo fatto un mese a casa non pagati e questo è servito per costruire quel beneficio economico che l'azienda avrebbe avuto se avesse lasciato a casa 500 persone alla volta.

La proposta venne elaborata con il contributo del Centro di documentazione sindacale che operava in sinergia con la Fulc.

Centro di documentazione sindacale

Oggi Cds significa Centro documentazione e studi, ma quando è nato la “esse” della sigla stava per “sindacale”. Il Centro è nato all'inizio degli anni Settanta in concomitanza con le prime lotte dell'autunno caldo. Inizialmente come Centro di documentazione dei chimici della Cisl poi pian piano è diventato unitario, però la Cisl ha sempre avuto una predominanza e la gestione era affidata essenzialmente ai quadri del Petrolchimico che non solo partecipavano alle lotte, ma ne erano spesso i promotori e i gestori. A Ferrara è attivo il Centro di ricerca Giulio Natta con quasi novecento dipendenti e quella era la base dei quadri e dei tecnici, lì si concentrava il maggior numero di impiegati di alto livello. Il Centro di ricerche è sempre stata la forza di Ferrara e non solo. Gran parte delle menti del Cds sono uscite da lì e lì è emerso anche il primo gruppo che ha organizzato le lotte sindacali. Molti di coloro che erano impegnati nel Cds erano componenti della segreteria o degli altri organismi della Fulc. Praticamente era un tutt'uno, anche perché la Fulc era il Petrolchimico.

Oggi il Centro di documentazione ha ampliato la propria attività, più che altro fa ricerche di carattere economico e sociale. Da allora produciamo l'Annuario socio economico che affronta tutte le tematiche del territorio ferrarese, ma ora gli aspetti sindacali sono marginali. Quando è nato l'esigenza era quello di diffondere la documentazione su quanto veniva fatto nel "fabbricone" come si diceva allora, nel Petrolchimico, perché la chimica era solo il Petrolchimico. Non è che ci fossero molte altre aziende dell'indotto nel territorio. Negli anni Ottanta si fece una vertenza per costruire un indotto, ma non ha avuto un grande successo.

Il Cds era nato per fare in modo che la nostra esperienza, che ritenevamo essere abbastanza importante rispetto a come gestivamo le iniziative sindacali e le relazioni industriali, si diffondesse informando anche gli altri centri chimici, in particolare i petrolchimici. Noi diffondevamo le nostre elaborazioni con l'Annuario socio economico e con tante, tantissime altre pubblicazioni, che riguardavano in particolare quadri e tecnici.

Fondamentalmente l'attenzione era rivolta alle relazioni industriali, però di fatto c'era anche un collegamento con le attività produttive. Noi pensavamo di avere qualcosa da dire in più rispetto alle altre realtà, ad esempio sulla modalità di gestione delle lotte sindacali durante gli scioperi. In particolare, nella gestione degli impianti a ciclo continuo ritenevamo di avere inventato e di realizzare delle azioni che da un lato erano efficaci ai fini della lotta che stavamo facendo, limitando l'attività produttiva, ma allo stesso tempo non creando problemi alla tenuta degli impianti. L'azienda, fino ad allora, quando decidevamo la fermata ci diceva che li distruggevamo, ma noi siamo riusciti a imporre delle modalità di lotta che avessero efficacia per la battaglia sindacale ma allo stesso tempo non fossero penalizzanti per gli impianti. Lo sciopero prevedeva la riduzione della produzione a un minimo tecnico, con la presenza di squadre di sicurezza. Squadre che facevamo noi, non l'azienda. Gli impianti da gestire in questo modo a Ferrara erano quasi trenta. I lavoratori ci seguivano e coloro che erano esentati dallo sciopero per partecipare alle squadre di emergenza che gestivano l'impianto al minimo tecnico erano pagati, ma i soldi che ricevevano per quel lavoro erano versati su un fondo di solidarietà e venivano utilizzati per coprire eventuali azioni di forza da parte dell'azienda nei confronti di coloro che, ad esempio, facevano lo sciopero bianco.

Quello fu uno dei primi motivi che ci spinse a costruire il Cds, volevamo far conoscere una modalità di lotta che credevamo potesse essere utile anche da altre parti. L'altro aspetto che intendevamo sostenere e che ha caratterizzato la nostra azione è il grande rapporto che abbiamo sempre avuto con i quadri e i tecnici di livello medio alto, fino ad arrivare quasi ai dirigenti. Sappiamo che i dirigenti hanno un altro contratto, ma erano talmente coinvolti dalle nostre capacità di relazioni industriali di questo tipo che anche alcuni dirigenti si rapportavano con il gruppo sindacale, con il consiglio di fabbrica. Avevamo messo in piedi un coordinamento quadri e tecnici che affiancava il consiglio di fabbrica che ci sembrava una cosa molto importante. Si tenga conto che questa iniziativa nacque quasi in contrapposizione con la marcia dei 40mila di Torino. Un'iniziativa che è partita tra metà e fine anni Settanta per cui noi non solo non abbiamo mai avuto confronti aspri negli anni Ottanta, ma non ci sono mai state rotture tra impiegati e operai e tutte le manifestazioni che abbiamo fatto, anche con il blocco della ferrovia, le abbiamo fatte insieme ai quadri. Qui la marcia i quadri non l'hanno fatta contro gli operai come in Fiat, ma insieme agli operai. Anche a Porto Marghera non c'è mai stata molta collaborazione tra quadri e operai, noi qui a Ferrara ci vantiamo di essere riusciti ad avere sempre questo collegamento anche nelle fasi più difficili, anche in occasione di lotte piuttosto dure, come ad esempio negli anni Ottanta con l'occupazione di tre giorni della fabbrica.

Le nostre proposte non erano sempre accolte positivamente, mi ricordo ad esempio in Sicilia, a Gela e Priolo, quando abbiamo presentato le nostre esperienze sulla gestione degli impianti loro non le hanno condivise. Loro erano per fermare e scioperare, noi invece eravamo per la gestione. Nei petrolchimici dell'area padana, invece, le nostre proposte sono sempre state accolte positivamente.