Sono l'ultimo di dodici fratelli. Mio padre era contadino. A quattordici anni ho iniziato a fare dei lavoretti, in fabbrica sono entrato nel 1968 alla Stoppani, un'industria di vernici di Sarnico che purtroppo dopo 110 anni di attività ha chiuso. Ero un operaio qualificato e facevo il miscelatore. Sono rimasto in quell'azienda fino al 1979. Dopo sei mesi che ero in fabbrica è entrata in vigore la legge 300, sono stato eletto nel primo consiglio di fabbrica e ho iniziato la mia attività sindacale, poi sono stato eletto nel consiglio generale della Federchimici di Bergamo e nel 1979 sono uscito come distaccato a fare esperienza sindacale nella zona di Grumello come operatore orizzontale.
Sono rimasto a Grumello per due anni seguendo la riorganizzazione decisa a Montesilvano con la nascita dei comprensori. Nel 1981 mi hanno chiesto di ritornare alla categoria e alla fine del congresso di quell'anno sono andato alla Flerica di Bergamo.Colorificio Stoppani
Il
colorificio Stoppani era un'azienda all'avanguardia a livello nazionale, faceva
prodotti per la nautica, per l'Italsider, per l'interno dei tubi che
trasportavano il gas. Era una produzione altamente qualificata, vi lavoravano
circa cento persone. Era un'azienda dove eravamo presenti solo come Cisl e il
70% degli operai era tesserato.
Io
provengo dall'oratorio e dall'Azione cattolica e avevo già una disponibilità
all'impegno, appena entrato in fabbrica sono stato avvicinato dal
rappresentante della Cisl chiedendomi di iscrivermi. Non è stata una scelta
molto ragionata, conoscevo la persona che mi ha proposto l'iscrizione e l'ho
fatta.
Il
mio era un piccolo reparto di sei, otto persone dove si facevano le resine
alchiliche che sono la base per le vernici e per gli smalti. Allora ogni
reparto doveva eleggere il suo delegato, mi hanno indicato e sono stato eletto
subito. Dopo due anni il riferimento della Cisl in fabbrica se n'è andato e
l'ho sostituito io, venendo rieletto delegato ogni volta, facendo parte
dell'esecutivo del consiglio di fabbrica.
I
lavoratori ci seguivano sempre, bastava un fischio e la gente correva. Tutte le
vertenze le gestivamo internamente, i sindacalisti esterni li vedevamo assai
raramente, di solito una volta all'anno quando portavano le tessere. Quando i
temi erano di carattere più generale c'era qualche difficoltà in più da parte
dei lavoratori a seguire le nostre indicazioni. Ricordo un'assemblea con
l'operatore di Grumello, Savino Pezzotta, per preparare uno sciopero a sostegno
del Sud dove ci furono delle contestazioni. Però generalmente sia agli scioperi
che alle manifestazioni la gente partecipava. Pur essendo un'azienda piccola
c'era una forte attività sindacale. Facevamo una contrattazione annuale sul
premio di produzione uguale per tutti. L'egualitarismo era una posizione che
condividevamo.
Le
condizioni di lavoro in fabbrica erano abbastanza problematiche dal punto di
vista ambientale, inoltre nel colorificio si trattavano prodotti pericolosi
come solventi e coloranti. In quel periodo si è iniziato a riflettere su questi
problemi e sono state fatte le prime iniziative sindacali, anche forti, per
migliorare l'ambiente. Furono fatti dei passi in avanti, ad esempio dove
lavoravo io alla miscelazione non si usavano quasi protezioni, ma dopo un paio
d'anni abbiamo ottenuto guanti e mascherine e l'installazione di ventole di
aspirazione. Noi cercavamo di capire quali fossero i pericoli che c'erano e in
un primo momento l'azienda era restia a darci informazioni sui prodotti, poi
invece, grazie anche all'intervento dei consigli di zona con i medici del lavoro,
la proprietà ha dovuto accogliere le nostre richieste.
Tra
i temi della contrattazione il più importante era l'ambiente, seguivano il
premio di produzione e quindi l'inquadramento. Anche su questo ci sono state
battaglie abbastanza dure. Ogni anno facevamo una piattaforma indicando le
richieste di passaggio di livello per alcuni lavoratori o di alcune posizioni,
l'aumento del premio e le questioni ambientali.
Fino
a quando sono rimasto l'azienda non ha mai fatto cassa integrazione e non ha
avuto particolari problemi di mercato.
Superato
il periodo iniziale, dopo l'introduzione dello Statuto dei lavoratori e con il
riconoscimento del consiglio dei delegati, salvo alcune situazioni particolari
legate più alle persone, c'è stata una certa disponibilità al confronto, anche
perché noi usavamo sempre i periodi migliori per fare le vertenze che erano i
mesi di maggio e giugno, mesi di piena attività e in quel momento eravamo più
forti.
Ricordo
una vicenda particolare, quando nel ‘75,’76 il contratto nazionale aveva
stabilito che si poteva fare il rinnovo del premio di produzione solo una volta
tra un contratto e l'altro, ma noi disobbedendo un po' a quelle intese
nazionali abbiamo imposto la nostra posizione che era quella del rinnovo
annuale. Probabilmente Federchimica o Confindustria chiedeva all'azienda di
interrompere questa modalità e dopo parecchie iniziative di lotta, compresi
anche scioperi a scacchiera, trovammo una soluzione, allora molto strana, con
l'azienda che diede a tutti dei buoni benzina invece dell'aumento del premio
produzione perché non poteva darlo anche se magari l'avrebbe fatto.
Distretto delle guarnizioni
Nel
nostro territorio c'era una fortissima presenza di aziende del settore tessile,
la nautica con la Riva, due colorifici con una buona occupazione. Oggi non c'è
più niente. Le fabbriche di guarnizioni hanno sostituito tutto questo.
Il
comparto guarnizioni è iniziato nei primi anni Settanta con l'uscita di alcuni
capi e dirigenti dalla Lanza di Predore che era una fabbrica che faceva guarnizioni
Ptfe e le prime guarnizioni in gomma. Hanno così iniziato a nascere nuove
aziende e molte di queste vedevano la presenza di manager tedeschi. Alcune
aziende hanno ancora oggi soci tedeschi. Inizialmente la produzione era
concentrata sul classico Or, guarnizioni in gomma che vanno sulle rubinetterie,
sulle bombole e così via. Era un prodotto povero e poteva essere sfruttato al
massimo, con un alto valore aggiunto. La produzione della guarnizione è un
processo semplice ed è questo che ha favorito la nascita di tante piccole e
piccolissime aziende. Molti dei primi imprenditori hanno iniziato nelle cantine
o nei garage perché l'attività richiedeva soltanto la gomma e una pressa per
stampare. Inizialmente lo stampo era il fattore più costoso ed era del committente.
La piccola azienda di dieci, quindici addetti generalmente lavora conto terzi.
Normalmente le aziende lavorano su tre turni, salvo quelle dove non si stampa.
Oggi
il Basso Sebino è considerato il polo europeo delle guarnizioni, con circa
trecento aziende tra piccole e grandi, con circa tremila addetti che con
l'indotto arrivano a quasi 3.500. Il mercato principale è rappresentato dal
settore dell'automobile. L’azienda più grande è la Oldrati, anche questa
partita in cantina, che ha tre unità produttive e fabbriche in Turchia e in
Slovacchia, complessivamente conta più di mille addetti e sul nostro territorio
dà lavoro a cinquecento persone. L'azienda è forte perché produce direttamente
le mescole.
Le aziende principali contano più di duecento addetti mentre ve ne sono molte che hanno da cinquanta a cento dipendenti. Accanto alle aziende del distretto sono nate imprese dell'indotto che producono gli stampi. Alcune delle maggiori hanno una propria officina in azienda, ma molte si rivolgono a terzi, poi ci sono piccole e medie aziende che si occupano della sbavatura delle guarnizioni, della finitura, con venti, trenta dipendenti che completano il ciclo della guarnizione. Infine parecchie famiglie sono impegnate nel lavoro di confezionamento a domicilio. La maggior parte degli imprenditori di prima generazione sono operai o tecnici che non hanno spesso superato la terza media mentre le nuove generazioni ovviamente sono più preparate. Oggi le guarnizioni sono un prodotto molto sofisticato, con una forte innovazione tecnologica.
Dal
punto di vista sindacale nel settore delle guarnizioni abbiamo perso
rappresentanza perché, salvo le aziende più vecchie, le prime che sono sorte,
dove fin dall'inizio il sindacato ha saputo organizzarsi, nelle altre il
sindacato è quasi assente. Anche nelle maggiori il grado di rappresentanza è
abbastanza limitato, però si trattano i premi.
Nelle aziende minori, dove titolari sono ex dipendenti di altre aziende, si fa fatica, non a fare iscritti, gli iscritti li abbiamo perché i lavoratori vengono nelle nostre sedi per i servizi che offriamo, ma internamente non si riescono a costituire delle Rsu. Per quanto riguarda l'iniziativa sindacale c'è molto da fare, si fa fatica a fare attività e ad avere la partecipazione di lavoratori nelle assemblee e anche ad avere attenzione da parte loro.
Le
relazioni sindacali in questo comparto non sono mai state il massimo e le
aziende continuano a chiamarci solo quando c'è qualche riorganizzazione da fare
o qualche cassa integrazione. Fortunatamente fino ad oggi in questi anni di
crisi non abbiamo avuto grandi problemi. Il settore tiene, anzi tira, ma dal
punto di vista delle relazioni sindacali non ci sono grandi spazi, sia per noi
che per la Cgil, anzi la Cgil è messa peggio di noi. Gli imprenditori maggiori
hanno una certa disponibilità, riconoscono che c'è un sindacato che ha un suo
ruolo e non c'è chiusura. È più un problema nostro. Certo nelle officine più
piccole, dove c'è il titolare con la moglie e i figli e sono tutti parenti, è
difficile costruire delle relazioni sindacali e in questo settore sono
parecchie le aziende a conduzione familiare con queste caratteristiche. Nelle
aziende principali la questione che interessa maggiormente i lavoratori è
quella degli orari, perché siamo passati da una rigida impostazione del lavoro
a quaranta ore e senza straordinari a una richiesta di flessibilità e
disponibilità costante, ma la contrattazione si fa solo sui casi critici.
Non
si è mai neppure tentato di sviluppare una qualche forma di contrattazione di
distretto o territoriale. Una quindicina d'anni fa, con il coinvolgimento della
Comunità montana, al cui interno erano presenti anche imprenditori artigiani
del settore delle guarnizioni, si è provato a costruire un rapporto,
soprattutto sulle questioni ambientali e sulla ricerca, con l'obiettivo di
individuare uno spazio dove le piccole imprese potessero fare ricerca senza la
necessità di costruirsi un proprio laboratorio, ma l'iniziativa non ha avuto
nessuno sbocco. Una conseguenza della forte competitività che caratterizza le
imprese familiari. Molte di queste aziende non sono neppure iscritte all'Unione
industriali. Non siamo nella logica della filiera, la logica è ancora quella
del “l'azienda è mia, l'ho costruita io e vado avanti da solo”. I contratti
nazionali generalmente li applicano, non solo, le aziende minori hanno salari
mediamente più alti di quelle più grandi perché il rapporto tra imprenditore e
lavoratore è personale.
In
questi ultimi anni sta emergendo il problema della delocalizzazione. Questo
perché nel territorio le aree industriali sono praticamente esaurite, comincia
a nascere qualche problema ambientale e alcuni Comuni iniziano a negare i
permessi per l'ampliamento. Tutto ciò ha portato alcune aziende a spostarsi
verso il bresciano, rimanendo comunque legate al distretto, data la vicinanza.
Questo però vuol dire impoverire il territorio. Su questi temi siamo poco
coinvolti come sindacato, sia da parte delle amministrazioni che dalle stesse
aziende, anche se qualche volta ci hanno sollecitato ad intervenire per dare
una mano a fare pressione sugli enti locali.
Nelle aziende delle guarnizioni c'è una fortissima presenza di lavoratori extracomunitari, soprattutto senegalesi e anche indiani e pakistani, impegnati in particolare sulle macchine nei turni di notte. Anche come conseguenza della indisponibilità dei lavoratori italiani. Questo ha portato il territorio ad avere una delle percentuali più alte di presenza di stranieri rispetto alla popolazione locale, intorno al 20%. Nelle assemblee notturne sono praticamente tutti senegalesi, che fanno la notte fissa e sono disponibili a lavorare il sabato e la domenica. Credo che se si fermassero loro andrebbero in crisi tutte le aziende delle guarnizioni. La gran parte di questi lavoratori sono iscritti al sindacato, anche se non partecipano molto all'attività. Le retribuzioni sono generalmente buone, sicuramente superano quelle di altri settori. Da questo punto di vista la disponibilità c'è, resta però la cultura del "la fabbrica è mia".
In
queste fabbriche non ci sono esperienze di welfare aziendale. Ci sono solo
alcune poche aziende che, ad esempio, quando nasce un figlio gli fanno un
regalo, quando c'è un problema familiare aiutano il lavoratore, però tutto è
gestito come iniziativa individuale dell'imprenditore.