martedì 19 ottobre 2021

Benessere e fragilità

La mobilità sociale in Italia oggi è in stallo
Il libro di Guido Baglioni, Avvenire, 19.102021

La mobilità sociale rappresenta un indicatore puntuale dello stato di salute di un paese. In Italia, se consideriamo le fasi successive all’unità, i processi di mobilità hanno avuto un ruolo piuttosto rilevante, pur se con notevoli differenze fra i diversi periodi. Si possono considerare grosso modo tre fasi: la prima, conclusa con la fine della seconda guerra mondiale, la seconda, fino agli anni ‘70, e l’ultima, dagli anni ‘80 ad oggi. Se la seconda fase, quella dei “trent’anni gloriosi”, è stata certamente la più vitale e ha visto i processi di crescita più significativi, quella che stiamo vivendo ora risulta sensibilmente la meno dinamica e più complessa.

Non tutti gli autori concordano su questa lettura dei cambiamenti sociali. Alcuni parlano di una generalizzata scarsa mobilità, con le famiglie più ricche e quelle più povere che sono rimaste le stesse per un lungo periodo, di generazione in generazione e fino ad oggi. Guido Baglioni, professore emerito dell’Università di Milano Bicocca, nel suo recente saggio “Benessere e fragilità. La mobilità sociale in Italia”, edito da Franco Angeli, contesta questa “rappresentazione così schematica e imprecisa del nostro paese” e afferma al contrario che in Italia abbiamo avuto un consistente processo di mobilità sociale, in particolare negli anni successivi al secondo conflitto mondiale. All’inizio degli anni ’90 i tre quinti dei lavoratori attivi appartenevano ad una classe diversa da quella di origine.

Sul finire del secolo scorso, però, i percorsi di mobilità hanno assunto un andamento più lento ed irregolare fino a ridursi fortemente negli anni più recenti. In gran parte dei paesi europei, invece, la crescita economica e la mobilità sociale hanno dato risultati positivi anche nell’ultimo decennio. Secondo il rapporto 2020 del World Economic Forum in testa alla classifica dei paesi con la maggiore mobilità sociale si trovano le nazioni nordiche. L’Italia risulta ultima fra i principali paesi industrializzati. Un fenomeno che riflette la sua debolezza economico-produttiva e politico-sociale. “Le vicende della mobilità sociale non dipendono solamente dal livello di produttività – sottolinea Baglioni -. Ma, in compenso, è difficile pensare a movimenti di mobilità ascendente senza crescita di produttività, efficienza, innovazione di processi e di prodotti”. “Quindi, semplificando la tesi – conclude – il livello scarso ed attuale di mobilità sociale riflette il livello complessivo del paese con troppi problemi economici per essere considerato avanzato”.

Alcuni dati interessanti, tra i molti evidenziati, riguardano la mobilità nelle sue differenze geografiche. Tra le provincie italiane più grandi, quelle che registrano mobilità intergenerazionale più alta, abbiamo, oltre a Milano, Bolzano, Trento, Bergamo e Reggio Emilia.