mercoledì 24 giugno 2020

PAOLO SPADAFORA - IesMol - Mantova

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Solidarietà precari Ies
I lavoratori precari, quelli con contratti a termine o temporanei, si sa, sono i primi a pagare al manifestarsi delle difficoltà, i primi ad essere lasciati a casa quando le cose non vanno più tanto bene. Può capitare però che la stessa sorte tocchi a tutti i dipendenti, quelli a tempo determinato come quelli a tempo indeterminato, precari o fissi. Se l’azienda chiude, non c’è più posto per nessuno. Anche in questo caso, però, differenze ci sono, eccome. Le tutele assicurate agli uni non esistono per gli altri, la possibilità di fare ricorso a scivoli, ammortizzatori, buone uscite sono decisamente differenti. Le proteste, gli scioperi, l’azione sindacale spesso si devono arrendere di fronte a norme e contratti che penalizzano coloro che sono meno tutelati.

Alla raffineria IesMol di Mantova, di cui è stata decisa la trasformazione in deposito, solo 88 lavoratori su 390 manterranno un’occupazione, per gli altri la strada è quella della cassa integrazione speciale e della mobilità. Tra questi, però, ce ne sono 28 che non hanno diritto a usufruire degli ammortizzatori sociali. E così, operai e impiegati che hanno già perso il loro posto hanno deciso il versamento volontario di un contributo a favore dei loro compagni di lavoro più deboli e meno protetti. Una scelta di grande valore, un gesto di solidarietà non usuale, accolta da uno spontaneo applauso che ha accomunato tutti i lavoratori riuniti in assemblea.
La chiusura della loro azienda l’hanno saputa leggendo il giornale. Era il 4 ottobre 2013. Le rappresentanze sindacali si sono immediatamente organizzate, bloccando il lavoro, promuovendo scioperi e manifestazioni. Un grande corteo con oltre 3.500 persone si è snodato per le vie cittadine. Ma non c’è stato nulla da fare. La multinazionale ungherese del petrolio è stata irremovibile: la raffineria di Mantova deve chiudere. Così, il 1° gennaio 2014 la pipeline proveniente da Marghera ha smesso di pompare greggio e gli impianti si sono definitivamente fermati.
Paolo Spadafora è nato e vive a Mantova con la famiglia. Cinquant'anni, 28 dei quali trascorsi in raffineria, rappresentante sindacale della Femca Cisl, spiega la realtà aziendale e ci narra come si è svolta l’intera vicenda, con l’annuncio della decisione di bloccare le attività di trasformazione, la difficile trattativa per difendere il lavoro e i positivi risultati raggiunti nonostante la conferma della cessazione delle produzioni.
“La raffineria ha una storia lunga, perché nasce a Mantova nel 1946 – racconta -. Prima della crisi occupava tra i 400 e 420 dipendenti. La proprietà è cambiata più volte, la più importante è stata la Total, poi è intervenuto il gruppo Noli-Contini-Mantovani, quindi la Cameli petroli, poi la Ies e infine la multinazionale ungherese Mol, che ci ha acquisiti nel novembre del 2007”.
L’Italiana energia & servizi (Ies) è una società petrolifera che opera nel mercato dell’energia, la materia prima giunge dal Medio Oriente e dalla Russia e alla raffineria di Mantova arrivava attraverso un oleodotto di 120 Km che parte dal deposito costiero di Porto Marghera. Mol è un importante gruppo ungherese che opera nel settore del petrolio e del gas, in particolare nell’Europa centrale e dell’Est. Le produzioni vanno dalle benzine ai bitumi, ad altri derivati. Attualmente gli occupati sono circa 390, più gli 800 dell’indotto.
“Nel corso degli anni abbiamo vissuto alti e bassi legati alle vicende del settore petrolifero – prosegue Spadafora -. Il periodo di occupazione più bassa è stato nel 1995 quando siamo arrivati a meno di 300 addetti, però la raffineria non è mai stata fermata un giorno fino ad oggi. In questo momento stiamo facendo le operazioni di messa in sicurezza e bonifica.
Alla fine del 2011 abbiamo sentito in modo forte l'impatto della crisi, ci sono stati cali produttivi dell'ordine del 30%, sia per quanto riguarda i prodotti per l’autotrazione che per quelli per l'industria. Il fatto che le amministrazioni siano anni che non asfaltano una strada chiaramente ha determinato il non acquisto di prodotti che invece avevano una rilevanza determinante e che, pur non essendo pregiati come le benzine e il gasolio, sono pur sempre prodotti che escono dal ciclo di lavorazione delle raffinerie e che vanno venduti”.
La notizia della chiusura della raffineria l'hanno letta una mattina sulla Gazzetta di Mantova e solo più tardi sono stati convocati dalla direzione, che ha confermato quanto anticipato dalla stampa locale. La decisione ovviamente non è stata presa bene dai lavoratori. Mantova è un territorio che in questo periodo di crisi si è impoverito tantissimo, si è fatto ricorso a 38 milioni di ore di cassa integrazione e si ritrova con il 25% di capacità produttiva in meno. Prima della crisi era la seconda o terza provincia italiana per ricchezza pro capite, ora la situazione è decisamente cambiata, sono stati persi 14mila posti di lavoro, c'è una fascia consistente di lavoratori che sta sopravvivendo grazie agli ammortizzatori sociali. La preoccupazione è grande.
“Dopo l'annuncio ci siamo subito mossi per tentare di respingere questa decisione – spiega Paolo Spadafora -, allo stesso tempo ci siamo dati da fare per trovare noi, visto che la proprietà non si diceva disponibile, dei possibili acquirenti. Abbiamo contattato quasi tutte le multinazionali del settore, però purtroppo non siamo riusciti ad avere un risultato positivo perché il colosso Mol, insieme al colosso Eni, erano contro questa decisione e nessuno viene ad acquistare una raffineria in Italia, visto l'ingente investimento necessario, se l'Eni non è d'accordo.
In seconda battuta ci siamo dedicati a tentare di salvaguardare il più possibile il nostro futuro a tempi brevi, con un accordo a carattere sociale che prevede due anni di cassa integrazione e a seguire la mobilità. L’intesa è stata firmata il 15 gennaio 2014 presso il ministero dello Sviluppo economico. Tutto il personale è stato impegnato fino al 31 marzo nelle operazioni di messa in sicurezza dell’impianto, dopo di che è partita la cassa integrazione.
Noi facciamo parte di un settore molto specializzato e non è facile ricollocarsi in altri ambiti, per di più in un momento come questo nel quale la gran parte delle aziende del territorio è in crisi ed è decisamente difficile trovare un altro posto”.
Con la chiusura della raffineria e la trasformazione in polo logistico in azienda resteranno al lavoro 88 persone e, siccome solo una trentina di persone può accedere direttamente alla pensione, praticamente 290 andranno in cassa integrazione. Inizialmente, secondo la direzione il polo logistico avrebbe dovuto occupare 45 persone, grazie all'accordo sindacale sono riusciti a garantirne 88 nei prossimi anni. Nella individuazione delle persone che resteranno in azienda è stato chiesto che si tenesse conto anche di criteri sociali.
L’intesa prevede che Ies integri l’assegno della cassa integrazione straordinaria fino a raggiungere il 90% dello stipendio mensile lordo. Inoltre sono stati concordati degli incentivi all’esodo di 73mila euro per i dipendenti con un’anzianità aziendale fino a dieci anni, 78mila per chi ha tra dieci e 25 anni di anzianità, e 83mila per chi supera i 25 anni.
Infine, Ies si è impegnata a incaricare una società di outplacement a ricercare opportunità di impiego nell’area di Mantova e territori limitrofi, con la corresponsione di una somma di seimila euro alle imprese che assumeranno dipendenti Ies con contratti di lavoro non precari.
L’accordo raggiunto riguarda tutti i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, ma non coinvolge le altre persone che al momento della chiusura erano occupate in azienda con rapporti di altro tipo. I delegati sindacali si sono quindi posti il problema di come individuare qualche forma di sostegno anche per i compagni di lavoro più sfortunati.
“L'azienda – prosegue il delegato della Femca - aveva assunto delle persone fino a poco tempo prima e c'erano addirittura dei colleghi che avevano lasciato altri posti di lavoro per venire alla Ies in base alle promesse che gli erano state fatte e questi sarebbero rimasti per strada. Inoltre, data la giovane età, non erano nemmeno garantiti da un periodo lungo di ammortizzatori, poi c'erano neolaureati che erano stati assunti con contratti a tempo determinato e c'era anche un gruppo di persone entrate attraverso le agenzie interinali. Complessivamente una trentina di addetti. Essendo consapevoli che questi lavoratori non avrebbero avuto praticamente niente, quando ci siamo trovati al tavolo di trattativa abbiamo innanzitutto tentato, riuscendoci, di offrire una qualche forma di garanzia anche per loro all'interno del piano sociale. L'azienda alla fine ha riconosciuto a costoro cinque o diecimila euro in base all'anzianità di presenza in raffineria.
Ora stiamo tentando di costruire per loro un’ulteriore dotazione economica attivando un contributo di solidarietà che è stato deciso dai lavoratori della raffineria. Sia coloro che resteranno, sia quelli che saranno collocati in cassa possono scegliere di devolvere una cifra solidaristica per questi lavoratori che non hanno diritto agli ammortizzatori sociali e ai vari incentivi. Abbiamo anche fatto pubblicità all'iniziativa con lo slogan ‘Solidarietà precari Ies’, il giornale locale l'ha pubblicata, e speriamo che la popolazione possa rispondere in termini positivi. La raccolta resterà aperta fino a fine agosto e l’incasso sarà diviso in parti uguali tra i colleghi con contratti di somministrazione lavoro e tempo determinato”.
L’azione sindacale non si è limitata a gestire la chiusura e all’importante gesto di solidarietà. Pensare al futuro e verificare nuove opportunità di lavoro è stata una preoccupazione costante, in particolare dei rappresentanti della Femca.
“Come Cisl ci siamo anche preoccupati di pensare a come potevamo creare nuove opportunità per i lavoratori della raffineria – racconta Spadafora - che, vista la situazione economica e le specificità delle mansioni, sono difficilmente rioccupabili. L'idea è quella di pensare a una reindustrializzazione dell'area.
Ci siamo attivati subito, trovando il supporto anche di alcuni parlamentari mantovani e di chi ha capito l'importanza della proposta. Noi puntiamo alla realizzazione di una bioraffineria di seconda generazione, quindi non utilizzando prodotti alimentari ma prodotti di scarto. Un’impresa non facile, anche perché i cittadini mantovani e le amministrazioni pubbliche probabilmente vedono con un certo favore la chiusura definitiva degli impianti. Ma noi crediamo che Mantova abbia gli spazi e le potenzialità per coniugare innovazione, tecnologia e agricoltura.
Un'altra idea è quella di coinvolgere il personale con le qualifiche professionali più alte nella fase di bonifica, che vedrà la raffineria interessata nei prossimi mesi, non solo nel complesso degli impianti, ma anche dell'area intorno, visto che siamo in una zona ad alto inquinamento. Seguiamo da vicino l’evolversi della situazione e aspettiamo delle risposte concrete”.