Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Solidarietà precari Ies
I lavoratori precari,
quelli con contratti a termine o temporanei, si sa, sono i primi a pagare al
manifestarsi delle difficoltà, i primi ad essere lasciati a casa quando le cose
non vanno più tanto bene. Può capitare però che la stessa sorte tocchi a tutti
i dipendenti, quelli a tempo determinato come quelli a tempo indeterminato,
precari o fissi. Se l’azienda chiude, non c’è più posto per nessuno. Anche in
questo caso, però, differenze ci sono, eccome. Le tutele assicurate agli uni
non esistono per gli altri, la possibilità di fare ricorso a scivoli,
ammortizzatori, buone uscite sono decisamente differenti. Le proteste, gli
scioperi, l’azione sindacale spesso si devono arrendere di fronte a norme e
contratti che penalizzano coloro che sono meno tutelati.
Alla raffineria IesMol
di Mantova, di cui è stata decisa la trasformazione in deposito, solo 88
lavoratori su 390 manterranno un’occupazione, per gli altri la strada è quella
della cassa integrazione speciale e della mobilità. Tra questi, però, ce ne
sono 28 che non hanno diritto a usufruire degli ammortizzatori sociali. E così,
operai e impiegati che hanno già perso il loro posto hanno deciso il versamento
volontario di un contributo a favore dei loro compagni di lavoro più deboli e
meno protetti. Una scelta di grande valore, un gesto di solidarietà non usuale,
accolta da uno spontaneo applauso che ha accomunato tutti i lavoratori riuniti
in assemblea.
La chiusura della loro
azienda l’hanno saputa leggendo il giornale. Era il 4 ottobre 2013. Le
rappresentanze sindacali si sono immediatamente organizzate, bloccando il
lavoro, promuovendo scioperi e manifestazioni. Un grande corteo con oltre 3.500
persone si è snodato per le vie cittadine. Ma non c’è stato nulla da fare. La
multinazionale ungherese del petrolio è stata irremovibile: la raffineria di
Mantova deve chiudere. Così, il 1° gennaio 2014 la pipeline proveniente da
Marghera ha smesso di pompare greggio e gli impianti si sono definitivamente
fermati.
Paolo Spadafora è nato
e vive a Mantova con la famiglia. Cinquant'anni, 28 dei quali trascorsi in
raffineria, rappresentante sindacale della Femca Cisl, spiega la realtà
aziendale e ci narra come si è svolta l’intera vicenda, con l’annuncio della
decisione di bloccare le attività di trasformazione, la difficile trattativa
per difendere il lavoro e i positivi risultati raggiunti nonostante la conferma
della cessazione delle produzioni.
“La raffineria ha una
storia lunga, perché nasce a Mantova nel 1946 – racconta -. Prima della crisi
occupava tra i 400 e 420 dipendenti. La proprietà è cambiata più volte, la più
importante è stata la Total, poi è intervenuto il gruppo
Noli-Contini-Mantovani, quindi la Cameli petroli, poi la Ies e infine la
multinazionale ungherese Mol, che ci ha acquisiti nel novembre del 2007”.
L’Italiana energia
& servizi (Ies) è una società petrolifera che opera nel mercato
dell’energia, la materia prima giunge dal Medio Oriente e dalla Russia e alla
raffineria di Mantova arrivava attraverso un oleodotto di 120 Km che parte dal
deposito costiero di Porto Marghera. Mol è un importante gruppo ungherese che
opera nel settore del petrolio e del gas, in particolare nell’Europa centrale e
dell’Est. Le produzioni vanno dalle benzine ai bitumi, ad altri derivati.
Attualmente gli occupati sono circa 390, più gli 800 dell’indotto.
“Nel corso degli anni
abbiamo vissuto alti e bassi legati alle vicende del settore petrolifero –
prosegue Spadafora -. Il periodo di occupazione più bassa è stato nel 1995
quando siamo arrivati a meno di 300 addetti, però la raffineria non è mai stata
fermata un giorno fino ad oggi. In questo momento stiamo facendo le operazioni
di messa in sicurezza e bonifica.
Alla fine del 2011
abbiamo sentito in modo forte l'impatto della crisi, ci sono stati cali produttivi
dell'ordine del 30%, sia per quanto riguarda i prodotti per l’autotrazione che
per quelli per l'industria. Il fatto che le amministrazioni siano anni che non
asfaltano una strada chiaramente ha determinato il non acquisto di prodotti che
invece avevano una rilevanza determinante e che, pur non essendo pregiati come
le benzine e il gasolio, sono pur sempre prodotti che escono dal ciclo di
lavorazione delle raffinerie e che vanno venduti”.
La notizia della
chiusura della raffineria l'hanno letta una mattina sulla Gazzetta di Mantova e
solo più tardi sono stati convocati dalla direzione, che ha confermato quanto
anticipato dalla stampa locale. La decisione ovviamente non è stata presa bene
dai lavoratori. Mantova è un territorio che in questo periodo di crisi si è
impoverito tantissimo, si è fatto ricorso a 38 milioni di ore di cassa
integrazione e si ritrova con il 25% di capacità produttiva in meno. Prima
della crisi era la seconda o terza provincia italiana per ricchezza pro capite,
ora la situazione è decisamente cambiata, sono stati persi 14mila posti di
lavoro, c'è una fascia consistente di lavoratori che sta sopravvivendo grazie
agli ammortizzatori sociali. La preoccupazione è grande.
“Dopo l'annuncio ci
siamo subito mossi per tentare di respingere questa decisione – spiega Paolo
Spadafora -, allo stesso tempo ci siamo dati da fare per trovare noi, visto che
la proprietà non si diceva disponibile, dei possibili acquirenti. Abbiamo
contattato quasi tutte le multinazionali del settore, però purtroppo non siamo
riusciti ad avere un risultato positivo perché il colosso Mol, insieme al
colosso Eni, erano contro questa decisione e nessuno viene ad acquistare una
raffineria in Italia, visto l'ingente investimento necessario, se l'Eni non è
d'accordo.
In seconda battuta ci
siamo dedicati a tentare di salvaguardare il più possibile il nostro futuro a
tempi brevi, con un accordo a carattere sociale che prevede due anni di cassa
integrazione e a seguire la mobilità. L’intesa è stata firmata il 15 gennaio
2014 presso il ministero dello Sviluppo economico. Tutto il personale è stato
impegnato fino al 31 marzo nelle operazioni di messa in sicurezza
dell’impianto, dopo di che è partita la cassa integrazione.
Noi facciamo parte di
un settore molto specializzato e non è facile ricollocarsi in altri ambiti, per
di più in un momento come questo nel quale la gran parte delle aziende del
territorio è in crisi ed è decisamente difficile trovare un altro posto”.
Con la chiusura della
raffineria e la trasformazione in polo logistico in azienda resteranno al
lavoro 88 persone e, siccome solo una trentina di persone può accedere
direttamente alla pensione, praticamente 290 andranno in cassa integrazione.
Inizialmente, secondo la direzione il polo logistico avrebbe dovuto occupare 45
persone, grazie all'accordo sindacale sono riusciti a garantirne 88 nei
prossimi anni. Nella individuazione delle persone che resteranno in azienda è
stato chiesto che si tenesse conto anche di criteri sociali.
L’intesa prevede che
Ies integri l’assegno della cassa integrazione straordinaria fino a raggiungere
il 90% dello stipendio mensile lordo. Inoltre sono stati concordati degli
incentivi all’esodo di 73mila euro per i dipendenti con un’anzianità aziendale
fino a dieci anni, 78mila per chi ha tra dieci e 25 anni di anzianità, e 83mila
per chi supera i 25 anni.
Infine, Ies si è
impegnata a incaricare una società di outplacement a ricercare opportunità di
impiego nell’area di Mantova e territori limitrofi, con la corresponsione di
una somma di seimila euro alle imprese che assumeranno dipendenti Ies con
contratti di lavoro non precari.
L’accordo raggiunto
riguarda tutti i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, ma non
coinvolge le altre persone che al momento della chiusura erano occupate in
azienda con rapporti di altro tipo. I delegati sindacali si sono quindi posti
il problema di come individuare qualche forma di sostegno anche per i compagni
di lavoro più sfortunati.
“L'azienda – prosegue
il delegato della Femca - aveva assunto delle persone fino a poco tempo prima e
c'erano addirittura dei colleghi che avevano lasciato altri posti di lavoro per
venire alla Ies in base alle promesse che gli erano state fatte e questi
sarebbero rimasti per strada. Inoltre, data la giovane età, non erano nemmeno
garantiti da un periodo lungo di ammortizzatori, poi c'erano neolaureati che
erano stati assunti con contratti a tempo determinato e c'era anche un gruppo
di persone entrate attraverso le agenzie interinali. Complessivamente una
trentina di addetti. Essendo consapevoli che questi lavoratori non avrebbero
avuto praticamente niente, quando ci siamo trovati al tavolo di trattativa
abbiamo innanzitutto tentato, riuscendoci, di offrire una qualche forma di
garanzia anche per loro all'interno del piano sociale. L'azienda alla fine ha
riconosciuto a costoro cinque o diecimila euro in base all'anzianità di
presenza in raffineria.
Ora stiamo tentando di
costruire per loro un’ulteriore dotazione economica attivando un contributo di
solidarietà che è stato deciso dai lavoratori della raffineria. Sia coloro che
resteranno, sia quelli che saranno collocati in cassa possono scegliere di
devolvere una cifra solidaristica per questi lavoratori che non hanno diritto
agli ammortizzatori sociali e ai vari incentivi. Abbiamo anche fatto pubblicità
all'iniziativa con lo slogan ‘Solidarietà precari Ies’, il giornale locale l'ha
pubblicata, e speriamo che la popolazione possa rispondere in termini positivi.
La raccolta resterà aperta fino a fine agosto e l’incasso sarà diviso in parti
uguali tra i colleghi con contratti di somministrazione lavoro e tempo
determinato”.
L’azione sindacale non
si è limitata a gestire la chiusura e all’importante gesto di solidarietà.
Pensare al futuro e verificare nuove opportunità di lavoro è stata una
preoccupazione costante, in particolare dei rappresentanti della Femca.
“Come Cisl ci siamo
anche preoccupati di pensare a come potevamo creare nuove opportunità per i
lavoratori della raffineria – racconta Spadafora - che, vista la situazione
economica e le specificità delle mansioni, sono difficilmente rioccupabili.
L'idea è quella di pensare a una reindustrializzazione dell'area.
Ci siamo attivati
subito, trovando il supporto anche di alcuni parlamentari mantovani e di chi ha
capito l'importanza della proposta. Noi puntiamo alla realizzazione di una
bioraffineria di seconda generazione, quindi non utilizzando prodotti
alimentari ma prodotti di scarto. Un’impresa non facile, anche perché i
cittadini mantovani e le amministrazioni pubbliche probabilmente vedono con un
certo favore la chiusura definitiva degli impianti. Ma noi crediamo che Mantova
abbia gli spazi e le potenzialità per coniugare innovazione, tecnologia e
agricoltura.
Un'altra idea è quella
di coinvolgere il personale con le qualifiche professionali più alte nella fase
di bonifica, che vedrà la raffineria interessata nei prossimi mesi, non solo
nel complesso degli impianti, ma anche dell'area intorno, visto che siamo in
una zona ad alto inquinamento. Seguiamo da vicino l’evolversi della
situazione e aspettiamo delle risposte concrete”.