mercoledì 24 giugno 2020

TINO PEREGO 2 - Cisl - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato a Monza il 24 gennaio 1948, ha sempre abitato a Sesto San Giovanni. Cresciuto nella città delle fabbriche, operaio alla Falck, ha scelto l’impegno nel sindacato ricoprendo, tra l’altro, l’incarico di segretario generale della Fim Lombardia e di segretario della Cisl regionale.

La mia è una famiglia cattolica, praticante, che arriva dalla Brianza lecchese. Mio papà è di Rovagnate, mia mamma di Viganò e ho un fratello sacerdote.
Sono stato sempre molto occupato in oratorio nelle varie attività, facendo anche il catechista. Il mio coadiutore era don Ernesto Prina. La formazione ricevuta in oratorio rispetto ai temi sociali e della condivisione è stata uno stimolo a impegnarmi.
Ho sentito parlare per la prima volta di impegno nel mondo del lavoro in un incontro organizzato dalle Acli per i ragazzi adolescenti al castello di Monguzzo. Si trattava di un corso di quindici giorni d'estate, era sostanzialmente un modo di occupare una parte delle vacanze.
I valori indicati dalla dottrina sociale della Chiesa sono le basi della mia formazione. Si leggeva, si studiavano le encicliche come la Populorum progressio, si discuteva tra di noi. Partecipavo agli incontri delle Acli e dell'Azione cattolica senza un impegno diretto, in una posizione di ascolto.
Io abitavo al villaggio Falck e il mio ambiente era casa, lavoro, oratorio e la presenza del lavoro permeava la vita sociale. Quando sono entrato in fabbrica, prima in una piccola azienda artigiana di impianti elettrici e poi alla Falck, ho subito conosciuto un operaio che mi ha detto: sei uno dei nostri, allora ti devi iscrivere alla Cisl. In fabbrica era ovvio che una persona che arrivava dal mondo cattolico aderisse alla Cisl. Poi sono andato a militare e al ritorno ho iniziato a conoscere il mondo del lavoro ancora più approfonditamente.
In occasione di un'assemblea di notte, dove dovevamo discutere dell'applicazione delle riduzioni dell'orario di lavoro in siderurgia, era venuto Mario Stoppini, un sindacalista della Fim. Io sono intervenuto dicendo come la pensavo. Al termine dell'assemblea Stoppini mi ha chiesto di impegnarmi direttamente nel sindacato dato che era il momento della costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali. Ho risposto che ero molto occupato in oratorio, però l'idea mi piaceva e allora, in occasione di una riunione con il nostro assistente, ho detto che avrei voluto dedicarmi al sindacato in fabbrica, però volevo che fosse una scelta condivisa perché avrei abbandonato il gruppo. Così è stato, sono diventato rappresentante sindacale aziendale (Rsa) e in occasione delle prime elezioni del consiglio di fabbrica mi sono candidato e sono stato eletto delegato. Si votava su scheda bianca e da lì è iniziata la mia carriera sindacale.
Quando ho cominciato a impegnarmi in reparto ho continuato ad andare lo stesso in oratorio, ma soprattutto ho iniziato a frequentare con continuità la pastorale del mondo del lavoro dove c'era un gruppo di sacerdoti che erano riferimento su questo tema. Era un bel gruppo e, normalmente una volta al mese, discutevamo del rapporto tra fede e impegno sociale. Qualche volta anche di impegno politico. Un'esperienza che per me è stata molto utile.
A Sesto c'era don Luigi Oggioni con cui ho costruito un bel rapporto, partecipavo con passione agli incontri dove si discutevano i valori e le ragioni di un impegno. Ma c'era ovunque nella Chiesa un gran fermento. Erano gli anni caldi di fine ‘60 inizi ‘70, e si sentiva il vento nuovo del Concilio Vaticano Secondo. Seguivo con interesse le grandi novità della Chiesa in America Latina, personaggi come Arturo Paoli ma anche tutte le voci nuove della Chiesa italiana come don Milani, don Mazzolari, l'Isolotto.
Mentre prima mi impegnavo solo in oratorio, nel momento in cui sono entrato in fabbrica ho visto quali erano le necessità del mondo del lavoro ed è stato naturale spostare il mio impegno prevalente di cristiano lì dentro, senza bisogno di etichettarlo come tale. Prima mettevo a disposizione il mio tempo per i ragazzi e i bambini ora lo facevo nella comunità del lavoro che condividevo.
E’ stato uno sbocco naturale, dove c’era la mia vita, cercando di capire come dare risposta ai problemi e ai bisogni delle persone.
Tutti sapevano da quale ambiente provenivo anche perché mio padre gestiva il circolo cattolico del villaggio Falck, ma questo non è mai stato un problema in fabbrica, anzi ho sempre avuto un bellissimo rapporto con i compagni delle altre organizzazioni sindacali. Nel mio stabilimento i delegati erano quasi tutti Fiom, trentadue contro i nostri tre e uno della Uilm, però sono sempre stato accolto per quello che ero. Ho avuto più problemi di rapporto dentro il mondo cattolico perché durante gli scioperi e le iniziative di lotta gestivo le mobilitazioni e molti mi dicevano che arrivando dal mondo cattolico non avrei dovuto impegnarmi così a fondo come facevano i comunisti. Al punto che qualcuno in modo bonario ma forse non del tutto mi diceva che l'avrebbe detto al mio parroco. Al che gli rispondevo che per il parroco non era un problema il fatto che io scioperassi e anzi era tempo che iniziasse a scioperare anche lui.
Dentro la fabbrica ho incontrato più difficoltà a far capire che quello che stavo facendo era giusto e utile con quelli che arrivavano dal mondo cattolico e che frequentavano la Chiesa. Quelli del villaggio Falck, siccome ero molto legato anche dal punto di vista umano ai delegati della Fiom, quando ci vedevano insieme dicevano che eravamo come il diavolo e l'acqua santa.
Lasciata la fabbrica sono diventato sindacalista a tempo pieno della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl. Quando sei in un'organizzazione tu porti avanti le tue idee, ma devi avere anche il coraggio e la capacità di saper mediare con gli altri, in particolare con coloro che non arrivano dalla tua esperienza. Non ho mai sentito il bisogno di dichiarare la mia fede e neppure avuto la necessità di farlo. Sentivo il bisogno di dire come la pensavo, non di affermare che sono credente. Non ho mai avuto ostacoli dentro la Fim perché arrivavo dal mondo cattolico, anzi nella Cisl, che è nata proprio con l'idea di essere aconfessionale, mi sono trovato bene. C'erano i cattolici e i non cattolici, i democristiani e chi non lo era, ma non c'erano delle correnti e le persone si mischiavano, soprattutto nella realtà di Sesto San Giovanni e nelle grandi fabbriche sestesi. Diversa l’esperienza dei lavoratori vicini a Comunione e liberazione, che si riconoscono come gruppo e vivono in quanto tali anche dentro l'organizzazione sindacale.
Nella mia vita sindacale ho trovato la possibilità di esprimere in modo concreto quello che avevo vissuto nell'esperienza della mia formazione cattolica perché in fin dei conti fare sindacato vuol dire aiutare i più deboli, quelli che hanno meno diritti. Il mio impegno verso gli ultimi era questo e il sindacato era lo strumento che ti permetteva di realizzare queste cose.
L'organizzazione sindacale di fronte ai problemi che interessano le persone, gli uomini e le donne del lavoro, ha il compito di trovare una mediazione con la controparte e questo a volte può sembrare in contraddizione rispetto ad alcuni valori della Chiesa. Mi ricordo una vicenda accaduta alla St di Agrate, dove c'è stata la necessità di affrontare il problema del lavoro domenicale e del lavoro notturno delle donne. Non era facile conciliare le esigenze dei lavoratori e quelle dell'azienda. Ci sono voluti due anni per arrivare a un accordo con tutta una serie di attenzioni e di esenzioni per alcune categorie di persone. In quel periodo ho ricevuto tantissime critiche da parte dei parroci della zona, contrari alle scelte sindacali perché si lavorava di domenica.
Proprio in quel momento facevo parte del consiglio pastorale diocesano, il cardinale era Martini. Uno degli incontri era stato dedicato al giorno del Signore e tra i temi di cui abbiamo discusso c'è stato quello del lavoro domenicale. Io sono intervenuto spiegando che attraverso un accordo di quel genere si garantiva non solo il posto di lavoro, ma si assicurava un reddito alle famiglie e che il problema non poteva essere superato solo in un'azienda. Però non è che siccome ho dovuto fare un accordo di questo genere la mia fede era diminuita oppure dovevo considerarmi meno cattolico. Queste vicende peraltro venivano strumentalizzate anche dentro il sindacato, con la Fiom che si era mossa chiedendo pubblicamente al cardinal Martini un suo intervento diretto sul lavoro domenicale.
Ho vissuto da vicino l'esperienza dei preti operai anche perché a Sesto ce n'era una piccola comunità. C'era un prete operaio alla Ercole Marelli, uno alla Breda termomeccanica. Il riferimento del gruppo di questi sacerdoti era don Cesare Sommariva, don Cece, che lavorava alla Redaelli di Rogoredo. Più volte mi hanno chiamato a confrontarmi con loro per il ruolo che avevo, oppure li incontravo in fabbrica. Io però ho sempre avuto dei problemi con i preti operai, per la loro radicalità, e questo creava delle tensioni anche perché in azienda erano molto apprezzati per il loro impegno, per la capacità di parlare. E molte volte mediare con loro nelle assemblee non era facile. Io dicevo loro: quando voi andate a casa la sera non dovete preoccuparvi di altri, quando l'operaio torna a casa ha una famiglia sulle spalle. Sono arrivato a dirgli anche che sembrava che si comportassero così perché si sentivano in colpa per la distanza della Chiesa dai lavoratori, quasi a voler giustificare ciò che la Chiesa non faceva.
Nella mia esperienza in fabbrica e nel sindacato non ho mai sentito la Chiesa molto lontana dal mio modo di essere e di agire nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo mi serviva frequentare la pastorale del lavoro perché teneva viva l'idea dell'azione sociale dal punto di vista della fede. Mi interessava di più capire la dottrina sociale della Chiesa, confrontarmi su questi temi perché era quello che vivevo quotidianamente. Il rischio è di prendere dall'insegnamento della Chiesa solo ciò che ci piace.
Nella Chiesa occorre poi stare attenti ai comportamenti dei singoli e da chi provengono i messaggi. A volte si fa fatica a distinguere tra il ruolo sociale di un'organizzazione, di una persona e il ruolo della Chiesa. Ad esempio, ci sono state tensioni forti quando responsabile dell’Ufficio diocesano era don Piero Galli, perché considerava la pastorale del lavoro troppo coinvolta nelle vicende concrete, lui la voleva più distaccata, più tranquilla.
Nella diocesi di Milano l'insegnamento dell’arcivescovo Carlo Maria Martini ispirava il mio impegno, ma quando sentivo il cardinal Ruini vivevo una profonda distanza. A me andava bene il cardinal Martini, così come il suo successore cardinal Tettamanzi. Anche nella Chiesa si vive la pluralità. Vi sono le encicliche papali, come ad esempio la Laborem exercens di Giovanni Paolo II, che ci danno degli strumenti di lettura rispetto a come la Chiesa intende essere presente nel mondo del lavoro.
Problemi più che con gli insegnamenti della gerarchia nascono con i parroci, a volte si trovano preti conservatori oppure integralisti, addirittura alcuni che sostengono la Lega. Per fortuna a volte invece si trovano sacerdoti vicini al tuo modo di essere e di pensare. Non si può esprimere un giudizio categorico, non può esistere nella Chiesa.
Quando Papa Giovanni Paolo II è venuto Sesto San Giovanni l'intervento letto da Alfredo Viscardi, un operaio delegato della Magneti Marelli di Crescenzago, è stato scritto da Lorenzo Cantù, Florindo Fumagalli e da me. Poi abbiamo dovuto confrontarci con la Cgil perché era un intervento unitario. La segreteria di Stato voleva l'intervento qualche giorno prima non per correggerlo, non hanno cambiato una virgola di quello che gli abbiamo mandato, volevano conoscerlo per preparare l'intervento del Papa. La prima cosa che ci siamo chiesti, essendo Viscardi un operaio e avendo avuto il Papa un'esperienza come operaio, era se dargli del lei o del tu e abbiamo deciso di dargli del tu e questo ha creato dei problemi nella Chiesa. Il giornale cattolico di Sesto ci ha attaccato perché ci permettevamo questa confidenza con il Papa.
Il sindacato non l'ho mai lasciato e continuo ancora con incarichi diversi, di semplice volontariato. Ho meno opportunità per partecipare alle occasioni di approfondimento e di studio sui temi del mio essere credente. Leggo, sono aggiornato, ma non partecipo più agli incontri della pastorale del lavoro né delle Acli.