Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019
Nato a Monza il
24 gennaio 1948, ha sempre abitato a Sesto San Giovanni. Cresciuto nella città
delle fabbriche, operaio alla Falck, ha scelto l’impegno nel sindacato
ricoprendo, tra l’altro, l’incarico di segretario generale della Fim Lombardia
e di segretario della Cisl regionale.
La mia è una famiglia cattolica, praticante, che
arriva dalla Brianza lecchese. Mio papà è di Rovagnate, mia mamma di Viganò e
ho un fratello sacerdote.
Sono stato sempre molto occupato in oratorio nelle
varie attività, facendo anche il catechista. Il mio coadiutore era don Ernesto
Prina. La formazione ricevuta in oratorio rispetto ai temi sociali e della
condivisione è stata uno stimolo a impegnarmi.
Ho sentito parlare per la prima volta di impegno nel
mondo del lavoro in un incontro organizzato dalle Acli per i ragazzi
adolescenti al castello di Monguzzo. Si trattava di un corso di quindici giorni
d'estate, era sostanzialmente un modo di occupare una parte delle vacanze.
I valori indicati dalla dottrina sociale della
Chiesa sono le basi della mia formazione. Si leggeva, si studiavano le
encicliche come la Populorum progressio,
si discuteva tra di noi. Partecipavo agli incontri delle Acli e dell'Azione
cattolica senza un impegno diretto, in una posizione di ascolto.
Io abitavo al villaggio Falck e il mio ambiente era
casa, lavoro, oratorio e la presenza del lavoro permeava la vita sociale.
Quando sono entrato in fabbrica, prima in una piccola azienda artigiana di
impianti elettrici e poi alla Falck, ho subito conosciuto un operaio che mi ha
detto: sei uno dei nostri, allora ti devi iscrivere alla Cisl. In fabbrica era
ovvio che una persona che arrivava dal mondo cattolico aderisse alla Cisl. Poi
sono andato a militare e al ritorno ho iniziato a conoscere il mondo del lavoro
ancora più approfonditamente.
In occasione di un'assemblea di notte, dove dovevamo
discutere dell'applicazione delle riduzioni dell'orario di lavoro in
siderurgia, era venuto Mario Stoppini, un sindacalista della Fim. Io sono
intervenuto dicendo come la pensavo. Al termine dell'assemblea Stoppini mi ha
chiesto di impegnarmi direttamente nel sindacato dato che era il momento della
costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali. Ho risposto che ero
molto occupato in oratorio, però l'idea mi piaceva e allora, in occasione di
una riunione con il nostro assistente, ho detto che avrei voluto dedicarmi al
sindacato in fabbrica, però volevo che fosse una scelta condivisa perché avrei
abbandonato il gruppo. Così è stato, sono diventato rappresentante sindacale
aziendale (Rsa) e in occasione delle prime elezioni del consiglio di fabbrica
mi sono candidato e sono stato eletto delegato. Si votava su scheda bianca e da
lì è iniziata la mia carriera sindacale.
Quando ho cominciato a impegnarmi in reparto ho
continuato ad andare lo stesso in oratorio, ma soprattutto ho iniziato a
frequentare con continuità la pastorale del mondo del lavoro dove c'era un
gruppo di sacerdoti che erano riferimento su questo tema. Era un bel gruppo e,
normalmente una volta al mese, discutevamo del rapporto tra fede e impegno
sociale. Qualche volta anche di impegno politico. Un'esperienza che per me è
stata molto utile.
A Sesto c'era don Luigi Oggioni con cui ho costruito
un bel rapporto, partecipavo con passione agli incontri dove si discutevano i
valori e le ragioni di un impegno. Ma c'era ovunque nella Chiesa un gran
fermento. Erano gli anni caldi di fine ‘60 inizi ‘70, e si sentiva il vento
nuovo del Concilio Vaticano Secondo. Seguivo con interesse le grandi novità
della Chiesa in America Latina, personaggi come Arturo Paoli ma anche tutte le
voci nuove della Chiesa italiana come don Milani, don Mazzolari, l'Isolotto.
Mentre prima mi impegnavo solo in oratorio, nel
momento in cui sono entrato in fabbrica ho visto quali erano le necessità del
mondo del lavoro ed è stato naturale spostare il mio impegno prevalente di
cristiano lì dentro, senza bisogno di etichettarlo come tale. Prima mettevo a
disposizione il mio tempo per i ragazzi e i bambini ora lo facevo nella
comunità del lavoro che condividevo.
E’ stato uno sbocco naturale, dove c’era la mia
vita, cercando di capire come dare risposta ai problemi e ai bisogni delle
persone.
Tutti sapevano da quale ambiente provenivo anche
perché mio padre gestiva il circolo cattolico del villaggio Falck, ma questo
non è mai stato un problema in fabbrica, anzi ho sempre avuto un bellissimo
rapporto con i compagni delle altre organizzazioni sindacali. Nel mio
stabilimento i delegati erano quasi tutti Fiom, trentadue contro i nostri tre e
uno della Uilm, però sono sempre stato accolto per quello che ero. Ho avuto più
problemi di rapporto dentro il mondo cattolico perché durante gli scioperi e le
iniziative di lotta gestivo le mobilitazioni e molti mi dicevano che arrivando
dal mondo cattolico non avrei dovuto impegnarmi così a fondo come facevano i comunisti.
Al punto che qualcuno in modo bonario ma forse non del tutto mi diceva che
l'avrebbe detto al mio parroco. Al che gli rispondevo che per il parroco non era
un problema il fatto che io scioperassi e anzi era tempo che iniziasse a
scioperare anche lui.
Dentro la fabbrica ho incontrato più difficoltà a
far capire che quello che stavo facendo era giusto e utile con quelli che
arrivavano dal mondo cattolico e che frequentavano la Chiesa. Quelli del
villaggio Falck, siccome ero molto legato anche dal punto di vista umano ai
delegati della Fiom, quando ci vedevano insieme dicevano che eravamo come il
diavolo e l'acqua santa.
Lasciata la fabbrica sono diventato sindacalista a
tempo pieno della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl. Quando sei
in un'organizzazione tu porti avanti le tue idee, ma devi avere anche il
coraggio e la capacità di saper mediare con gli altri, in particolare con
coloro che non arrivano dalla tua esperienza. Non ho mai sentito il bisogno di
dichiarare la mia fede e neppure avuto la necessità di farlo. Sentivo il
bisogno di dire come la pensavo, non di affermare che sono credente. Non ho mai
avuto ostacoli dentro la Fim perché arrivavo dal mondo cattolico, anzi nella
Cisl, che è nata proprio con l'idea di essere aconfessionale, mi sono trovato
bene. C'erano i cattolici e i non cattolici, i democristiani e chi non lo era,
ma non c'erano delle correnti e le persone si mischiavano, soprattutto nella
realtà di Sesto San Giovanni e nelle grandi fabbriche sestesi. Diversa
l’esperienza dei lavoratori vicini a Comunione e liberazione, che si
riconoscono come gruppo e vivono in quanto tali anche dentro l'organizzazione
sindacale.
Nella mia vita sindacale ho trovato la possibilità
di esprimere in modo concreto quello che avevo vissuto nell'esperienza della
mia formazione cattolica perché in fin dei conti fare sindacato vuol dire
aiutare i più deboli, quelli che hanno meno diritti. Il mio impegno verso gli
ultimi era questo e il sindacato era lo strumento che ti permetteva di
realizzare queste cose.
L'organizzazione sindacale di fronte ai problemi che
interessano le persone, gli uomini e le donne del lavoro, ha il compito di
trovare una mediazione con la controparte e questo a volte può sembrare in
contraddizione rispetto ad alcuni valori della Chiesa. Mi ricordo una vicenda
accaduta alla St di Agrate, dove c'è stata la necessità di affrontare il
problema del lavoro domenicale e del lavoro notturno delle donne. Non era
facile conciliare le esigenze dei lavoratori e quelle dell'azienda. Ci sono
voluti due anni per arrivare a un accordo con tutta una serie di attenzioni e
di esenzioni per alcune categorie di persone. In quel periodo ho ricevuto
tantissime critiche da parte dei parroci della zona, contrari alle scelte
sindacali perché si lavorava di domenica.
Proprio in quel momento facevo parte del consiglio
pastorale diocesano, il cardinale era Martini. Uno degli incontri era stato
dedicato al giorno del Signore e tra i temi di cui abbiamo discusso c'è stato quello
del lavoro domenicale. Io sono intervenuto spiegando che attraverso un accordo
di quel genere si garantiva non solo il posto di lavoro, ma si assicurava un
reddito alle famiglie e che il problema non poteva essere superato solo in
un'azienda. Però non è che siccome ho dovuto fare un accordo di questo genere
la mia fede era diminuita oppure dovevo considerarmi meno cattolico. Queste
vicende peraltro venivano strumentalizzate anche dentro il sindacato, con la
Fiom che si era mossa chiedendo pubblicamente al cardinal Martini un suo
intervento diretto sul lavoro domenicale.
Ho vissuto da vicino l'esperienza dei preti operai
anche perché a Sesto ce n'era una piccola comunità. C'era un prete operaio alla
Ercole Marelli, uno alla Breda termomeccanica. Il riferimento del gruppo di
questi sacerdoti era don Cesare Sommariva, don Cece, che lavorava alla Redaelli
di Rogoredo. Più volte mi hanno chiamato a confrontarmi con loro per il ruolo
che avevo, oppure li incontravo in fabbrica. Io però ho sempre avuto dei problemi
con i preti operai, per la loro radicalità, e questo creava delle tensioni
anche perché in azienda erano molto apprezzati per il loro impegno, per la
capacità di parlare. E molte volte mediare con loro nelle assemblee non era
facile. Io dicevo loro: quando voi andate a casa la sera non dovete
preoccuparvi di altri, quando l'operaio torna a casa ha una famiglia sulle
spalle. Sono arrivato a dirgli anche che sembrava che si comportassero così
perché si sentivano in colpa per la distanza della Chiesa dai lavoratori, quasi
a voler giustificare ciò che la Chiesa non faceva.
Nella mia esperienza in fabbrica e nel sindacato non
ho mai sentito la Chiesa molto lontana dal mio modo di essere e di agire nel
mondo del lavoro. Allo stesso tempo mi serviva frequentare la pastorale del
lavoro perché teneva viva l'idea dell'azione sociale dal punto di vista della
fede. Mi interessava di più capire la dottrina sociale della Chiesa,
confrontarmi su questi temi perché era quello che vivevo quotidianamente. Il
rischio è di prendere dall'insegnamento della Chiesa solo ciò che ci piace.
Nella Chiesa occorre poi stare attenti ai
comportamenti dei singoli e da chi provengono i messaggi. A volte si fa fatica
a distinguere tra il ruolo sociale di un'organizzazione, di una persona e il
ruolo della Chiesa. Ad esempio, ci sono state tensioni forti quando
responsabile dell’Ufficio diocesano era don Piero Galli, perché considerava la
pastorale del lavoro troppo coinvolta nelle vicende concrete, lui la voleva più
distaccata, più tranquilla.
Nella diocesi di Milano l'insegnamento
dell’arcivescovo Carlo Maria Martini ispirava il mio impegno, ma quando sentivo
il cardinal Ruini vivevo una profonda distanza. A me andava bene il cardinal
Martini, così come il suo successore cardinal Tettamanzi. Anche nella Chiesa si
vive la pluralità. Vi sono le encicliche papali, come ad esempio la Laborem exercens di Giovanni Paolo II,
che ci danno degli strumenti di lettura rispetto a come la Chiesa intende
essere presente nel mondo del lavoro.
Problemi più che con gli insegnamenti della
gerarchia nascono con i parroci, a volte si trovano preti conservatori oppure
integralisti, addirittura alcuni che sostengono la Lega. Per fortuna a volte
invece si trovano sacerdoti vicini al tuo modo di essere e di pensare. Non si
può esprimere un giudizio categorico, non può esistere nella Chiesa.
Quando Papa Giovanni Paolo II è venuto Sesto San
Giovanni l'intervento letto da Alfredo Viscardi, un operaio delegato della
Magneti Marelli di Crescenzago, è stato scritto da Lorenzo Cantù, Florindo
Fumagalli e da me. Poi abbiamo dovuto confrontarci con la Cgil perché era un
intervento unitario. La segreteria di Stato voleva l'intervento qualche giorno
prima non per correggerlo, non hanno cambiato una virgola di quello che gli
abbiamo mandato, volevano conoscerlo per preparare l'intervento del Papa. La
prima cosa che ci siamo chiesti, essendo Viscardi un operaio e avendo avuto il
Papa un'esperienza come operaio, era se dargli del lei o del tu e abbiamo
deciso di dargli del tu e questo ha creato dei problemi nella Chiesa. Il
giornale cattolico di Sesto ci ha attaccato perché ci permettevamo questa
confidenza con il Papa.
Il sindacato non l'ho mai lasciato e
continuo ancora con incarichi diversi, di semplice volontariato. Ho meno opportunità
per partecipare alle occasioni di approfondimento e di studio sui temi del mio
essere credente. Leggo, sono aggiornato, ma non partecipo più agli incontri
della pastorale del lavoro né delle Acli.