Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono
nato il 7 febbraio 1938 a Torino, poi mia madre è rimasta vedova di guerra e
siamo tornati a Sondrio a casa dei suoi. Il passato regime alle vedove di
guerra assicurava un posto e mia madre ha lavorato a lungo all'Inam. A tre anni
ero a Sondrio, ho fatto una primina con una mia zia maestra, poi le elementari,
le medie, che non erano per tutti, e quindi il liceo classico a Sondrio, dove
ha studiato persino Togliatti, e la laurea in lettere classiche alla Cattolica
di Milano nel 1961.
La mia famiglia era di cultura cattolica rurale, la zia è
stata una delle fondatrici della Democrazia cristiana e mi ha introdotto ad una
cultura sociale abbastanza singolare. Ho riassunto l'”Umanesimo integrale” di
Jaques Maritain per una maestra sua collaboratrice che doveva fare una tesi. In
Cattolica ero in collegio all'Augustinianum dove entrava ogni tipo di giornale,
perché il direttore Umberto Pototschnig era convinto che l'educazione dei
giovani avvenisse grazie anche alla lettura: dall'Unità all'Italia. Pototschnig
mi ha offerto di fare il vicedirettore della rivista di cui era il direttore,
dovevo scrivere anche i fondi e lui mi ha insegnato a scrivere in maniera
efficace e sintetica. Ho letto Mounier in una edizione di Olivetti. La mia
passione era la sociologia, ma una laurea di quel tipo non c'era ancora.
Ho
iniziato a lavorare che ero ancora studente, ho fatto il supplente in una
classe con 38 ragazze e una grande paura e appena laureato mi sono buttato
subito a fare concorsi. Ho iniziato a fare delle supplenze, ho insegnato per
due anni al liceo Frisi di Monza mentre collaboravo in Cattolica ma poi ho
capito che dovevo trovarmi un lavoro definitivo. Vinti i concorsi avevo diverse
opportunità e ho scelto il liceo di Sondrio dove avevo studiato e ho insegnato
lì per due o tre anni, poi sono andato al magistrale per poi tornare al liceo definitivamente.
Ho insegnato in quella scuola fino a quando sono uscito in distacco per il
sindacato a metà degli anni Settanta.
Ho
iniziato a conoscere il sindacato più dall'esterno, nelle mie frequentazioni del
mondo cattolico che era in grande fermento nel periodo conciliare, partecipando
a incontri e conferenze, perché Sondrio in quel periodo era molto vivace e
arrivavano tante persone a parlare. Il dinamismo che c'era in quel mondo in
qualche modo mi ha stimolato ad un impegno maggiore che poi mi ha portato
all'impegno nel luogo di lavoro.
Nella
scuola la mia attività sindacale è iniziata con il sindacato autonomo, eravamo
in sette, di scuole diverse, io sono diventato quasi subito segretario senza
quasi sapere il perché, ma poi in poco tempo in due siamo usciti, lui ha
fondato la Cgil e io ho scelto la Cisl fondando il Sism, perché allora un
sindacato scuola esisteva già ed era saldamente in mano ai maestri. Era il
1966.
Inizialmente
il mio impegno sindacale si svolgeva rimanendo a scuola, poi dal 1974 ho avuto
un semi esonero. Ero segretario generale del Sism continuando ad insegnare.
Ho
scelto la Cisl perché in quel momento la Cisl si presentava come un sindacato
molto vivace e c'era spazio per costruire qualcosa di nuovo, l'ipotesi era quella
di andare all'assalto del Sinascel che era un po' addormentato, con una specie
di patto con l'amico andato alla Cgil che non ci saremmo mai separati.
Non
sono mai stato iscritto ad un partito, non ero democristiano nonostante la zia,
anche se ero attento e seguivo il dibattito che si svolgeva tra le forze
politiche.
La
spinta all'impegno inizialmente è stata quella dell’antiburocrazia, avevo
conosciuto la burocrazia nel sindacato autonomo che con la burocrazia ci andava
un po' a nozze. Io con quel tipo di organizzazione non mi trovavo bene, cercavo
di fare qualcosa di diverso anche se si riusciva a fare poco perché il
sindacato autonomo non era né combattivo né convinto. Cercava di risolvere i
problemi personali sul piano amichevole non sempre rispettando le regole, anche
perché allora perfino la scelta degli insegnanti e delle supplenti era oggetto
di blanda trattativa, senza nessuna osservanza delle graduatorie. Proprio
questo aspetto irritante, di non rispetto dei diritti, di non certezza del
diritto mi ha spinto a cercare nuovi strumenti. C'era uno spazio per un'azione
sindacale di tipo diverso che avesse al centro i diritti e anche la qualità del
lavoro. Con la creazione del Sism col nostro piccolo gruppetto abbiamo cercato
di fare questo, anche se il sindacalista che mi ha sedotto è stato Achille
Pomini, che veniva dall'industria. Era una persona autoritaria, ma con una
visione concreta delle questioni, seppure sempre in chiave operaista. Io mi
sentivo investito dall'idea che il pubblico impiego dovesse essere almeno pari all’industria
e mi pareva che la Cisl fosse più sensibile a questa complessità, mentre la
Cgil era più monolitica.
Nel
sindacato autonomo la partecipazione era praticamente inesistente, invece il
gruppo della Cisl che abbiamo creato era fatto da giovani insegnanti, più donne
che uomini, significativamente attenti alla complessità della realtà e con
voglia di cambiamento. Aiutava anche una riflessione di tipo femminista che
iniziava ad emergere.
Gli
avvenimenti del 1968, ‘69 si sono fatti sentire anche all'interno delle scuole
di Sondrio, non sempre in maniera felice. La fretta e l'approssimazione non
erano un buon aiuto, se qualcosa mancava al ‘68 degli insegnanti era il senso
di responsabilità. Le vertenze operaie che partono nel 1969 noi le sentivamo un
po' lontane e cercavamo di portarle da noi, ma facevamo fatica, ci riusciva
meglio la Cgil e questo mi faceva un po' invidia. Da noi non ci sono state
grandi lotte e occupazioni. Nella scuola il movimento studentesco e i gruppi
extraparlamentari sono stati poca cosa, è nata Gioventù studentesca legata a Comunione
e liberazione, qualcuno era iscritto da noi ma non ho mai avuto grandi
rapporti. Il mio ‘68 è stato come quello di un fratello maggiore un po' più
saggio che cercava di consigliare, di far capire che ci si dovesse confrontare
con la realtà, mantenendo un ruolo più istituzionale.
La
partecipazione degli insegnanti, a parte i pochi più attivi, era bassissima
anche alle iniziative sindacali di carattere generale, come gli scioperi per le
riforme o simili. Occorre tener presente che la dimensione urbana in Valtellina
si sentiva molto lontana, quasi tutti erano proprietari di casa, pochi
viaggiavano e questi problemi erano scarsamente sentiti.
Un
gran femminismo spinto in provincia non l'ho mai visto. I presidi erano tutti
maschi, ma non è che le donne aspirassero a quel ruolo, probabilmente era la
società di Sondrio che non era ancora pronta, matura per quei temi ed era
inutile sollecitarla.
Il
sindacato della scuola elementare aveva circa quattrocento iscritti, il mio
massimo raggiunto è stato di cinquanta, con Pomini che diceva: “Quando avrete duecento
iscritti potrete cominciare a far sentire la vostra voce”, perché Pomini si
guardava bene dall'alterare gli equilibri esistenti, poi però, malgrado il mio
scarso peso, un amico della categoria dei tessili mi ha portato dentro il Consiglio
generale della Cisl di Sondrio. Con i metalmeccanici ho avuto degli
innamoramenti fondati su alcune parole d'ordine, su alcuni temi particolari.
Pomini
era un unitario competitivo, io avrei voluto procedere con battaglie più
unitarie, però allo stesso tempo vedevo l'inutilità di fare causa comune in
Cisl e preferivo andare da solo, salvo che per le battaglie nazionali, che
invece erano sempre condotte insieme. In quel momento probabilmente ero più
disposto a fare iniziative unitarie con i miei colleghi della Cgil che non con
il nostro sindacato delle elementari. Poi ad un certo punto è nato il sindacato
scuola e abbiamo fatto una sorta di segreteria unitaria risultato di scelte
nazionali.
Sulle
questioni unitarie io ero un carnitiano convinto, nella Cisl di Sondrio c'è
stato qualche scontro, ma in periferia su questa questione, lista uno lista due,
non ci sono state grandi cose. All'interno delle scuole peraltro di questo
dibattito in corso nella Cisl non ci fu quasi nessun eco. Il mondo degli
insegnanti era poco permeabile a queste tematiche di carattere più generale,
era molto più sensibile alle questioni di tutela. Nella scuola, non solo sui
lavoratori, non ha voluto dire praticamente nulla. Peraltro il Sism è sempre
stato un sindacato molto caratterizzato a sinistra fin quando, come risultato
dello sforzo della fusione sul finire degli anni Settanta, la situazione si è
modificata.
In
Lombardia avevamo delle frange molto più a sinistra di noi a Milano e a Varese.
Nel Sism nascente a Milano si erano annidati dei personaggi che non si capiva
bene da dove fossero arrivati: Natali, Natoli, Vadalà che poi ho ritrovato
diventando segretario regionale. Con questi non mi sono mai trovato perché
erano fuori di testa. Io ero in sintonia con dirigenti che avevano meditato su
ciò che stavamo facendo.
Nel
‘78, ‘79 sono entrato in segreteria regionale con l'obiettivo di contrastare i
milanesi, sostenuto da tutte le altre strutture lombarde, poi nel 1980 sono andato
a Roma. A Milano come segretario regionale l'esperienza è stata durissima,
quasi non potevo mettere piede nella sede perché venivo dalla provincia. In
segreteria nazionale sono stato per due mandati, quindi sono rimasto a fare un
po' di ufficio studi per il sindacato e contemporaneamente componente del
consiglio d'amministrazione della Biblioteca di cultura pedagogica in
rappresentanza della Cisl e poi presidente della stessa. Nel frattempo avevamo
vinto il congresso del sindacato scuola con segretario generale Giorgio Alessandrini.
Sono stato anche nello Ial regionale, è stata un'occasione di conoscenza di
esperienze interessanti, ma a Sondrio non siamo mai riusciti a farlo attecchire.
Con
i governi di unità nazionale c'è stata una certa attenzione, sostanzialmente
eravamo tutti d'accordo che fosse quasi una soluzione necessaria per un Paese
come il nostro. Però eravamo anche molto estranei alle dinamiche politiche in
senso stretto anche perché il nostro sindacato, pur essendo nel pubblico
impiego, aveva una visione legata all'azione sindacale un po' anomala rispetto
alle altre categorie del pubblico. Noi eravamo riformisti convinti, e lo sono
ancora adesso, convinti che il vero compito di uno Stato democratico sia quello
di fare riforme e le riforme sono un fatto essenzialmente unitario.
Nel
1978 le Regioni hanno acquisito la competenza sulla formazione professionale e
io ero d'accordo sul fatto che la formazione professionale di Stato dovesse
essere ceduta totalmente alle Regioni le quali avrebbero dovuto attivare un
sistema successivo alla scuola dell'obbligo, magari protratta fino al 16º anno
e con l'entrata nel mondo del lavoro. Ricordo di aver partecipato a dei momenti
di studio su questo processo. Nei luoghi di lavoro i temi in discussione erano
la qualità del lavoro dell'insegnante, la professionalità. Sostenevo l'idea che
l'insegnante dovesse lavorare sei ore al giorno. Abbiamo fatto le battaglie per
il doposcuola. Sono andato in giro a predicare contro i miei amici di Bergamo
che avevano già un doposcuola diffuso, perché sostenevo l'idea che si dovesse
fare un tempo prolungato a scuola. Il tempo prolungato era una modalità che
estendeva il principio a tutta l'Italia, non solo a Bergamo. Avevo l'idea che
attraverso il tempo prolungato si potesse arrivare ad una qualità
dell'insegnamento molto diverso, molto più avanzato, con al centro l'educazione
civica. Forse qualche piccolo segno l'avremmo lasciato. Quanto al prolungamento
della scuola dell'obbligo, era un tema sul quale intervenire era estremamente
difficile, anche per i nostri iscritti.
Il
sindacato scuola di Sondrio aveva una benevola attenzione verso esperienze come
quella di Don Milani, di Paulo Freire, delle scuole popolari. In alcune realtà
provinciali ci fu un confronto molto più denso su queste esperienze, come ad
esempio a Bergamo e a Brescia, non a Milano. Io da segretario di Sondrio
cercavo di partecipare agli incontri e alle iniziative che affrontavano queste
tematiche in modo nuovo. Servivano a mandare avanti una logica di riforma, era
quello a cui dovevamo puntare e io cercavo di inserire questi temi a forti dosi,
ovviamente ai livelli superiori rispetto a quelli locali, a livello locale mi
rassegnavo un po' perché mi rendevo conto che era complicato. Ho fatto anch'io
le mie brave assemblee con gli insegnanti, ma su questo versante i risultati
erano scarsi. Ne ricordo una a Milano a difendere l'indifendibile, con duemila
persone di fronte, dove credevo di morire, non ricordo di preciso la questione,
ma erano temi generali che non riguardavano specificatamente la scuola. Non mi
ha mai attirato l'idea di un sindacalismo molto pragmatico.
Per
me l'esperienza sindacale è stato un modo di espansione di un bisogno di
comunicare e di pensare per riformare il mondo. Non ho mai amato la burocrazia,
anche sindacale. Capivo che si dovessero fare le cose essenziali, il più
possibili bene, ma senza strafare. I miei colleghi che stavano attaccati alla
poltrona non li ho mai capiti. Nelle organizzazioni sociali, e perché no anche
in quelle politiche, un atteggiamento di educatore da parte del dirigente non
sarebbe male. Non c'è democrazia che vive senza formazione permanente. La
rabbia era sapere che avevamo in mano aspetti dell'organizzazione, ma non
eravamo in grado di costruire momenti di cambiamento significativi. Per me il
sindacalista doveva essere un riformista che, anche sporcandosi molto le mani,
doveva realizzare delle cose. Il caso tipico è quello del tempo prolungato, su
cui ho scritto anche un libro con Luciano Corradini, proprio per propagandare
una visione riformista concreta. Non sono mai stato un capo con la C maiuscola,
ma capivo che i capi servivano come ad esempio Pomini e Alessandrini, capivo
che un po' di durezza era anche necessaria.
Senza
dubbio le idee forza della Cisl hanno saputo imporsi. Per me il momento forte è
stato il periodo di Carniti che incarnava l'idea di un dirigente forte, duro, a
volte anche autoritario, ma certamente autorevole e anche intellettuale non da
poco. Una figura che non immaginavo nemmeno di poter imitare, ma per me quella
era l'idea di sindacalista. I valori li abbiamo persi un po' per strada.
L'autonomia l'abbiamo conservata, ma un po' di comodo, di facciata, ci
dimentichiamo dell'autonomia quando mandiamo i nostri sindacalisti nei partiti
e quando se ne sono andati pretendiamo di avere un rapporto privilegiato. Non è
una buona lettura della democrazia politica. Per me il sindacato deve fare
anzitutto il sindacato. Ero assolutamente favorevole alla concertazione, ma la
concertazione non è che una forma di contrattazione diversa che si fa col
potere pubblico anziché con quello privato. Un'altra delle mie manie è che la
riforma della pubblica amministrazione è la prima riforma che uno Stato deve fare
e noi nel nostro piccolo, come scuola, avremmo dovuto essere portatori di acqua
buona.