Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Sono
nato a Terni dove risiedo tuttora. Ho fatto la terza media e poi due anni di
istituto tecnico e mi sono fermato lì perché le esigenze la famiglia mi hanno
imposto di cercare lavoro. Ho iniziato a lavorare in una concessionaria Fiat di
Terni nell'agosto del 1965 come apprendista e sono rimasto lì per dieci anni
arrivando alla quinta categoria super, il massimo livello degli operai
meccanici. Nel frattempo, nel 1972 mi sono sposato e ho avuto subito un figlio.
In questa concessionaria ho vissuto la prima crisi petrolifera del 1972,’73 e
l’officina ha risentito delle difficoltà, perché arrivavano meno automobili da
revisionare.
In quel momento si è aperta un'opportunità alla Elianto, azienda
che oggi si chiama Alcantara, con il 51% di partecipazione Eni. Il mio salario
è passato da 250mila lire al mese a 160mila, ma ho privilegiato la certezza
dell’occupazione rispetto all'aspetto economico.
Dove
avevo lavorato come meccanico ho organizzato il tesseramento Flm, ma quando sono
passato nella nuova azienda ho preso l'impegno con mia moglie che non mi sarei
più occupato di sindacato. In quell'azienda si applicava il contratto del
feltro battuto e degli articoli da caccia con la promessa di passare al
contratto chimico, ma al primo rinnovo questo non è avvenuto. Il che ha voluto
dire un aumento salariale inferiore rispetto a quello promesso. Ci fu una
proposta di occupare la fabbrica, ma io sostenni che fosse più utile
un'assemblea permanente e da lì, in occasione del primo rinnovo del consiglio
di fabbrica, sono risultato il primo degli eletti ed è iniziato così il mio percorso
di impegno nel sindacato.
Siamo
nel 1975, dieci anni dopo, nel 1985 sono diventato segretario generale della
Flerica di Terni, lasciando solo in quel momento la fabbrica. Ero già in
segreteria, rimanendo però in azienda. A fine 1989,’90 Arnaldo Mariani,
segretario generale nazionale, mi ha chiamato a Roma.
Ci
fu un congresso mondiale della chimica a Tokio e come delegati periferici a
questo congresso c'eravamo io, Valeriano Formis, Dino Lazzarotto e un quarto di
cui non ricordo il nome. Tutti e quattro successivamente siamo stati chiamati a
Roma a fare delle attività diverse. Formis è l'unico che ha rifiutato questo
nuovo incarico.
Nel
1990 ho iniziato la mia attività come operatore nazionale della categoria e l’ho
fatto per sette anni come segretario di comparto, nel 1997 sono entrato in
segreteria. Nel 2001, con la fusione Filta e Flerica nella Femca, sono
diventato segretario generale aggiunto della nuova organizzazione e nel 2003
segretario generale e lo sono stato fino al 7 settembre 2015.
La chimica italiana
La
chimica rappresentata dall'Eni, dopo le fusioni, le tangenti e quant'altro,
compresa anche quella decotta, quella di Rovelli, pezzi di Montedison, contava
85mila addetti, oggi in Eni sono occupate 4.500 persone. Trenta, quaranta anni
fa, in quella chimica si guadagnava perché le regole, quelle ambientali in
particolare, erano certamente diverse. Il problema delle bonifiche deriva
dall'attività di quegli anni.
Quella
chimica rappresentava per il nostro paese l'eccellenza, che ha prodotto anche
un premio Nobel come Giulio Natta, che operava tra l'altro a Terni, nella mia
città. Ma era anche la chimica del cloruro di vinile che gli americani avevano
messo al bando, ma che nelle nostre fabbriche, in particolare a Marghera e a
Terni, gli operai lo mettevano sulle carie dei denti perché faceva passare il
dolore o ci mettevano a bagno la frutta. Ricordo che quando pulivano le
autoclavi aprivano i bocchettoni, arieggiavano e mandavano giù la gabbia con un
canarino. Lo tenevano un po' giù, se il canarino risaliva vivo allora potevano
entrare gli operai. Questa era la chimica in quegli anni.
Oggi
la chimica si sta trasformando. Oggi c'è Novamont che fa la chimica verde, che
produce la plastica biodegradabile mater-bi. Ma la trasformazione ha investito
anche il processo di raffinazione. La raffineria di Marghera non raffina più
petrolio, produce ecodiesel da olio di palma. La raffineria di Gela dopo cinquant'anni
cambia totalmente e produrrà anch'essa ecodiesel.
A
Porto Torres è stato fatto un patto tra Eni e Novamont per produrre la plastica
da olio di cardo e, tra le altre cose, dagli scarti di cardo si produrrà anche
energia elettrica.
Oggi
siamo preoccupati che Eni lasci la chimica perché la chimica italiana oggi è
Eni Versalis, così si chiama. Non che non ci sia nient'altro, ma è fatta in
parte da trasformatori e in parte da multinazionali che sono fuori dal
controllo del processo decisionale. Secondo me Versalis ha ancora la
possibilità di sviluppare le attività nel settore. Non possiamo però limitarci
a difendere l'esistente ma dobbiamo studiare, progettare come hanno fatto i
nostri predecessori, pensare a quali possono essere gli sviluppi futuri, sapendo
che un pezzo della chimica italiana attuale noi la perderemo e quindi dobbiamo
fare delle scelte.
Altri comparti organizzati dalla categoria
Il
vetro, anche questo ha subito una trasformazione anche se meno importante. La
produzione è fatta di piccole aziende che producono bottiglie che sono
dislocate un po' in tutto il Paese per coprire le esigenze del territorio in
cui sono insediate. La produzione delle vetrature per l’automobile e per
l'edilizia è realizzata da aziende di maggiori dimensioni, con la presenza
anche di multinazionali. Il comparto occupa tra i 35 e i 40mila addetti.
Il
comparto della gomma plastica è più frammentato, con la presenza di grandi
aziende multinazionali come Pirelli, Firestone, che hanno delocalizzato molto.
Le relazioni industriali in Pirelli non erano improntate alla discussione, ma
impostate con una porta sempre aperta verso la Cgil. Un buon lavoro lo abbiamo
fatto quando si fusero Firestone e Bridgestone, firmando un accordo con i
sabati e le domeniche per giovani. Era il 1992,’93 ed era il primo con queste
caratteristiche. La fabbrica lavorava normalmente su cinque giorni, con
l’intesa facemmo diventare la produzione strutturale su sette giorni, occupando
dei giovani che lavoravano il sabato e la domenica. Salvammo la fabbrica. Poi
la fabbrica ha avuto evoluzioni diverse e l'ultimo accordo è stato quello per
il rientro di produzioni industriali che erano allocate in Paesi dove la
manodopera costa poco.
Il
farmaceutico non ha problemi. Noi tre segretari generali dei sindacati chimici
siamo stati invitati a una riunione della giunta di Farmindustria, a
testimoniare un livello di relazioni sindacali eccellente, sia con
l'associazione nazionale che con le imprese. Nelle imprese di questo settore ci
sono i migliori accordi, non solo dal punto di vista economico ma anche per
quanto riguarda l'avanzamento del welfare aziendale. Sono imprese che fanno
investimenti, che promuovono la loro attività, fanno ricerca e puntano sulla
qualità della manodopera.
Relazioni industriali
Credo
sia stato importante che per anni, pur non essendo uniti, Flerica, Filcem e
Uilcem, abbiamo vissuto insieme nello stesso palazzo di sei piani in via
Bolzano a Roma. Lì si costruiva non solo il che cosa fare, ma anche la fiducia
tra le persone che militavano in organizzazioni diverse. Questo ha fatto sì che
il processo di avanzamento sulla qualità delle relazioni si innestasse su un
tessuto di un'esperienza unitaria. Ricordo che nel 1985, io ero appena
diventato segretario generale della Flerica di Terni, in occasione del
referendum sulla scala mobile i tre segretari generali di categoria di Cgil
Cisl Uil ci hanno chiamati a Roma dicendoci che seppure le confederazioni
avevano litigato noi dovevamo cercare di tenere bassi i toni. Credo che sia
questo l'elemento più significativo e per questo le nostre controparti,
rispetto a proposte condivise, non potevano sottrarsi al confronto.
Non
va dimenticato che Fonchim è depositato come numero uno tra i fondi di
previdenza complementare, così come occorre ricordare che nel settore
dell'energia e del petrolio l'assistenza sanitaria c'è da sempre. Il progetto
di forte innovazione nelle relazioni nasceva da una cultura unitaria dove si
discuteva, ma alla fine si trovava una sintesi nell'interesse generale. Credo
che questo sia ciò che bisognerebbe fare anche oggi. Non è possibile pensare di
essere autosufficienti stando chiusi nel proprio recinto con gli attacchi che
il sindacato sta subendo.
Uno
spirito unitario che è rimasto nella categoria e non è casuale che con le
difficoltà di questo momento gli unici contratti firmati siano quelli dei
chimici. Nel nostro settore non si sfugge, non c'è una controparte disponibile
a firmare un contratto non sottoscritto da tutte e tre le organizzazioni, anzi,
se la piattaforma è unitaria sono disponibili anche a dare qualcosa in più pur
di accontentare tutti. Una modalità di azione che si è trasferita nelle aziende
e nelle strutture periferiche sindacali.
Nel
settore della chimica siamo al 50% di accordi aziendali (nella gomma plastica
il livello è più basso), nel vetro siamo oltre perché si fa per gruppo, nel
comparto energia siamo al 100% di contrattazione di secondo livello. Nella
produzione delle piastrelle siamo oltre il 50% di accordi aziendali.
Purtroppo
nel settore non c'è la partecipazione economica, ma ritengo che questa sia una
miopia delle imprese, bisognerebbe che quelle maggiori avessero un po' più di
coraggio. Penso a Menarini, che è la più grande azienda farmaceutica d'Italia,
penso all’Eni. In queste aziende si potrebbe iniziare. Nel 2006 abbiamo firmato
in Eni un accordo che non è ancora partecipativo, ma assegna un nuovo ruolo al
sindacato e c'è scritto che si faranno comitati scientifici, che si studierà un
sistema di evoluzione della partecipazione. Ma l'amministratore delegato che
l'aveva firmato, Paolo Scaroni, se n’è andato e tutto è rimasto fermo sulla
carta.
Welfare aziendale
È
chiaro che nei costi complessivi vengono considerati anche quelli per il
welfare aziendale e quindi bisogna saper equilibrare gli interventi a favore
del welfare con quelli sui salari e gli stipendi. L'assistenza sanitaria
l’abbiamo sviluppata quasi dappertutto e il valore dell'assistenza sanitaria
non è ancora compreso fino in fondo, perché non è solo un risparmio per il
lavoratore, che può per alcuni interventi usufruire di contributi e sconti.
Faschim i ticket li paga a tutti ed è un bel risparmio, ma questo contribuisce
anche ad alleggerire la sanità pubblica.