giovedì 25 giugno 2020

SERGIO GIGLI - Femca - Segretario generale nazionale

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Sono nato a Terni dove risiedo tuttora. Ho fatto la terza media e poi due anni di istituto tecnico e mi sono fermato lì perché le esigenze la famiglia mi hanno imposto di cercare lavoro. Ho iniziato a lavorare in una concessionaria Fiat di Terni nell'agosto del 1965 come apprendista e sono rimasto lì per dieci anni arrivando alla quinta categoria super, il massimo livello degli operai meccanici. Nel frattempo, nel 1972 mi sono sposato e ho avuto subito un figlio. In questa concessionaria ho vissuto la prima crisi petrolifera del 1972,’73 e l’officina ha risentito delle difficoltà, perché arrivavano meno automobili da revisionare. 

In quel momento si è aperta un'opportunità alla Elianto, azienda che oggi si chiama Alcantara, con il 51% di partecipazione Eni. Il mio salario è passato da 250mila lire al mese a 160mila, ma ho privilegiato la certezza dell’occupazione rispetto all'aspetto economico.
Dove avevo lavorato come meccanico ho organizzato il tesseramento Flm, ma quando sono passato nella nuova azienda ho preso l'impegno con mia moglie che non mi sarei più occupato di sindacato. In quell'azienda si applicava il contratto del feltro battuto e degli articoli da caccia con la promessa di passare al contratto chimico, ma al primo rinnovo questo non è avvenuto. Il che ha voluto dire un aumento salariale inferiore rispetto a quello promesso. Ci fu una proposta di occupare la fabbrica, ma io sostenni che fosse più utile un'assemblea permanente e da lì, in occasione del primo rinnovo del consiglio di fabbrica, sono risultato il primo degli eletti ed è iniziato così il mio percorso di impegno nel sindacato.
Siamo nel 1975, dieci anni dopo, nel 1985 sono diventato segretario generale della Flerica di Terni, lasciando solo in quel momento la fabbrica. Ero già in segreteria, rimanendo però in azienda. A fine 1989,’90 Arnaldo Mariani, segretario generale nazionale, mi ha chiamato a Roma.
Ci fu un congresso mondiale della chimica a Tokio e come delegati periferici a questo congresso c'eravamo io, Valeriano Formis, Dino Lazzarotto e un quarto di cui non ricordo il nome. Tutti e quattro successivamente siamo stati chiamati a Roma a fare delle attività diverse. Formis è l'unico che ha rifiutato questo nuovo incarico.
Nel 1990 ho iniziato la mia attività come operatore nazionale della categoria e l’ho fatto per sette anni come segretario di comparto, nel 1997 sono entrato in segreteria. Nel 2001, con la fusione Filta e Flerica nella Femca, sono diventato segretario generale aggiunto della nuova organizzazione e nel 2003 segretario generale e lo sono stato fino al 7 settembre 2015.

La chimica italiana
La chimica rappresentata dall'Eni, dopo le fusioni, le tangenti e quant'altro, compresa anche quella decotta, quella di Rovelli, pezzi di Montedison, contava 85mila addetti, oggi in Eni sono occupate 4.500 persone. Trenta, quaranta anni fa, in quella chimica si guadagnava perché le regole, quelle ambientali in particolare, erano certamente diverse. Il problema delle bonifiche deriva dall'attività di quegli anni.
Quella chimica rappresentava per il nostro paese l'eccellenza, che ha prodotto anche un premio Nobel come Giulio Natta, che operava tra l'altro a Terni, nella mia città. Ma era anche la chimica del cloruro di vinile che gli americani avevano messo al bando, ma che nelle nostre fabbriche, in particolare a Marghera e a Terni, gli operai lo mettevano sulle carie dei denti perché faceva passare il dolore o ci mettevano a bagno la frutta. Ricordo che quando pulivano le autoclavi aprivano i bocchettoni, arieggiavano e mandavano giù la gabbia con un canarino. Lo tenevano un po' giù, se il canarino risaliva vivo allora potevano entrare gli operai. Questa era la chimica in quegli anni.
Oggi la chimica si sta trasformando. Oggi c'è Novamont che fa la chimica verde, che produce la plastica biodegradabile mater-bi. Ma la trasformazione ha investito anche il processo di raffinazione. La raffineria di Marghera non raffina più petrolio, produce ecodiesel da olio di palma. La raffineria di Gela dopo cinquant'anni cambia totalmente e produrrà anch'essa ecodiesel.
A Porto Torres è stato fatto un patto tra Eni e Novamont per produrre la plastica da olio di cardo e, tra le altre cose, dagli scarti di cardo si produrrà anche energia elettrica.
Oggi siamo preoccupati che Eni lasci la chimica perché la chimica italiana oggi è Eni Versalis, così si chiama. Non che non ci sia nient'altro, ma è fatta in parte da trasformatori e in parte da multinazionali che sono fuori dal controllo del processo decisionale. Secondo me Versalis ha ancora la possibilità di sviluppare le attività nel settore. Non possiamo però limitarci a difendere l'esistente ma dobbiamo studiare, progettare come hanno fatto i nostri predecessori, pensare a quali possono essere gli sviluppi futuri, sapendo che un pezzo della chimica italiana attuale noi la perderemo e quindi dobbiamo fare delle scelte.

Altri comparti organizzati dalla categoria
Il vetro, anche questo ha subito una trasformazione anche se meno importante. La produzione è fatta di piccole aziende che producono bottiglie che sono dislocate un po' in tutto il Paese per coprire le esigenze del territorio in cui sono insediate. La produzione delle vetrature per l’automobile e per l'edilizia è realizzata da aziende di maggiori dimensioni, con la presenza anche di multinazionali. Il comparto occupa tra i 35 e i 40mila addetti.
Il comparto della gomma plastica è più frammentato, con la presenza di grandi aziende multinazionali come Pirelli, Firestone, che hanno delocalizzato molto. Le relazioni industriali in Pirelli non erano improntate alla discussione, ma impostate con una porta sempre aperta verso la Cgil. Un buon lavoro lo abbiamo fatto quando si fusero Firestone e Bridgestone, firmando un accordo con i sabati e le domeniche per giovani. Era il 1992,’93 ed era il primo con queste caratteristiche. La fabbrica lavorava normalmente su cinque giorni, con l’intesa facemmo diventare la produzione strutturale su sette giorni, occupando dei giovani che lavoravano il sabato e la domenica. Salvammo la fabbrica. Poi la fabbrica ha avuto evoluzioni diverse e l'ultimo accordo è stato quello per il rientro di produzioni industriali che erano allocate in Paesi dove la manodopera costa poco.
Il farmaceutico non ha problemi. Noi tre segretari generali dei sindacati chimici siamo stati invitati a una riunione della giunta di Farmindustria, a testimoniare un livello di relazioni sindacali eccellente, sia con l'associazione nazionale che con le imprese. Nelle imprese di questo settore ci sono i migliori accordi, non solo dal punto di vista economico ma anche per quanto riguarda l'avanzamento del welfare aziendale. Sono imprese che fanno investimenti, che promuovono la loro attività, fanno ricerca e puntano sulla qualità della manodopera.

Relazioni industriali
Credo sia stato importante che per anni, pur non essendo uniti, Flerica, Filcem e Uilcem, abbiamo vissuto insieme nello stesso palazzo di sei piani in via Bolzano a Roma. Lì si costruiva non solo il che cosa fare, ma anche la fiducia tra le persone che militavano in organizzazioni diverse. Questo ha fatto sì che il processo di avanzamento sulla qualità delle relazioni si innestasse su un tessuto di un'esperienza unitaria. Ricordo che nel 1985, io ero appena diventato segretario generale della Flerica di Terni, in occasione del referendum sulla scala mobile i tre segretari generali di categoria di Cgil Cisl Uil ci hanno chiamati a Roma dicendoci che seppure le confederazioni avevano litigato noi dovevamo cercare di tenere bassi i toni. Credo che sia questo l'elemento più significativo e per questo le nostre controparti, rispetto a proposte condivise, non potevano sottrarsi al confronto.
Non va dimenticato che Fonchim è depositato come numero uno tra i fondi di previdenza complementare, così come occorre ricordare che nel settore dell'energia e del petrolio l'assistenza sanitaria c'è da sempre. Il progetto di forte innovazione nelle relazioni nasceva da una cultura unitaria dove si discuteva, ma alla fine si trovava una sintesi nell'interesse generale. Credo che questo sia ciò che bisognerebbe fare anche oggi. Non è possibile pensare di essere autosufficienti stando chiusi nel proprio recinto con gli attacchi che il sindacato sta subendo.
Uno spirito unitario che è rimasto nella categoria e non è casuale che con le difficoltà di questo momento gli unici contratti firmati siano quelli dei chimici. Nel nostro settore non si sfugge, non c'è una controparte disponibile a firmare un contratto non sottoscritto da tutte e tre le organizzazioni, anzi, se la piattaforma è unitaria sono disponibili anche a dare qualcosa in più pur di accontentare tutti. Una modalità di azione che si è trasferita nelle aziende e nelle strutture periferiche sindacali.
Nel settore della chimica siamo al 50% di accordi aziendali (nella gomma plastica il livello è più basso), nel vetro siamo oltre perché si fa per gruppo, nel comparto energia siamo al 100% di contrattazione di secondo livello. Nella produzione delle piastrelle siamo oltre il 50% di accordi aziendali.
Purtroppo nel settore non c'è la partecipazione economica, ma ritengo che questa sia una miopia delle imprese, bisognerebbe che quelle maggiori avessero un po' più di coraggio. Penso a Menarini, che è la più grande azienda farmaceutica d'Italia, penso all’Eni. In queste aziende si potrebbe iniziare. Nel 2006 abbiamo firmato in Eni un accordo che non è ancora partecipativo, ma assegna un nuovo ruolo al sindacato e c'è scritto che si faranno comitati scientifici, che si studierà un sistema di evoluzione della partecipazione. Ma l'amministratore delegato che l'aveva firmato, Paolo Scaroni, se n’è andato e tutto è rimasto fermo sulla carta.

Welfare aziendale
È chiaro che nei costi complessivi vengono considerati anche quelli per il welfare aziendale e quindi bisogna saper equilibrare gli interventi a favore del welfare con quelli sui salari e gli stipendi. L'assistenza sanitaria l’abbiamo sviluppata quasi dappertutto e il valore dell'assistenza sanitaria non è ancora compreso fino in fondo, perché non è solo un risparmio per il lavoratore, che può per alcuni interventi usufruire di contributi e sconti. Faschim i ticket li paga a tutti ed è un bel risparmio, ma questo contribuisce anche ad alleggerire la sanità pubblica.