venerdì 26 giugno 2020

ANNA ZANNINO - Kaos - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014

Artigianato web 2.0
Vi rivolgereste mai ad un’azienda che si chiama Kaos? Ve l’immaginate un’impresa artigiana che porta questo nome? Che tipo di manufatti può mai produrre? E se per giunta scopriste che si tratta di un’attività di sole donne, dirette da una donna?
Ovviamente questo laboratorio artigiano esiste, si trova qualche gradino in basso rispetto alla Ripa di Porta Ticinese, uno dei luoghi più suggestivi di Milano, lungo l’Alzaia Naviglio Grande. Una piccola società che saputo risollevarsi dai colpi subiti dalla crisi attraverso un processo di cambiamento interno e un percorso di internazionalizzazione. Quando hanno iniziato a lavorare con il nuovo interlocutore giapponese questi si è presentato dicendo così: “Italiani, tutte donne, che si chiamano Kaos, no non esiste”. Per avere il via libera hanno dovuto inventarsi un nome apposito e un nuovo logo. Ora che la collaborazione è consolidata tutti le chiamano Kaos.
L’azienda opera nel campo della consulenza negli ambiti marketing, strategia e comunicazione, applica il contratto del commercio, fa parte della categoria del Terziario avanzato, ma spesso nelle classificazioni ufficiali finisce nella casella “altro”. La guida Anna Zannino, che l’ha creata nel 2001.
“Siamo un'azienda artigiana all'epoca del web 2.0. Di piccole dimensioni, anche se nell'ultimo anno e mezzo abbiamo subito una crescita notevole di personale e abbiamo anche sviluppato un processo di internazionalizzazione, però siamo in tutto un'azienda artigiana non solo per le dimensioni e per il tipo di pratiche burocratiche e amministrative che dobbiamo affrontare, ma io mi riconosco artigiana nell'approccio al lavoro e questo è il senso della mia appartenenza a Cna. È artigiano il nostro modo di rapportarsi ai clienti, è artigiano - cioè fatto su misura - il nostro metodo di lavoro. Noi non produciamo oggetti materiali però le soluzioni che proponiamo sono sempre pensate per il singolo cliente, partendo da un'analisi dei bisogni per capire che cosa gli serve, poi lo facciamo. E ogni volta è una risposta diversa. In questo siamo molto artigiani, anche a discapito delle economie di scala. Non mi piacciono i lavori in serie, anche dove possibile preferisco reinventarmi da capo, metterci qualcosa di esclusivo, di personale e quindi di realmente artigiano in quella che è l'accezione più vera di questo lavoro, cioè la creatività e la capacità di adattamento. Quello che è stato vincente per noi in questo ultimo anno è il sapere cambiare pelle, il sapersi adattare alle diverse situazioni, ovviamente sempre partendo da quello che sai fare”.
Laureata in Economia e commercio con un master in Marketing e pianificazione strategica, la sua esperienza di lavoro si forma in una grande azienda, il gruppo Ansaldo, dal 1981 al 1988, poi il cambio a 180 gradi e la scoperta del mondo della micro dimensione e del fare in proprio, fino a quando nel 2001 fonda Kaos. In qualche modo, fin dall'inizio, il modello mentale e organizzativo è quello della grande azienda, cioè delle divisioni che si occupano di singoli aspetti e lei prova, con le sue scarse risorse economiche, a costruire un gruppo che sia fatto di aree di responsabilità, di business, di sviluppo. Il problema era che, date le piccole dimensioni, un'area in molti casi consisteva di una sola persona, però il tentativo è stato questo, ha fatto crescere molto le persone e si è presa anche qualche rischio, perché all'inizio erano quasi tutte ragazze neolaureate appena uscite dall'università. Per lei pensare in grande pur essendo piccoli non è uno slogan.
“L'azienda si chiama Kaos perché sono veramente convinta che dal punto di vista mentale questa è la posizione più onesta intellettualmente in questo momento di complessità, di necessità di interazione - spiega l’insolita scelta Anna Zannino -, nelle nostre parole guida c'è scritto che non ci piacciono gli approcci consulenziali. Pensiamo che questo non possa essere l'abito mentale nel quale viviamo. L'unica certezza, dal mio punto di vista, è la certezza del cambiamento. Siamo in divenire. Infatti il nostro pay-off è ‘Kaos, strategie di cambiamento’. Noi diciamo ai nostri clienti ‘chiamateci se volete cambiare qualcosa, se invece intendete andare avanti nello status quo, probabilmente noi non abbiamo niente da dirvi’. Il nome Kaos bisogna saperlo portare. Poi nella sua scelta c'è anche un obiettivo di comunicazione, perché la prima domanda che un cliente si pone è proprio questa: perché questa società si chiama Kaos? E io in termini di comunicazione ho già ottenuto un buon risultato”.
All'esplodere della crisi l’azienda ha sentito immediatamente le sue conseguenze. Kaos non ha mai avuto molti clienti, ha una fortissima fidelizzazione e non ne ha mai persi, puntando ad allargare di volta in volta la gamma dei servizi offerti e adattandosi con flessibilità alle loro esigenze. Inoltre, non ha mai fatto una intensa attività commerciale per promuoversi e i clienti si sono sempre sviluppati per passa parola, per fiducia, per cui fino al 2008 “ci siamo un po' sedute – spiega Zannino - nel senso che i clienti bastavano, siamo piccoli, crescere più di tanto fa paura”.
In quel momento i clienti erano suddivisi equamente tra privati, soprattutto grosse aziende, e aziende pubbliche come consorzi, enti di formazione, la Regione all'interno di progetti, anche tramite Cna, con finanziamenti pubblici. “Tutto questo mondo da un momento all'altro si è fermato, per noi sono stati momenti drammatici. I clienti ci dicevano ‘ci piacerebbe ma non possiamo, non abbiamo risorse, non abbiamo fondi’. Siamo stati fortunati perché siamo riusciti ad uscirne non con le ossa rotte dal punto di vista finanziario. Tra l'altro con questi clienti avevamo anche grossi esborsi sotto forma di anticipazione di cassa, perché i tempi di pagamento della pubblica amministrazione erano lunghissimi però arrivavano, per cui ci sentivamo sicuri, ma ad un certo punto questo mondo si è chiuso”.
I clienti della società sono rimasti solo quelli privati e molti di questi erano multinazionali dove anche lì, un attimo dopo, sono arrivati i morsi della crisi che si sono fatti sentire con tagli alla comunicazione, al marketing e con la centralizzazione dei servizi al loro interno. “Ci siamo resi conto in quel momento  - sottolinea la titolare - come l'Italia fosse diventata sempre più periferia, il Nord dell'Africa per le multinazionali che hanno sede ad esempio in Giappone. Lo abbiamo visto direttamente”.
La formula per affrontare le difficoltà e uscire dalla situazione generata dalla crisi è stata provare a internazionalizzarsi. Le imprese, per centralizzare i servizi, si muovono in una dimensione internazionale, per cui hanno provato a dare una risposta a quel livello. Rispetto alle commesse italiane si sono ritarati su una comunicazione web one to one, che significa lavorare per trovare clienti per le imprese contattandole personalmente una per una, che rispetto alla pubblicità tradizionale è meno costosa, ma anche meno di impatto, pertanto richiede una un'attività continuativa. Praticamente hanno detto ai clienti che avrebbero fatto il loro ufficio marketing in outsourcing. “Questo ha voluto dire cambiare modalità di lavoro – prosegue Anna Zannino -, ci siamo rimboccate le maniche, abbiamo cambiato un po' pelle e aggiornato le competenze, senza sostituire il personale, ma con l'ingresso di persone nuove, con skill più legati al discorso social media e al contatto telefonico. Il lavoro di back office, quello del giorno per giorno, è affidato a sei giovani moldavi che parlano correttamente italiano, spagnolo e inglese a costi che sono meno della metà dei nostri. Questo per me è stata una bella intuizione che ci ha permesso di uscire dalle nostre difficoltà”.
Oggi non sono più così piccoli perché proprio nel corso del 2013 hanno attivato una partnership a, in Moldavia, dove ci sono le sei persone che lavorano per Kaos. Se Zannino dovesse disegnare l'organigramma della sua azienda, c’è certamente lei al centro, ma intorno a lei ci sono tutta una serie di satelliti, di interlocutori. Essendo un'azienda al femminile dove nascono molti bimbi - perché le ragazze sono partite molto giovani, ma ormai sono cresciute e sono diventate mamme -, i ruoli sono necessariamente abbastanza fluidi, perché ci sono dei periodi di assenza per maternità nei quali si debbono riaggiustare le responsabilità, però pare ci riescano abbastanza bene.
Con un organigramma siffatto è importante il tema della conciliazione lavoro, famiglia, vita. E’ soprattutto una questione di tempo e, scontata la disponibilità, date le ridotte dimensioni, è importante trovare i giusti equilibri. Le dipendenti sono sette a tempo indeterminato e tre assunte con un progetto di collaborazione coordinata e continuativa, sono attivi due  part-time compensati dalla flessibilità, da una certa intercambiabilità nei ruoli e da una informatizzazione casalinga. Quasi tutto il personale è dotato di una postazione Internet da casa e alla bisogna è in grado di tamponare il necessario. Le impiegate si gestiscono in modo totalmente autonomo il piano ferie e i permessi, di modo che le attività sono sempre assicurate e la titolare, normalmente, è l'ultima a conoscerlo.
Anna Zannino ha avuto diversi ruoli nell'ambito del mondo artigiano e attualmente è componente della presidenza di Cna Milano. Considera la bilateralità un tema importante ed è convinta che su di essa le associazioni dovrebbero investire di più in termini di comunicazione e di opportunità, perché tuttora la conoscenza tra gli imprenditori artigiani è decisamente scarsa. “In quanto imprenditrice – precisa - di fatto non ne so niente, pago la mia quota ma non avendo un'informazione puntuale non riesco ad utilizzare le opportunità che questa offre. Probabilmente è anche una questione di cultura, di attenzione a questi temi che nelle piccole aziende non c'è o è scarsa. Nell'ambito dell'associazione artigiana abbiamo discusso su come valorizzare al meglio le opportunità che vengono offerte”.
Questione centrale emersa con forza in questa epoca di crisi è la difficoltà delle aziende artigiane ad aprirsi a nuovi mercati, soprattutto internazionali. “Credo che sia fondamentalmente una questione culturale – sottolinea Zannino -. Il nostro principale cliente è europeo, ma si tratta di una filiale di una multinazionale di cui fanno parte inglesi, spagnoli e tedeschi e la casa madre è giapponese. Un elemento che ha sostenuto la nostra crescita è stata la presenza in Moldavia. Con questo cambiamento ci siamo trovati a gestire una nuova complessità di relazioni. La vera sfida non è nel processo, ma nelle modalità di approccio. Non è come piazzare sui mercati esteri un prodotto che un qualche distributore può riuscire a fare, questa non è internazionalizzazione, semplicemente l'artigiano ha trovato qualcuno che gli vende le sue produzioni e dove e come le vende a lui non importa. Entrare in relazione con nuovi mercati vuol dire entrare in una serie di dinamiche diverse e particolari - che banalmente sono anche di lingua e qui, sia detto per inciso, noi abbiamo un ritardo pazzesco - che sappiano tenere conto del modo di rapportarsi e delle culture industriali che caratterizzano le imprese nei diversi paesi”.
Un ambito, questo, nel quale le associazioni artigiane potrebbero giocare un ruolo significativo: “Tutte le questioni dimensioni, credito, soldi sono importanti però, in molti casi, rischiano di essere un falso problema, perché non sono queste le questioni determinanti, il problema vero è ‘aiutami a capire il mercato, il paese, i miei interlocutori, a come muovermi, a come rendere flessibile la mia offerta, sia in termini di servizio che di prodotti’.
In questo secondo me c'è un ruolo che le associazioni artigiane dovrebbero coprire. Potrebbe essere questo il senso attuale del perché delle imprese si associano. Mentre in molti casi, quando si parla di internazionalizzazione, il supporto che danno le associazioni oppure le Camere di commercio sono un po' di soldi per partecipare alle fiere e garantire un po' di biglietti, che servono per acquisire magari qualche ordine, ma non danno nessuna intelligenza per conoscere quel mercato.
Rispetto alla dimensione, pensare di snaturare il tessuto delle nostre imprese medio piccole credo che non sia la strada giusta. Questo è il nostro modello, la grande impresa non c'è quasi più. Spesso si incrociano multinazionali che hanno un numero di dipendenti estremamente ridotto. Secondo me dovremmo reinventarci un modello molecolare, dove le imprese sono piccole, ma sono in rete tra di loro, con delle teste che le possano aiutare. È una grossa sfida, ma questo potrebbe essere il ruolo delle associazioni”.