Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Non serve stare sui tetti. Il sindacato della contrattazione e della responsabilità”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2014
Artigianato
web 2.0
Vi rivolgereste mai ad un’azienda che si chiama Kaos?
Ve l’immaginate un’impresa artigiana che porta questo nome? Che tipo di
manufatti può mai produrre? E se per giunta scopriste che si tratta di
un’attività di sole donne, dirette da una donna?
Ovviamente questo laboratorio artigiano esiste, si
trova qualche gradino in basso rispetto alla Ripa di Porta Ticinese, uno dei
luoghi più suggestivi di Milano, lungo l’Alzaia Naviglio Grande. Una piccola
società che saputo risollevarsi dai colpi subiti dalla crisi attraverso un
processo di cambiamento interno e un percorso di internazionalizzazione. Quando
hanno iniziato a lavorare con il nuovo interlocutore giapponese questi si è
presentato dicendo così: “Italiani, tutte donne, che si chiamano Kaos, no non
esiste”. Per avere il via libera hanno dovuto inventarsi un nome apposito e un
nuovo logo. Ora che la collaborazione è consolidata tutti le chiamano Kaos.
L’azienda opera nel campo della consulenza negli
ambiti marketing, strategia e comunicazione, applica il contratto del
commercio, fa parte della categoria del Terziario avanzato, ma spesso nelle
classificazioni ufficiali finisce nella casella “altro”. La guida Anna Zannino,
che l’ha creata nel 2001.
“Siamo un'azienda artigiana all'epoca del web 2.0. Di
piccole dimensioni, anche se nell'ultimo anno e mezzo abbiamo subito una
crescita notevole di personale e abbiamo anche sviluppato un processo di
internazionalizzazione, però siamo in tutto un'azienda artigiana non solo per
le dimensioni e per il tipo di pratiche burocratiche e amministrative che
dobbiamo affrontare, ma io mi riconosco artigiana nell'approccio al lavoro e
questo è il senso della mia appartenenza a Cna. È artigiano il nostro modo di
rapportarsi ai clienti, è artigiano - cioè fatto su misura - il nostro metodo
di lavoro. Noi non produciamo oggetti materiali però le soluzioni che
proponiamo sono sempre pensate per il singolo cliente, partendo da un'analisi
dei bisogni per capire che cosa gli serve, poi lo facciamo. E ogni volta è una risposta
diversa. In questo siamo molto artigiani, anche a discapito delle economie di
scala. Non mi piacciono i lavori in serie, anche dove possibile preferisco
reinventarmi da capo, metterci qualcosa di esclusivo, di personale e quindi di
realmente artigiano in quella che è l'accezione più vera di questo lavoro, cioè
la creatività e la capacità di adattamento. Quello che è stato vincente per noi
in questo ultimo anno è il sapere cambiare pelle, il sapersi adattare alle
diverse situazioni, ovviamente sempre partendo da quello che sai fare”.
Laureata in Economia e commercio con un master in
Marketing e pianificazione strategica, la sua esperienza di lavoro si forma in
una grande azienda, il gruppo Ansaldo, dal 1981 al 1988, poi il cambio a 180
gradi e la scoperta del mondo della micro dimensione e del fare in proprio,
fino a quando nel 2001 fonda Kaos. In qualche modo, fin dall'inizio, il modello
mentale e organizzativo è quello della grande azienda, cioè delle divisioni che
si occupano di singoli aspetti e lei prova, con le sue scarse risorse
economiche, a costruire un gruppo che sia fatto di aree di responsabilità, di
business, di sviluppo. Il problema era che, date le piccole dimensioni, un'area
in molti casi consisteva di una sola persona, però il tentativo è stato questo,
ha fatto crescere molto le persone e si è presa anche qualche rischio, perché
all'inizio erano quasi tutte ragazze neolaureate appena uscite dall'università.
Per lei pensare in grande pur essendo piccoli non è uno slogan.
“L'azienda si chiama Kaos perché sono veramente
convinta che dal punto di vista mentale questa è la posizione più onesta
intellettualmente in questo momento di complessità, di necessità di interazione
- spiega l’insolita scelta Anna Zannino -, nelle nostre parole guida c'è
scritto che non ci piacciono gli approcci consulenziali. Pensiamo che questo
non possa essere l'abito mentale nel quale viviamo. L'unica certezza, dal mio
punto di vista, è la certezza del cambiamento. Siamo in divenire. Infatti il
nostro pay-off è ‘Kaos, strategie di cambiamento’. Noi diciamo ai nostri
clienti ‘chiamateci se volete cambiare qualcosa, se invece intendete andare
avanti nello status quo, probabilmente noi non abbiamo niente da dirvi’. Il
nome Kaos bisogna saperlo portare. Poi nella sua scelta c'è anche un obiettivo
di comunicazione, perché la prima domanda che un cliente si pone è proprio
questa: perché questa società si chiama Kaos? E io in termini di comunicazione
ho già ottenuto un buon risultato”.
All'esplodere della crisi l’azienda ha sentito
immediatamente le sue conseguenze. Kaos non ha mai avuto molti clienti, ha una
fortissima fidelizzazione e non ne ha mai persi, puntando ad allargare di volta
in volta la gamma dei servizi offerti e adattandosi con flessibilità alle loro
esigenze. Inoltre, non ha mai fatto una intensa attività commerciale per
promuoversi e i clienti si sono sempre sviluppati per passa parola, per
fiducia, per cui fino al 2008 “ci siamo un po' sedute – spiega Zannino - nel
senso che i clienti bastavano, siamo piccoli, crescere più di tanto fa paura”.
In quel momento i clienti erano suddivisi equamente
tra privati, soprattutto grosse aziende, e aziende pubbliche come consorzi,
enti di formazione, la Regione all'interno di progetti, anche tramite Cna, con
finanziamenti pubblici. “Tutto questo mondo da un momento all'altro si è
fermato, per noi sono stati momenti drammatici. I clienti ci dicevano ‘ci
piacerebbe ma non possiamo, non abbiamo risorse, non abbiamo fondi’. Siamo
stati fortunati perché siamo riusciti ad uscirne non con le ossa rotte dal
punto di vista finanziario. Tra l'altro con questi clienti avevamo anche grossi
esborsi sotto forma di anticipazione di cassa, perché i tempi di pagamento
della pubblica amministrazione erano lunghissimi però arrivavano, per cui ci
sentivamo sicuri, ma ad un certo punto questo mondo si è chiuso”.
I clienti della società sono rimasti solo quelli
privati e molti di questi erano multinazionali dove anche lì, un attimo dopo,
sono arrivati i morsi della crisi che si sono fatti sentire con tagli alla
comunicazione, al marketing e con la centralizzazione dei servizi al loro
interno. “Ci siamo resi conto in quel momento
- sottolinea la titolare - come l'Italia fosse diventata sempre più
periferia, il Nord dell'Africa per le multinazionali che hanno sede ad esempio
in Giappone. Lo abbiamo visto direttamente”.
La formula per affrontare le difficoltà e uscire
dalla situazione generata dalla crisi è stata provare a internazionalizzarsi.
Le imprese, per centralizzare i servizi, si muovono in una dimensione
internazionale, per cui hanno provato a dare una risposta a quel livello. Rispetto
alle commesse italiane si sono ritarati su una comunicazione web one to one,
che significa lavorare per trovare clienti per le imprese contattandole
personalmente una per una, che rispetto alla pubblicità tradizionale è meno
costosa, ma anche meno di impatto, pertanto richiede una un'attività
continuativa. Praticamente hanno detto ai clienti che avrebbero fatto il loro
ufficio marketing in outsourcing. “Questo ha voluto dire cambiare modalità di
lavoro – prosegue Anna Zannino -, ci siamo rimboccate le maniche, abbiamo
cambiato un po' pelle e aggiornato le competenze, senza sostituire il
personale, ma con l'ingresso di persone nuove, con skill più legati al discorso
social media e al contatto telefonico. Il lavoro di back office, quello del
giorno per giorno, è affidato a sei giovani moldavi che parlano correttamente
italiano, spagnolo e inglese a costi che sono meno della metà dei nostri.
Questo per me è stata una bella intuizione che ci ha permesso di uscire dalle
nostre difficoltà”.
Oggi non sono più così piccoli perché proprio nel
corso del 2013 hanno attivato una partnership a, in Moldavia, dove ci sono le
sei persone che lavorano per Kaos. Se Zannino dovesse disegnare l'organigramma
della sua azienda, c’è certamente lei al centro, ma intorno a lei ci sono tutta
una serie di satelliti, di interlocutori. Essendo un'azienda al femminile dove
nascono molti bimbi - perché le ragazze sono partite molto giovani, ma ormai
sono cresciute e sono diventate mamme -, i ruoli sono necessariamente
abbastanza fluidi, perché ci sono dei periodi di assenza per maternità nei
quali si debbono riaggiustare le responsabilità, però pare ci riescano
abbastanza bene.
Con un organigramma siffatto è importante il tema
della conciliazione lavoro, famiglia, vita. E’ soprattutto una questione di
tempo e, scontata la disponibilità, date le ridotte dimensioni, è importante
trovare i giusti equilibri. Le dipendenti sono sette a tempo indeterminato e
tre assunte con un progetto di collaborazione coordinata e continuativa, sono
attivi due part-time compensati dalla
flessibilità, da una certa intercambiabilità nei ruoli e da una
informatizzazione casalinga. Quasi tutto il personale è dotato di una postazione
Internet da casa e alla bisogna è in grado di tamponare il necessario. Le
impiegate si gestiscono in modo totalmente autonomo il piano ferie e i
permessi, di modo che le attività sono sempre assicurate e la titolare,
normalmente, è l'ultima a conoscerlo.
Anna Zannino ha avuto diversi ruoli nell'ambito del
mondo artigiano e attualmente è componente della presidenza di Cna Milano.
Considera la bilateralità un tema importante ed è convinta che su di essa le
associazioni dovrebbero investire di più in termini di comunicazione e di
opportunità, perché tuttora la conoscenza tra gli imprenditori artigiani è
decisamente scarsa. “In quanto imprenditrice – precisa - di fatto non ne so
niente, pago la mia quota ma non avendo un'informazione puntuale non riesco ad
utilizzare le opportunità che questa offre. Probabilmente è anche una questione
di cultura, di attenzione a questi temi che nelle piccole aziende non c'è o è
scarsa. Nell'ambito dell'associazione artigiana abbiamo discusso su come
valorizzare al meglio le opportunità che vengono offerte”.
Questione centrale emersa con forza in questa epoca
di crisi è la difficoltà delle aziende artigiane ad aprirsi a nuovi mercati,
soprattutto internazionali. “Credo che sia fondamentalmente una questione
culturale – sottolinea Zannino -. Il nostro principale cliente è europeo, ma si
tratta di una filiale di una multinazionale di cui fanno parte inglesi,
spagnoli e tedeschi e la casa madre è giapponese. Un elemento che ha sostenuto
la nostra crescita è stata la presenza in Moldavia. Con questo cambiamento ci
siamo trovati a gestire una nuova complessità di relazioni. La vera sfida non è
nel processo, ma nelle modalità di approccio. Non è come piazzare sui mercati
esteri un prodotto che un qualche distributore può riuscire a fare, questa non
è internazionalizzazione, semplicemente l'artigiano ha trovato qualcuno che gli
vende le sue produzioni e dove e come le vende a lui non importa. Entrare in
relazione con nuovi mercati vuol dire entrare in una serie di dinamiche diverse
e particolari - che banalmente sono anche di lingua e qui, sia detto per
inciso, noi abbiamo un ritardo pazzesco - che sappiano tenere conto del modo di
rapportarsi e delle culture industriali che caratterizzano le imprese nei
diversi paesi”.
Un ambito, questo, nel quale le associazioni
artigiane potrebbero giocare un ruolo significativo: “Tutte le questioni
dimensioni, credito, soldi sono importanti però, in molti casi, rischiano di
essere un falso problema, perché non sono queste le questioni determinanti, il
problema vero è ‘aiutami a capire il mercato, il paese, i miei interlocutori, a
come muovermi, a come rendere flessibile la mia offerta, sia in termini di
servizio che di prodotti’.
In questo secondo me c'è un ruolo che le associazioni
artigiane dovrebbero coprire. Potrebbe essere questo il senso attuale del
perché delle imprese si associano. Mentre in molti casi, quando si parla di
internazionalizzazione, il supporto che danno le associazioni oppure le Camere
di commercio sono un po' di soldi per partecipare alle fiere e garantire un po'
di biglietti, che servono per acquisire magari qualche ordine, ma non danno
nessuna intelligenza per conoscere quel mercato.
Rispetto alla dimensione, pensare di snaturare il
tessuto delle nostre imprese medio piccole credo che non sia la strada giusta. Questo
è il nostro modello, la grande impresa non c'è quasi più. Spesso si incrociano
multinazionali che hanno un numero di dipendenti estremamente ridotto. Secondo
me dovremmo reinventarci un modello molecolare, dove le imprese sono piccole,
ma sono in rete tra di loro, con delle teste che le possano aiutare. È una
grossa sfida, ma questo potrebbe essere il ruolo delle associazioni”.