venerdì 26 giugno 2020

SAVINO PEZZOTTA 2 - Cisl - Bergamo, Lombardia, nazionale

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto”, di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, Jaca Book, Milano, 2019

Nato a Bergamo il 25 dicembre 1943, ha sempre vissuto a Scanzorosciate. Un cammino dentro la Cisl, da delegato in una grande azienda tessile a segretario generale nazionale del sindacato.

Mia madre era sicuramente credente ma in un modo laico, distaccato. Mio padre non lo so, andava a messa ma allora ci andavano tutti. Ho frequentato un po' l'oratorio ma non molto, ho frequentato maggiormente i preti del mio paese che erano eccezionali tra cui monsignor Giovanni Merisio, il quale prendeva noi ragazzini e ci insegnava un mare di cose.
Mia madre era operaia tessile e mio padre un muratore per cui la dimensione del lavoro era dentro la nostra vita quotidiana. Io ho iniziato a lavorare a dodici anni in una piccola officina del paese e poi sono entrato in una grande fabbrica, la Reggiani, con 1.500 persone. 

L'idea di impegnarmi nel mondo del lavoro in me nasce per reazione. Alla Reggiani vigeva un regime opprimente per autoritarismo e paternalismo, non esisteva il diritto di parlare. Aderenti al sindacato eravamo una quindicina. Io ho scelto di darmi da fare nel sindacato quando, dopo lo sciopero per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro nel 1962, la direzione fece la serrata. Di fronte a questo comportamento che ho percepito come una violenza, come un sopruso ho pensato che dovevo fare qualcosa e mi sono iscritto alla Cisl. La Cisl perché il mio mondo portava lì, frequentavo la parrocchia, mi sono iscritto alla Democrazia cristiana che avevo 14 anni, il mio ambiente era quello ed era naturale che io arrivassi alla Cisl. Anche se ci sono arrivato tardi, perché avevo vent'anni.
Il lavoro era parte della mia vita, della mia famiglia per cui lavorare e impegnarmi era la stessa cosa, non c'era una separazione così come non c'è mai stata tra la mia vita e il mio impegno sindacale e anche l'aspetto religioso per me era la mia vita. In quegli anni partecipavo a incontri di formazione sindacale anche se le occasioni non erano molte ed erano soprattutto di carattere tecnico informativo, mentre i contenuti e i valori li recuperavo da altre parti, in particolare dalla politica, dalle riflessioni religiose, difficilmente dal sindacato. Partecipavo agli incontri, però soprattutto preferivo leggere e scrivere per conto mio. Facevo il topo di biblioteca. Ho letto quasi tutti i libri degli scrittori cristiani come Bernanos, Péguy, Teilhard de Chardin, Simone Weil perché in essi trovavo i miei punti di riferimento, sempre per mia scelta non per suggerimento di qualcuno. Quando lessi La condizione operaia di Simone Weil mi si aprì un modo di pensare. Leggevo i quotidiani, che non era usuale nel nostro mondo. Compravo Il giorno, poi per reagire al mio capo reparto che mi diceva che non capivo niente e che per fare bene il sindacalista in fabbrica avrei dovuto leggere Il Sole 24 Ore ho cominciato a comperarlo e a leggere anche libri di economia. Ho letto Marx, non ero comunista ma ero affascinato dal comunismo e infatti seguivo Franco Rodano, seguivo i cattolici comunisti. Nella Democrazia cristiana frequentavo la corrente di Donat Cattin dove incontravo gente della sinistra cattolica.
Conservo gli opuscoletti della dottrina sociale della Chiesa e i testi delle encicliche, come la Rerum novarum e la Pacem in terris, li studiavamo in parrocchia ma non erano gli elementi motivanti, era una conoscenza, un sapere, non un sostegno alla militanza. Il sostegno alla militanza veniva dalla vita. Occorre tenere presente che da noi ha avuto una grande influenza il pontificato di Giovanni XXIII.
Sul luogo di lavoro il mio essere un credente riconosciuto non mi ha mai creato dei problemi anche perché a eventuali critiche io sapevo reagire duramente e poi dimostravo nei fatti che non ero un conservatore.
Non ho mai sentito il bisogno di portare i temi del lavoro dentro la mia comunità perché erano già connaturati in essa. Se io andavo a messa la domenica mattina e poi mi fermavo sul sagrato della Chiesa, come era uso, oppure al bar si parlava del lavoro. Il lavoro era parte del mio essere, della vita della mia comunità.
Nel ‘67, ‘68 sono arrivato alle Acli, ma ero già una persona adulta con un percorso formativo ormai completato. È stata una piccola ma bella esperienza. Alla Reggiani abbiamo costituito il nucleo aziendale e tutti i sabati pomeriggio i responsabili dei diversi gruppi di fabbrica si trovavano alle Acli provinciali e lì ho imparato molto, però soprattutto di come fare sindacato. Nelle Acli si faceva formazione, c'erano i campi scuola estivi e anche lì però, siccome le Acli erano fatte sostanzialmente di lavoratori industriali, l’argomento centrale era sempre l'azione sindacale in fabbrica anche se ovviamente non mancavano riflessioni di tema religioso. Era una formazione para sindacale e per altri aspetti para politica.
Un sindacato deve esprimere i suoi valori fondanti e quello che pensa la sua gente. Se la grande maggioranza degli iscritti alla Cisl è cattolica come puoi pensare che la Cisl sia agnostica? Poi è laica nel senso che non fa discendere le sue scelte dalle scelte religiose, ma comunque se i suoi iscritti, ed è così, sono di orientamento cattolico tu non puoi essere diverso. È naturale, perché nel dibattito questa dimensione emerge, perché l’iscritto nel suo dire, nel suo interpretare il mondo usa quel criterio. Credo che sia stata una bella combinazione la nascita della Cisl espressione di una laicità che non rinnegava l'elemento della religione come invece sostenevano i laicisti che alla fine hanno creato danni e possono crearne anche adesso, perché la religione è una parte costitutiva degli uomini. Posso non essere io religioso, ma se la mia comunità, la mia nazione ha questi fondamenti non li posso ignorare, anzi li devo approfondire.
Durante la mia segreteria avevamo dei buoni rapporti con le istituzioni ecclesiastiche anche di alto livello, ma io non ho mai subito una pressione per fare una cosa invece di un'altra. Certo la Chiesa faceva sentire la sua voce, ma era la sua libertà. Ad esempio, sul lavoro domenicale ricordo gli interventi contrari di monsignor Tonini, ma noi abbiamo fatto le nostre scelte e non ci siamo tirati indietro. Mentre tenevamo conto delle loro ragioni che ci aiutavano anche a dipanare un po' quello che succedeva, sapevamo che dovevamo tenere conto della realtà. La realtà viene prima di ogni altra cosa, anche quando non mi piace.
Ma quale realtà? La Cisl non è mai stata un sindacato di classe, un sindacato ideologico, ma ha sempre avuto come perno della sua riflessione la dimensione dell'uomo e pertanto, nel caso dei lavoratori, il loro sfruttamento. C'è nella visione cislina questa dimensione antropologica che l'aiuta a capire che cos'è il reale; il reale è la dimensione umana e come essa si declina. La sua centralità non è la classe ma l'uomo e la sua libertà. L'afflato democratico della Cisl nasce da questo, se l'uomo è sfruttato non è libero, se l'uomo è oppresso dal sistema economico non è libero. Allora bisogna liberarlo, per cui vado contro il sistema economico. E’ questa visione dell'umano come centrale che ha aiutato la Cisl a cogliere la realtà.
L'unico tentativo serio di ristabilire una relazione fra le varie associazioni cristiane è stato quello di Retinopera alla quale la Cisl partecipava ma non era tra i fondatori. Il convegno di Todi del 2011 invece rispondeva alle aspirazioni di qualcuno e infatti è fallito, era strumentale, ma era tipico di Raffaele Bonanni. Io allora non ero più in Cisl e parlai con qualche esponente della Cei e dissi che Todi era un errore.
L'area di riferimento politico della Cisl è sempre stata il riformismo sociale, non comunista ma non anticomunista, non democristiana conservatrice, ma portatrice di un laburismo nuovo. La Cisl è l'incarnazione di questo laburismo. Per il sindacato è importante salvaguardare un'area di riformismo politico, non per quell'area ma per sé, per il suo agire, per la sua libertà. L'autonomia non è neutralità ma scelta.
Oggi nella struttura gerarchica della Chiesa c'è attenzione al mondo del lavoro, il problema è che il messaggio rimane a un certo livello. Alla settimana sociale di Cagliari si sono dette cose molto interessanti, si sono fatte anche analisi nuove rispetto alla situazione però rischiano di rimanere strumenti per addetti. Qualche ragionamento nelle pastorali sociali, ma nell'incarnazione della realtà ecclesiale non si trova. Non ho mai sentito un prete che nella sua omelia parlasse di quello che è uscito a Cagliari. C'è una dicotomia tra un'impostazione che è buona e ciò che arriva tra la gente. Anche se a volte c'è qualche prete che sembra volersi sostituire ai sindacalisti, nella pastorale ordinaria di lavoro si parla poco. Se tutti i preti la domenica parlassero di quello che è stato detto a Cagliari avremmo la trasmissione di un messaggio fortissimo.
La società è cambiata radicalmente, è cambiata in profondità. Quand'ero giovane il lavoro era la fabbrica, l'industria, oggi non so cosa sia il lavoro. Senza unità sindacale oggi si è destinati a morire. Inoltre è avvenuta una rottura antropologica nella nostra società. Quelli che noi continuiamo a predicare come valori sono diventati elementi estranei, non più incarnati nella gente e io credo che sia difficile per la Chiesa far arrivare il proprio insegnamento. L'individualismo diffuso nella società si è trasferito anche all'aspetto religioso. Servirebbe anche cambiare la formazione del clero che rischia di ritrovarsi chiuso dentro una sorta di oligarchia autoreferenziale, anche se non mancano ovviamente esempi differenti.