Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016
Sono
nato a Cremona il 18 novembre 1934. Ho frequentato la scuola fino alla terza
media e dopo un po' di tempo ho iniziato a lavorare in fabbrica. La mia era una
famiglia contadina che poi si è trasformata in operaia, perché mio padre a un
certo punto si è trasferito a Cremona andando a lavorare in un'azienda di
cornici. Era una famiglia molto religiosa. Io sono il tredicesimo e ultimo dei
figli, sei maschi e sette femmine. Sono praticamente cresciuto in oratorio con
il parroco, don Amigoni, che mi ha formato in tutti i sensi.
Ho iniziato a
lavorare a quindici anni e mezzo alla Cavalli e Poli dove lavorava mio padre
che si è attivato per farmi assumere. In quel momento era l'azienda più grande di
Cremona e occupava oltre cinquecento addetti e gran parte della produzione
veniva esportata all'estero. Il mio primo lavoro era quello di pulire con una
sorta di spugna le aste in legno che poi venivano dorate da operai
specializzati. Ho fatto quel lavoro fino al 1955, ‘56 quando sono stato
chiamato dalla Cisl a uscire dalla fabbrica per gestire il movimento giovanile
del sindacato.
Mio
padre era un vecchio socialista, iscritto alla Cgil. Durante il fascismo ha
subito delle violenze pesantissime quando abitava a Casalbutano. Nel 1929, una
domenica mattina, gli hanno somministrato l'olio di ricino perché era
conosciuto e impegnato a favore dei contadini. E’ stato una vicenda bruttissima
che lo ha costretto a trasferirsi a Cremona perché lì non riusciva più a
lavorare. Gli agrari di Cremona erano tutti legati a Farinacci ed erano dei
reazionari spaventosi. Quando sono entrato in fabbrica avevo già una coscienza
sociale perché ascoltavo mio padre discutere con mia madre che lo contestava
dicendogli di lasciar perdere la politica perché lei aveva il problema di far
crescere i figli. La mattina in cui all'osteria “La granda” gli avevano fatto
bere l'olio di ricino e l'avevano picchiato, quando è tornato a casa mia madre
gli ha detto che era un disgraziato, che voleva far morire i suoi figli per le
proprie idee. Lui per reazione l’ha spinta nel naviglio e quasi annegava, ma lui
non si è tuffato per andare a prenderla e per salvarla ha dovuto tuffarsi un
vicino.
In
fabbrica ho conosciuto due rappresentanti della Cisl, Aldo Nolli e Triacchini,
che erano democristiani ancor prima che cislini, ma due persone integerrime. La
mia scelta per la Cisl era dettata in particolare dalla formazione che avevo
avuto in oratorio e dalla spinta del sacerdote che mi aveva guidato, per la
difesa dei valori del cristianesimo e contro il pericolo comunista. Mio padre aveva
avuto degli scontri di tipo ideologico in fabbrica con i suoi compagni
comunisti e non ha fatto obiezioni e, anzi, qualche tempo dopo anche lui si è iscritto
alla Cisl. Il mio primo impegno era quello di cercare di fare nuovi iscritti e
io avvicinavo i più giovani e le donne, cercando di convincerli che noi, pur
difendendo l'interesse dei lavoratori, avevamo come obiettivo centrale la
difesa della dignità della persona, la possibilità di sentirsi persone rispettate
e non essere succubi dell'azienda. Un’azione che ha avuto successo, perché nel
giro di qualche anno nelle elezioni delle commissioni interne abbiamo conquistato
la maggioranza, con grande rabbia dei comunisti.
Lasciata
la fabbrica il mio primo compito fu quello di stabilire un rapporto con le realtà
industriali per costruire il gruppo dei giovani. Ho iniziato organizzando
iniziative culturali e ricreative, le prime gite sul Po, che sembrava di andare
chissà dove, eppure c'erano tanti ragazzi e anche ragazze che partecipavano. Si
cercava di aggregare e di far nascere nelle fabbriche il gruppo che poi doveva
attivarsi per l'attività sindacale. Durante questo periodo ho frequentato il
corso lungo alla scuola Cisl di Firenze. Ho svolto questa attività fino al 1960,
fino a quando Mirco Rizzini, che allora era il segretario generale della Cisl
di Cremona, mi mandò a fare il segretario di zona a Casalmaggiore. Ha caricato una
branda sull'unica macchina della Cisl e mi ha portato a Casalmaggiore dicendomi
che avrei dovuto mettere la branda in ufficio, che dovevo aprire la sera e
chiudere al mattino. Sono rimasto lì per quattro anni fino al 1964. Dopo di che
mi hanno spostato a fare il segretario di zona a Soresina.
La
zona di Casalmaggiore era una realtà agricola, non c'erano insediamenti
industriali significativi e gli agrari erano ancora reazionari. L'11 novembre,
quando si facevano i conti per la chiusura dell'annata, dovevo fare tantissime
vertenze, perché allora i salariati durante l'anno prendevano degli acconti ogni
quindici o trenta giorni, che segnavano su un libretto, anche per i generi in
natura. Quando a fine stagione si presentavano al datore di lavoro spesso erano
liti e si dovevano fare le vertenze, ma fare vertenza voleva dire che l'anno
successivo il bracciante non avrebbe lavorato in quell'azienda e quindi doveva
salire su un carro con un po' di masserizie, la moglie e i figli e andarsene da
un'altra parte. Era il San Martino dei contadini.
Non
avevo l'automobile e la Cisl mi ha dato un Guzzino. Andavo via da casa il
lunedì mattina presto e tornavo la domenica pomeriggio, perché la domenica
mattina si faceva il recapito a Rivarolo del re. Era un territorio molto vasto
che distava ben 40 km da Cremona.
A
Soresina c'era una cultura più industriale e gli agrari, che erano normalmente
grandi proprietari terrieri, erano meno duri, meno reazionari, anche perché i
contadini potevano trovare lavoro nelle fabbriche. A Soresina, infatti, oltre
alla Latteria c'erano anche aziende metalmeccaniche come la Zini e la Ponzini e
a Soresina nasceva la nostra politica contrattuale e abbiamo potuto sviluppare
le nostre proposte attraverso le piattaforme aziendali. Lì ci sono rimasto per
otto anni, fino agli anni Settanta, dopo di che sono stato chiamato a fare il
segretario generale della Fulpia, la categoria degli alimentaristi. Dal 1985 al
1988 ho fatto parte della segreteria della Ust insieme a Secondo Piazza e
Cominacini, poi nel 1988 sono passato a gestire il Consorzio casa che abbiamo
costruito come Cisl, sono diventato presidente del consorzio Giulio Pastore e
siamo riusciti a realizzare molte abitazioni per i lavoratori.
Ulteriore
fase del mio impegno è stata la segreteria dei pensionati di Cremona a partire
dal 1994, poi nel Duemila sono passato alla segreteria regionale della Fnp dove
sono rimasto fino al 2005 e dal 2005 al 2013 ho fatto il consigliere dell'Inps
a Cremona.
L'aspetto
prioritario nella contrattazione degli anni Sessanta era il salario, perché i
salari erano bassi, si cominciava allora a fare i primi contratti integrativi,
anche se noi puntavamo molto sulla dignità del lavoratore, sul diritto al
lavoro, sul fatto di essere riconosciuti come persone rispettate, perché le
tutele erano decisamente limitate.
Sul
finire degli anni Sessanta c'è stata una crescita della partecipazione dei
lavoratori, anche perché contemporaneamente c'è stata una crescita dal punto di
vista culturale e gli operai avevano acquisito il concetto dell'autotutela, cioè
dello stare insieme nel sindacato. Quando si costruivano le piattaforme si
vedeva la partecipazione, non c'era niente da inventare, erano i lavoratori che
mi dicevano su quali temi dovevamo orientarci, questo anche grazie al
cambiamento che stava avvenendo fuori dalla fabbrica nella società. Gli
scioperi e le manifestazioni sui temi più generali come la casa, le pensioni,
le riforme hanno sempre visto una buona partecipazione anche se questi temi
erano meno sentiti rispetto a quelli aziendali e ai contratti nazionali di
lavoro. Si andava in piazza con entusiasmo per cercare di coinvolgere sempre
più gente possibile.
Il
passaggio dalle commissioni interne ai consigli dei delegati è stato un momento
un po' particolare perché inizialmente non era molto condiviso dalla nostra
base, perché in commissione interna si ritenevano rispettati dato che
rappresentavano l'organizzazione in modo esplicito. Nel consiglio invece la
rappresentanza dell'organizzazione si diluiva. Io dicevo loro che avrebbero
dovuto affermarsi dentro il consiglio perché l'unità era la forza
dell'iniziativa sindacale e si dovevano far emergere le nostre proposte. Più
avanti nel tempo l'atteggiamento è cambiato e nelle elezioni i delegati della
Cisl c'erano e in alcune realtà, con la rabbia della Cgil, siamo andati in
maggioranza.
Alle
assemblee introdotte con lo Statuto dei lavoratori c'era un'ottima
partecipazione anche se inizialmente quasi nessuno interveniva perché tutti avevano
o vergogna o paura. Non sono mai stato emozionato o preoccupato per parlare in
pubblico anche se qualche volta subivo qualche contestazione e incitavo i
lavoratori a intervenire. C'è stata una crescita talmente veloce che ha fatto
superare questo primo momento di incertezza, di dubbi e la gente ha imparato a
esprimersi, a dire la propria opinione. C'era anche chi era più orientato verso
la parte padronale perché influenzato dal capo reparto o da altri.
L'unica
volta che ho avuto una contestazione è stata alla Sorini di Castelleone che
aveva quattrocento dipendenti, ad opera di un gruppo politico locale,
rappresentato da Giancarlo Corada e da un nipote dei Sorini proprietari
dell'azienda, durante uno sciopero per il rinnovo del contratto aziendale. Io
stavo parlando al megafono per spiegare ai lavoratori le ragioni dello sciopero
e la posizione dell'azienda quando è arrivato questo gruppo di facinorosi a
dire che stavo dicendo delle cose stupide, perché noi non dovevamo rivendicare
il miglioramento del premio di produzione ma la gestione della fabbrica.
Nel
territorio non c’era una presenza significativa di gruppi politici
extraparlamentari. A Cremona non si sono mai registrati fenomeni di terrorismo
brigatista.
Di
fronte alla grande crescita del movimento dei lavoratori e dell'organizzazione
sindacale gli imprenditori del settore alimentare hanno mostrato disponibilità
al confronto perché non abbiamo mai anteposto, soprattutto io ma anche i
colleghi della Cgil, la lotta rispetto al merito delle questioni e ai risultati
finali delle vertenze. Anche l'associazione industriali ha sempre avuto
rispetto nei nostri confronti perché la nostra era una posizione di
disponibilità a ragionare. Ricordo Pietro Negroni, diventato presidente
dell'associazione imprenditoriale nazionale, che a volte mi telefonava anche
separatamente e una volta venne a casa mia insieme a Eraldo Crea per stendere
una bozza dell'accordo per il rinnovo del contratto nazionale della categoria.
Probabilmente, proprio per questa disponibilità al confronto, il nostro ragionamento,
salvo qualche eccezione, non ha mai trovato un'ostilità preconcetta.
Ero
favorevole all'unità sindacale, lo sono sempre stato anche se chiedevo alcuni
chiarimenti al nostro interno per capire che cosa significava l'unità del
movimento. Ero favorevole soprattutto per un principio: senza l'unità non si va
da nessuna parte. Io ragionavo così: se abbiamo fatto un accordo insieme che
consideriamo positivo è perché la pensiamo allo stesso modo, che cosa ci
impedisce di fare l'unità se la pensiamo allo stesso modo? Però poi le logiche
erano di altra natura, allora la Cgil veniva frenata dall'esterno dal Partito
comunista, magari bisognava scioperare per ragioni politiche mentre noi
dicevamo che si sciopera con motivazioni precise nell'interesse di chi
rappresentiamo, cioè dei lavoratori. I rapporti con i colleghi sindacalisti
della Cgil erano improntati su un piano di amicizia e questo mi ha aiutato,
perché lo scontro ideologico non c'è mai stato. Io il percorso unitario l'ho
fatto, anche con una certa soddisfazione sul piano personale, perché a Cremona
ha dato dei risultati sia con il superamento delle commissioni interne, seppure
con la dovuta gradualità, sia con la contrattazione. Oggi la divisione
sindacale non porta ad alcun risultato a difesa dei lavoratori.
La
fine del progetto di costruzione dell'unità organica e il passaggio alla
federazione l'ho vissuta un po' come una sconfitta perché pensavo che il
processo arrivasse a una conclusione definitiva per l'unità. Non mi sono mai
illuso, però pensavo che politicamente le condizioni maturassero, che la Cgil
diventasse sempre più autonoma dal Partito comunista dal punto di vista
culturale e politico e quindi capisse meglio che l'unità sindacale era utile
per l'intero movimento dei lavoratori. Invece, purtroppo, quando sembrava che
si potesse arrivare alle conclusioni c'è stato il no del Pci e tutto si è
fermato.
Ero
favorevolissimo all'incompatibilità, chi faceva la scelta sindacale doveva fare
solo quello, questa è sempre stata la mia convinzione. Sindacato e forze politiche
avevano ruoli diversi che dovevano rimanere separati. Quando c'erano delle
vertenze chiedevo al segretario della Dc di Cremona di ascoltare i nostri
problemi, perché si facessero carico anche loro delle situazioni difficili, ma
nella reciproca autonomia. Sono sempre stato iscritto alla Democrazia cristiana
e prima di impegnarmi nel sindacato sono stato un attivista della Dc, ma ho
sempre cercato di mantenere un atteggiamento autonomo e distinto dalla
politica. In casa Cisl su questo tema a Cremona non ci sono state grandi
discussioni e anche la stessa Fisba non era su posizioni contrarie così
radicali.
Quando
in occasione del congresso del 1973 si contrapposero le tesi di Scalia e Storti
io ero un po' titubante, mi sembrava che le tesi di Scalia mi convincessero
maggiormente, poi però, riflettendo bene, ho capito che non erano posizioni che
potevo condividere per cui alla fine mi sono schierato con Storti e Carniti. I
miei dubbi nascevano al fatto che mi sembrava che la proposta carnitiana mi
portasse ideologicamente fuori dalla mia cultura, che mi portasse a sinistra.
Sbagliavo.
Non
ho mai condiviso la cultura dell'egualitarismo perché ho sempre considerato la
diversità dei valori. Le nostre richieste nelle vertenze sindacali però erano
sempre di aumenti uguali per tutti, così come l'organizzazione in quel momento aveva
deciso. Un conto sono le opinioni personali e un conto le scelte
dell'organizzazione e anche il rispetto degli iscritti all'organizzazione. Ho
però sempre lottato per evitare che ci fosse una dicotomia tra la prestazione
maschile e quella femminile, in questo senso sostenevo la battaglia egualitaria
perché il lavoro degli uomini e delle donne avesse la stessa dignità. Questa
tematica però non è mai stata molto accentuata qui da noi e nelle fabbriche la
parità di salario a parità di lavoro era già stata conquistata. Occorre tenere
presente che nel territorio di Cremona questi temi erano stati anticipati da
Guido Miglioli già nei primi anni del novecento e più avanti abbiamo avuto don
Mazzolari che ha continuato molte delle battaglie per la difesa dei contadini e
della dignità del lavoro.
Governi
di unità nazionale. Io ritenevo che il sindacato di fronte a questi cambiamenti
politici mantenesse la propria linea di rappresentanza e di difesa del
movimento operaio senza farsi influenzare dalle scelte politiche. Secondo me il
sindacato in quel momento si esprimeva nei confronti del governo cercando di
interpretare due ruoli: quello strettamente sindacale e quello politico, perché
rischiavamo di essere espropriati del nostro ruolo dalla politica. Sembrava che
quell'alleanza politica dovesse dare le risposte ai nostri associati. Pertanto
il mio ruolo era quello di mantenere la nostra autonomia, che andasse sempre
nella direzione della tutela e della rappresentanza dei lavoratori. In quel
momento la Cgil sembrava essere quello che ero io negli anni Cinquanta, allora
cercavo di scavalcarli perché mi sembrava che in mancanza di autonomia si
appiattissero sul governo. Se il Pci è al governo noi dobbiamo stare tranquilli
e calmi, questo era il pensiero della Cgil, per me invece no. Non semplicemente
perché credevo nell'autonomia, ma contro la Cgil.
Con
l'impegno sindacale mi sono realizzato anche dal punto di vista culturale.
Gestire una categoria rispetto ad un'altra è un fatto rilevante, perché si
arricchisce la propria esperienza confrontandosi con gli altri e per me le
varie fasi zonali, di categoria, orizzontali hanno contribuito a questo
arricchimento in modo notevole. Io mi sento sindacalista ancora oggi e per
quello che posso cerco ancora di trasmettere il nostro messaggio. È stata una
bella esperienza di vita, ci sono stati dei momenti duri, difficili, a volte
anche con incomprensioni che si sono superate cercando di fare del proprio meglio
e dando le risposte a chi le cercava. Perché in me questa voglia di difendere
la gente, di rappresentare i lavoratori, era un po' innata e da questo punto di
vista è stata una grande soddisfazione.
I
valori e le scelte di fondo della Cisl hanno inciso nel movimento sindacale
soprattutto nella prima fase, perché c'era una forte contrapposizione
ideologica e le scelte che faceva la Cisl, quando si differenziava dalla Cgil,
riflettevano una precisa idea della persona. Quelle richieste erano inserite in
un contesto di diritti che esprimevano il modello di società nella quale si
intendeva vivere, si sviluppava il proprio ruolo legandolo ai valori
fondamentali in cui credevamo: il principio della libertà individuale, della
dignità della persona, eccetera.
Oggi
purtroppo di quelle scelte, di quei valori, non è rimasto niente. Sono molto
dispiaciuto perché stiamo subendo il degrado della politica anche come
organizzazione. Perché non abbiamo mobilitato le persone contro le scelte che i
governi hanno fatto in questi ultimi anni? Subiamo la politica. Noi dovremmo
essere quello che siamo sempre stati, autonomi, e svolgere il nostro ruolo.