sabato 27 giugno 2020

GIOVANNI GIUBELI - Azienda accessori industriali - Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Ho frequentato le tre classi di avviamento al lavoro a Binasco, Milano, dal 1958 al 1961, poi sono andato all'Istituto Piero Pirelli dal ‘61 al ‘64 e quindi sono stato assunto in azienda. Contemporaneamente, però, mi sono iscritto alla scuola serale al Cattaneo per geometri e mi sono diplomato nel 1973 utilizzando le 150 ore. Grazie alla scuola serale ho evitato di fare i tre turni allo stampaggio.

Alla scuola aziendale, nei primi due anni si studiavano materie di carattere generale, dall'italiano alla matematica, oltre a fare esperienze pratiche in officina. Grosso modo si faceva mezza giornata in aula e mezza in officina. Il sabato non si andava a scuola ed era tempo libero per fare sport, sentire musica. In officina si imparava a limare, a usare il tornio, la fresa, si facevano gli impianti elettrici e si sperimentava come produrre gli pneumatici. Si imparava a fare la carcassa, a vulcanizzarla e tutti gli altri passaggi. Si lavorava su pneumatici piccoli come quello della Lambretta. Allora la Pirelli produceva anche i cavi e noi imparavamo a trafilarli. Il terzo anno serviva per scegliere il settore dove essere impiegati in funzione delle esigenze della fabbrica. Io sono diventato gommaio e quando mi hanno chiesto dove preferivo andare ho scelto lo stabilimento di via Ripamonti perché era comodo per arrivarci da casa, infatti abitavo a Zibido San Giacomo. Allora la fabbrica si chiamava Azienda accessori industriali, poi è diventata Pirelli sistemi antivibranti (Psa) e alla fine Cf gomma. Durante i tre anni di scuola si prendevano tra le tre e le quattromila lire al mese in base alla presenza e ci rimborsavano in parte il costo del viaggio. Purtroppo non ci è stato versato per quei tre anni neppure un contributo e quindi non hanno potuto essere conteggiati al momento della pensione. Abbiamo fatto anche una piccola vertenza su questo, ma non siamo riusciti ad ottenere nulla.
In quel periodo tra tutte le fabbriche della Pirelli gli occupati erano circa 14mila. In via Ripamonti si producevano prodotti antivibranti destinati in modo particolare al settore delle automobili, ma si producevano tante altre cose, come ad esempio cinghie per il settore tessile, oblò per le lavatrici, tappi per la penicillina, parabordi. Realizzavamo anche componenti di gomma per i cingoli dei carri armati. La produzione principale era rappresentata dalle molle ad aria che hanno sostituito le balestre di auto, camion, pullman, tram e treni.
Ho iniziato a lavorare il 20 aprile 1964 e sono stato inserito in sala prove, dove si facevano le sperimentazioni di alcuni prodotti particolari richiesti dai clienti, facendo tutte le verifiche necessarie sui prototipi, dati che poi venivano trasferiti alla produzione.
Dopo la sala prove sono passato all'ufficio controllo con l'incarico di verificare i pezzi, la temperatura sulle presse, sono stato occupato anche al controllo del magazzino dove si ricevevano dall'esterno le parti metalliche e dove arrivavano i prodotti finiti. Ho fatto anche altri mestieri in fabbrica come il carrellista e alla fine sono stato assegnato al reparto “soluzionatura” dove i pezzi metallici in entrata, dopo essere stati sgrassati, venivano irrorati con una soluzione di modo che nella vulcanizzazione la gomma aderisse al metallo. Era un lavoro brutto e quella è stata la mia promozione per essermi impegnato nel sindacato. Nel 1986 lo stabilimento di via Ripamonti è stato chiuso e siamo stati trasferiti in via Caviglia/via Avezzana dove c'erano altri impianti del gruppo. Quando siamo passati in via Caviglia ho continuato a fare questo lavoro, ma su una macchina che faceva questa applicazione automaticamente. In quel momento c'era in essere la cassa integrazione e io facevo parte del consiglio di fabbrica per cui sono uscito dalla fabbrica e sono andato alla Cisl di Milano ad aiutare a fare le dichiarazioni dei redditi.
L’Azienda accessori industriali della Pirelli aveva tre stabilimenti: quelli di via Ripamonti e di via Caviglia a Milano e uno a Torino. Nei due stabilimenti milanesi al momento della mia assunzione eravamo circa 700 lavoratori. Tra il 1973 e il 1975 la Pirelli stava già studiando il nuovo polo tecnologico della Bicocca, smantellando il grande reparto di Segnanino e alcuni di quegli operai sono stati trasferiti da noi e a quel punto siamo arrivati a quasi 900 persone. Quando è stato chiuso lo stabilimento di via Ripamonti gli occupati si erano praticamente dimezzati ed eravamo tra 450 e 500 addetti. Anche dopo il trasferimento sono continuate le dimissioni e i trasferimenti in altre aziende del gruppo e alla fine siamo rimasti in circa 300, fino a quando la fabbrica è stata definitivamente chiusa. Sono stato dipendente della Pirelli fino al 2001 quando sono andato in pensione.
Siccome ero membro del consiglio di fabbrica e poi componente dell'esecutivo non ero ben visto dall'azienda e non ho avuto possibilità di fare carriera. La mia scelta di passare al sindacato, però, è stata una decisione fortunata perché molti dei miei colleghi sono stati poi costretti ad andare a lavorare a Brescia, a Passirano, quando sono stati chiusi tutti gli stabilimenti che producevano i prodotti diversificati, salvo i cavi e gli pneumatici, e la mia azienda è stata assorbita da una fabbrica bresciana che produceva gomme.

Organizzazione del lavoro
L'organizzazione del lavoro e della produzione non prevedeva la catena di montaggio, c'erano dei piccoli reparti dedicati alla costruzione dei singoli prodotti. Gli operai con le qualifiche più alte erano quelli che lavoravano sulle presse e su alcune macchine più complesse, ma la maggioranza dei lavoratori erano di fatto dei manovali. Molti venivano dalla campagna, in particolare dal Lodigiano e dalla Bergamasca, assunti quando l'azienda è stata costituita negli anni Cinquanta. Le donne erano circa il 40% del totale e le addette alla sbavatura erano inquadrate nella categoria più bassa, diverse altre erano impegnate nel confezionamento.
Nella nostra azienda investimenti per rinnovare i processi produttivi ci sono stati, ad esempio sulle macchine per “soluzionare” o sulle presse e anche sul prodotto, e questo ha comportato una riduzione dell'occupazione. Per vulcanizzare un antivibrante si è passati da sei a due minuti.
I processi di ristrutturazione sono iniziati con la crisi petrolifera del 1973, con successivi piani di riorganizzazione del gruppo. Da lì sono cominciati i guai e per supportare i debiti fatti la proprietà ha iniziato a vendere gli impianti.
Quando sono stato assunto avevamo circa 40mila stampi per la produzione dei diversi materiali. Quando l'azienda è stata chiusa parte di queste attrezzature sono andate a finire in Polonia o in Germania.

Sindacato
Mi sono iscritto al sindacato nel 1968, al rientro in fabbrica dopo il servizio militare e ho scelto la Cisl perché provenivo da esperienze nel mondo cattolico e dalla vita in oratorio dove ero stato avviato al sociale dal mio parroco. Sono stato eletto nel primo consiglio di fabbrica.
La Cgil aveva quasi il 70% dei delegati sindacali, della Cisl eravamo in due e la Uil contava poco o niente. Diciamo che il mio impegno maggiore è stato quello per mantenere gli scritti, non per farne di nuovi, perché era molto difficile e nel tempo, con la riduzione del personale, è stata la Cgil che ha perso di più mentre io, con la mia attività nei servizi, ho mantenuto i miei numeri e alcuni lavoratori iscritti alla Cgil quando sono andati in pensione sono passati alla Cisl. Il consiglio di fabbrica era composto da quindici, diciassette delegati e l'esecutivo di cinque delegati. La Cgil aveva un rapporto privilegiato con la direzione e capitava che trattava prima con il capo del personale e poi faceva le proposte dentro l'esecutivo. In alcune fasi era così, in altre invece si battagliava tutti insieme.
Il nostro consiglio di fabbrica era legato all'azienda e non al gruppo. L’esecutivo aveva a disposizione alcune ore per l'attività sindacale. A livello di gruppo ci si organizzava solo in occasione del rinnovo del contratto nazionale della gomma. C'erano però alcuni servizi aziendali, come ad esempio la sanità, che riguardavano l'intero gruppo e in quel caso si andava a trattare tutti i consigli di fabbrica delle diverse aziende insieme. Avevamo anche una cassa previdenza di gruppo e se c'erano dei contrasti su questi temi le lotte si facevano insieme.
Come consiglio di fabbrica abbiamo fatto un giornalino interno che usciva in base alle esigenze e in funzione di quello che accadeva. Quando costruivamo una piattaforma si riuniva il consiglio e discutevamo tra di noi, spesso in queste occasioni invitavamo l'operatore sindacale di zona e così costruivamo le piattaforme che poi presentavamo alla direzione. Per quelle più significative, a volte facevamo anche degli scioperi.
In azienda non c'erano altre presenze organizzate, c'era qualcuno che era più a sinistra del Partito comunista ma erano fatti individuali. Ci sono sempre stati solo Cgil Cisl Uil e neppure una qualche forma di organizzazione tra i colletti bianchi, semmai gli impiegati non aderivano agli scioperi e noi andavamo negli uffici a buttarli fuori. Gli impiegati erano circa 150/160 su 700 addetti. Ci sono stati momenti in cui si otteneva poco o niente o addirittura si doveva concedere qualcosa all'azienda perché dall'inizio delle difficoltà, negli anni ‘72, ’73, siamo andati sempre peggiorando e quando si portava a casa poco i lavoratori non ti seguivano, mentre in altre situazioni ci sono state grandi mobilitazioni a cui a volte hanno partecipato anche gli impiegati, come ad esempio quando si è trattato di chiudere lo stabilimento di via Ripamonti. Quando i temi erano di carattere generale i lavoratori partecipavano meno, anche perché le piattaforme erano un po' calate dall'alto.
Ci sono stati momenti in cui le nostre manifestazioni erano pesanti, in un'occasione negli anni Settanta siamo stati denunciati in tredici dalla Pirelli in quanto membri del consiglio di fabbrica, perché uscivamo tutti insieme, settecento, ottocento persone, e occupavamo via Ripamonti fermando il tram e tutto il traffico. In quei momenti la gente si sedeva sui binari e bloccava tutto. Quando i lavoratori si sentivano toccati da vicino si mobilitavano. Purtroppo non era sempre così e a volte, in particolare sull'organizzazione del lavoro, non si riusciva a ottenere ciò che chiedevamo e allora gli operai si allontanavano, ma senza mai contestazioni forti nei nostri confronti.
All'inizio degli anni Ottanta, come in molte altre aziende, abbiamo avuto diverse telefonate che annunciavano la presenza di bombe che ovviamente non c'erano. La prima volta c'è stata paura, la gente è fuggita fuori dai capannoni. Noi del consiglio di fabbrica accompagnavamo la Polizia nel giro dei reparti per verificare che non ci fosse qualche rischio.
Ho lavorato solo in Pirelli e sono uscito nel 1994 chiedendo il distacco in legge 300 con l'incarico di responsabile per la Cisl di Milano del Centro di assistenza fiscale.

Relazioni industriali
In azienda si sono succeduti diversi capi del personale e direttori generali. I rapporti erano abbastanza buoni e nelle nostre vertenze siamo sempre riusciti ad ottenere qualcosa. Di battaglie ne abbiamo fatte molte perché in trent'anni di Pirelli sono stati pochi i mesi in cui la mia busta paga non era ridotta a causa di qualche sciopero, spesso per vicende interne, come ad esempio la richiesta di passaggi di categoria, miglioramenti dell'ambiente, del cottimo e altro ancora. Solo in un caso abbiamo avuto un capo del personale duro con cui era difficile trattare e oggi è inquisito per questioni legate alla nocività dell’ambiente di lavoro. Mi è capitato anche di dover trattare con un mio ex collega dell'Istituto Pirelli. Anche i capi però dovevano rispondere al gruppo e ci sono stati dei momenti di maggiore chiusura, per cui le lotte sono state dure. C'è però da dire che tutte le riduzione di personale e i trasferimenti sono stati contrattati e agevolati con incentivi, cassa integrazione in attesa di pensione, e non ci sono mai stati licenziamenti collettivi. Questa era un'impostazione di tutta la Pirelli, non solo della nostra azienda. Molti sono andati in pensione giovani e con tanti soldi.
L'atteggiamento della Pirelli è sempre stato soft, leggero, ma alla fine è sempre andata avanti per la sua strada. Pirelli non è mai stato un padrone “vigliacco” però è sempre riuscito a imporre le sue scelte con la motivazione che si facevano nel tentativo di superare le difficoltà e di salvare l'azienda.

Contrattazione
Le vertenze più significative di cui mi sono occupato sono state quelle sull'ambiente. Il luogo di lavoro era brutto, c'erano fumi, polveri, ed è stato migliorato attraverso vertenze o richieste di intervento. Abbiamo fatto parecchie iniziative. C'era la sala mescola dove la gomma madre veniva mescolata con diverse polveri e ingredienti abbastanza dannosi, dove si è combattuto per anni per eliminare i rischi e costruire un ambiente di lavoro migliore. Abbiamo ottenuto che venissero messe delle ventole nella sala mescola e sopra le presse. Personalmente, in particolare negli ultimi anni, quando lavoravo con le prime linee e i solventi per attaccare la gomma al metallo, avevo il mal di testa almeno tre, quattro giorni alla settimana, soprattutto quando ero a casa il sabato e la domenica. Da quando sono uscito dalla Pirelli non l’ho più avuto neppure per un giorno.
Avevamo dei legami con l'Asl di Melegnano, con alcuni medici, che abbiamo invitato in azienda e abbiamo creato una commissione che doveva verificare la situazione. L'azienda era sempre un po' restia a intervenire, poi però ha investito parecchio per migliorare la situazione, ma non è che si potesse migliorare molto se non sostituendo i macchinari con apparecchiature più avanzate, che disperdevano meno fumi. Molte macchine erano vecchie e sulle presse ci sono stati diversi infortuni. Anche le soluzioni trovate non è che risolvessero i problemi, si lavorava comunque male.
Gli altri aspetti su cui abbiamo contrattato maggiormente sono stati l'organizzazione del lavoro e i cottimi. Su questi temi abbiamo combattuto molto, in particolare dopo gli anni Ottanta, quando la Pirelli ha iniziato a tagliare e ha aumentato i ritmi per accrescere la produttività.
Sul tema della flessibilità l'azienda ci ha chiesto molto, l'unica flessibilità sugli orari l'avevano gli impiegati. Gli operai avevano il loro cottimo da fare e quello era. Alla fine della giornata avevano una bolla su cui segnavano i pezzi fatti e alla fine del mese si verificava se si era rimasti dentro il cottimo, oppure se si era prodotto di più e quindi si guadagnava qualcosa. I nostri cottimi erano generalmente di tipo individuale. C'erano però dei cottimi di gruppo legati alle produzioni che vedevano coinvolte più persone insieme, come ad esempio ai pattini oppure in sala mescola.
A livello di gruppo abbiamo fatto delle vertenze sulla cassa di previdenza, sulla sanità interna e poi come gruppo ci muovevamo in occasione del rinnovo del contratto nazionale della gomma plastica.
Abbiamo fatto qualche battaglia sul diritto allo studio, quando vennero introdotte le 150 ore, chiedendo qualche ora in più.
Sul tema dell'orario non abbiamo mai fatto vertenze. Nei primi anni Ottanta l'azienda ha tentato di far fare il terzo turno anche alle donne e noi ci siamo opposti. Generalmente le donne erano d'accordo a non lavorare di notte, anche se qualcuna invece lo chiedeva perché era un modo per guadagnare di più o per rispondere a particolari esigenze familiari. Quando ci fu la richiesta del lavoro notturno femminile io dissi al capo del personale: “Cominci a mandare sua moglie a lavorare di notte poi ne parliamo”. Queste richieste arrivavano quando c'erano dei picchi di produzione, così come ci veniva chiesto ogni tanto di lavorare al sabato. Noi abbiamo sempre puntato sulla volontarietà, ma quando questo non era possibile, perché c'era il rischio di perdere la commessa, allora contrattavamo il recupero del sabato lavorato, chiedendo il mantenimento dello straordinario del sabato con il recupero della giornata.

Welfare aziendale
Con la nostra mutua interna eravamo dei privilegiati perché ci pagavano molte visite specialistiche, avevamo un libretto con indicati tutti gli specialisti e gli ambulatori dove potevamo andare gratuitamente e pagava la Pirelli che poi si faceva rimborsare in parte dal sistema sanitario. La mutua era gestita anche da noi e il presidente era quasi sempre di emanazione sindacale. Arcangelo Pascale è stato uno di questi presidenti, anche Luciano Maiocchi lo è stato. Inoltre alla Bicocca c'era un ambulatorio dove potevamo andare per fare delle lastre, dei piccoli esami.
La cassa era una creazione di Piero Pirelli, sostenuta da una quota sul nostro salario dell'1,23% e una quota a carico dell'azienda di circa il 3%. E’ stata chiusa dopo il disastro della Continental e al momento della chiusura abbiamo fatto delle battaglie per avere i nostri soldi.
L'azienda dava delle borse di studio ai figli dei dipendenti se raggiungevano determinati risultati scolastici.
Fino all'inizio degli anni Settanta c'erano anche le colonie, ma poi sono state chiuse. C'erano degli spacci aziendali dove era possibile acquistare i prodotti Pirelli a costo di fabbrica. Uno era al grattacielo e l'altro a Bicocca. Poi anche questi sono stati chiusi.
La politica dell'azienda, a partire dai primi anni Settanta, è stata quella di ridurre continuamente i costi cancellando tutti questi servizi. L'azienda ci informava sulle scelte, ma le decisioni erano unilaterali e noi non siamo mai riusciti a contrastarle. Attraverso la contrattazione abbiamo cercato di scambiare la chiusura dei servizi aziendali con qualche altro elemento che in quel momento ci sembrava utile.