Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017
Ho
frequentato le tre classi di avviamento al lavoro a Binasco, Milano, dal 1958
al 1961, poi sono andato all'Istituto Piero Pirelli dal ‘61 al ‘64 e quindi
sono stato assunto in azienda. Contemporaneamente, però, mi sono iscritto alla
scuola serale al Cattaneo per geometri e mi sono diplomato nel 1973 utilizzando
le 150 ore. Grazie alla scuola serale ho evitato di fare i tre turni allo
stampaggio.
Alla
scuola aziendale, nei primi due anni si studiavano materie di carattere
generale, dall'italiano alla matematica, oltre a fare esperienze pratiche in
officina. Grosso modo si faceva mezza giornata in aula e mezza in officina. Il
sabato non si andava a scuola ed era tempo libero per fare sport, sentire
musica. In officina si imparava a limare, a usare il tornio, la fresa, si facevano
gli impianti elettrici e si sperimentava come produrre gli pneumatici. Si
imparava a fare la carcassa, a vulcanizzarla e tutti gli altri passaggi. Si
lavorava su pneumatici piccoli come quello della Lambretta. Allora la Pirelli
produceva anche i cavi e noi imparavamo a trafilarli. Il terzo anno serviva per
scegliere il settore dove essere impiegati in funzione delle esigenze della
fabbrica. Io sono diventato gommaio e quando mi hanno chiesto dove preferivo
andare ho scelto lo stabilimento di via Ripamonti perché era comodo per
arrivarci da casa, infatti abitavo a Zibido San Giacomo. Allora la fabbrica si
chiamava Azienda accessori industriali, poi è diventata Pirelli sistemi antivibranti
(Psa) e alla fine Cf gomma. Durante i tre anni di scuola si prendevano tra le
tre e le quattromila lire al mese in base alla presenza e ci rimborsavano in
parte il costo del viaggio. Purtroppo non ci è stato versato per quei tre anni
neppure un contributo e quindi non hanno potuto essere conteggiati al momento
della pensione. Abbiamo fatto anche una piccola vertenza su questo, ma non
siamo riusciti ad ottenere nulla.
In
quel periodo tra tutte le fabbriche della Pirelli gli occupati erano circa
14mila. In via Ripamonti si producevano prodotti antivibranti destinati in modo
particolare al settore delle automobili, ma si producevano tante altre cose,
come ad esempio cinghie per il settore tessile, oblò per le lavatrici, tappi
per la penicillina, parabordi. Realizzavamo anche componenti di gomma per i
cingoli dei carri armati. La produzione principale era rappresentata dalle
molle ad aria che hanno sostituito le balestre di auto, camion, pullman, tram e
treni.
Ho
iniziato a lavorare il 20 aprile 1964 e sono stato inserito in sala prove, dove
si facevano le sperimentazioni di alcuni prodotti particolari richiesti dai
clienti, facendo tutte le verifiche necessarie sui prototipi, dati che poi
venivano trasferiti alla produzione.
Dopo
la sala prove sono passato all'ufficio controllo con l'incarico di verificare i
pezzi, la temperatura sulle presse, sono stato occupato anche al controllo del
magazzino dove si ricevevano dall'esterno le parti metalliche e dove arrivavano
i prodotti finiti. Ho fatto anche altri mestieri in fabbrica come il
carrellista e alla fine sono stato assegnato al reparto “soluzionatura” dove i
pezzi metallici in entrata, dopo essere stati sgrassati, venivano irrorati con
una soluzione di modo che nella vulcanizzazione la gomma aderisse al metallo.
Era un lavoro brutto e quella è stata la mia promozione per essermi impegnato
nel sindacato. Nel 1986 lo stabilimento di via Ripamonti è stato chiuso e siamo
stati trasferiti in via Caviglia/via Avezzana dove c'erano altri impianti del
gruppo. Quando siamo passati in via Caviglia ho continuato a fare questo lavoro,
ma su una macchina che faceva questa applicazione automaticamente. In quel
momento c'era in essere la cassa integrazione e io facevo parte del consiglio
di fabbrica per cui sono uscito dalla fabbrica e sono andato alla Cisl di
Milano ad aiutare a fare le dichiarazioni dei redditi.
L’Azienda
accessori industriali della Pirelli aveva tre stabilimenti: quelli di via
Ripamonti e di via Caviglia a Milano e uno a Torino. Nei due stabilimenti
milanesi al momento della mia assunzione eravamo circa 700 lavoratori. Tra il
1973 e il 1975 la Pirelli stava già studiando il nuovo polo tecnologico della
Bicocca, smantellando il grande reparto di Segnanino e alcuni di quegli operai
sono stati trasferiti da noi e a quel punto siamo arrivati a quasi 900 persone.
Quando è stato chiuso lo stabilimento di via Ripamonti gli occupati si erano
praticamente dimezzati ed eravamo tra 450 e 500 addetti. Anche dopo il
trasferimento sono continuate le dimissioni e i trasferimenti in altre aziende
del gruppo e alla fine siamo rimasti in circa 300, fino a quando la fabbrica è
stata definitivamente chiusa. Sono stato dipendente della Pirelli fino al 2001
quando sono andato in pensione.
Siccome
ero membro del consiglio di fabbrica e poi componente dell'esecutivo non ero
ben visto dall'azienda e non ho avuto possibilità di fare carriera. La mia
scelta di passare al sindacato, però, è stata una decisione fortunata perché
molti dei miei colleghi sono stati poi costretti ad andare a lavorare a
Brescia, a Passirano, quando sono stati chiusi tutti gli stabilimenti che
producevano i prodotti diversificati, salvo i cavi e gli pneumatici, e la mia
azienda è stata assorbita da una fabbrica bresciana che produceva gomme.
Organizzazione del lavoro
L'organizzazione
del lavoro e della produzione non prevedeva la catena di montaggio, c'erano dei
piccoli reparti dedicati alla costruzione dei singoli prodotti. Gli operai con
le qualifiche più alte erano quelli che lavoravano sulle presse e su alcune
macchine più complesse, ma la maggioranza dei lavoratori erano di fatto dei
manovali. Molti venivano dalla campagna, in particolare dal Lodigiano e dalla
Bergamasca, assunti quando l'azienda è stata costituita negli anni Cinquanta.
Le donne erano circa il 40% del totale e le addette alla sbavatura erano
inquadrate nella categoria più bassa, diverse altre erano impegnate nel
confezionamento.
Nella
nostra azienda investimenti per rinnovare i processi produttivi ci sono stati,
ad esempio sulle macchine per “soluzionare” o sulle presse e anche sul
prodotto, e questo ha comportato una riduzione dell'occupazione. Per
vulcanizzare un antivibrante si è passati da sei a due minuti.
I
processi di ristrutturazione sono iniziati con la crisi petrolifera del 1973,
con successivi piani di riorganizzazione del gruppo. Da lì sono cominciati i
guai e per supportare i debiti fatti la proprietà ha iniziato a vendere gli
impianti.
Quando
sono stato assunto avevamo circa 40mila stampi per la produzione dei diversi
materiali. Quando l'azienda è stata chiusa parte di queste attrezzature sono
andate a finire in Polonia o in Germania.
Sindacato
Mi
sono iscritto al sindacato nel 1968, al rientro in fabbrica dopo il servizio
militare e ho scelto la Cisl perché provenivo da esperienze nel mondo cattolico
e dalla vita in oratorio dove ero stato avviato al sociale dal mio parroco.
Sono stato eletto nel primo consiglio di fabbrica.
La
Cgil aveva quasi il 70% dei delegati sindacali, della Cisl eravamo in due e la
Uil contava poco o niente. Diciamo che il mio impegno maggiore è stato quello per
mantenere gli scritti, non per farne di nuovi, perché era molto difficile e nel
tempo, con la riduzione del personale, è stata la Cgil che ha perso di più
mentre io, con la mia attività nei servizi, ho mantenuto i miei numeri e alcuni
lavoratori iscritti alla Cgil quando sono andati in pensione sono passati alla
Cisl. Il consiglio di fabbrica era composto da quindici, diciassette delegati e
l'esecutivo di cinque delegati. La Cgil aveva un rapporto privilegiato con la
direzione e capitava che trattava prima con il capo del personale e poi faceva
le proposte dentro l'esecutivo. In alcune fasi era così, in altre invece si
battagliava tutti insieme.
Il
nostro consiglio di fabbrica era legato all'azienda e non al gruppo. L’esecutivo
aveva a disposizione alcune ore per l'attività sindacale. A livello di gruppo
ci si organizzava solo in occasione del rinnovo del contratto nazionale della
gomma. C'erano però alcuni servizi aziendali, come ad esempio la sanità, che
riguardavano l'intero gruppo e in quel caso si andava a trattare tutti i
consigli di fabbrica delle diverse aziende insieme. Avevamo anche una cassa
previdenza di gruppo e se c'erano dei contrasti su questi temi le lotte si
facevano insieme.
Come
consiglio di fabbrica abbiamo fatto un giornalino interno che usciva in base
alle esigenze e in funzione di quello che accadeva. Quando costruivamo una
piattaforma si riuniva il consiglio e discutevamo tra di noi, spesso in queste
occasioni invitavamo l'operatore sindacale di zona e così costruivamo le
piattaforme che poi presentavamo alla direzione. Per quelle più significative,
a volte facevamo anche degli scioperi.
In
azienda non c'erano altre presenze organizzate, c'era qualcuno che era più a
sinistra del Partito comunista ma erano fatti individuali. Ci sono sempre stati
solo Cgil Cisl Uil e neppure una qualche forma di organizzazione tra i colletti
bianchi, semmai gli impiegati non aderivano agli scioperi e noi andavamo negli
uffici a buttarli fuori. Gli impiegati erano circa 150/160 su 700 addetti. Ci
sono stati momenti in cui si otteneva poco o niente o addirittura si doveva
concedere qualcosa all'azienda perché dall'inizio delle difficoltà, negli anni
‘72, ’73, siamo andati sempre peggiorando e quando si portava a casa poco i lavoratori
non ti seguivano, mentre in altre situazioni ci sono state grandi mobilitazioni
a cui a volte hanno partecipato anche gli impiegati, come ad esempio quando si
è trattato di chiudere lo stabilimento di via Ripamonti. Quando i temi erano di
carattere generale i lavoratori partecipavano meno, anche perché le piattaforme
erano un po' calate dall'alto.
Ci
sono stati momenti in cui le nostre manifestazioni erano pesanti, in
un'occasione negli anni Settanta siamo stati denunciati in tredici dalla
Pirelli in quanto membri del consiglio di fabbrica, perché uscivamo tutti
insieme, settecento, ottocento persone, e occupavamo via Ripamonti fermando il
tram e tutto il traffico. In quei momenti la gente si sedeva sui binari e
bloccava tutto. Quando i lavoratori si sentivano toccati da vicino si
mobilitavano. Purtroppo non era sempre così e a volte, in particolare
sull'organizzazione del lavoro, non si riusciva a ottenere ciò che chiedevamo e
allora gli operai si allontanavano, ma senza mai contestazioni forti nei nostri
confronti.
All'inizio
degli anni Ottanta, come in molte altre aziende, abbiamo avuto diverse
telefonate che annunciavano la presenza di bombe che ovviamente non c'erano. La
prima volta c'è stata paura, la gente è fuggita fuori dai capannoni. Noi del
consiglio di fabbrica accompagnavamo la Polizia nel giro dei reparti per
verificare che non ci fosse qualche rischio.
Ho
lavorato solo in Pirelli e sono uscito nel 1994 chiedendo il distacco in legge
300 con l'incarico di responsabile per la Cisl di Milano del Centro di
assistenza fiscale.
Relazioni industriali
In
azienda si sono succeduti diversi capi del personale e direttori generali. I
rapporti erano abbastanza buoni e nelle nostre vertenze siamo sempre riusciti
ad ottenere qualcosa. Di battaglie ne abbiamo fatte molte perché in trent'anni
di Pirelli sono stati pochi i mesi in cui la mia busta paga non era ridotta a
causa di qualche sciopero, spesso per vicende interne, come ad esempio la
richiesta di passaggi di categoria, miglioramenti dell'ambiente, del cottimo e
altro ancora. Solo in un caso abbiamo avuto un capo del personale duro con cui
era difficile trattare e oggi è inquisito per questioni legate alla nocività
dell’ambiente di lavoro. Mi è capitato anche di dover trattare con un mio ex
collega dell'Istituto Pirelli. Anche i capi però dovevano rispondere al gruppo
e ci sono stati dei momenti di maggiore chiusura, per cui le lotte sono state
dure. C'è però da dire che tutte le riduzione di personale e i trasferimenti
sono stati contrattati e agevolati con incentivi, cassa integrazione in attesa
di pensione, e non ci sono mai stati licenziamenti collettivi. Questa era
un'impostazione di tutta la Pirelli, non solo della nostra azienda. Molti sono
andati in pensione giovani e con tanti soldi.
L'atteggiamento
della Pirelli è sempre stato soft, leggero, ma alla fine è sempre andata avanti
per la sua strada. Pirelli non è mai stato un padrone “vigliacco” però è sempre
riuscito a imporre le sue scelte con la motivazione che si facevano nel
tentativo di superare le difficoltà e di salvare l'azienda.
Contrattazione
Le
vertenze più significative di cui mi sono occupato sono state quelle
sull'ambiente. Il luogo di lavoro era brutto, c'erano fumi, polveri, ed è stato
migliorato attraverso vertenze o richieste di intervento. Abbiamo fatto
parecchie iniziative. C'era la sala mescola dove la gomma madre veniva
mescolata con diverse polveri e ingredienti abbastanza dannosi, dove si è
combattuto per anni per eliminare i rischi e costruire un ambiente di lavoro migliore.
Abbiamo ottenuto che venissero messe delle ventole nella sala mescola e sopra
le presse. Personalmente, in particolare negli ultimi anni, quando lavoravo con
le prime linee e i solventi per attaccare la gomma al metallo, avevo il mal di
testa almeno tre, quattro giorni alla settimana, soprattutto quando ero a casa
il sabato e la domenica. Da quando sono uscito dalla Pirelli non l’ho più avuto
neppure per un giorno.
Avevamo
dei legami con l'Asl di Melegnano, con alcuni medici, che abbiamo invitato in
azienda e abbiamo creato una commissione che doveva verificare la situazione.
L'azienda era sempre un po' restia a intervenire, poi però ha investito
parecchio per migliorare la situazione, ma non è che si potesse migliorare
molto se non sostituendo i macchinari con apparecchiature più avanzate, che
disperdevano meno fumi. Molte macchine erano vecchie e sulle presse ci sono
stati diversi infortuni. Anche le soluzioni trovate non è che risolvessero i
problemi, si lavorava comunque male.
Gli
altri aspetti su cui abbiamo contrattato maggiormente sono stati
l'organizzazione del lavoro e i cottimi. Su questi temi abbiamo combattuto
molto, in particolare dopo gli anni Ottanta, quando la Pirelli ha iniziato a
tagliare e ha aumentato i ritmi per accrescere la produttività.
Sul
tema della flessibilità l'azienda ci ha chiesto molto, l'unica flessibilità
sugli orari l'avevano gli impiegati. Gli operai avevano il loro cottimo da fare
e quello era. Alla fine della giornata avevano una bolla su cui segnavano i
pezzi fatti e alla fine del mese si verificava se si era rimasti dentro il
cottimo, oppure se si era prodotto di più e quindi si guadagnava qualcosa. I
nostri cottimi erano generalmente di tipo individuale. C'erano però dei cottimi
di gruppo legati alle produzioni che vedevano coinvolte più persone insieme,
come ad esempio ai pattini oppure in sala mescola.
A
livello di gruppo abbiamo fatto delle vertenze sulla cassa di previdenza, sulla
sanità interna e poi come gruppo ci muovevamo in occasione del rinnovo del
contratto nazionale della gomma plastica.
Abbiamo
fatto qualche battaglia sul diritto allo studio, quando vennero introdotte le
150 ore, chiedendo qualche ora in più.
Sul
tema dell'orario non abbiamo mai fatto vertenze. Nei primi anni Ottanta
l'azienda ha tentato di far fare il terzo turno anche alle donne e noi ci siamo
opposti. Generalmente le donne erano d'accordo a non lavorare di notte, anche
se qualcuna invece lo chiedeva perché era un modo per guadagnare di più o per
rispondere a particolari esigenze familiari. Quando ci fu la richiesta del
lavoro notturno femminile io dissi al capo del personale: “Cominci a mandare sua
moglie a lavorare di notte poi ne parliamo”. Queste richieste arrivavano quando
c'erano dei picchi di produzione, così come ci veniva chiesto ogni tanto di
lavorare al sabato. Noi abbiamo sempre puntato sulla volontarietà, ma quando
questo non era possibile, perché c'era il rischio di perdere la commessa,
allora contrattavamo il recupero del sabato lavorato, chiedendo il mantenimento
dello straordinario del sabato con il recupero della giornata.
Welfare aziendale
Con
la nostra mutua interna eravamo dei privilegiati perché ci pagavano molte
visite specialistiche, avevamo un libretto con indicati tutti gli specialisti e
gli ambulatori dove potevamo andare gratuitamente e pagava la Pirelli che poi
si faceva rimborsare in parte dal sistema sanitario. La mutua era gestita anche
da noi e il presidente era quasi sempre di emanazione sindacale. Arcangelo
Pascale è stato uno di questi presidenti, anche Luciano Maiocchi lo è stato.
Inoltre alla Bicocca c'era un ambulatorio dove potevamo andare per fare delle
lastre, dei piccoli esami.
La
cassa era una creazione di Piero Pirelli, sostenuta da una quota sul nostro
salario dell'1,23% e una quota a carico dell'azienda di circa il 3%. E’ stata
chiusa dopo il disastro della Continental e al momento della chiusura abbiamo
fatto delle battaglie per avere i nostri soldi.
L'azienda
dava delle borse di studio ai figli dei dipendenti se raggiungevano determinati
risultati scolastici.
Fino
all'inizio degli anni Settanta c'erano anche le colonie, ma poi sono state
chiuse. C'erano degli spacci aziendali dove era possibile acquistare i prodotti
Pirelli a costo di fabbrica. Uno era al grattacielo e l'altro a Bicocca. Poi anche
questi sono stati chiusi.
La
politica dell'azienda, a partire dai primi anni Settanta, è stata quella di
ridurre continuamente i costi cancellando tutti questi servizi. L'azienda ci
informava sulle scelte, ma le decisioni erano unilaterali e noi non siamo mai
riusciti a contrastarle. Attraverso la contrattazione abbiamo cercato di
scambiare la chiusura dei servizi aziendali con qualche altro elemento che in
quel momento ci sembrava utile.