Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Dall’oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d’Italia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007
Sono nato a Vimercate il 28.4.1945. Ho frequentato la seconda commerciale e poi sono andato in Falck il 20 luglio del 1959, appena compiuti i 14 anni, poco dopo la morte di mio padre che aveva lavorato in acciaieria alla Falck.
Sono
entrato nell’attrezzeria dell’Officina meccanica costruzioni Omc, e sono
rimasto quasi sempre lì. Sono stato assunto come apprendista e mi hanno
affiancato a un operaio specializzato molto bravo che faceva l’aggiustatore
meccanico. L’Omc era divisa in due parti: l’officina meccanica, dove fresavano, tornivano e alesavano pezzi molto
grossi, e l’attrezzeria, dove si preparavano gli attrezzi per le officine dello
stabilimento. Il nostro era un lavoro di manutenzione. Mettevamo a punto anche
degli attrezzi speciali per altre macchine e questi erano sempre da sistemare,
aggiustare, affilare.
Nel
75, 76 l’officina ha perso la sua funzione e sono stato spostato in un’altra
sezione del reparto dove arrivavano le lingottiere dalle acciaierie, che
si usavano per fare la colata continua,
e che avevano bisogno di manutenzione.
Sono
uscito dalla Falck nel 1985 e sono andato all’Inas, il patronato della Cisl.
Nel 1970, per 8 mesi, ho lavorato alla Fim di Monza.
Ho
incontrato il sindacato abbastanza presto, nel 1962, quando ci sono state le
prime vertenze aziendali. Prima non sapevo nemmeno cosa fosse. Ricordo la prima
immagine, lungo il tragitto che facevo per arrivare con il tram al Campari. Al circolo Progresso
si girava e si arrivava davanti all’ingresso della Falck Unione. Ad un certo
punto mi sono visto di fronte una massa di gente vociante. Il piazzale era
pieno di operai. Sono arrivato fino a lì e poi sono tornato a casa. Quello è
stato il incontro con la realtà della protesta sindacale. Allora ho scoperto
che ci si poteva anche ribellare, che si poteva dire “non lavoro”.
L’Omc
era un’officina molto sindacalizzata e sono stato contattato abbastanza presto
perché mi iscrivessi al sindacato. Venivo dall’oratorio, appartenevo al mondo
cattolico e quindi sono stato avvicinato dal commissario della Cisl che mi
aveva individuato. Ho così iniziato a interessarmi delle questioni sindacali,
fino a quando sono stato messo in lista per essere eletto in commissione
interna. Non ce l’ho fatta, perché nel mio reparto c’era già un commissario
della Fim molto conosciuto e noi in Omc non avevamo la forza sufficiente per
eleggere due rappresentanti.
Dal
1969, salvo due o tre anni dal ‘75 al ‘77, sono sempre stato eletto delegato,
fino a quando ho lasciato la Falck. Il mio è stato un impegno significativo e
mi prendeva abbastanza tempo. Sono stato componente dell’esecutivo del
consiglio di fabbrica dello stabilimento ed ero nel direttivo provinciale della
Fim.
Normalmente
alla Falck chi si diplomava passava impiegato, io, dopo aver terminato gli
studi, non lo sono diventato. Sono state fatte anche delle pressioni perché
ottenessi la qualifica, ma non è stato possibile. Le ragioni non le conosco.
Certo, ho sempre fatto i picchetti e partecipato a tutte le manifestazioni
sotto la direzione. Probabilmente queste cose non passavano inosservate e in
qualche modo sono stato penalizzato.
La
mia esperienza nel rapporto con la Cgil è abbastanza particolare. Ero molto
attratto dagli attivisti della Fiom, perché li ritenevo persone ricche di
esperienza. Erano stati partigiani, avevano fatto esperienze politiche, quindi
mi piaceva confrontarmi con loro. Ho avuto dei buoni rapporti e credo di essere
stato molto corteggiato. Tutto sommato erano abbastanza corretti. Però, quando
mi rendevo conto che cercavano di strumentalizzarmi, non mi sottraevo al
confronto anche aspro e una volta, in una discussione con uno dei leader
storici della Fiom, Giuseppe Granelli, gli ho detto che io ero cislino fino in
fondo.
Gli
anni in cui ci sono stati gli scontri più aspri tra Cisl e Cgil sono stati
quelli in cui ero appena arrivato e quindi non me ne sono quasi reso conto, era
il momento in cui mi guardavo intorno, cercavo di capire, senza essere parte
attiva. Io ho vissuto soprattutto il periodo unitario e per me era un’unità
vera. Se c’erano problemi da affrontare lo si diceva, ma senza
contrapposizione.
Ho
mantenuto buoni rapporti con la Cgil, però quando si hanno delle responsabilità
si devono fare delle scelte non si può essere d’accordo con tutti. Qualche
contestazione l’ho avuta dalle frange di giovani lavoratori legati ai gruppi
extraparlamentari. Mi chiamavano l’ala sinistra della destra e c’era sempre in
loro un certo sospetto solo per il fatto che ero della Cisl. Gli stessi
comportamenti, le stesse scelte, ma fatte con in tasca la tessera della Cgil,
probabilmente sarebbero state viste in modo diverso.
Nel mio reparto la gestione è
stata per molti anni nelle mani della Cisl, anche se l’impronta politica era
quella della Cgil e questo problema era presente e si coglieva. Sì, eri bravo,
ma alla fine eri un cislino. Era un pregiudizio che portava molti a pensare che
nella gestione delle vertenze, se non fossi stato della Fim, forse qualche
cosina in più si sarebbe portata a casa.
Nonostante
questo, abbiamo lavorato molto e credo che i frutti si siano visti. Col tempo,
infatti, siamo riusciti a superare la Cgil nel tesseramento, prima nel mio
reparto e poi in tutto lo stabilimento. Il gruppo della Cisl all’Unione era
composto da gente con cui si lavorava bene, è stata una bella esperienza, molto
intensa.
La
vicenda contrattuale più importante che ho fatto è stata quella
dell’applicazione dell’inquadramento unico nel nostro reparto, nel ‘72, ‘73 ma
la cui gestione è andata avanti fino al ’75. Ci lavoravano 360 persone, tutte
con una certa professionalità, e organizzare quel passaggio non è stata una
cosa facile, ma penso sia stato fatto abbastanza bene.
Ho
gestito anche il rapporto con i lavoratori delle imprese che dopo il ’75 hanno
iniziato a entrare in azienda. La Falck non assumeva più e si rivolgeva a
società esterne per la manutenzione. Erano imprese che avevano retribuzioni e
orari diversi, ed erano in concorrenza tra di loro. Noi si cercava di fare in
modo che l’orario venisse rispettato e che i lavoratori avessero lo stesso
trattamento economico. Per gestire questa situazione abbiamo anche costituito
una sorta di coordinamento dei delegati delle imprese esterne.
Per
chiudere le vertenze si finiva sempre in corso Matteotti. Una volta,
probabilmente era il 1975, abbiamo organizzato dei pullman dalla Falck Unione.
Alla mattina alle sei erano già davanti ai cancelli e siamo andati in centro.
Abbiamo fatto il picchetto accendendo dei fuochi. I pullman facevano la spola
con l’azienda all’ora d’ingresso dei vari turni e abbiamo portato sotto la
direzione parecchia gente.
La
venuta del Papa a Sesto San Giovanni venne accolta molto bene, anche dalle
persone non vicine alla Chiesa. L’aver scelto Sesto fu giudicato positivamente
anche dai comunisti. Per accogliere il Papa venne preferito Alfredo Viscardi e
credo una decisione migliore non si potesse prendere. Io allora non avevo colto
che aveva parlato dando del tu al Papa, ma quel fatto era stato ripreso dalla
stampa e aveva avuto un certo rilievo. Giovanni Paolo II era popolare, era il
Papa operaio che veniva nella città operaia, accolto da un operaio e il fatto
di parlargli con quel tono amichevole era considerato normale. In piazza con me
c’erano due attivisti della Fiom, ma Sesto San Giovanni ha onorato a pieno
questo evento e non credo che le strade fossero piene solo di gente credente.