domenica 17 maggio 2020

RENZO MOTTADELLI - Falck Unione – Sesto San Giovanni (Mi)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Dall’oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d’Italia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007

Sono nato a Vimercate il 28.4.1945. Ho frequentato la seconda commerciale e poi sono andato in Falck il 20 luglio del 1959, appena compiuti i 14 anni, poco dopo la morte di mio padre che aveva lavorato in acciaieria alla Falck.

Sono entrato nell’attrezzeria dell’Officina meccanica costruzioni Omc, e sono rimasto quasi sempre lì. Sono stato assunto come apprendista e mi hanno affiancato a un operaio specializzato molto bravo che faceva l’aggiustatore meccanico. L’Omc era divisa in due parti: l’officina meccanica, dove  fresavano, tornivano e alesavano pezzi molto grossi, e l’attrezzeria, dove si preparavano gli attrezzi per le officine dello stabilimento. Il nostro era un lavoro di manutenzione. Mettevamo a punto anche degli attrezzi speciali per altre macchine e questi erano sempre da sistemare, aggiustare, affilare.
Nel 75, 76 l’officina ha perso la sua funzione e sono stato spostato in un’altra sezione del reparto dove arrivavano le lingottiere dalle acciaierie, che si  usavano per fare la colata continua, e che avevano bisogno di manutenzione.
Sono uscito dalla Falck nel 1985 e sono andato all’Inas, il patronato della Cisl. Nel 1970, per 8 mesi, ho lavorato alla Fim di Monza.

Ho incontrato il sindacato abbastanza presto, nel 1962, quando ci sono state le prime vertenze aziendali. Prima non sapevo nemmeno cosa fosse. Ricordo la prima immagine, lungo il tragitto che facevo per arrivare  con il tram al Campari. Al circolo Progresso si girava e si arrivava davanti all’ingresso della Falck Unione. Ad un certo punto mi sono visto di fronte una massa di gente vociante. Il piazzale era pieno di operai. Sono arrivato fino a lì e poi sono tornato a casa. Quello è stato il incontro con la realtà della protesta sindacale. Allora ho scoperto che ci si poteva anche ribellare, che si poteva dire “non lavoro”. 
L’Omc era un’officina molto sindacalizzata e sono stato contattato abbastanza presto perché mi iscrivessi al sindacato. Venivo dall’oratorio, appartenevo al mondo cattolico e quindi sono stato avvicinato dal commissario della Cisl che mi aveva individuato. Ho così iniziato a interessarmi delle questioni sindacali, fino a quando sono stato messo in lista per essere eletto in commissione interna. Non ce l’ho fatta, perché nel mio reparto c’era già un commissario della Fim molto conosciuto e noi in Omc non avevamo la forza sufficiente per eleggere due rappresentanti.
Dal 1969, salvo due o tre anni dal ‘75 al ‘77, sono sempre stato eletto delegato, fino a quando ho lasciato la Falck. Il mio è stato un impegno significativo e mi prendeva abbastanza tempo. Sono stato componente dell’esecutivo del consiglio di fabbrica dello stabilimento ed ero nel direttivo provinciale della Fim.
Normalmente alla Falck chi si diplomava passava impiegato, io, dopo aver terminato gli studi, non lo sono diventato. Sono state fatte anche delle pressioni perché ottenessi la qualifica, ma non è stato possibile. Le ragioni non le conosco. Certo, ho sempre fatto i picchetti e partecipato a tutte le manifestazioni sotto la direzione. Probabilmente queste cose non passavano inosservate e in qualche modo sono stato penalizzato.

La mia esperienza nel rapporto con la Cgil è abbastanza particolare. Ero molto attratto dagli attivisti della Fiom, perché li ritenevo persone ricche di esperienza. Erano stati partigiani, avevano fatto esperienze politiche, quindi mi piaceva confrontarmi con loro. Ho avuto dei buoni rapporti e credo di essere stato molto corteggiato. Tutto sommato erano abbastanza corretti. Però, quando mi rendevo conto che cercavano di strumentalizzarmi, non mi sottraevo al confronto anche aspro e una volta, in una discussione con uno dei leader storici della Fiom, Giuseppe Granelli, gli ho detto che io ero cislino fino in fondo.
Gli anni in cui ci sono stati gli scontri più aspri tra Cisl e Cgil sono stati quelli in cui ero appena arrivato e quindi non me ne sono quasi reso conto, era il momento in cui mi guardavo intorno, cercavo di capire, senza essere parte attiva. Io ho vissuto soprattutto il periodo unitario e per me era un’unità vera. Se c’erano problemi da affrontare lo si diceva, ma senza contrapposizione.
Ho mantenuto buoni rapporti con la Cgil, però quando si hanno delle responsabilità si devono fare delle scelte non si può essere d’accordo con tutti. Qualche contestazione l’ho avuta dalle frange di giovani lavoratori legati ai gruppi extraparlamentari. Mi chiamavano l’ala sinistra della destra e c’era sempre in loro un certo sospetto solo per il fatto che ero della Cisl. Gli stessi comportamenti, le stesse scelte, ma fatte con in tasca la tessera della Cgil, probabilmente sarebbero state viste in modo diverso.
Nel mio reparto la gestione è stata per molti anni nelle mani della Cisl, anche se l’impronta politica era quella della Cgil e questo problema era presente e si coglieva. Sì, eri bravo, ma alla fine eri un cislino. Era un pregiudizio che portava molti a pensare che nella gestione delle vertenze, se non fossi stato della Fim, forse qualche cosina in più si sarebbe portata a casa.
Nonostante questo, abbiamo lavorato molto e credo che i frutti si siano visti. Col tempo, infatti, siamo riusciti a superare la Cgil nel tesseramento, prima nel mio reparto e poi in tutto lo stabilimento. Il gruppo della Cisl all’Unione era composto da gente con cui si lavorava bene, è stata una bella esperienza, molto intensa.

La vicenda contrattuale più importante che ho fatto è stata quella dell’applicazione dell’inquadramento unico nel nostro reparto, nel ‘72, ‘73 ma la cui gestione è andata avanti fino al ’75. Ci lavoravano 360 persone, tutte con una certa professionalità, e organizzare quel passaggio non è stata una cosa facile, ma penso sia stato fatto abbastanza bene.
Ho gestito anche il rapporto con i lavoratori delle imprese che dopo il ’75 hanno iniziato a entrare in azienda. La Falck non assumeva più e si rivolgeva a società esterne per la manutenzione. Erano imprese che avevano retribuzioni e orari diversi, ed erano in concorrenza tra di loro. Noi si cercava di fare in modo che l’orario venisse rispettato e che i lavoratori avessero lo stesso trattamento economico. Per gestire questa situazione abbiamo anche costituito una sorta di coordinamento dei delegati delle imprese esterne.
Per chiudere le vertenze si finiva sempre in corso Matteotti. Una volta, probabilmente era il 1975, abbiamo organizzato dei pullman dalla Falck Unione. Alla mattina alle sei erano già davanti ai cancelli e siamo andati in centro. Abbiamo fatto il picchetto accendendo dei fuochi. I pullman facevano la spola con l’azienda all’ora d’ingresso dei vari turni e abbiamo portato sotto la direzione parecchia gente.

La venuta del Papa a Sesto San Giovanni venne accolta molto bene, anche dalle persone non vicine alla Chiesa. L’aver scelto Sesto fu giudicato positivamente anche dai comunisti. Per accogliere il Papa venne preferito Alfredo Viscardi e credo una decisione migliore non si potesse prendere. Io allora non avevo colto che aveva parlato dando del tu al Papa, ma quel fatto era stato ripreso dalla stampa e aveva avuto un certo rilievo. Giovanni Paolo II era popolare, era il Papa operaio che veniva nella città operaia, accolto da un operaio e il fatto di parlargli con quel tono amichevole era considerato normale. In piazza con me c’erano due attivisti della Fiom, ma Sesto San Giovanni ha onorato a pieno questo evento e non credo che le strade fossero piene solo di gente credente.