Testimonianza (bozza) raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Affettato misto. La storia di Giorgio, operaio e sindacalista alla Vismara”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2008
Sono stato
assunto nel 1955, come operaio. Lavoravo già da un anno in un’officina
meccanica quando una domenica mattina, all’uscita di messa insieme ad un gruppo
di ragazzi compagni di lavoro, ci ha visto il signor Vincenzo e ci ha chiesto
se lavoravamo già. Noi abbiamo risposto di si spiegando dove eravamo occupati.
Allora lui ha detto che essendo di Casatenovo era giusto che andassimo a
lavorare da lui. Quando l’ho detto a mia mamma, lei mi ha detto di andarci
subito.
Allora la Vismara era un posto sicuro, c’era da mangiare. Il lunedì
mattina mi sono presentato all’ingresso insieme ad altri sei o sette ragazzi e
siamo stati assunti. Io ero preoccupato di lasciare un posto dove ero trattato
bene e non sapevo come dirlo, ma il signor Vincenzo ha detto che ci avrebbe
pensato lui, e così è stato. Io sono stato inserito nel reparto che produceva
la Bologna.
Dopo un po’,
siccome qualcuno aveva visto che avevo una bella calligrafia e in negozio
avevano bisogno di uno che facesse le bollette di uscita delle merci, il mio
capo mi ha detto che avrei dovuto cambiare lavoro.
Sono rimasto
alcuni mesi nel nuovo posto, poi la signora Vismara, moglie del sig. Luigi, mi
ha chiesto se volevo andare a lavorare in ufficio. A me dispiaceva lasciare
quel posto, allora mi ha detto che mi avrebbe passato impiegato. Ovviamente a
quel punto ho detto di si e ho iniziato la nuova attività.
Ho imparato a
scrivere a macchina frequentando dei corsi serali in parrocchia. Erano quasi
tutte ragazze, ma io mi sono trovato bene e mi piaceva.
Gli impiegati in
quel periodo non avevano dei propri rappresentanti sindacali. Io ero
vicesegretario della Dc insieme a Gino Villa, anni ‘59/’60. In oratorio ero
responsabile della squadra di calcio. La squadra era finanziata dalla Vismara.
Il figlio mi chiese di occuparmene proprio perché era sostenuta dall’azienda su
richiesta del parroco. A fine anno facevo i conti di quanto avevo speso e lui
mi dava i soldi. Se c’era da pagare un pullman o quando avevo bisogno lui mi
anticipava quello che mi serviva. Sono andato avanti fino al 1972. All’inizio
avevo solo sette ragazzi, quando ho lasciato erano più di duecento. Abbiamo
vinto tre campionati.
Nel ’68 mi sono
impegnato nel sindacato e sono stato eletto delegato per gli impiegati e,
siccome non ce n’erano altri, sono entrato immediatamente nell’esecutivo, fino
al ’90 quando sono andato in pensione.
Quando sono
entrato in Vismara io non sapevo neppure cosa fosse il sindacato e mi sono
trovato immediatamente con la tessera della Cisl in tasca. Fosse stata della
Cgil non l’avrei voluta. Una volta sono andato a un corso estivo del sindacato
in Trentino pagato dall’azienda.
Ho fatto sempre
poche tessere, ero l’unico a fare sciopero tra gli impiegati.
Il signor
Vincenzo non mi ha mai detto niente per la mia scelta. Mi diceva solamente che
l’importante era che non facessi perdere tempo agli impiegati, poi io potevo
fare quello che volevo.
Lui era contento
quando si faceva il contratto. Poi anche i figli hanno capito che anche per
loro era un vantaggio avere qualcuno dentro il sindacato con cui potere
dialogare. I comunisti non mi vedevano molto bene e mi chiamavano
“demoni-cristiani”.
Non c’era orario
di lavoro. Si entrava al mattino e si usciva la sera.
Gli impiegati
non andavano a mangiare nella mensa degli operai e ne avevano una propria. Io
però andavo a mangiare a casa.
Nella mensa
degli operai non si distribuiva ne vino, ne frutta. Un giorno Mario Brusadelli,
un delegato impegnato nell’operazione Mato Grosso, ha comperato le mele per
tutti pagandole di tasca propria. Gli operai lo hanno apprezzato e lui, dopo
averlo fatto un paio di volte, è andato dal signor Vincenzo dicendo che ormai
gli operai si erano abituati a mangiare la frutta e che ora doveva pagarla
l’azienda. E così è stato.
Quando nel ’69
si decise di unire le due mense, le impiegate non volevano andare a mangiare
con gli operai perché dicevano che le prendevano in giro. Qualche battuta in
effetti all’inizio ci fu, e la cosa venne discussa nell’esecutivo del consiglio
di fabbrica, poi la cosa rientrò nella normalità.
La Cisl aveva
l’84% delle tessere e le idee nuove venivano dalla Cisl, anche se la Cgil era
più pronta alla mobilitazione. All’inizio degli anni ’70 non avevano più di 50
tessere.
In azienda il
paternalismo era ben presente. Anch’io ne ho approfittato per chi ne aveva
bisogno. Quando qualcuno veniva da me, io mi rivolgevo al signor Vincenzo, poi,
quando è arrivato Quatela, andavo da lui. Spesso era per far assumere qualcuno,
il signor Vincenzo mi chiedeva solamente se erano brave persone, poi si fidava.
Quatela ha
tentato di impostare relazioni industriali moderne. Era stato chiamato proprio
per quello. In azienda non c’era nessuno all’altezza di gestire la
contrattazione aziendale. La Vismara era la maggiore azienda del settore e il
signor Francesco non ce la faceva a seguire tutto. Aveva grande pazienza e una
forte dialettica. Era il direttore del personale. A volte nel confronto
sindacale era duro. Peraltro ho chiesto anche a lui di assumere delle persone,
in particolare tre giovani ragionieri, e lui li ha assunti. La differenza era
che lui li vagliava prima di assumerli. Accettava le segnalazioni, ma il
criterio di selezione era diverso.
Quando le mamme
si rivolgevano al signor Vincenzo, lui gli rispondeva che non c’entrava più e
che a decidere era Quatela.
Ho partecipato
ai ritiri spirituali che si facevano la domenica, pagato dall’azienda. Si stava
insieme, si mangiava in compagnia, mi piaceva. I preti erano dehoniani ed erano
molto vicini al sindacato. Avevo studiato poco e per me erano occasioni per
leggere, studiare, imparare cose nuove. Eppoi era il figlio del padrone che ci
chiedeva di andare. Questo però non mi ha dato particolari vantaggi in Vismara.
Il rapporto tra
la Vismara e il mondo cattolico locale era stretto. La parola di un parroco per
il signor Vincenzo contava. Se lui diceva che era un bravo ragazzo questo
veniva assunto. Anche tutti i comunisti furono assunti grazie ai parroci, che
evidentemente non conoscevano così bene quei ragazzi. “I bolscevichi mi hanno
fregato” diceva il signor Vincenzo.
L’asilo di
Casatenovo è un dono della Vismara. L’oratorio, la Casa del giovane sono tutte
opere realizzate dalla Vismara. Non solo a Casatenovo, quando un parroco si
rivolgeva a loro, loro intervenivano sempre. Vincenzo faceva beneficenza in
quel modo. Scomparso il signor Vincenzo è finito tutto. Alla scuola materna
mandava continuamente cose da mangiare, pagava il riscaldamento, ogni cosa
servisse alle suore lui provvedeva.
Uberto, figlio
di Vincenzo, è morto giovane di un tumore. Era del ’25. Era vicino ai
partigiani delle brigate verdi e quando nel ’58 abbiamo fatto la prima
fiaccolata al Ghisallo in memoria della Resistenza, lui ha voluto partecipare.
All’inizio degli
anni ’60 ha lasciato l’azienda di famiglia per mettersi in proprio.