Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Memorie in tuta blu. Gli anni caldi dei metalmeccanici bresciani”, di Costantino Corbari, Edizioni Lavoro, Roma 2005
Sono nato a Vobarno il 10.8.1947 e abito ancora lì. Ho fatto la terza media, poi per problemi di famiglia ho dovuto andare a lavorare. Ho iniziato nel ’62 al Maglificio di Maderno, poi nel ’69 sono andato da Sgorbati, infine nel ‘72 ho iniziato alla Falck.
Al Maglificio lavoravo su una
macchina automatica di maglieria. Sono entrato come apprendista a quindici
anni. Quando ho compiuto i diciotto, e c’era bisogno perché c’erano dei picchi
di produzione, ho iniziato a fare anche
i turni di notte mentre prima facevo primo e secondo. Siccome
all’azienda serviva che io facessi il turno di notte mi ha passato da
apprendista ad operaio.
All’età di ventidue anni e
fino a venticinque sono stato da Sgorbati, a Rezzato, azienda metalmeccanica
dove facevano macchine agricole, in particolare le presse per il fieno, poi nel
‘72 sono entrato in Falck.
Sono stato inserito nel
reparto tubi lavorati. C’era un reparto tubi saldati (Tusa) che era diviso in
più sezioni: tubo trafilato, era la sezione economicamente più remunerativa
dove si producevano i tubi di qualità con le lavorazioni, i forni di ricottura,
i decapaggi; finitura, dove i tubi venivano tagliati, raddrizzati e imballati;
saldatura, dove il tubo veniva effettivamente realizzato dal nastro con le
saldatrici. La sezione dove lavoravo io era il Tula (Tubi lavorati)
praticamente era la sezione dove facevano le forcelle delle biciclette, i tubi
per i fili elettrici, gli assali e altri parti per l’Alfa Romeo e c’era anche
una smaltatura.
Nello stabilimento c’erano
altri reparti, ma non ci sono mai stato: quello dove si trafilava il filo dalla
vergella, il laminatoio a freddo dove il nastro veniva laminato e quindi
tagliato. Il nastro veniva dall’Unione di Sesto San Giovanni poi, a seconda
delle esigenze, veniva laminato, temprato e trattato: per elettrodomestici, per
falciatrici, ecc.
C’era poi il laminatoio a
caldo dove si produceva l’acciaio di qualità, si laminavano le billette e
uscivano i tondoni. Acciai che si usavano per i cuscinetti, gli alberi.
Un tempo facevamo anche il
tondino, ma poi era stato abbandonato perché i costi erano troppo alti e non
riuscivamo ad essere competitivi. A Vobarno puntavano tutto sull’acciaio di
qualità e gli impianti sono stati chiusi quando la lavorazione è stata portata
a Bolzano. Nell’80 c’erano più di 1400 dipendenti poi è iniziato il tracollo.
Appena entrato nel reparto
delle saldatrici, non come specializzato, sono stato assegnato al controllo del
tubo nella fase del taglio. Lì sono rimasto solo per tre mesi, poi sono stato
trasferito per un certo periodo sulle trafile tubi, che erano piccoli impianti.
Nell’ottobre ‘72 mi sono sposato e quando sono rientrato in azienda il posto in
trafila non c’era più e mi hanno mandato su una saldatrice dove facevano i tubi
per i frigoriferi. Ma anche lì ci sono stato pochissimo. Un giorno è arrivato
un fattorino e mi ha detto che dal lunedì successivo avrei dovuto presentarmi
al Tula dove mi sarebbe stato assegnato un nuovo posto. Lì sono stato messo
sulle conificatrici e per 17, 18 anni ho sempre lavorato in quel reparto a far
tubi per biciclette e automobili.
Quando sono uscito dalla
fabbrica, praticamente l’azienda non c’era più. Ho vissuto tutta la fase del
crollo dello stabilimento, non solo come operaio ma anche come delegato. In
tutto c’erano circa 300 dipendenti. Il laminatoio a caldo era stato chiuso, la
trafileria era stata chiusa molto prima, gli esuberi o sono andati via o sono
stati trasferiti ai tubi saldati o al laminatoio a freddo. A fine ’91 sono
uscito in distacco sindacale e sono andato in prepensionamento a fine ‘94. Ora
è rimasta solo la trafila tubi, che non è più Falck, ma il tubo viene
acquistato da terzi, mentre prima veniva prodotto il loco. In tutto ci saranno
80 persone, non di più. Anche il laminatoio a freddo aveva proseguito a
lavorare sotto un’altra proprietà ma lo scorso anno è fallita e ora non c’è più
niente. Anche lì c’erano 70/80 persone che ci lavoravano.
Al Maglificio il sindacato
non si conosceva. Il primo sindacalista che ho visto avvicinarsi è stato un
operatore della Cisl che ha organizzato una piccola trattativa con
l’azienda, perché allora non si faceva
la contrattazione aziendale, anche se rispettavano i contratti nazionali. Con
la sua azione ci aveva fatto ottenere un modesto aumento salariale. Per
contrastare l’azione del sindacato il datore di lavoro ci aveva promesso una
gita e aveva attuato una forma di ricatto dicendo se noi avessimo rifiutato
l’aumento proposto dal sindacato ci avrebbe portato a Vienna due giorni, ma la
maggior parte degli operai ha detto che preferiva l’aumento e allora la gita
non si è fatta. In precedenza eravamo già andati in gita a Chamonix e
Courmayeur.
Io mi sono iscritto alla
Cisl per la prima volta in quell’occasione, ma poi la seconda tessera l’ho
fatta alla Sgorbati, quando nel '69 è venuto da noi un operatore che si era
messo in contatto con alcuni rappresentanti sindacali e così mi sono iscritto
alla Fim. Eravamo più di cento dipendenti, era una buona azienda che poi ho
lasciato per avvicinarmi a casa. Lavoravo nove ore al giorno, su due turni, lo
stipendio era discreto, ma quando facevo giornata lavoravo dieci ore al
montaggio, in catena. Quando andavo in macchina erano ventidue chilometri di
strada e quando non mi muovevo in automobile dovevo comunque usarla per andare
alla fermata del pullman che poi mi portava a Rezzato. Fortunatamente, grazie
all'iniziativa del sindacato, siamo riusciti ad ottenere la fermata davanti
allo stabilimento, perché prima si fermava in paese e poi c'era un chilometro
da fare a piedi.
In Falck il salario era simile,
ma si guadagnava qualcosa di più perché c'era il contratto aziendale e il
premio di produzione. Abitavo a un chilometro e mezzo dalla fabbrica e quindi
come finivo ero a casa. Quando sono entrato alla Falck sono stato avvicinato da
un delegato della Fiom e così mi sono iscritto con loro, che erano maggioranza,
anche perché non conoscevo molto le differenze tra Fim e Fiom. Poi mi sono
avvicinato alla Fim, ma ormai si faceva la tessera Flm. Mi hanno proposto di
fare il delegato e sono stato eletto, ma come addetto al fondo interno Fao
(Fondo aziendale operai). Mi venne proposto questo incarico non per ragioni
particolari, forse perché io non amo molto parlare in assemblea e mi piace di
più il contatto diretto.
Il fondo dava un contributo
per le spese mediche. L'operaio versava una quota e un'altra l'azienda, e il
fondo interveniva per le cure specialistiche, in particolare per il dentista.
Avevamo fatto delle convenzioni con alcuni dentisti e se l'operaio aveva
bisogno pagava meno e anche a rate, mentre la spesa era anticipata dal fondo. I
soldi venivano poi trattenuti sulla busta paga, ma i conteggi li facevamo noi
come rappresentanti sindacali. Mi sono occupato del fondo per tre, quattro anni
insieme ad altri due delegati della Fiom.
Poi sono passato al patronato.
All'interno dell'azienda avevamo una persona che si preoccupava del controllo
dei contributi e delle pratiche per la pensione. Il delegato che lo faceva era
passato impiegato, ma al quel punto dovette lasciare questo compito, perché un
giorno alla settimana doveva uscire in permesso sindacale per portare le
pratiche alla sede del sindacato. A quel punto mi hanno proposto di sostituirlo
ed io ho accettato, anche se non ne sapevo niente. Ho imparato presto questo
nuovo compito e nel giro di breve tempo è cominciato un lavoro decisamente più
impegnativo perché sono iniziati i prepensionamenti. Era iniziato lo
smantellamento dell'azienda. Il processo di riduzione del personale è iniziato
nel 1981. Una nuova legge, la 155, consentiva di andare in pensione a
cinquantacinque anni con cinque anni di abbuono per arrivare a sessanta e così
sono usciti i primi lavoratori. In quel momento la Falck dava anche degli
incentivi all'esodo e sono uscite un sacco di persone. Poi è arrivata un'altra
legge, la 193, che consentiva di andare in pensione all'età di cinquant'anni e
dieci anni di abbuono.
Personalmente ho gestito
quasi quattrocento prepensionamenti, dall'84 all’88. Ho fatto il patronato in
fabbrica e ho continuato anche quando sono andato in pensione.
Nell'89 sembrava che le
difficoltà si fossero bloccate e sono state fatte delle assunzioni, ma nel ‘91
è stata fatta una legge che prevedeva la possibilità di prepensionamento con
trent’anni di contributi e sono usciti ancora più di cento persone. L'emorragia
di posti è proseguita l'anno successivo. Nell'agosto del ‘92 se ne sono andati
un altro gruppo di lavoratori e con il provvedimento della mobilità lunga a
fine ‘93 sono uscite ancora altre persone con cinquant’anni di età e ventotto
di contributi. In quell'occasione ci furono dei problemi perché uscirono dalla
fabbrica operai più giovani mentre altri più anziani furono costretti a
rimanere al lavoro. Qualcuno rimase in mobilità per cinque anni.
Il lavoro per il patronato
non mi ha mai impedito di svolgere il mio compito di delegato di reparto e
quando c'era qualche problema i lavoratori si rivolgevano a me, partecipavo a
tutte le riunioni del consiglio di fabbrica. Quando finivo di lavorare, dopo
aver smontato spesso mi fermavo in fabbrica più di un'ora per parlare con la
gente. Così alla sera normalmente arrivavo a casa tardi. C'erano sempre
problemi: per il rumore, il fumo, chiedere qualche piccolo aumento. Tutti
questi problemi si portavano in consiglio di fabbrica, poi c'era l'esecutivo ed
eventualmente si apriva una trattativa con la direzione, e quando negli
incontri con la direzione si parlava di problemi del reparto Tula partecipavo
anch'io alle riunioni. Ho sempre cercato di fare trattative, ma dall'81 la
maggior parte della contrattazione riguardava il tentativo di mettere al sicuro
più gente possibile.
Prima che si avviasse il
processo di ristrutturazione ci sono state lotte anche aspre alla Falck, con il
blocco delle portinerie e i picchetti. Il rinnovo del contratto aziendale era
collegato a quello del gruppo e c'era un coordinamento sindacale. Ho
partecipato al coordinamento quando si discuteva del Fondo interno nel periodo
in cui me ne occupavo.
Gli aumenti salariali erano
sempre concordati a Sesto San Giovanni e poi applicati anche a Vobarno. Noi
partecipavamo alle trattative, ma queste avvenivano sempre a Milano. Solo verso
la fine abbiamo trattato anche noi direttamente il premio di risultato.
Con l'azienda non ho mai
avuto particolari problemi. Anzi, più di una volta mi venne proposto di fare il
caposquadra, ma ho sempre rifiutato perché non si poteva essere delegati e
capisquadra. C'è stato chi ha accettato lasciando il sindacato, ma la mia
scelta è sempre stato l'impegno sindacale.
Alla fine del '91 la Cisl,
il comprensorio del Garda, mi ha proposto di uscire per occuparmi del patronato
e anche se guadagnavo di meno ho rifiutato l'ennesima proposta aziendale e sono
andato a lavorare alla Cisl. Anche perché non sono portato a comandare, a dire
alle persone fai questo o quello. Piuttosto che chiedere a uno di farmi un
lavoro, lo faccio io.
Nell'85 abbiamo dovuto fare
la scelta tra le varie sigle dopo la Flm. In quel momento noi eravamo più
deboli della Fiom: eravamo 160 o 170 ma un po' alla volta, con l'impegno di
tutti, siamo cresciuti e siamo arrivati allo stesso numero della Fiom, con poco
più di 300 iscritti. Io ero convinto che fosse una bella cosa avere tanti
iscritti, ma questo voleva dire impegnarsi un po' di più tutti e questo lo
dicevo ai miei amici della Fim. I lavoratori si iscrivono perché sanno che
offriamo un servizio, ma se io lo prometto e poi al momento in cui serve mi
tiro indietro, questo non va bene.
Quando si è trattato di
scegliere tra una sigla e l'altra c'è stato un po' di malumore tra i
lavoratori, che ci dicevano che non avremmo dovuto dividerci. Io spiegavo che
anche prima nella Flm le diverse anime c'erano, che il sindacato era unitario
ma non unico. Anzi forse è meglio adesso, che ci presentiamo ognuno per quello
che siamo.
A livello di gruppo avevamo
un monte ore concordato per l'attività sindacale che corrispondeva a quattro o
cinque ore per dipendente, poi c'erano altre ore a disposizione del
coordinamento e dell’esecutivo. Le ore da gestire erano tante e quindi contare
di più era importante. Noi, nel primo periodo dopo la Flm, quando gli iscritti
erano pochi, ci siamo trovati con poche risorse rispetto a quelle di cui
disponevamo abitualmente.
La Cgil aveva dei bravi
leader, bravi oratori, che sapevano parlare alla gente, anche se non sempre
raccontavano la verità, ma erano creduti e avevano un grande seguito.
Però in Falck non abbiamo
mai fatto scioperi separati e tra noi e la Fiom è sempre stata trovata
un'intesa.
Ho fatto parte del direttivo
provinciale della Fim. Ho partecipato alle battaglie interne alla Fim , ma non
essendo un politico non è che ne capissi molto. Io avevano le mie idee, ma ho
sempre cercato di sostenere coloro che mostravano di avere delle capacità di
guidare il sindacato e rappresentare al meglio i lavoratori al di là delle
diverse posizioni.
Non ho mai avuto altri
impegni fuori dal sindacato, anche perché non ho mai avuto il tempo e continuo
a non averne. Facendo il patronato in valle devo essere un po' malleabile e non
faccio solo pratiche, faccio le denunce dei redditi, sostengo la Fim.
Il giorno di Piazza della
Loggia avevo fatto lo sciopero, ma ero rimasto a casa e non sono andato alla
manifestazione. L'ho saputo alla televisione e al rientro in fabbrica abbiamo
organizzato una manifestazione in paese. Lo stesso abbiamo fatto quando c'è
stato il rapimento Moro.
C'è stato un periodo in cui
eravamo forse esagerati con gli scioperi, perché era sufficiente che ci fosse
qualcosa che non andava, anche fuori dalla fabbrica, perché di decidesse di
scioperare. La sinistra spingeva di più per farli, ma si partecipava tutti. Mi
ricordo che abbiamo fatto sciopero quando i tennisti italiano sono andati a
giocare nel Cile di Pinochet.
Sono sposato e ho un figlio.
Mia moglie si lamenta sempre perché non sono mai a casa. Forse più adesso che
sono in pensione di prima quando lavoravo. Più volte mi ha detto di smetterla.
Nel mio impegno sindacale ho
avuto gratificazioni e riconoscimenti ma ho trovato anche persone che non
capivano la mia fatica e in quelle occasioni mi chiedevo perché continuare.
Mio figlio lavora ma non si
interessa di sindacato e io vengo da una famiglia che non era molto portata
verso il sindacato. Mio padre, che ha sempre lavorato in Falck, credo non abbia
mai pensato al sindacato. Anche allora c'erano uscite concordate con un piccolo
incentivo e lui ha lasciando l’azienda nel ‘62 a cinquantotto anni.
Il mio hobby è andare a
vedere le gare di formula uno. Sono quarant'anni che vado sui diversi circuiti.
Ho iniziato a Monza quando avevo diciotto anni e quando posso vado. Sono stato
a Montecarlo, in Austria ed è difficile che mi perda un gran premio alla
televisione. Al sabato e alla domenica poi lavoro nel mio piccolo pezzo di
terra con quattro filari di viti, dove c'è sempre qualcosa da fare.