mercoledì 13 maggio 2020

GIANCARLO TURRINI - Falck - Vobarno (Bs)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Memorie in tuta blu. Gli anni caldi dei metalmeccanici bresciani”, di Costantino Corbari, Edizioni Lavoro, Roma 2005

Sono nato a Vobarno il 10.8.1947 e abito ancora lì. Ho fatto la terza media, poi per problemi di famiglia ho dovuto andare a lavorare. Ho iniziato nel ’62 al Maglificio di Maderno, poi nel ’69 sono andato da Sgorbati, infine nel ‘72 ho iniziato alla Falck.

Al Maglificio lavoravo su una macchina automatica di maglieria. Sono entrato come apprendista a quindici anni. Quando ho compiuto i diciotto, e c’era bisogno perché c’erano dei picchi di produzione, ho iniziato a fare anche  i turni di notte mentre prima facevo primo e secondo. Siccome all’azienda serviva che io facessi il turno di notte mi ha passato da apprendista ad operaio.
All’età di ventidue anni e fino a venticinque sono stato da Sgorbati, a Rezzato, azienda metalmeccanica dove facevano macchine agricole, in particolare le presse per il fieno, poi nel ‘72 sono entrato in Falck.
Sono stato inserito nel reparto tubi lavorati. C’era un reparto tubi saldati (Tusa) che era diviso in più sezioni: tubo trafilato, era la sezione economicamente più remunerativa dove si producevano i tubi di qualità con le lavorazioni, i forni di ricottura, i decapaggi; finitura, dove i tubi venivano tagliati, raddrizzati e imballati; saldatura, dove il tubo veniva effettivamente realizzato dal nastro con le saldatrici. La sezione dove lavoravo io era il Tula (Tubi lavorati) praticamente era la sezione dove facevano le forcelle delle biciclette, i tubi per i fili elettrici, gli assali e altri parti per l’Alfa Romeo e c’era anche una smaltatura.
Nello stabilimento c’erano altri reparti, ma non ci sono mai stato: quello dove si trafilava il filo dalla vergella, il laminatoio a freddo dove il nastro veniva laminato e quindi tagliato. Il nastro veniva dall’Unione di Sesto San Giovanni poi, a seconda delle esigenze, veniva laminato, temprato e trattato: per elettrodomestici, per falciatrici, ecc.
C’era poi il laminatoio a caldo dove si produceva l’acciaio di qualità, si laminavano le billette e uscivano i tondoni. Acciai che si usavano per i cuscinetti, gli alberi.
Un tempo facevamo anche il tondino, ma poi era stato abbandonato perché i costi erano troppo alti e non riuscivamo ad essere competitivi. A Vobarno puntavano tutto sull’acciaio di qualità e gli impianti sono stati chiusi quando la lavorazione è stata portata a Bolzano. Nell’80 c’erano più di 1400 dipendenti poi è iniziato il tracollo.
Appena entrato nel reparto delle saldatrici, non come specializzato, sono stato assegnato al controllo del tubo nella fase del taglio. Lì sono rimasto solo per tre mesi, poi sono stato trasferito per un certo periodo sulle trafile tubi, che erano piccoli impianti. Nell’ottobre ‘72 mi sono sposato e quando sono rientrato in azienda il posto in trafila non c’era più e mi hanno mandato su una saldatrice dove facevano i tubi per i frigoriferi. Ma anche lì ci sono stato pochissimo. Un giorno è arrivato un fattorino e mi ha detto che dal lunedì successivo avrei dovuto presentarmi al Tula dove mi sarebbe stato assegnato un nuovo posto. Lì sono stato messo sulle conificatrici e per 17, 18 anni ho sempre lavorato in quel reparto a far tubi per biciclette e automobili.
Quando sono uscito dalla fabbrica, praticamente l’azienda non c’era più. Ho vissuto tutta la fase del crollo dello stabilimento, non solo come operaio ma anche come delegato. In tutto c’erano circa 300 dipendenti. Il laminatoio a caldo era stato chiuso, la trafileria era stata chiusa molto prima, gli esuberi o sono andati via o sono stati trasferiti ai tubi saldati o al laminatoio a freddo. A fine ’91 sono uscito in distacco sindacale e sono andato in prepensionamento a fine ‘94. Ora è rimasta solo la trafila tubi, che non è più Falck, ma il tubo viene acquistato da terzi, mentre prima veniva prodotto il loco. In tutto ci saranno 80 persone, non di più. Anche il laminatoio a freddo aveva proseguito a lavorare sotto un’altra proprietà ma lo scorso anno è fallita e ora non c’è più niente. Anche lì c’erano 70/80 persone che ci lavoravano.

Al Maglificio il sindacato non si conosceva. Il primo sindacalista che ho visto avvicinarsi è stato un operatore della Cisl che ha organizzato una piccola trattativa con l’azienda,  perché allora non si faceva la contrattazione aziendale, anche se rispettavano i contratti nazionali. Con la sua azione ci aveva fatto ottenere un modesto aumento salariale. Per contrastare l’azione del sindacato il datore di lavoro ci aveva promesso una gita e aveva attuato una forma di ricatto dicendo se noi avessimo rifiutato l’aumento proposto dal sindacato ci avrebbe portato a Vienna due giorni, ma la maggior parte degli operai ha detto che preferiva l’aumento e allora la gita non si è fatta. In precedenza eravamo già andati in gita a Chamonix e Courmayeur.
Io mi sono iscritto alla Cisl per la prima volta in quell’occasione, ma poi la seconda tessera l’ho fatta alla Sgorbati, quando nel '69 è venuto da noi un operatore che si era messo in contatto con alcuni rappresentanti sindacali e così mi sono iscritto alla Fim. Eravamo più di cento dipendenti, era una buona azienda che poi ho lasciato per avvicinarmi a casa. Lavoravo nove ore al giorno, su due turni, lo stipendio era discreto, ma quando facevo giornata lavoravo dieci ore al montaggio, in catena. Quando andavo in macchina erano ventidue chilometri di strada e quando non mi muovevo in automobile dovevo comunque usarla per andare alla fermata del pullman che poi mi portava a Rezzato. Fortunatamente, grazie all'iniziativa del sindacato, siamo riusciti ad ottenere la fermata davanti allo stabilimento, perché prima si fermava in paese e poi c'era un chilometro da fare a piedi.       

In Falck il salario era simile, ma si guadagnava qualcosa di più perché c'era il contratto aziendale e il premio di produzione. Abitavo a un chilometro e mezzo dalla fabbrica e quindi come finivo ero a casa. Quando sono entrato alla Falck sono stato avvicinato da un delegato della Fiom e così mi sono iscritto con loro, che erano maggioranza, anche perché non conoscevo molto le differenze tra Fim e Fiom. Poi mi sono avvicinato alla Fim, ma ormai si faceva la tessera Flm. Mi hanno proposto di fare il delegato e sono stato eletto, ma come addetto al fondo interno Fao (Fondo aziendale operai). Mi venne proposto questo incarico non per ragioni particolari, forse perché io non amo molto parlare in assemblea e mi piace di più il contatto diretto.
Il fondo dava un contributo per le spese mediche. L'operaio versava una quota e un'altra l'azienda, e il fondo interveniva per le cure specialistiche, in particolare per il dentista. Avevamo fatto delle convenzioni con alcuni dentisti e se l'operaio aveva bisogno pagava meno e anche a rate, mentre la spesa era anticipata dal fondo. I soldi venivano poi trattenuti sulla busta paga, ma i conteggi li facevamo noi come rappresentanti sindacali. Mi sono occupato del fondo per tre, quattro anni insieme ad altri due delegati della Fiom.
Poi sono passato al patronato. All'interno dell'azienda avevamo una persona che si preoccupava del controllo dei contributi e delle pratiche per la pensione. Il delegato che lo faceva era passato impiegato, ma al quel punto dovette lasciare questo compito, perché un giorno alla settimana doveva uscire in permesso sindacale per portare le pratiche alla sede del sindacato. A quel punto mi hanno proposto di sostituirlo ed io ho accettato, anche se non ne sapevo niente. Ho imparato presto questo nuovo compito e nel giro di breve tempo è cominciato un lavoro decisamente più impegnativo perché sono iniziati i prepensionamenti. Era iniziato lo smantellamento dell'azienda. Il processo di riduzione del personale è iniziato nel 1981. Una nuova legge, la 155, consentiva di andare in pensione a cinquantacinque anni con cinque anni di abbuono per arrivare a sessanta e così sono usciti i primi lavoratori. In quel momento la Falck dava anche degli incentivi all'esodo e sono uscite un sacco di persone. Poi è arrivata un'altra legge, la 193, che consentiva di andare in pensione all'età di cinquant'anni e dieci anni di abbuono.
Personalmente ho gestito quasi quattrocento prepensionamenti, dall'84 all’88. Ho fatto il patronato in fabbrica e ho continuato anche quando sono andato in pensione.
Nell'89 sembrava che le difficoltà si fossero bloccate e sono state fatte delle assunzioni, ma nel ‘91 è stata fatta una legge che prevedeva la possibilità di prepensionamento con trent’anni di contributi e sono usciti ancora più di cento persone. L'emorragia di posti è proseguita l'anno successivo. Nell'agosto del ‘92 se ne sono andati un altro gruppo di lavoratori e con il provvedimento della mobilità lunga a fine ‘93 sono uscite ancora altre persone con cinquant’anni di età e ventotto di contributi. In quell'occasione ci furono dei problemi perché uscirono dalla fabbrica operai più giovani mentre altri più anziani furono costretti a rimanere al lavoro. Qualcuno rimase in mobilità per cinque anni.

Il lavoro per il patronato non mi ha mai impedito di svolgere il mio compito di delegato di reparto e quando c'era qualche problema i lavoratori si rivolgevano a me, partecipavo a tutte le riunioni del consiglio di fabbrica. Quando finivo di lavorare, dopo aver smontato spesso mi fermavo in fabbrica più di un'ora per parlare con la gente. Così alla sera normalmente arrivavo a casa tardi. C'erano sempre problemi: per il rumore, il fumo, chiedere qualche piccolo aumento. Tutti questi problemi si portavano in consiglio di fabbrica, poi c'era l'esecutivo ed eventualmente si apriva una trattativa con la direzione, e quando negli incontri con la direzione si parlava di problemi del reparto Tula partecipavo anch'io alle riunioni. Ho sempre cercato di fare trattative, ma dall'81 la maggior parte della contrattazione riguardava il tentativo di mettere al sicuro più gente possibile.
Prima che si avviasse il processo di ristrutturazione ci sono state lotte anche aspre alla Falck, con il blocco delle portinerie e i picchetti. Il rinnovo del contratto aziendale era collegato a quello del gruppo e c'era un coordinamento sindacale. Ho partecipato al coordinamento quando si discuteva del Fondo interno nel periodo in cui me ne occupavo.
Gli aumenti salariali erano sempre concordati a Sesto San Giovanni e poi applicati anche a Vobarno. Noi partecipavamo alle trattative, ma queste avvenivano sempre a Milano. Solo verso la fine abbiamo trattato anche noi direttamente il premio di risultato.

Con l'azienda non ho mai avuto particolari problemi. Anzi, più di una volta mi venne proposto di fare il caposquadra, ma ho sempre rifiutato perché non si poteva essere delegati e capisquadra. C'è stato chi ha accettato lasciando il sindacato, ma la mia scelta è sempre stato l'impegno sindacale.
Alla fine del '91 la Cisl, il comprensorio del Garda, mi ha proposto di uscire per occuparmi del patronato e anche se guadagnavo di meno ho rifiutato l'ennesima proposta aziendale e sono andato a lavorare alla Cisl. Anche perché non sono portato a comandare, a dire alle persone fai questo o quello. Piuttosto che chiedere a uno di farmi un lavoro, lo faccio io.
Nell'85 abbiamo dovuto fare la scelta tra le varie sigle dopo la Flm. In quel momento noi eravamo più deboli della Fiom: eravamo 160 o 170 ma un po' alla volta, con l'impegno di tutti, siamo cresciuti e siamo arrivati allo stesso numero della Fiom, con poco più di 300 iscritti. Io ero convinto che fosse una bella cosa avere tanti iscritti, ma questo voleva dire impegnarsi un po' di più tutti e questo lo dicevo ai miei amici della Fim. I lavoratori si iscrivono perché sanno che offriamo un servizio, ma se io lo prometto e poi al momento in cui serve mi tiro indietro, questo non va bene.
Quando si è trattato di scegliere tra una sigla e l'altra c'è stato un po' di malumore tra i lavoratori, che ci dicevano che non avremmo dovuto dividerci. Io spiegavo che anche prima nella Flm le diverse anime c'erano, che il sindacato era unitario ma non unico. Anzi forse è meglio adesso, che ci presentiamo ognuno per quello che siamo.
A livello di gruppo avevamo un monte ore concordato per l'attività sindacale che corrispondeva a quattro o cinque ore per dipendente, poi c'erano altre ore a disposizione del coordinamento e dell’esecutivo. Le ore da gestire erano tante e quindi contare di più era importante. Noi, nel primo periodo dopo la Flm, quando gli iscritti erano pochi, ci siamo trovati con poche risorse rispetto a quelle di cui disponevamo abitualmente.
La Cgil aveva dei bravi leader, bravi oratori, che sapevano parlare alla gente, anche se non sempre raccontavano la verità, ma erano creduti e avevano un grande seguito.
Però in Falck non abbiamo mai fatto scioperi separati e tra noi e la Fiom è sempre stata trovata un'intesa.

Ho fatto parte del direttivo provinciale della Fim. Ho partecipato alle battaglie interne alla Fim , ma non essendo un politico non è che ne capissi molto. Io avevano le mie idee, ma ho sempre cercato di sostenere coloro che mostravano di avere delle capacità di guidare il sindacato e rappresentare al meglio i lavoratori al di là delle diverse posizioni.
Non ho mai avuto altri impegni fuori dal sindacato, anche perché non ho mai avuto il tempo e continuo a non averne. Facendo il patronato in valle devo essere un po' malleabile e non faccio solo pratiche, faccio le denunce dei redditi, sostengo la Fim.

Il giorno di Piazza della Loggia avevo fatto lo sciopero, ma ero rimasto a casa e non sono andato alla manifestazione. L'ho saputo alla televisione e al rientro in fabbrica abbiamo organizzato una manifestazione in paese. Lo stesso abbiamo fatto quando c'è stato il rapimento Moro.
C'è stato un periodo in cui eravamo forse esagerati con gli scioperi, perché era sufficiente che ci fosse qualcosa che non andava, anche fuori dalla fabbrica, perché di decidesse di scioperare. La sinistra spingeva di più per farli, ma si partecipava tutti. Mi ricordo che abbiamo fatto sciopero quando i tennisti italiano sono andati a giocare nel Cile di Pinochet.

Sono sposato e ho un figlio. Mia moglie si lamenta sempre perché non sono mai a casa. Forse più adesso che sono in pensione di prima quando lavoravo. Più volte mi ha detto di smetterla.
Nel mio impegno sindacale ho avuto gratificazioni e riconoscimenti ma ho trovato anche persone che non capivano la mia fatica e in quelle occasioni mi chiedevo perché continuare.
Mio figlio lavora ma non si interessa di sindacato e io vengo da una famiglia che non era molto portata verso il sindacato. Mio padre, che ha sempre lavorato in Falck, credo non abbia mai pensato al sindacato. Anche allora c'erano uscite concordate con un piccolo incentivo e lui ha lasciando l’azienda nel ‘62 a cinquantotto anni.
Il mio hobby è andare a vedere le gare di formula uno. Sono quarant'anni che vado sui diversi circuiti. Ho iniziato a Monza quando avevo diciotto anni e quando posso vado. Sono stato a Montecarlo, in Austria ed è difficile che mi perda un gran premio alla televisione. Al sabato e alla domenica poi lavoro nel mio piccolo pezzo di terra con quattro filari di viti, dove c'è sempre qualcosa da fare.