mercoledì 13 maggio 2020

PIETRO BIFFI - Ercole Marelli – Sesto San Giovanni (Mi)

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro "Dall'oratorio alla fabbrica. Il sindacato bianco nella Stalingrado d'Italia", di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2007

Sono nato il 18 aprile 1946 a Calusco D'Adda, ottavo di 14 fratelli. Ho studiato fino alla quinta elementare e poi ho frequentato le serali per disegnatore meccanico nella scuola professionale Enaip del paese.

La prima esperienza di lavoro l’ho fatta all’età di 10 anni e mezzo, come calzolaio. Dopo pochi mesi sono andato a lavorare in nero a Lissone come falegname, dove sono rimasto fino a 13 anni e mezzo. Poi sono arrivato a Milano, a Porta Ticinese, occupato presso un artigiano con il quale andavo nei cantieri a verniciare le porte. Partivo da casa alla mattina presto e tornavo la sera tardi. Ho lasciato quel posto perché non sopportavo più gli odori che avevo addosso e che, quando salivo sul tram, tutti sentivano. Nel 1960, a 14 anni, ho trovato un’occupazione in una piccola azienda elettromeccanica milanese dove si costruivano motori elettrici. Sono stato assunto regolarmente e ho frequentavo i corsi per apprendisti. Sono rimasto lì per circa un anno, fino a quando mi sono trasferito a Macherio, in un’azienda che fabbricava manubri per biciclette e telai per l’Autobianchi, poi mia mamma mi ha trovato un posto a Ponte San Pietro, dove costruivano mobili per ufficio, che però non mi piaceva, anche perché ormai mi sentivo attratto dalla grande città. A 16 anni e mezzo sono entrato alla Ercole Marelli, era il 21 novembre 1962.
Mi hanno preso come aggiustatore meccanico, anche se stavo ancora frequentando la scuola serale di disegnatore. Dopo sei mesi sono passato a fare il tracciatore e ho sempre fatto quel lavoro. Un mestiere che mi ha appassionato. Un anno dopo mi sono diplomato e sono stato premiato dall’azienda al museo della Scienza e della tecnica di Milano. Il mio salario mensile era di 25mila lire, il premio è stato di 40mila lire. Sono entrato come manovale e nell’arco di pochi anni, a 21, ero operaio specializzato di primo livello. Però non c’erano altre possibilità di carriera, quello era il massimo e da lì non mi sono più mosso.
Lavoravo al II^ stabilimento, nella grossa meccanica. Nel 1985 il mio reparto è passato alla Franco Tosi e più tardi alla Abb, dove sono rimasto fino al 1996. La Ercole Marelli era morta definitivamente un anno prima.

Ho conosciuto il sindacato prima di entrare in Ercole Marelli. Quando sono andato a lavorare a Macherio, mia mamma, senza dirmelo, mi ha iscritto alla Cisl. Dopo qualche tempo è arrivato da me il principale e, mentre stavo lavorando al tornio, mi ha dato un calcio nel sedere e mi ha urlato: “Ma chi ti ha detto di iscriverti al sindacato?”.
In Marelli, il primo giorno di lavoro ho rischiato di finire appeso a una gru perché non avevo partecipato a uno sciopero che nemmeno sapevo ci fosse. Una vertenza che si è conclusa dopo oltre 100 ore di sciopero e che mi ha portato un aumento di 12 lire e mezzo. Stavo lavorando quando è arrivato un gruppo di operai che gridavano “sciopero, sciopero”, ero dentro una carcassa di metallo e loro per tirarmi fuori hanno preso la gru, allora mi sono bloccato e ho chiamato il caporeparto che mi ha detto di smettere di lavorare, ma di rimanere in reparto e così ho fatto.
Sono diventato delegato nel 1976, non ero convinto ma mi sono trovato eletto con un mucchio di voti. Ho avuto l’incarico di responsabile organizzativo del consiglio di fabbrica, dove per ben tre volte la Fim è diventata maggioranza, nonostante la Fiom avesse più iscritti. Loro puntavano sul leader, che doveva trascinare tutti gli altri, noi curavamo i singoli delegati nei vari reparti e questo ci ha premiati.
Quando sono entrato in Marelli eravamo 6.850 dipendenti e siamo arrivati fino ad un massimo 7.250. La crisi è esplosa nel 1980. Abbiamo vissuto sei mesi senza prendere lo stipendio e un altro anno e mezzo in cui prendevamo solo degli acconti. Periodicamente, però, siccome si lavorava su commessa, quando c’erano degli ordini si dovevano evadere in fretta, così facevamo gli straordinari e quello ci consentiva di prendere lo stipendio.

Il rapporto tra Fim e Fiom, appena entrato in fabbrica, era di scontro. E’ stata dura. Un cislino, cattolico praticante, democristiano convinto, in quegli anni non era ben visto. Ho combattuto battaglie forti, scontri ideologici, ma col passare del tempo sono caduti i muri nei miei confronti perché con la coerenza dei comportamenti è arrivato anche il rispetto. 
Nel 1984, in occasione dello scontro sulla scala mobile, eravamo nel pieno della crisi aziendale. Era finita l’esperienza unitaria della Flm e abbiamo concordato di lavorare insieme sui problemi della fabbrica, lasciando fuori dai cancelli le questioni ideologiche. Ne abbiamo discusso in un consiglio di fabbrica durato dalle nove del mattino alle undici di sera senza interruzione, abbiamo sostenuto un confronto forte, con qualche dubbio anche da parte mia sulla posizione della Cisl, ma alla fine abbiamo scelto di non dividerci per continuare nella lotta che riguardava la Ercole Marelli.
In azienda operavano le cellule del Pci e del Psi. L’influenza della cellula del Pci si sentiva anche nelle vertenze aziendali non solo sulle vicende politiche, ma a parte i pochi che erano più legati al partito, il rapporto sindacale tra le organizzazioni prevaleva sull’appartenenza politica. Un ruolo molto attivo le cellule lo hanno avuto nella gestione della crisi e del successivo commissariamento.
Erano presenti anche gruppi extraparlamentari, da Lotta comunista e Potere operaio. Si facevano sentire e gli attivisti cercavano di trascinare gli operai, ma nelle assemblee non incidevano mai più di tanto. Sono sempre rimasti in un numero ridotto.

Nei reparti c’erano le Brigate Rosse. Quando hanno ucciso il dott. Renato Briano, il 12 novembre 1980, più di una volta abbiamo trovato nei cassetti del consiglio di fabbrica dei volantini e dei proclami delle Br. Erano di carattere generale, ma contenevano anche indicazioni relative alla Ercole Marelli. Non sapevamo chi fosse a metterli e non abbiamo mai sospettato di nessuno. Poi ne è stato individuato uno che lavorava in pressofusione. E’ stato scoperto dalla fidanzata che lo ha denunciato. Non sappiamo se abbia preso parte o meno all’attentato, ma certamente passava delle informazioni. Anche se non era delegato, partecipava alla riunioni del consiglio di fabbrica e noi non abbiamo mai avuto dubbi o sollevato obiezioni alla sua presenza.
Ci sono stati anche atti di sabotaggio, hanno fatto saltare due turboalternatori, ma senza che siano mai stati individuati i colpevoli. C’erano stati altri episodi: tubi che si rompevano, pezzi di ferro nelle macchine. Si sospettavano alcune persone, ma non si trovava il responsabile.
Qualche anno dopo, nel 1986, ‘87, per diverse volte vennero fatti saltare dei quadri elettrici. Avveniva nel reparto dove c’era la presenza più forte della cellula comunista e dopo alcune indagini scoprirono l’autore, che venne licenziato in tronco. Era un ragazzo di estrema sinistra, un romano, con una situazione personale difficile. Quella notte non ho dormito, mi ricordavo la frase che mi aveva detto Aldo Ripamonti, vecchio rappresentante della Cisl in azienda, che una persona, anche se ha sbagliato, va aiutata. Ne ho parlato con il direttore del personale e gli ho chiesto di ritirare il licenziamento. Io vedevo quel ragazzo come un cretino che aveva fatto una stupidata, ma nient’altro. Dopo un’ora di discussione anche aspra, sono riuscito a evitare il licenziamento. Il ragazzo è stato trasferito con cinque giorni di sospensione, e la faccenda si è chiusa così.

I nostri attivisti, a Sesto, erano informati dei contrasti che c’erano tra noi e la Fim provinciale. Informavo anche gli iscritti dentro la Ercole Marelli. Ho fatto io la denuncia contro Tiboni. Questa vicenda, però, non ha influito sulla gestione delle questioni aziendali, perché noi scavalcavamo sistematicamente il provinciale, rivolgendoci al regionale o al nazionale.
Non ho una valutazione particolarmente positiva dell’amministrazione comunale. C’era un progetto che prevedeva la reindustrializzazione dell’area della Ercole Marelli, ma alla fine è scomparso. Come Cisl ci siamo battuti per difendere quel progetto, ma la Cgil non ci ha sostenuti e si è schierata con il Comune.
Non ho mai avuto contatti con il mondo cattolico sestese. Le parrocchie di Sesto non si sono mai viste e non ci hanno dato nessuna mano. Ho avuto qualche rapporto con la Pastorale del lavoro diocesana.
Non ero presente all’incontro con il Papa perché ero malato, però la sua presenza ha portato una grande forza, perché eravamo nel periodo peggiore della nostra crisi. La parole del Papa ci hanno dato un po’ di fiducia. Anche l’area comunista ha vissuto molto bene la venuta dal Papa e molti hanno partecipato all’incontro.