venerdì 10 aprile 2020

MONS. TERESIO FERRARONI - Raggi bianchi, Acli - Lecco

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Nato a Gaggiano, Milano, il 8.12.1913. Ordinato sacerdote il 6.6.1936.
Laureato alla Gregoriana in diritto canonico. A Lecco dal 1940 al 1958. Prevosto di Sesto San Giovanni dal 1958. Vescovo ausiliario di Milano dal gennaio 1967. Dal principio del '66 alla fine del '70 in Curia a Milano, come provicario e come vescovo ausiliario. Quindi vescovo di Como per 18 anni.


La città di Lecco 50 anni fa era un borgo che si avviava a diventare città, non come adesso. Era una città perché era stata definita tale. In realtà era un agglomerato di rioni. Una grossa unità civica non c'era. Era la classica città di provincia dove nulla di grande c'era. Il fascismo. Si, certo Lecco era fascista durante il periodo del fascismo, ma un fascismo abbastanza all'acqua di rose. Quando poi ci si avvia a un mutamento ci si è avviati con discreta tranquillità. Io non condivido le valutazioni che a volte si fanno e che fanno della città di Lecco una città rivoluzionaria, dove è nato un grande movimento in contrapposizione al fascismo. E' una città che sì è avviata al mutamento perché era ovvio che avvenisse così. Qui si stava bene, tenuto conto del livello di quei tempi. Io c'ero. Sono arrivato a Lecco nel 1940, ero in collegio Volta, in una zona protetta e ci sono stato fino al 1945 e vedevo la città da un punto di vista un po’ borghese. Gli alunni del collegio, la scuola tecnica di ragionieri e geometri, dove facevo scuola di religione. Vedevo la città un po’ dal punto di vista di piccoli gruppi universitari. Mi sembrava una piccola città di provincia, tranquilla. Ne entusiasta del fascismo, assolutamente, ne presa da una volontà antifascista. Una città dove si stava bene. Una città vivibile. Una bella città, con questi rioni staccati uno dall'altro, non come adesso. Si andava al Castello, si andava ad Acquate, si andava a Olate, si andava a Maggianico. Quelli venivano a Lecco. Anche nel linguaggio era così. Molti erano stati comuni autonomi. Soprattutto erano parrocchie autonome e questa situazione si era mantenuta. Ogni parrocchia viveva a se stante, una unità cittadina vera e propria, anche dal punto di vista cristiano, non esisteva. Non c'era una unità pastorale. Ogni parrocchia gestiva se stessa.

Erano relativamente cristiane perché nel periodo precedente a quello fascista, dalla fine della prima guerra mondiale al 1940, s'era verificato un cambiamento notevole a Lecco. Da città radicai socialista che era ai tempi di Cermenati, con manifestazioni anticlericali piuttosto violente in occasione della venuta in visita pastorale del card. Ferrari, in occasione della benedizione delle campane dell'attuale campanile di S. Nicolò. A poco poco si era trasformata per l'opera di alcuni sacerdoti che, attraverso in modo particolare l'oratorio di S. Luigi che si trova al centro di Lecco e dove confluivano un po’ da tutte le parti, s'era creata una certa trasformazione cristiana. Quindi il clima anticlericale si era svelenito e il cristianesimo era sereno, pacato, molto intenso dal punto di vista ritualistico, sacramentale e religioso. La Chiesa della Vittoria, per esempio, era un centro di vita sacramentale intensissima.. Proprio una città buona, però senza grandi entusiasmi anche nel mondo cattolico. L'azione cattolica c'era, ma era parrocchiale, quindi quelli di San Giovanni non avevano niente a che fare con quelli di Acquate, erano gruppetti sparsi.
Questo mi pare il tono generale che mi pare indicativo di come la città di Lecco abbia vissuto il trapasso dal periodo bellico al periodo postbellico. Non vi è stato un trapasso eroico. Oggi si tende a far diventare tutto eroico. Gesti eroici ci sono stati, anche con generosità, ma non bisogna fare un eccesso di enfasi. Ho vissuto dal 1956 a Sesto San Giovanni e se si possono paragonare le due situazioni possiamo dire che a Sesto dal ‘40 al ‘48 si era vissuto un'epopea, a Lecco un trapasso.
Una città tranquilla, una città operosa, con una sua vivacità rionale, ma che non aveva una grossa unità, da nessun punto di vista.

Al mio arrivo a Lecco nel '40 ritenevo che la mia situazione fosse provvisoria. Sembrava che fossi destinato ad altra storia. Ero stato mandato a Roma a laurearmi in diritto canonico quindi tornavo finiti gli esami a metà giugno, proprio subito dopo il discorso del 10 giugno di Mussolini in Piazza Venezia. C'ero anch'io a sentirlo in piazza, bigiando la scuola. Pensavo ad una tappa provvisoria, per pochi anni. Al collegio Volta insegnavo lettere e facevo un po’ di filosofia, insegnavo religione alla scuola pubblica.
Invece mi sono fermato per 18 anni. In quei primi anni io mi consideravo provvisorio e quindi chiuso nel collegio. Non avevo contatto con le parrocchie se non quando mi chiamavano per la predicazione, per le quarant'ore, i quaresimali. Questo mi è servito per avere un rapporto molto buono con tutte le parrocchie, meno con la parrocchia centrale che era già strutturata per conto proprio. Mi sono trovato quasi senza che me ne accorgessi nel movimento operaio. Con molta passione, pur non avendo una grossa preparazione, perché a Roma avevo conosciuto, alla Gregoriana, attraverso amici, i movimenti operai, belgi e francesi, in particolare, e mi ero un po’ appassionato. Mi passavano delle riviste sull'Azione cattolica operaia, sulla Jeunesse ouvrière catholique che leggevo con interesse mentre noi in Italia eravamo molto provinciali. Col fascismo di problemi sociali non se ne parlava neppure nei seminari diocesani. C'era scarsa preparazione.

Quando nel '43 c'è il primo cambiamento con la caduta del fascismo nasce in me il desiderio, il bisogno di interessarmi del mondo operaio e rinasce in me quella sorta di passione, di vocazione che ho avuto negli anni dello studio. Si può dire che è in quel periodo che incomincia un lavoro organico e serio: quello dei raggi.
Il raggio era una espressione dell'azione cattolica attenta al problema del lavoro. Si costituiva nelle fabbriche di una certa entità un piccolo gruppo di persone. La parola raggio fa pensare ad un centro. Il centro era l'Azione cattolica e il pensiero sociale cristiano che andava prendendo piede. Durante il periodo fascista se ne è parlato poco, ma durante la guerra si è cominciato a parlare di pensiero sociale cristiano. Sotto la spinta anche dei grandi discorsi natalizi di Pio XII che diventavano per noi fascinosi, che ci facevano vedere qualcosa da lontano.
Il raggio era la proiezione di questo nucleo ideale che si concretizzava nelle diverse fabbriche. Nascono nelle fabbriche intorno agli anni '40. Il sacerdote era a contatto con diversi di questi raggi e si formava quindi un insieme. I raggi partivano dunque da un punto comune per trovarsi in un luogo comune. Però i raggi avevano una qualificazione etico religiosa e non politica. Si parlava di presenza cristiana nel mondo operaio. Solo in un secondo tempo questo gruppo acquisisce una dimensione e un contenuto socio-politico, sollecitati dalla situazione che si stava determinando nel paese. Quindi si caricano di nuovi contenuti, si parla di democrazia, di possibile sindacato. I gruppi di lavoratori cristiani che si ritrovano nei raggi cominciano ad interrogarsi su quanto sta avvenendo intorno a loro.
Nel 43 quando il fascismo crolla, questi gruppi parlano di questo. Quando si riunivano con me non si parlava solo di fare meditazione, di capire il significato religioso del lavoro, del lavoro come contributo alla redenzione, alla creazione. Ma si comincia a dire: e adesso? Cosa facciamo? Siamo amici, siamo insieme e cosa diciamo di fronte ai problemi nuovi che si affacciano?
I raggi erano presenti in quasi tutte le grandi aziende: Badoni, Fiocchi bottoni, Fiocchi munizioni, Metalgraf, Caleotto, Arlenico, File. Fuori Lecco poco perché non ci si poteva arrivare. L'unico mezzo di trasporto era la bicicletta. Fino a Mandello, alla Moto Guzzi dove c'era un forte gruppo cristiano. In Brianza non si arrivava. Si arrivava fino a Valmadrera.
Il fatto di avere raggi attivi in diverse fabbriche ed abitando i componenti in diverse parrocchie, questi creano una certa unità cittadina, contribuiscono a fare unità. Ciò che prima non c'era viene favorito dai raggi. Ognuno di questi lavoratori portava poi nella sua parrocchia i discorsi che si facevano in fabbrica. Sono stati uno strumento valido per fare un certa unità.

Parte da qui un cammino con ritmi diversi. Un primo approccio ai problemi socio politici si ebbe per un brevissimo, tempo dal luglio al settembre. Poi di nuovo l'oppressione, dal settembre '43 all'aprile '45, che però a mio modo di vedere rappresenta il periodo più intenso, il periodo nel quale ormai si pensava al domani. Ormai si capiva che la Repubblica sociale non era perenne, che la guerra andava a finire ; in una certa maniera. Anche i raggi, quindi, si caricavano di questa problematica.
Non so, non mi risulta che nelle fabbriche si creassero dei nuclei differenti. L'idea di base, di fondo era marxista, è ovvio perché il movimento operaio era così. Infatti noi nascevamo per portare il messaggio cristiano, però non mi risulta che ci fosse un grande fermento. C'era. Infatti abbiamo avuto anche noi i nostri deportati politici per gli scioperi che si sono fatti in quel tempo. Abbiamo avuto anche noi i nostri morti nei campi di concentramento in Germania, ma non risulta che ci fosse un fermento diffuso. Probabilmente c'era un'idea. Quest'idea largamente accolta, soprattutto nella vallata, in alcune zone di Lecco, forse non creava l'urgenza di creare un gruppo specifico. Quindi il movimento marxista nasce di più come movimento cittadino e non localizzato come era invece quello cristiano. Mentre era scontato che l'operaio fosse orientato in quella direzione e quindi seguiva delle indicazioni più generali e non sentivano neppure l'urgenza di creare questi gruppi che noi chiamavamo raggi. I famosi gap, c'erano certo, ma non era una presenza che si sentiva. Qui di gruppi rivoluzionari all'interno delle fabbriche non mi risulta che ce ne fossero. Anche se il movimento marxista era certamente diffuso.
Noi cattolici qui a Lecco l'unità sindacale l'abbiamo vista molto bene, eravamo convinti del valore dell'unità sindacale, per cui nel '45 noi aderimmo all'unità sindacale senza nessuna discussione. I raggi a quel punto diventano nuclei Acli e l'insieme dei raggi diventano le Acli. Le Acli nascono dalle fabbriche e diventano movimento. Almeno nel lecchese, perché a Como, dove sono stato vescovo per 18 anni, ad esempio, l'esperienza è diversa. Lì le Acli nascono dalla parrocchia, quindi diventano un movimento sul territorio.

L'unità sindacale noi l'abbiamo accolta bene. Achille Grandi, comasco, primo presidente delle Acli, era stato uno degli artefici dell'unità sindacale. Intanto sapevamo che Roma l'aveva accettata, evidentemente la Santa sede ha dato il nulla osta a che i cattolici aderissero all'unità sindacale ponendo un po’ la condizione che il mondo cattolico avesse una sua organizzazione capace di fermentare l'unità sindacale, le Acli appunto. Nel '45, pochissimi giorni dopo il 25 aprile, quando il sindacato unitario nasce, anche noi abbiamo due rappresentanti che fanno parte del comitato senza nessuna opposizione al nostro interno. Nessuno di noi ha avuto riserve nei confronti dell'unità sindacale. Direi anzi che, fatte salve le opinioni differenti, e le metodologie che piano piano all'interno delle fabbriche si differenziavano, a noi l'unità era gradita.
Nei primi anni le Acli e la corrente cristiana nel sindacato coincidevano e questo gruppo discuteva del problema sindacale e questo problema era poi portato nel sindacato unitario con quelle contrapposizioni che a Lecco non sono mai state drammatiche. Non abbiamo mai avuto grossi scontri con comunisti e socialisti. Non è mai stata una città passionale, pur essendo ima città industriale, fortemente industrializzata. Per cui, quando nel '48 si è avuta la [rottura, direi che noi ci abbiamo sofferto, non l'abbiamo voluta. Localmente si andava anche bene, c'erano contrapposizioni, ma mai violente. Io personalmente, che ero assistente delle Acli ed essendo stato l'iniziatore avevo una certa influenza, avevo ottimi rapporti con Gabriele Invernizzi che era il segretario della Camera del lavoro. Siamo rimasti amici anche dopo, ci davamo del tu. Ma non c'è mai stata una contrapposizione feroce fino alla rottura dell'unità sindacale. Dopo la rottura la storia cambia.
La rottura è decisa dalla corrente sindacale cristiana che ormai ha già una certa autonomia. Non è che le Acli abbiano deciso la rottura, è la corrente sindacale cristiana, che al congresso di Firenze della Cgil ha avuto un grande scontro e poi sono arrivate le vicende legate all'attentato a Togliatti.
In quel momento avviene di fatto ima separazione tra la corrente sindacale cristiana, nella libera Cgil prima e nella Cisl poi, e le Acli che assumono caratteristiche diverse. La Cisl diventa sindacato e le Acli luogo di elaborazione di idee e strumento di servizio. Nel '48 sono già due identità quasi separate, un po’ differenti, anche se è chiaro che il segretario della corrente sindacale cristiana non era autonomo nei confronti delle Acli in senso pieno.
La rottura ha creato delle tensioni. A me non risulta che le tensioni siano diventate violente. Noi comunque abbiamo sofferto. Ci siamo sentiti praticamente estromessi e abbastanza brutalmente estromessi, con un decisione arrivata dall'alto che noi abbiamo accettato e abbiamo cercato di creare una nostra autonomia con i pochi mezzi che avevamo, sia finanziari che di comunicazione. Il mezzo più veloce che ho avuto da Colico a tutta la Brianza, fino a Casatenovo, fino a Lomagna era il Guzzino. La prima volta che ho avuto una 600 da guidare è stato nel 1956.
Quindi prima la bicicletta, poi il Guzzino, poi il Galletto. I mezzi erano scarsi, però con questi scarsi mezzi, avendo i nuclei nelle fabbriche noi arrivavamo abbastanza rapidamente ad informare perché si arrivava in fabbrica e poi erano gli stessi lavoratori che diffondevano le informazioni nelle diverse parrocchie in cui vivevano. 'Quindi la nostra rete di comunicazione era costituita dalle stesse .persone.

Nel '45, uscito dal collegio, ero un sacerdote responsabile dei movimenti cattolici che sorgevano nel dopoguerra. Non ero ne parroco ne coadiutore. Seguivo Fuci, scout, lo scoutismo femminile è nato qui, i comitati civici. Tutti i movimenti non parrocchiali.
Oggi io vedo l'unità sindacale come una necessità. Da vecchio che ha lavorato in questo campo, vedo la frantumazione del sindacato come un male. Come vedo un male qualunque frantumazione. Non si può più vivere l'unità come allora, ma l'unità deve essere un punto di vista e un'opinione in tutti i campi. Ciò che mi spaventa è la frantumazione, in tutti i campi, non c'è tensione verso l'unità. Noi eravamo più poveri, ma più uniti. Oggi c'è una ricchezza maggiore ma c'è una dispersione. Alla fine c'è una maggiore povertà. Allora si discuteva per trovarsi ad un punto di convergenza. Oggi si discute per separarsi.