venerdì 10 aprile 2020

PIO BARTOLOMEO GAGGIA detto MEO - Imec, Filta – Paderno D’Adda (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Sono arrivato al sindacato a tempo pieno nel febbraio "64. Qualche mese dopo ho sostituito Appiani che andava militare, a seguire i poligrafici e l'abbigliamento. Storicamente a Lecco le aziende dell'abbigliamento e quelle poligrafiche erano concentrate nella zona di Merate e chi seguiva un settore si occupava anche dell'altro. L'abbigliamento allora non era nella categoria dei tessili, ma era a se stante. Noi avevamo a Paderno d'Adda la Imec che occupava circa 1.200 lavoratori, una delle maggiori fabbriche del settore, leader nel settore della biancheria intima e della corsetteria.


Quando sono arrivato io, c'era una situazione strana, alla Imec era stato fatto un accordo aziendale ma sottoscritto dal segretario nazionale di categoria della Cisl. Accordo che era sotto accusa all'interno del sindacato per due ragioni: uno per il metodo con cui era stato raggiunto che era stato considerato un metodo da sindacato giallo; secondo perché era un accordo sui cottimi e il tempista che avrebbe dovuto controllarli i tempi era un dipendente della categoria nazionale della Cisl abbigliamento. La cosa non era molto pulita, dal punto di vista dei rapporti politici interni e c'era abbastanza guerra interna in casa della categoria Cisl, guerra di linea politica, di atteggiamento. La Cgil era completamente assente. In sede locale, tra l'altro, io mi trovavo in un direttivo di categoria provinciale in cui erano praticamente tutti della Imec, salvo un rappresentante della Diana di Merate. Durante gli scioperi per i rinnovi dei contratti nazionali questi non partecipavano. L'allora segretaria della sas era il capo del personale, con una aggravante formale. In busta paga, per la trattenuta sindacale, non c'era scritto sindacato ma Cisl. La Cgil era esclusa. Abbiamo avuto notevoli contrasti tra struttura sindacale esterna e gruppo dirigente sindacale interno. I lavoratori erano tenuti in disparte, perché li regnava il terrore. Se io andavo a parlare con alcuni lavoratori, dopo un po’ mi sono accorto che se volevo che qualcuno parlasse non dovevo farmi vedere fuori dalla fabbrica. Per cui siamo arrivati a fare riunioni di nascosto, carbonare, con qualcuno interno iscritto alla Cisl che voleva cambiare la situazione.

Nell'ambito del congresso nazionale di categoria avevano tentato di tagliarmi fuori. Coll'andar del tempo, con un po’ di gente che ero riuscito a recuperare, un po’ che la gente all'interno cominciava a non sopportare più questa situazione in cui non si capiva più bene chi era il sindacato e chi era il padrone, la cosa si è modificata.
Il momento in cui c'è stato il cambio è stato quando la Imec decise il trasferimento a Carvico, in provincia di Bergamo.
Prima, quando cominciava a incrinarsi il fronte interno, come era ovvio cominciava ad organizzarsi una certa presenza della Cgil. Un po’ per reazione, un po’ perché altre idee erano presenti in azienda, ma non avevano mai potuto esprimersi. Anche a livello provinciale la situazione stava cambiando, c'era stata l'unificazione coi tessili e quindi avevano perso la loro egemonia all'interno della categoria. Quando c'è stato il trasferimento la presenza Cgil non era ancora ben consolidata, anche se ormai cominciavano dentro il sindacato le iniziative unitarie, si era deciso di andare a fare una verifica del tesseramento rispetto alla effettiva volontà dei lavoratori. A quel pianto, però, intervenne un contrasto tra la Filta di Lecco e quella di Bergamo, perché mentre io sostenevo che sarebbe stato utile e opportuno fare questa verifica il più presto possibile, loro nicchiavano perché si vedevano arrivare in casa una bella fetta di iscritti.
Fu un trasferimento quasi totale degli operai. A Paderno rimasero gli uffici e poco altro. Con il trasferimento la Imec divenne una fabbrica normale.
Prima era una fabbrica dove bisognava fare i picchetti quando c'erano gli scioperi, con qualche difficoltà in più rispetto alle altre perché le operaie arrivavano con i pullman dell'azienda che fermavano sul piazzale per farle scendere ma nei giorni di sciopero i pullman entravano e noi con la macchina a fare la gimcana per impedirgli di entrare. Era un bello spettacolo, assai spettacolare.
Questa situazione si era creata perché questa era un'azienda che si buttava sul mercato, aveva attenzione all'immagine e quindi puntava a presentarsi, anche dal punto di vista sindacale, come una fabbrica moderna, dove non si facevano scioperi, dove si stava bene, dove c'erano le tre gemelle. Quindi un sindacato di quel tipo gli andava bene.

Tutte donne. Anche la commissione interna era fatta da tutte donne, salvo due uomini tra gli impiegati.
Imec = Colnaghi.
Le paghe erano buone. Siamo brava gente, attenti ai problemi dei lavoratori.
Tutta la Cisl lecchese è stata coinvolta in questa vicenda. Allora il collante Cisl era più forte di adesso. Allora uno era della Cisl, poi era metalmeccanico, tessile, ecc.
Mi ricordo anche dimostrazioni plateali, nel corso del consiglio generale Cisl, arriva la segretaria della sas, capo del personale della Imec, che si alza e va a sbattere sul tavolo il pacco dei contributi delle tessere per dire "pesiamo".
Sono proprio due i fatti che hanno contribuito a creare il cambiamento: in qualche modo qualcosa che siamo riusciti a creare all'interno e l'altro l'unificazione coi tessili, con la conseguente perdita di ruolo nella categoria.
Prima ho lavorato in una azienda metalmeccanica di Mandello, la Cemb, costruzioni elettromeccaniche ing. Buzzi.