sabato 18 aprile 2020

GIACOMO RUSCONI - Riva – Suello (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Nato a Valmadrera il 24.5.1926. Ho cominciato a lavorare a 14 anni in una piccola azienda a Valmadrera doveva costruivano catene, li sono rimasto fino a quando sono stato deportato in Germania nel 1943. Era un lavoro pesante, davanti al fuoco, un operaio con il martello e due con la mazza. 

Sono stato rastrellato a Malgrate senza una ragione particolare e portato a Sesto Marelli dove riunivano tutti quelli che dovevano mandare in Germania e deportato. Sono stato internato in un campo di concentramento e poi sono passato sotto il controllo dei russi, che non mi lasciavano più venire a casa. 

Quando sono rientrato, alla fine della guerra, sono tornato a lavorare al Catenificio Moro. Ho lavorato dal 46 fino a quando mi sono sposato nel 1955. 

Poi sono passato a lavorare in un'impresa edile, Impresa Riva, di Suello. Un'azienda di 30 persone. Facevo l'autista e portavo mattoni e sabbia. In quegli anni ho incontrato Luigi Bonanomi, primo segretario della Filca, mi sono iscritto alla Cisl, e ho cominciato ad occuparmi di sindacato e ad aiutare a fare il tesseramento, ma non nella mia azienda, dove non ho mai fatto niente perché era dei genitori di mia moglie. Gli edili nella Cisl erano piccoli, avevamo una stanzetta senza macchina da scrivere. Organizzavamo delle riunioni di studio di due, tre giorni. Erano tempi duri e bisognava fare i salti mortali. 

Già prima andavo a fare tesseramento alle fornaci di Briosco. Si andava lì mentre si fermavano a mangiare un po’ di formaggio, facevamo le tessere soprattutto intervenendo per chiedere l'applicazione della paga contrattuale. 

La Filca ha dato vita alla cooperativa Filca, poi ha fatto il passo più grande della gamba. 

La mia è stata una scelta ideale, al di fuori dei problemi della mia azienda. Vedevo che le cose non andavano bene e sono andato a cercare il sindacato per tentare di cambiare la situazione. Ma avevo le mani legate. Andavo a prendere le tabelle delle paghe del sindacato, che avrebbero dovuto essere più alte di quello che ci davano, e le mostravo ai miei parenti. Ma loro mi rispondevano sempre "se vuoi è così". A volte a fine mese non mi davano lo stipendio, ma pagavano gli altri e io non dicevo niente perché ero in casa con loro. 

Capitava però che parlando con gli operai che lavorano con me li informavo sugli scioperi programmati, loro dicevano al titolare "Domani non lavoriamo perché l'ha detto Giacomo”. Così la sera a cena mio suocero, mia suocera e mia moglie mi dicevano “non fare così” e mi davano addosso. 

Con i miei parenti ho litigato tante volte per il sindacato. In famiglia erano tutti contro il sindacato, mia sorella, mia cognato e quando entravo in casa mi dicevano, bella fatica andare in giro tutto il giorno e star fuori casa a mangiare. Non capivano che cosa volesse dire fare il sindacalista. 

Un giorno la sorella di mio suocero, che lavorava in un'impresa di Valmadrera, la trovo alla Cisl e le chiedo cosa fa nella sede del sindacato e lei mi risponde "sono venuta a vedere che cosa mi spetta”. E quando mi combattevi contro, tu e tuo fratello nell'impresa?, sempre contro il sindacato. Adesso sei tu qui a chiedere assistenza al sindacato e così ho scoperto che di nascosto era iscritta al sindacato. 

Nel 1965 sono andato a lavorare alla ditta Bregaglio, fino a quando sono andato in pensione per invalidità a 47 anni. E' una grossa ditta che fa strade. Lì il sindacato era presente e organizzato. 

Lì la situazione non era bella nei rapporti con la Cgil ed è per quello che io sono contrario all'unità sindacale. Se domani si facesse l'unità sindacale, io non sarei d'accordo perché ne ho viste troppe. Ricordo che c'erano dei blocchetti per le adesioni con tre caselle con scritto Cgil, Cisl, Uil e un attivista della Cgil che faceva firmare tutti sotto la sua sigla. Quando me ne sono accorto gli ho detto: non è giusto, tu non lo fai. 

La Cgil era sempre stata più forte. 

Ci sono stati anche scontri molto duri in azienda. A volte sono venuti davanti alla fabbrica gli studenti che hanno rotto tutti i vetri. A volte lasciavamo fermi i camion carichi di asfalto che così si solidificava e diventava un blocco unico e servivano le ruspe per scaricarli. Erano danni notevoli. Erano gli anni '68/’69. Bisognava stare attenti quando andavamo in direzione perché c'erano dei microfoni che registravano tutto quello che dicevamo.