Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Il beato fumatore. La curiosa storia della scuola bottega di Beppe artigiano”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1998
La bottega del maestro
Giacomo
Danesi è stato un allievo del secondo corso della scuola bottega. Dopo diverse
esperienze di lavoro, da pochi mesi ha rilevato il laboratorio di restauro del
suo maestro e ora ne continua l'attività.
“Ho 31 anni, abito a Calcinato, sono
felicemente sposato con due bambine. Ho frequentato la scuola bottega agli
inizi. Stiamo parlando dei primi anni 80. Non la prima classe di 7 elementi che
aveva iniziato nell'oratorio, ma il secondo anno, già in via Calatafimi, di
fronte alla Poliambulanza. La classe era di 18 allievi.
Ho fatto esperienza di bottega preso il
laboratorio che ora è mio. Allora era di Giovanni Bonazzoli. Al termine dei tre
anni di corso sono andato presso la ditta Navoni restauro come operaio. Quello
che ho imparato a scuola mi ha consentito di trovare subito un lavoro. Mentre
ero ancora dipendente ho frequentato l'Istituto d'arte di Caravaggio per una
ulteriore specializzazione, per completare il quadro delle mie conoscenze.
Mi sono messo in proprio nel gennaio del
1998. Il 21 novembre avevo interrotto il rapporto di lavoro, peraltro
buonissimo, con la ditta Navoni e il primo gennaio ho cominciato. Anno nuovo
vita nuova.
Per il momento non penso di poter accogliere
un allievo della scuola bottega, prima devo organizzarmi. L'auspicio è che in
un futuro anch'io possa insegnare, ma adesso devo diventare un buon artigiano,
poi sicuramente ci penserò.
Gli affari sono ancora pochi, è anche una
questione di qualità generale che il restauro offre. Oggi - ho avuto occasione
di parlarne anche nell'ambito dell'associazione artigiani con alcuni colleghi -
si cerca una migliore qualità di quella che il restauro mediamente è in grado
di offrire e una garanzia migliore per il cliente.
Sono tornato in questo quartiere ad aprire
la mia bottega per molti motivi. Io qui ci sono venuto a quattordici anni senza
nemmeno sapere che esistesse un lavoro di questo tipo. Mi sono trovato
benissimo, sia per quanto riguarda la scuola bottega sia per il mio insegnante,
che mi è stato maestro di lavoro ma
anche di vita.
Sono tornato in un quartiere che conserva le
caratteristiche di un centro storico e anche un po' del tessuto sociale di un
tempo. Io, pur venendo da fuori, mi sono sentito di San Giovanni, di Brescia.
E' gente squisita.
Qui al Carmine mi sono inserito bene e il
rapporto con gli artigiani è buono, prima di tutto perché l'eredità che ho
acquisito è quella di una persona seria e corretta. Arrivando come suo ex
allievo, non ho avuto quell'impatto preconcetto che c'è nei confronti di una
persona nuova. Sapevano chi era Bonazzoli, se io l’ho frequentato,
automaticamente dovrei seguire come lui determinati canoni. Questo però dovrò
dimostrarlo. Pochi giorni dopo l'arrivo in bottega ho avuto il benvenuto del
doratore che ha il suo laboratorio qui accanto e anche da parte di alcuni amici
del signor Bonazzoli. Tutti si sono premurati di dirmi di non sentirmi solo,
perché ormai faccio parte di una grande famiglia, per usare una parola che
forse è retorica, ma aiuta a capire.
Il signor Bonazzoli era una persona molto
riservata, i rapporti con lui erano buoni. Ultimamente, nel febbraio, marzo
1997, i contatti iniziarono a intensificarsi e una sera, prima dell’estate,
siamo usciti a cena e abbiamo scambiato alcune parole in più. In quell’occasione
mi era sorto il dubbio che volesse farmi la proposta di rilevare la sua
attività. Purtroppo tutto si è interrotto per l'improvvisa malattia e la sua
rapida morte.
La moglie, successivamente, ha confermato le
mie intuizioni e mi ha detto che lui avrebbe voluto inserirmi nell’attività.
Intanto aveva sistemato il laboratorio, aveva preparato l'ufficio, rifatto gli
impianti elettrici, aveva predisposto ogni cosa. L’offerta mi venne fatta da
lei.
Perché ho scelto la scuola bottega? Non
perché andavo male a scuola oppure non mi piaceva passare le giornate sui banchi. No, è stato un far di necessità
virtù. Io provengo da una famiglia di operai: mio padre è operaio, mia mamma
casalinga, ho tre sorelle, il peso in casa era notevole. Mia madre insisteva sulla
necessità di studiare, però il minimo erano cinque anni di scuola diurna e la
cosa in famiglia era difficile da sostenere. Per frequentare una scuola
superiore in città occorreva un abbigliamento adeguato, c’erano i libri, il
trasporto, erano tanti i fattori che gravavano sul bilancio familiare.
Alla ricerca di una soluzione possibile, è
allora che i miei genitori vennero a sapere dell’esistenza della scuola bottega
di Brescia e mi iscrissero. La famiglia mi ha sostenuto durante tutto il
periodo scolastico, soprattutto all’inizio, perché venire la mattina a Brescia
per poi tornarmene la sera a Calcinato era faticoso. L'ambiente della scuola
offriva la possibilità di fermarsi a pranzo.
Quando ho avuto l'indipendenza finanziaria,
più tardi, ho deciso di frequentare l'istituto d'arte serale, che mi ha
consentito di approfondire e migliorare le mie basi teoriche.
Della scuola bottega mi è piaciuto lo
spirito che la caratterizzava e a quel punto non mi attiravano più le scuole
che potevano offrire diplomi certamente più prestigiosi, ma che non tenevano in
alcuna considerazione la qualità della persona. La scuola bottega offriva
soddisfazioni personali, un rapporto umano. Il mestiere artigiano non è solo un
lavoro, ma anche un modo di essere.
Purtroppo non ho mantenuto rapporti con i
vecchi compagni di corso, ma non certo per mancanza di affinità.
Ho una famiglia, sono impegnato al mio paese
a livello politico, sono consigliere comunale, faccio attività in oratorio,
anche mia moglie è impegnata. Tutto questo porta a dover scegliere: o la
famiglia e l'impegno a livello locale o rapporti con persone più lontane. E’ già
difficile mantenere gli amici del paese, figurarsi se sono sparpagliati per la
provincia".