giovedì 9 aprile 2020

ADRIANO FARINA - Vismara - Casatenovo (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Sono entrato in Vismara nel 1946. Non ho mai potuto svolgere attività sindacale. Spiego il perché. Nel 1945 quando a Casatenovo un carabiniere è stato ammazzato dai partigiani. Allora c'è stata una reazione dei fascisti che per rappresaglia hanno fucilato quattro partigiani. 

In quel periodo, ero disoccupato, ero a casa, avevo un cugino in prigione a Missaglia come sbandato e i suoi papà e mamma, miei parenti, mi mandavano in bicicletta a portargli da mangiare. Al ritorno sono stato fermato dai fascisti che mi chiedono chi sono. Io sono del 1926, del 3 luglio. Erano stati chiamati alla leva quelli dei primi sei mesi, noi eravamo ancora esonerati. Un fascistello, che forse non era nemmeno capace di leggere, mi chiede i documenti, vede la classe 1926, mi porta in Comune e poi alla sera in caserma a Merate, dove anche lì c'erano stati degli avvenimenti di disturbo dei partigiani contro i fascisti. Per cui ad un certo punto noi eravamo un serbatoio di riserva per il prossimo turno da fucilare dopo i primi quattro, una riserva per un'eventuale rappresaglia. Mia mamma si è rivolta allora ad una persona di Casatenovo, che si è interessata e fortunatamente sono stato liberato da questo incubo. Gli altri non so come siano andati a finire. Questa persona era un Vismara. 
Successivamente ho trovato lavoro in una piccola ditta di Casatenovo, come magazziniere. Vismara poi mi ha offerto un posto e al momento di licenziarmi ho scoperto che, con un sotterfugio, mi avevano fatto firmare un documento con una copia sotto che non corrispondeva all'originale. Quindi, per ottenere i miei diritti, ho dovuto fare una vertenza sindacale. Allora c'era solo la Cgil e sono venuto a Lecco e la vertenza me l'ha fatta il Bruno Sacerdote. Da lì ho cominciato a capire che il sindacato era un forza, era importante. Tant'è vero che appena entrato in Vismara ho cercato di agganciare il sindacato e ho cominciato ad interessarmi del sindacato. Poco tempo dopo, però, i titolari mi hanno fatto la proposta di autista della direzione a contatto diretto dei titolari. Io di fronte al favore, quello che è stato fatto per me al momento della mia difficoltà, ho accettato e anche le proposte erano allettanti, anche come categoria e ho dovuto accettare. Però ho dovuto chiudere col sindacato. Anche se sono sempre stato iscritto. Sono iscritto alla Cisl dal ‘50.

Però durante gli scioperi c'erano dei sotterfugi. Dovevo portare la macchina a casa. Dovevo entrare lo stesso in ditta. Oppure il titolare veniva a casa a prendermi. Così io sono diventato uno dei pulcini neri della Vismara nei confronti dei miei colleghi di fabbrica. Però capivo le esigenze sindacali e allora, di sera, quando c'erano i picchetti, uscivo a fare un giro e contribuivo portando qualche bottiglione di vino, un liquore, andavo a prendergli il pane, sempre di nascosto, senza essere visto.
Io ero sempre a contatto con il titolare che mi chiedeva informazioni su cosa dicono gli operai, cosa fanno i sindacati. Io rispondevo che siccome voi mi avete messo in una situazione per cui con qualunque persona io parli mi dicono tu vai via perché poi vai a riferire, io dicevo che non sapevo niente, anche se io le cose le sapevo.
E' andata avanti così fino a quando sono andato in pensione nell'86.
Uscito dalla fabbrica sono stato contattato da Armando Colombo, che è il nostro responsabile di zona del sindacato dei pensionati, che già conoscevo in fabbrica, e mi ha chiesto se mi interessava il sindacato. In quel momento mi è venuta una reazione. Finalmente, mi sono detto, posso fare quello che da quant'anni fa avevo pensato e non ho mai potuto mettere in pratica e ho deciso di impegnarmi accanto a lui. Ora faccio parte del direttivo e sono capolega nel mio comune.