mercoledì 8 aprile 2020

ANGELO CORTI - Badoni - Lecco

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995 

Sono di Calolziocorte, dove ho sempre abitato, tranne una piccola parentesi a Lecco. 
Sono entrato alla società per azioni Antonio Badoni il 17 ottobre 1955. Mi ricordo il giorno giusto perché era giorno di paga e io quel giorno sono stato l'unico senza busta. 
Ho cominciato a lavorare a 14 anni e mezzo, dopo aver preso la licenza di avviamento industriale. E' stato un ingresso tipo di quel tempo e, in particolare, della Badoni. Il vecchio ing. Giuseppe Antonio Riccardo Badoni ci teneva a prendere i figli dei dipendenti.

Innanzitutto perché conoscendo il padre, conoscendo la famiglia, sapeva che tipo di persone assumeva e poi perché c'era la tendenza a mantenere una tradizione di questo tipo. Mio padre chiese all'ing. Badoni di farmi entrare in fabbrica quando io ancora frequentavo la seconda avviamento, molto preoccupato di riuscire a inserire il figlio nella fabbrica e mi ricordo che l'ing. Badoni con il suo dialetto nasale, milanese, gli disse "lamentes mia pierin, te vedarè che el to bagai sensa laurà el restarà minga". Il fatto che mio padre sia andato direttamente dall'ing. Bodoni a chiedere il posto di lavoro, ha segnato tutta la mia esperienza in azienda, ha procurato a me il danno di essere stato assunto alla Badoni come manovale e non come apprendista. Era stato il capo del personale, noto caporione fascista, sig. Pascucci, ricercato attraverso radio Londra nel 1945, (questa è storia raccontata dalla gente della Badoni), prendendomi come manovale ha potuto inserirmi nel reparto più infame che c'era alla Badoni, la caldereria, a chiodare. Era il mestiere più brutto che c'era. Fare il chiodatore in quel periodo voleva dire legarsi gli stracci alle mani perché i guanti non c'erano, voleva dire fare undici ore al giorno, lavorare tutto il sabato e certe volte anche la domenica, in condizioni piuttosto pesanti, perché si trattava di reggere ad una parte un martello pneumatico che faceva la testa al chiodo e dall'altro un palo di ferro di circa 10, 12 chili con cui controbattere il lavoro di chi faceva la testa al chiodo e bisognava stare attenti perché se si mollava, il chiodo non chiudeva, bisognava tagliarlo e rimetterne un altro. Era un lavoro abbastanza pesante e ci si alternava per mezza giornata alla macchina scalda chiodi elettrica - a quei tempi le fucine erano state superate - l'altra mezza giornata a chiodare. Si mettevano circa 200, 220 chiodi al giorno. Era una bella media, anche perché si lavorava a cottimo. 

Mio nonno aveva lavorato in Badoni per poco tempo come muratore, mio padre invece era un chiodatore altamente professionalizzato. Mio padre era un vecchio socialista, un collettore della Cgil. Il mio inserimento in quel reparto fu proprio una punizione per questo, una scelta fatta di proposito perché fui assunto con altri cinque ragazzi e tutti furono inseriti come apprendisti in lavori meno pesanti. Mentre il titolare era un grande paternalista, il capo del personale ragionava in una certa maniera e agiva di conseguenza. 

Quando sono entrato in Badoni non ho avuto un grande impatto. Mio padre era un trasfertista, andava in giro a chiodare a freddo, perché facevano chiodi a tenuta, a chiodare i gasometri, un lavoro molto qualificato. Di ritorno da una trasferta mio padre fece ima visita di controllo, che periodicamente si facevano in Badoni, non che fossero obbligatorie, ma l'ing. Badoni era uno che faceva queste cose. Da questa visita risultò che aveva la Tbc, perciò venne ricoverato al convalescenziario di Lecco e io con mia madre venendo tutte le domeniche a trovarlo, di fatto ho conosciuto quasi tutti i compagni di lavoro di mio padre che venivano a trovarlo e poi hanno continuato a venire a trovarlo a casa. Perciò quando io sono entrato in Badoni conoscevo molti e di fatto mi sono trovato quasi come in una famiglia. Pur avendo fatto una malattia molto lunga, a mio padre venne mantenuto il posto di lavoro e questo testimonia del paternalismo di allora. Inoltre, quando è rientrato, è stato collocato in ambienti idonei alla sua malattia perché non ha più potuto fare il suo mestiere di “culderat” a ribadire chiodi. 

In quell'ambiente sono stato circa 4 anni. L'ing. Badoni aveva avuto dodici figlie e un unico figlio maschio che è morto in guerra. Nella gestione, quindi, sono sempre stati inseriti altri parenti. Le figlie, invece, erano tutte impegnate in iniziative di beneficienza come la S. Vincenzo, ma non solo. Una figlia, in particolare, la signora Nicoletta, proseguendo l'iniziativa della sorella signora Adriana, che era ingegnere e poi si è fatta suora di clausura, ha istituito uno scuola interna. Proseguendo quella tradizione intelligente degli industriali di Lecco che è stato l'Elip. Con la guerra, infatti, si era persa tutta ima generazione e le imprese non avevano più quadri in fabbrica. A questo punto, hanno detto, se non creiamo noi dei nuovi quadri, culturalmente preparati, non avremo la possibilità di far sviluppare le nostre fabbriche e allora hanno istituito la scuola professionale. Gli operai lavoravano mezza giornata e l'altra mezza giornata andavano a scuola, pagata. 

La Badoni ha proseguito questo discorso facendo dei corsi serali di cultura generale o di cultura specifica e davano 100 lire come incentivo per la partecipazione. 

La mia scelta di andare a scuola sono state le 100 lire. Sempre morto di fame. Neanche un soldo in tasca. Mi piaceva andare a ballare. Le 100 lire di sera erano il supporto alla mancia che mi dava mia mamma alla domenica per poter riuscire a fare qualche ballo in più. Però questo mi ha dato la possibilità di fare un corso di trigonometria, ero abbastanza bravo in matematica. Poi hanno fatto un corso specifico per tracciatori, l'ho fatto, sono stato promosso e mi hanno provato come tracciatore. I tracciatori di carpenteria erano l'élite della fabbrica, erano quelli che sapevano qualcosa più degli altri, erano quelli che preparavano tutto il lavoro della carpenteria. La Badoni è una grossa fabbrica di carpenteria, a livello mondiale. Faceva tutto: dalla caldereria alla meccanica fine, dalla meccanica di sollevamento alla meccanica di trasporto, serbatoi a pressione, locomotori. Alla Fiera di Milano, alla Stazione Garibaldi, alla Stazione Centrale, a Fiumicino, in tutto il mondo sono stati fatti lavori di carpenteria dagli operai della Badoni. 

La Badoni oggi è chiusa. 

La mia vita sindacale inizia intorno agli anni '60 quando scopro di essere iscritto alla Cisl. Era tradizione da parte del capo del personale iscrivere o convincere ad iscriversi alla Cisl, perché la Cgil faceva paura. Si raccontava che dove c'era una forte presenza Cgil, le commesse americane non venivano date e allora c'era la tendenza ad iscriversi alla Cisl per avere le commesse americane. 

Il contrasto tra Fim e Fiom era molto alto, lo scontro era molto duro. 

Io esco dalla Cisl nel 1960, stracciando la tessera della Cisl sulle scale della mensa per un motivo molto semplice. Nel 1960 ci sono i morti di Reggio Emilia, i morti di Genova, di Catania. Il nostro capo di commissione interna, sig. Cesana, dice che la Cisl non fa sciopero. Io a questo punto, ragazzo di quasi vent'anni, mi chiedo se un sindacato non fa sciopero quando ammazzano i lavoratori in piazza, indipendentemente se i lavoratori avevano ragione o torto, quando fa sciopero? Qual è il motivo massimo? Non è il mio sindacato. Ho stracciato la tessera della Cisl. L'anno dopo mi sono iscritto alla Fiom e dopo due anni sono stato cooptato nel direttivo della Fiom come componente socialista. In quel periodo la Cisl era caratterizzata dalla componente cattolica e la Cgil dalle componenti socialista e comunista. 

In fabbrica sono stato eletto in commissione interna nel 1964. Nel '68 vengo spostato in ufficio tecnico e divento impiegato. Poi nel '69 si eleggono i consigli di fabbrica. 

Mi rammento lo scontro forte che c'era tra la Fiom e la Fim e la gara all'interno della Cgil e della Fiom sull'elezione delle componenti socialista e comunista. La maggioranza alla Badoni era della Fiom. Pur essendo una fabbrica altamente socialista, venivano eletti i membri comunisti perché erano i più attivi. Il primo eletto era comunista, il secondo era socialista. Sempre. Tant'è vero che quando è nato il Psiup, il secondo che veniva eletto era Giuseppe Palma "pin salamin", passato al Psiup, viene eletto appena appena, perché i socialisti spostano tutti i voti sui candidati del Psi. Il leader era il compagno Isaia Nava che è stata una figura eccezionale alla Badoni. La storia interna alla Cgil anche nelle fabbriche è una storia molto articolata. Nava aveva un rapporto molto stretto con l'ing. Badoni. Anche lui ha avuto la Tbc, nel periodo in cui la streptomicina non c'era. E lui, leader comunista, è stato curato con le medicine che venivano acquistate in Svizzera con la macchina dell'ing. Badoni. C'era un rapporto molto particolare. Mi ricordo quando l'ing. Badoni ha rotto un gamba tutta la commissione interna è andata a trovarlo all'ospedale. Siamo entrati in fila indiana. Io ero l'ultimo della fila. Lui ci chiamava "la mia confusion interna", e quando mi ha visto mi ha detto "e te, i sci giuin e già mò invii a rump i ball". Di che razza sei? Io sono del Psiup. E lei di che razza è? Io sono liberale però voto la Democrazia Cristiana perché i liberali non contano niente. 

La commissione interna andava tutti gli anni a casa dell'ing. Badoni a fare gli auguri di Natale. 

C'era questo tipo di rapporto personale con l'ing. Badoni, ma in fabbrica il rapporto era anche molto duro. Quando c'erano gli scioperi non trattava e diceva "fin che senti mia i martei a bat me trati minga". E spariva. Andava a Legnano. Quando lui non voleva farsi trovare andava a Legnano dove c'era un rapporto con la Franco Tosi, tant'è vero che Badoni, in memoria del figlio, con la collaborazione della Tosi, aveva costruito alla Badoni una nave "Risveglio II". Mi ricordo, quando andavo a scuola, che sul parquet della scuola era , disegnata tutta la nave sviluppata in terra. La nave, da trasporto, era poi stata varata nei cantieri di Riva Trigoso. 

La vita sindacale alla Badoni è stata molto dura. Lo scontro era molto pesante. Lo scontro era di principio e politico. Se la Badoni scioperava era la fabbrica trainante. Abbiamo provato a scioperare per la Moto Guzzi e quelli della Guzzi lavoravano. Quando c'era l'ordine di scioperare alla Badoni non avevamo problemi. C'erano problemi con la meccanica. Il reparto particolare, trattato meglio, che lavorava con meno freddo. Si sentivano più vicini al padrone. Quando c'era sciopero la carpenteria partiva e andava fuori dai cancelli della meccanica a tirarli fuori perché quelli della meccanica lavoravano e lo stesso valeva per gli impiegati. L'impiegato non scioperava mai. L'impiegato era dominio Fim. La Fiom è entrata nel '66. Il rapporto era molto diretto con il padrone, con il capo del personale Ruggero Pascucci. 

La situazione è cambiata ed i rapporti tra le due organizzazioni sono migliorati quando i due rappresentanti massimi della Fim e della Fiom hanno perso potere nelle loro rispettive strutture. Infatti molti dei contrasti vivevano del confronto personale tra i due leader. Quando si parlava in mensa, ad esempio, Nava saliva su uno sgabello e parlava, Cesana andava via e poi diceva che non era stato interpellato e non gli era stato detto che Nava avrebbe parlato in mensa. C'era un certo predominio di personalità di Nava all'interno della commissione interna. Era una persona forte sul piano caratteriale. Abile. Intelligente. Forte. Dall'altra parte era molto più (infingardo). Si era arrivati anche a polemizzare sulla festa del patrono. A Lecco c'era una festa patronale, S. Michele, che è il 29 settembre e il primo lunedì di ottobre tutta Lecco si fermava. Si andava a Pian Sciresa dove c'erano le salsicce alla griglia. Arrivavano persino le giostre. Venivano due volte: a Pasqua e a S. Michele. Invece il patrono di Lecco è S. Nicolò. La Cisl voleva che si festeggiasse S. Nicolò e non S. Michele, che era la festa tradizionale dei metalmeccanici, "di chi che fava i ciod", "di chi de la valada", "di i tira bagia". Il primo maggio quando venivano giù quelli della vallata era uno spettacolo, con i motocarri, con le ghirlande, con i fazzoletti rossi. E si faceva la festa del primo maggio in piazza Garibaldi. 

Quando Nava Isaia e Cesana hanno perso potere è iniziato un discorso di avvicinamento tra Fim e Fiom. Sono arrivate le nuove generazioni. 

La Badoni è una delle prime fabbriche che parte con la contrattazione articolata interna, sul problema del premio di produzione. Siamo nel 1963. L'altra forte battaglia è stata quella sul cottimo. Questi sono stati due momenti di battaglia che hanno fatto maturare i quadri giovani. Erano temi che venivano avanti a livello nazionale, ma che si sperimentavano prima in alcune grosse fabbriche e la Badoni era una di queste. 

Il cottimo era personalizzato. Se due ragazzi entravano in fabbrica con la stessa paga, dopo dieci anni poteva esserci una differenza notevole, perché c'era il meccanismo del cottimo che incideva sui vari aumenti di paga che uno poteva avere avuto. Su questo ci sono state delle grosse battaglie, con scioperi interni. Nel 1961 ci sono stati i primi licenziamenti. Abbiamo finito una commessa per una acciaieria sull'Orinoco in Brasile quattro mesi prima del previsto. Poi c'è stato un periodo di crisi e in quell'occasione è stato licenziato tutto il quadro sindacale, meno le grosse figure più rappresentative. Nel 1964 c'è stata ancora una grossa battaglia per non far licenziare gli impiegati. Nel 1966 ci fu una battaglia memorabile. Erano state 1 messe in cassa integrazione a zero ore 21 persone, per la prima volta. Noi abbiamo riposto con gli scioperi articolati prima un'ora si e una no, poi mezz’ora e infine un quarto d'ora. Questo voleva dire non lavorare. Il giovedì sera l'ing. Badoni ha fatto bloccare i cancelli. Il venerdì mattina abbiamo trovato la fabbrica chiusa. 

Non era la prima volta, perché quando noi uscivamo per andare al circolo Farfallino a fare le assemblee che non si potevano tenere in fabbrica, tornavamo indietro e trovavamo i cancelli chiusi. Poi con un po’ di casino riaprivano e al turno di mensa si rientrava. Nel 1966, invece, Badoni ha fatto proprio mettere i morsettoni. A questo punto c'è la dichiarazione dello sciopero generale a Lecco. C'è il volantinaggio nelle fabbriche e il blocco stradale. Il blocco stradale avviene per un fatto particolare. Viganò arriva, trova la fabbrica chiusa. E' sul marciapiede. Sta facendo una piccola conferenza. Io arrivo con treno. Sono in mezzo alla strada. Ad un certo punto una macchina che viene su da corso Matteotti, anziché frenare, accelera. Spariscono tutti, io mi trovo la macchina davanti. Ho messo le mani sul cofano. Mi ha portato su per una ventina di metri. Non le dico come è stata conciata la macchina. A quel punto ci siamo stesi per terra. Io ricordo che un poliziotto mi ha tolto da sotto un pullman. Avevo la ruota del pullman a 20 cm. di distanza. Come mi ha tolto mi sono steso di nuovo. All'inglese. Poi ad un certo punto hanno fatto tornare indietro il pullman. Le Acli ci hanno dato le tende. Abbiamo piantato le tende. La cooperativa La Moderna ci ha portato i panini, il vino. Siamo stai li tutto il giorno e la notte di venerdì. Intanto però la commissione interna aveva avviato delle trattative. La mattina di sabato e non c'era più niente, avevano fatto l'accordo ed erano rientrati in fabbrica e i 21 erano tornati a lavorare. Il venerdì era giorno di paga e quel giorno la gente ha riscosso la busta con la polizia con il mitra vicino. 

Questa vertenza è stata un passaggio delicato. Siamo stati fortunati ad aver trovato l'avv. Sangregorio che era assessore ai lavori pubblici che ha fatto mettere le transenne, ha fatto bloccare la strada, ha fatto tirare su i tombini, dicendo che stava facendo dei lavori straordinari e dall'altra parte il commissario Giordano che è stato una persona intelligentissima, delicata, che non è andata oltre la pressione. Perché onestamente devo dire che se durante la notte fossero arrivati con un gippone ci avrebbero caricati su e portati via. Un aneddoto. Noi abbiamo dormito per alcune ore nelle tende. Alle cinque e mezzo, sei del mattino le donne di Castello sono arrivate con il brodo e il caffè. I primi che hanno bevuto il brodo sono stati i poliziotti e i carabinieri. 

Nel periodo di crisi dell'azienda io mi sono trovato, come rappresentante sindacale, a fare il procuratore di lavoro per la Badoni. Mi ricordo l'incontro con il ministro Nicolazzi per una commessa di Ancona. Il ministro ha appena finito di inaugurare il terzo ponte, il ponte Kennedy. Come finito ero lì davanti come un francobollo, perché sapevo che avrei potuto parlare con lui e infatti ho avuto un incontro in Comune a Lecco. Lui ha telefonato a Roma al capo ripartizione dei lavori pubblici ed è stata sbloccata una commessa per uno scaricatore di porto di Ancona. Erano cinque miliardi. 

Mi ricordo quando sono andato a parlare con il vice presidente dell'Enel per la centrale di Brindisi. C'erano delle clausole nei contratti che dicevano che le carpenterie dovevano essere fatte in loco, e io a convincerli che non erano in grado di farle in loco se non c'era un'esperienza dietro. Io cercavo di convincerli che non volevamo portare via il lavoro a nessuno, che noi volevamo alcuni tipi di lavoro di cui eravamo specialisti. Per noi era un problema di sopravvivenza. 

La storia del crollo della Badoni. Cinque fabbriche di carpenteria varia a Lecco: Badoni, Sae, Fornimpianti, Officine di Costamasnaga e Italgru.