Quando sono entrato io ci lavoravano 1.300 persone, che poi
sono cresciuti fino a 1.400, il tetto massimo toccato.
Ho iniziato come manovale. Ho trovato un bel clima, in un
reparto dove si faceva trafilatura del ferro per cemento armato.
Nel sindacato sono entrato per caso. Durante l'elezione dei
delegati con un gruppo di compagni di lavoro si discuteva senza tanta
convinzione su chi dovesse farlo. Eravamo una decina di giovani sui 26, 27 anni
e si scherzava chiedendoci chi si dovesse votare, per gioco un amico mi stava
dando un calcione, io gli ho preso la gamba e lui è andato per terra. Allora,
quasi per ripicca, ha gridato che il sindacalista avrei dovuto farlo io, e
siccome non ho detto ne si ne no, lo hanno interpretato come un assenso e mi
hanno votato. Ho preso 17 voti, era il '74 o il '75. In quel momento non ero
iscritto al sindacato. Anni prima mi ero tesserato, poi per una grossa
discussione con il delegato di reparto - ero un po' rivoluzionario - non
l'avevo più rinnovata. Dopo essere stato eletto, ne abbiamo discusso. Qualcuno
diceva che non potevo fare il sindacalista senza la tessera. C'era una persona
che ammiravo, ed è stato un avvicinamento reciproco, lui mi ha sollecitato, io
ero in dubbio, ma alla fine mi ha convinto.
Ho fatto diversi anni di gavetta. Eravamo in 32 delegati. La
Fim era quasi sempre in maggioranza, anche se a volta è stata in maggioranza la
Fiom, ma sempre, in un caso o nell'altro, per un solo delegato. Ho iniziato ad
occuparmi di patronato, poi però l'ho abbandonato perché non mi piaceva.
Pian piano sono cresciuto e sono entrato nell'esecutivo del
consiglio di fabbrica, che era composto da sei persone. A quel punto ho
iniziato a frequentare il coordinamento della Falck e ho fatto le mie prime
esperienze, positive. Noi si faceva il contratto nazionale due volte: prima si
sperimentavano i problemi nel contratto aziendale alla Falck, poi l'anno
successivo si inserivano nel contratto nazionale, perché la Falck era
un'azienda significativa.
Ho avuto esperienze diretta del peso che aveva la Falck
vedendo che anche al ministero del Lavoro la delegazione Falck contava. Sono
quindi entrato nell'esecutivo del coordinamento e nel direttivo provinciale
Fim. Ho avuto più volte proposte di uscire a tempo pieno che ho sempre
rifiutato, perché la mia idea era che il sindacalista si fa in fabbrica.
Il salto l'ho fatto solo nel 2000. La Falck era stata
ridimensionata e non c'era più l'esecutivo del cdf. Negli ultimi periodi ero a
Milano due volte la settimana, uno per la riunione e l'altro per le trattative.
Quando poi si è abbandonato tutto, c'era un'unica azienda a Vorbarno. Li ero
impegnato attivamente, ma stavo ormai pensando ad altre scelte quando è
arrivata la proposta di entrare in segreteria e lasciare la fabbrica. Mi ha
convinto il segretario generale della Fim, Giorgio Caprioli, che avevo
conosciuto in occasione delle riunioni del coordinamento Falck. E ho provato
l’esperienza di passare da semplice delegato a segretario della Fim di Brescia.
Anche a Vobarno si faceva sentire l'impostazione aziendale
che cercava di stabilire relazioni sindacali positive. In un'occasione hanno
firmato il precontratto, rompendo il fronte padronale. Abbiamo avuto più
problemi con la Fiom. Avevano gente preparata, ma non dal punto di vista
culturale, che sapeva gestire il rapporto con i lavoratori. Andavano in
assemblea e sapevano incantare la gente. L'azienda era molto sindacalizzata, e
oltre il 90 per cento era iscritto. Le eccezioni erano poche, sia tra gli
operai che tra gli impiegati, qualcosa si è perso negli ultimi periodi. Si
contava perché dietro di noi c'erano i lavoratori.
Momenti di tensione con l'azienda ci sono stati quando è
partito il processo di ristrutturazione. Non solo con l'azienda, ma anche con i
lavoratori. In particolare, quando c'erano le riduzioni di personale, anche se
fortunatamente abbiamo sempre potuto utilizzare i prepensionamenti e non è mai
stato licenziato una sola persona.
Nella zona c'erano altre fabbriche siderurgiche dove il
sindacato faticava a organizzarsi e qualche volta abbiamo portato davanti ai
cancelli di queste aziende un po' di lavoratori Falck per convincerli a
scioperare. Qualche frutto quelle pressioni hanno dato, ma ancora oggi c'è una
sindacalizzazione molto bassa.
Per quanto riguarda la contrattazione, una cosa che non siamo
mai riusciti a fare in fabbrica è stata la riduzione dell'orario di lavoro. Noi
l'abbiamo sempre messa in campo, ma non siamo mai riusciti
ad ottenerla. Per quanto riguarda il salario, abbiamo sempre
avuto condizioni migliori rispetto alle altre aziende del settore.
Per quanto riguarda le ristrutturazioni, l'azienda tagliava
dei numeri, noi abbiamo sempre sostenuto che si dovessero valutare le diverse
posizioni.
Una situazione di tensione si è creata quando un delegato
della Fiom ha detto al direttore di produzione: "Tu sei matto". Dalle
nostre parti è un intercalare diffuso e non ha valore offensivo, ma il
direttore ha strumentalizzato quelle parole, ha reagito in malo modo, è per una
settimana in tutta la fabbrica la tensione è stata alta. La mediazione è
toccata a me, anche perché il delegato, pur essendo Fiom, era un mio amico. Era
un impulsivo, ma se lo facevi ragionare e capiva le tue ragioni non ti
abbandonava più. Era la nostra impostazione, se c'era un delegato da difendere
la Fim lo faceva, un po' meno la Fiom se il delegato era Fim. Anche perché se
un delegato Fim veniva fatto fuori, per noi era molto più difficile
rimpiazzarlo, lo dovevamo costruire, mentre alla Fiom bastava l'ordine del
partito per avere un sostituto.
Nel 1990 stavo pensando di andarmene perché avevo avuto degli
scontri personali con il direttore di produzione, responsabile dello
stabilimento. Mi aveva messo per tre mesi in cassa integrazione, quando dovevo
rientrare mi ha minacciato di lasciarmi a casa. Questo a causa delle mie
posizioni sindacali. Io ero abituato a costruirmi la mia linea, a confrontarmi,
ma poi la portavo avanti con fermezza e l'azienda o la smontava o doveva
cedere. Anche nelle ristrutturazioni io tenevo questa linea. La mia forza era
data dal fatto che io mi confrontavo nel merito dei problemi. Il direttore
pensava di tagliare e basta, mentre io lo portavo a discutere delle ragioni di
certe decisioni. “Spiegami perché devi tagliare proprio lì e non da un'altra
parte” e in queste occasioni siamo arrivati ad uno scontro forte e lui mi ha
messo in cassa integrazione. Siamo arrivati al punto in cui il capo del
personale, dietro sollecitazione del direttore, mi ha offerto dei soldi perché
me ne andassi. La mia risposta è stata che io al mio posto di lavoro ci tenevo,
che avevo due figli da mantenere e se lui si fosse fatto carico anche di
quello, allora avrei potuto anche andarmene.
Dopo quella vicenda, siccome non è riuscito a spuntarla, ha
iniziato a pensare che forse la strada giusta era quella del confronto. E’
anche vero che mi ha aiutato molto perché, facendo io parte dell’esecutivo del
coordinamento, gestivo i problemi più grandi, mentre lui era fuori dal gioco, e
quindi in qualche modo mi forniva informazioni utili al confronto. Peraltro, io
ho saputo che a fine anno avrebbe dovuto lasciare l’azienda mentre lui ancora
non lo sapeva. Eravamo a Roma al ministero del Lavoro a fare una trattativa e
il direttore generale della Falck Perruconi mi ha detto di non preoccuparmi
perché il mio direttore a fine anno se ne sarebbe andato.
Molte volte in trattativa gli animi si accendevano. Una volta
il capo del personale, con il quale ci sentiamo ancora oggi, durante una
trattativa mi ha lanciato un posacenere di ferro che era sul tavolo, uno di
quelli che venivano realizzati dalla Falck con il proprio nome. Fortunatamente
l’ho schivato abbassandomi. Allora mi sono alzato, sono andato a prenderlo e
gliel’ho riportato dicendogli “Ce l’ha di nuovo a disposizione”. Sul muro era
rimasto ben evidente il buco fatto dall’oggetto di ferro. La Falck è stata
un'azienda che ha fatto crescere le persone impegnate nel sindacato, perché era
generalmente disponibile alla trattativa. I sindacalisti che si volevano fare
un bagaglio di esperienza lì potevano farlo e la stessa azienda ci teneva che
la propria controparte fosse preparata. Nelle trattative il direttore si
arrabbiava moltissimo quando qualche delegato diceva delle sciocchezze e anche
noi eravamo attenti ad essere precisi nei nostri interventi. Una volta, quando
mi sono reso conto che un mio collega Fim stava dicendo cazzate, gli ho dato io
un calcione per farglielo capire. Eravamo intorno ad un grosso tavolo e il
direttore si è reso conto del mio gesto e successivamente più volte mi ha
ricordato il mio gesto "quel tuo collega è ancora zoppo?". Il delegato
che aveva preso il calcio, che non era stupido, si è reso conto che rischiava
di dire una fesseria, e non ha fatto una piega e non mi detto niente.
Il direttore del personale si chiamava Andrea Maltese, ora
lavora all'Unione industriali di Bergamo.
I problemi durante le trattative nascevano più a livello
centrale, dove erano presenti i responsabili dei vari stabilimenti e quindi i
rapporti erano un po' più rigidi.
Sono stato delegato sindacale dal 1975 al 2000. Con i
lavoratori ho sempre avuto un buon rapporto e mi hanno sempre sostenuto. Avevo
un posto di lavoro che mi consentiva di girare l’azienda e mantenere rapporti
con tutto lo stabilimento. Ero inserito nella squadra della manutenzione edile,
che andava nei diversi reparti, e quindi potevo incontrare e parlare con molte
persone. Lavorare, lavoravo poco. Su otto ore onestamente non so quante ne
lavorassi. Il mio capo mi aggregava sempre con qualcuno che lavorava anche al
posto mio. Anche perché in qualunque reparto si andasse c'era sempre gente che
mi fermava, anche gli iscritti Fiom. Come entravo c'era qualcuno che mi
chiamava ed io ero sempre disponibile.
Qualche problema c’è stato con alcuni delegati Fiom che mi
avrebbero anche aiutato ad andarmene. Ma situazioni difficili non ne sono mai nate.
Qualche problema in più c’è stato con la segreteria provinciale della Fiom per
convincerli ad accettare i percorsi che avevamo deciso in fabbrica nei processi
di ristrutturazione. Ma questo è successo negli ultimi periodi, quando la Fiom
in fabbrica non aveva più grandi leader, ma solo “galoppini” e questi si
aggregavano volentieri alle posizioni esterne.
Ho provato ad entrare in assemblea con tutti i lavoratori
contro e sono uscito che erano tutti dalla mia parte.
All’interno dei delegati Fim c’era una certa collegialità, si
discuteva prima, si prendevano delle posizioni condivise, e poi si sostenevano
con i lavoratori. Eravamo 15, 16 delegati Fim, non tutti efficienti, ma una
decina particolarmente attivi. Costituivamo un bel gruppo, tutti abbastanza
giovani, tutti convinti e ben organizzati, con responsabilità e competenze
diverse. Avevamo l'abitudine di trovarci prima di ogni appuntamento importante.
C'era un delegato, un caro amico, che aveva la passione del vino, aveva una
casa sul Garda, con una tavernetta. Allora si andava da lui, si assaggiava
qualche bottiglia del suo vino, e si discuteva. Lui, Pierfranco, è stato il mio
padre sindacale, anche se più volte ci siamo scontrati, era un po' un maestro,
ci invitava sempre alla calma, a riflettere, prima di decidere. C'erano anche i
delegati più vecchi e questi incontri erano un po' come un corso di formazione.
Per informare i lavoratori funzionava radio scarpa.
Quando si sciolse la Flm e si riaprì il tesseramento per
sigla, la Fim aveva preso un colpo tremendo. La Fiom aveva tutto il suo
apparato che la sosteneva, i partiti, noi non avevamo nessuno. E il giorno
della distribuzione delle deleghe in busta noi non eravamo neppure in fabbrica
perché abbiamo dovuto partecipare ad una riunione del direttivo provinciale
Fim. La Fim ha fatto una grande fesseria: alcuni di noi avevano chiesto che si
spostasse la riunione, ma i responsabili non avevano capito la situazione e
così il risultato fu di circa 300 iscritti Fiom e soli 80 Fim. Fortunatamente,
nel giro di sei mesi abbiamo ribaltato il risultato.
Ho sempre fatto molte tessere, l'ultima volta ho finito il
pacchetto e ne ho fatte altre. Un giorno i l mio capo disse a me e a un altro
che dovevamo fare un certo lavoro, ma io replicai che avevo un impegno. Allora
mi chiese che tipo di impegno avessi, e io risposi che dovevo fare le tessere.
All'inizio avevo qualche remora, ma quando ho capito che fare iscritti era
importante mi sono sempre dato da fare.
Alla manifestazione di Piazza della loggia io non c'ero e non
l'ho vissuta direttamente. Ma l'attentato di Piazza della Loggia, il rapimento
Moro e altri avvenimenti drammatici mi hanno lasciato l'amaro in bocca perché
vedevo un sindacato che era “contro”: io sono della Cgil sono pulito, tu che
non sei della Cgil potresti avere qualche macchia. Questo atteggiamento mi ha
sempre disturbato e dispiaciuto. In occasione del rapimento Moro, abbiamo fatto
una manifestazione con presente il sindaco e questo si è permesso di dire che
il terrorismo non arrivava solo dalla destra, ma poteva arrivare anche da
sinistra. Le sue parole hanno provocato una sollevazione dei delegati Fiom,
salvo poi doversi ricredere.
Nel Gruppo Falck ci sono stati episodi di violenza legati al
terrorismo: un dirigente dell'azienda è stato gambizzato e una volta durante
una riunione del coordinamento è arrivata la Digos e ha portato via un
delegato, me ne sono accorto perché ero fuori con un gruppetto di amici. A
Vobarno non è mai successo nulla del genere anche se un paio di volte sono stati
trovati dei volantini e non si capiva bene da dove arrivassero, se dall'intero
o dall'esterno, perché venivano trovati in portineria.
Una volta, in occasione di uno sciopero separato, alcuni
nostri delegati che erano entrati a lavorare hanno trovato le gomme delle
automobili tagliate. Per scoprire chi era stato avevamo programmato di ripetere
uno sciopero separato, ma poi ci siamo detti: e se li scopriamo, cosa facciamo?
Perché chi va a fare queste cose non è la mente, ma è qualcuno che viene
mandato. E non lo abbiamo fatto.
Quando mi hanno offerto dei soldi per andarmene l’ho detto a
mia moglie, ma lei mi ha risposto che non mi avrebbe neppure domandato la
ragione. Mia moglie si lamentava perché non ero mai a casa, ma mi aiutava molto
e ho sempre avuto un conforto, perché era figlia di un sindaco e sapeva cosa
vuol dire assumersi un impegno politico o sociale. Diverso invece è stato per i
figli, che non mi vedevano quasi mai. Non il maschio, forse, che è arrivato più
tardi, quando eravamo più organizzati. Ma ancora oggi mia figlia mi rimprovera:
“Quando avevo bisogno non c’eri mai”. Anche se adesso è lei che si sta
impegnando, è interessata alle vicende sindacali e lei farebbe la sindacalista
“per il cuore, la passione”.
Anche adesso che sono in pensione sono spesso in ritardo agli
appuntamenti familiari, perché trovo sempre qualcuno che mi ferma per
domandarmi qualcosa sulle pensioni, discutere di sindacato, o di tasse da
pagare.
Tutti i miei amici e conoscenti sapevano e sanno del mio
impegno sindacale. In un anno, su 52 settimane, avrò fatto 40 cene, sempre
invitato, come forma di ringraziamento per ciò che ho fatto da sindacalista.
Nella frazione dove abito, Carpeneda di Vobarno, si faceva la sagra ed io
andavo ad aiutare. Ad un certo punto ho smesso perché mentre ero lì si
discuteva solo di sindacato.
Il mio hobby è la caccia. Non ho mai potuto permettermi un
fucile Beretta perché era troppo costoso. Ho un fucile Bernardelli, un'azienda
bresciana che ora non c'è più, una doppietta. A Vobarno, quando c'erano i
coordinamenti, prima di iniziare la riunione o subito dopo c'erano sempre
discussioni animate sulla caccia. Più che un hobby è una malattia. Mi piace,
fin da quando ero bambino. Allora la caccia ci aiutava a vivere.
Non ho mai avuto altri impegni fuori dalla fabbrica, ne in
politica ne altro. Sono sempre stato assorbito totalmente dall’impegno
sindacale.
La Fim si farà grande quando comincerà ad utilizzare le
“biciclette” che ha in giro. Ogni anno ci sono delegati che vanno in pensione,
questi vanno valorizzati e impegnati a lavorare ancora per la Fim, fare le
tessere, e sono quelle che fanno grande l’organizzazione. Dobbiamo tenerli
legati alla categoria, non al sindacato dei pensionati.
Io mi considero ancora Fim a tutti gli effetti. Nei giorni
scorsi sono andato a trovare un mio amico, un ex collega la cui moglie aveva un
problema in fabbrica. Avevano convocato un’assemblea ma sembrava che
l’operatore della Fim non potesse andarci, allora ho detto che ci sarei andato
io. Fortunatamente non ce n’è stato bisogno. Dobbiamo farli lavorare ancora i
delegati Fim in pensione, impegnarli.
Nella segreteria provinciale ho fatto l’organizzativo e ho
sempre insistito sul tesseramento e a chi mi ha sostituito ho fatto una testa
così prima di andarmene perché non calasse l’impegno verso il tesseramento.
Il mio percorso formativo l’ho fatto tutto nella Fim. Ho
partecipato al corso lungo regionale fatto a Berbenno con la Laura Limido, che
mi ha aiutato molto, e il professor Marco Carcano. Sono stati loro i miei
formatori sindacali. Un corso gestito molto bene. Si discuteva di tutto, non
solo durante le ore di studio e lavoro. In camera mia eravamo in tre, della
stessa valle. Alle due di notte eravamo ancora svegli a fare le verifiche.
Quello che stava vicino all’interruttore si addormentava con la mano sul
pulsante, mentre si continuava a discutere.
Mi avevano proposto anche di andare a fare il corso lungo al
Centro studi di Firenze, avevo dato la mia disponibilità, ma poi per un
contrattempo non ho potuto andarci. Ma è stato meglio così, perché solo più
tardi ho capito che chi frequentava quel corso non sarebbe più tornato in
fabbrica, e per me il sindacato è in fabbrica. Anche se continuo a dire che
l’esperienza di tre anni in segreteria provinciale è stata favolosa.
Inizialmente la Falck faceva parte del comprensorio del
Garda. La Fim aveva un dimensione più familiare. Sono stato in segreteria anche
al Garda, ma rimanendo in fabbrica. Partecipavo alle discussioni, ma le
decisioni le prendevano i segretari a tempo pieno. In tutto il comprensorio gli
iscritti erano circa duemila.
La Fim di Brescia la sentivo più lontana, e la mia adesione
era più ideale che altro, mentre la mia attività sindacale era più legata alla
Fim regionale, perché il coordinatore Fim per la Falck era del regionale: prima
Antonini, poi Mario Stoppini e quindi Giorgio Caprioli. Conoscevo a memoria il
numero di Angela alla Fim regionale e appena avevo un problema la chiamavo per
parlare con il coordinatore.
Il gruppo era iscritto all'Unione industriali di Milano
(Assolombarda). Le trattative si facevano là. Facevo parte del direttivo
provinciale, ma venivo a Brescia solo il giorno delle riunioni. Ma questo
andava bene, perché ci consentiva una grande autonomia di scelte a livello
aziendale, senza che le vicende d'organizzazione interferissero più di tanto
nel nostro lavoro sindacale.
Il congresso di Manerbio è stato il primo
attacco fatto a Castrezzati, guidato dai delegati della Om. Io ho partecipato,
ma ho capito i termini della questione molto tardi, perché era il primo
congresso a cui prendevo parte.