mercoledì 25 marzo 2020

ARMANDO COLOMBO - Vismara - Casatenovo (Lc)

Testimonianza (bozza) raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Affettato misto. La storia di Giorgio, operaio e sindacalista alla Vismara”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2008

Sono entrato in Vismara nel 1960. Sono stato assunto facendo il cambio con la moglie. Ero un tecnico e lavoravo in un’azienda tessile. Dopo il matrimonio, mia moglie, che lavorava in Vismara, è rimasta incinta. A quei tempi c’era la possibilità, se la moglie rimaneva a casa, di cambiare il posto con il marito. Un sabato mattina, dopo aver fatto la notte, ho avuto una discussione con il titolare e gli ho detto che mi licenziavo.
Dopo di ché sono andato davanti alla Vismara a cercare il signor Vincenzo. Il signor Vincenzo in un primo momento mi disse che avendo studiato come tecnico per l’industria tessile mi avrebbe trovato un posto in un’altra azienda tessile della zona della quale conosceva il titolare. Io però ero deciso a cambiare, anche perché in Vismara si guadagnava molto di più e ho insistito, ma senza ottenere una la conferma dell’assunzione in Vismara.

Il giorno dopo, partecipavo ad una giornata di ritiro spirituale alla Villa del sacro Cuore di Triuggio, come uomini di Azione Cattolica, arriva Corbetta Angelo, caporeparto della Vismara, e mi chiede se ero stato io ad andare a domandare di entrare in Vismara al posto di mia moglie. Alla mia conferma, mi ha detto che il signor Vincenzo gli aveva detto che l’indomani mattina avrei dovuto presentarmi al lavoro. Evidentemente si era informato su di me e quindi aveva dato il suo benestare.
Quando sono arrivato mi ha detto che aveva bisogno di mandare una persona di fiducia alla Vister, sulla linea che produceva il Xenovis.
Ho deciso di cambiare quando ho visto la differenza tra il mio salario e quello della Vismara. Nell’azienda tessile, come responsabile di reparto, facendo anche la notte, prendevo 50, 52mila lire. In Vismara il primo stipendio è stato di 89mila lire.
Mia moglie lavorava nel reparto donne guidato dalla signora Elisa. Ha avuto problemi di reumatismi perché lavorava in un’area molto umida ed è stata ricoverata più volte in ospedale.
Sono stato assunto come operaio. La Vister era considerata un buon posto, ma io sono stato inserito in un reparto dove si usavano gli acidi per realizzare il prodotto. Così, dopo sei mesi che ero in quel posto mi si è gonfiata la faccia in modo pauroso per un eczema. Dopo essermi curato sono tornato al mio posto, ma da allora ho sempre indossato una mascherina protettiva per evitare di respirare i fumi di quegli acidi. Un anno dopo la produzione di quel farmaco si è interrotta per problemi di brevetto (passato alla Carlo Erba) e così il mio reparto è stato completamente smontato e noi operai siamo stati trasferiti in salumificio.
Io sono finito al reparto spedizioni. In quel posto ho avuto la possibilità di fare un po’ di carriera e sono diventato equiparato di terzo livello. Sono diventato responsabile di una squadra con il compito di allestire tutte le spedizioni su camion e camioncini. Caricavamo anche i camion con il rimorchio che portavano via il pelo dei maiali in grandi sacconi e andavano a Verona. Così come si caricavano camion di unghie per fare i pettini, gli spazzolini da denti e molto altro.
Preparavamo anche la spedizione degli occhi raccolti in un apposito contenitore che andavano in un istituto di ricerca scientifica.
Si vendeva tutto, il fresco comprendeva oltre alla carne, il cuore, il fegato, il codino, la trachea, le animelle.
Oltre ai generi in natura avevamo i pacchi a Natale, Pasqua e ferragosto. E la tempia ai morti, per la casòla. Per cinque, sei anni ho avuto la responsabilità di distribuire questi pacchi e, tutte le settimane, quelli contrattuali. Alla Vister il trattamento era il medesimo del salumificio e quindi anche noi prendevamo i pacchetti contrattuali. Anche i capi, per le ore di straordinario, ricevevano dei pacchetti di affettato.  
Ad un certo punto erano tutti stufi di ricevere sempre le stesse cose, così, stabilito il valore del pacchetto, abbiamo dato la possibilità alla gente di scegliere ciò che preferiva. Si prenotava ciò che si voleva e così c’era la possibilità di variare. Fino a quando con un contratto nazionale tutto è stato monetizzato e il pacchetto è scomparso.
Per circa dieci anni ho venduto i buoni mensa ai lavoratori, alle 11,30 compravano un blocchetto al prezzo convenzionato. 
Sono rimasto lì fino a quando sono andato in pensione nel 1987.

Mi sono iscritto al sindacato a 15 anni, appena iniziato a lavorare in tessitura. In Vismara ero iscritto ma per molto tempo non mi sono impegnato. Ad un certo punto è nato il problema degli equiparati e dei capireparto che facevano un sacco di ore e iniziavano a lamentarsi. Così sono diventato il loro rappresentante sindacale, il loro delegato. C’era stata una maturazione sindacale anche tra di loro e alcuni partecipavano anche agli scioperi. Sono stati fatti anche degli accordi specifici per mettere ordine nella loro situazione che era un po’ pasticciata.
Quel giorno il rag. Francesco (che è diventato cavaliere del lavoro) mi ha chiamato in ufficio e mi ha detto: “Tu sei un equiparato, responsabile di una squadra, e allo stesso tempo vuoi fare il sindacalista. La famiglia Vismara non può tollerare che una persona alla quale sono state date delle responsabilità scelga di fare il sindacalista. Ricordati che rimarrai così come sei”. Io ci sono rimasto abbastanza male, ma poi sono sempre stato trattato bene.
La Vismara, con il rag. Francesco e l’arrivo di Quatela, ha dovuto riconoscere il ruolo e l’importanza della presenza del sindacato in azienda. In azienda c’erano extraparlamentari di sinistra, qualche testa calda e ad un certo momento bastava una stupidata che succedeva in un reparto perché questo si bloccasse. Noi su queste cose eravamo in difficoltà. Come siamo maturati noi sindacalmente, svolgendo un ruolo importante, così è maturata anche la Vismara, anche la Cgil. Con loro abbiamo avuto qualche problema, ci hanno portato via qualche tessera, ma niente di più.

Quando sono stato assunto il signor Luigi non voleva che mi assumessero, perché diceva che avrei creato problemi per la mia sensibilità sociale. Ma il signor Vincenzo mi aveva già conosciuto come consigliere comunale in occasione di alcune cerimonie pubbliche e incontri con l’amministrazione. Io sono diventato consigliere comunale della Dc a 21 anni. In quel momento il sig. Luigi era assessore ai Lavori pubblici. La famiglia ha sempre avuto un proprio rappresentante in consiglio.
Un giorno ho sollevato una questione con il sindaco perché si diceva che alcuni stradini il sabato andavano a lavorare in Vismara mentre c’erano le strade della mia frazione che avevano bisogno di manutenzione. Questo perché il quel periodo azienda e paese erano la stessa cosa.
Dopo il sig. Luigi in consiglio è entrato il dott. Egidio, chimico, responsabile della Vister, poi è entrata la signora Mocchetti, moglie del rag. Primo, figlio di Luigi Vismara, assessore ai servizi sociali.
Il signor Vincenzo, anche se probabilmente era contestato dalla famiglia, aveva un cuore grande. Quando sapeva che in paese si facevano delle iniziative, ma le risorse erano scarse, lui interveniva, non solo con le parrocchie, ma anche per il paese. Aiutava tutti coloro che volevano farsi una casa, o costruendole direttamente e cedendole ai suoi dipendenti con prestiti che poi tratteneva poco per volta sulle buste paga. I soldi li prestava anche per chi decideva di comprasi una casa anche individualmente. Una mattina, quando in reparto gli ho detto che avevo una possibilità di comprami un appartamento, ma non avevo i soldi necessari per l’anticipo, ha immediatamente chiamato la signora Maria, la cassiera e gli ha detto di prepararmi gli 800mila lire che mi servivano. La sera avevo la busta pronta e l’elenco delle trattenute mensili, in quote così ridotte che non me ne sono nemmeno accorto e mi sono trovato la casa senza fare alcuna fatica. Lo faceva con tutti coloro che andavano da lui a chiedere.
Ho sempre partecipato a tutti i ritiri spirituali organizzati da Corbetta, che si facevano la domenica. L’azienda pagava una giornata.
All’interno dell’azienda abbiamo creato l’Avis. Quando andavamo a donare il sangue, oltre ad avere la giornata pagata, che era obbligatoria, l’azienda al rientro in fabbrica ci dava un pacchetto di un chilo di carne per bistecche.

“Saggia previdenza”. A fine mese tutti i dipendenti avevano una trattenuta sulla busta paga che versavano in una cassa. Venivano trattenuti solo gli arrotondamenti che non venivano pagati, l’azienda li raddoppiava, e servivano per sostenere una forma di previdenza integrativa aziendale in caso di malattia lunga, funerali, problemi particolari. Il fondo era gestito dalla commissione interna. L’iniziativa era nata per decisione dell’azienda e poi era stata passata in gestione ai lavoratori attraverso accordi sindacali.