sabato 4 aprile 2020

CESARE BESANA - Vismara – Casatenovo (Lc)

Trascrizione testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Lo sciopero di Giacomo. Un secolo di solidarietà operaia a Lecco e nel suo territorio”, di Costantino Corbari, Periplo Edizioni, Lecco, 1995

Nato a Barzanò il 3.7.1934, ho iniziato a lavorare alla Vismara a 14 armi, a fine '48. Noi eravamo sette fratelli, io ero il penultimo, di questi ne lavoravano solo due. 
La Vismara era un'azienda a ciclo completo. Dai mangimi, agli Rilevamenti, alla trasformazione. Era un'azienda leader nel settore. Entrare alla Vismara, allora, significava essere raccomandati, in particolare dai preti. Il filtro erano le parrocchie. I miei genitori erano cattolici, pur senza essere nella schiera degli eletti, ma mio padre era grande invalido di guerra e quindi sono riuscito ad entrare tramite il collocamento. Ma non fu una cosa facile, furono necessari diversi interventi e numerose lettere del collocamento all'azienda e una grande tenacia di mia madre. 

Tutte le domeniche il commendator Vincenzo Vismara faceva delle elargizioni in natura a tutti i poveri della zona che venivano da tutto il circondario della bassa Brianza. Allora per numerose domeniche mattina andavamo da Barzanò a Casatenovo per cercare di avere un colloquio con lui. Quattro chilometri sulla canna della bicicletta di mia madre, perché di soldi per la corriera non ne avevamo. 

Finalmente, una domenica mattina mia madre riuscì a parlare con lui e fui assunto, senza dover passare attraverso le raccomandazioni. La Vismara una azienda autosufficiente. Al suo interno c'erano i muratori, c'era un'officina con 200 persone. Allora il commendatore mi chiese che lavoro preferivo e io risposi che volevo solo lavorare per guadagnare un po’ di soldi. Bene, rispose, e mi ha messo in un reparto dove si legavano i salami freschi. Io ero abbastanza robusto già allora. Un giorno passa il direttore della macellazione e mi dice che io non andavo bene lì con le cordicelle in mano e così sono entrato nel reparto mattatoio. Lì i lavoratori che facevano dieci ore al giorno erano considerati lazzaroni. Dalla mattina alle sei fino alla sera alle 8, alle 8 e mezzo. Chi faceva straordinari riceveva pacchetti o pacchettini di affettato al sabato, in base alle ore lavorate in più. 

Dal punto di vista sindacale, c'era un iscritto Cgil contro 5 Cisl. Questo soprattutto per il filtro che c'era in entrata con le parrocchie. Inoltre, la Cisl aveva in commissione interna un rappresentante, Angelo Corbetta, adesso è cavaliere del lavoro, che aveva carta bianca per stabilire chi doveva passare di qualifica o meno. 

Nei primi anni vedevo queste cose, ma non avevo la cultura per capire fino in fondo le ingiustizie che venivano fatte. Ma il fatto che spesso le persone erano premiate più per il fatto di andare in chiesa che non per la loro capacità, non mi andava. Inoltre, le condizioni di lavoro per molti erano davvero dure. L'ultima mia idea era di fare sindacato. Però, viste queste angherie e che molti le subivano perché non potevano farne a meno, ho cercato di guidare il movimento di protesta. 

Fino al 1960, nonostante che la Vismara fosse l'azienda più grande d'Europa nel suo settore, di scioperi non se ne parlava perché nei reparti c'era una cappa opprimente che li impediva. Nel 1960, in occasione del rinnovo del contratto nazionale di lavoro, si scioperava dappertutto e a Casatenovo, alla Fiat delle conserve animali, erano tutti al lavoro. Allora, dalla Cgil di Reggio Emilia è arrivato un funzionario, un certo Guicciardi, per organizzare un minimo di presenza sindacale. Tutte le sere si usciva, a fatica, alle sette, perché si doveva incontrare questo Guicciardi, in un bar, per cercare di sensibilizzare almeno i compagni che era una cosa assurda avere ima vertenza aperta per il contratto e noi lavorare, che era contro il nostro interesse. In uno di quegli incontri decidemmo, d'accordo con la Camera del lavoro di Lecco, di far scattare il primo picchettaggio. Un mattino alle sei, con tutti i funzionari della Cgil e una trentina di giovani lavoratori dell'azienda che erano d'accordo con me, eravamo tutti li davanti ai cancelli. A malapena siamo riusciti a bloccare qualcuno, ma la seconda mattina è uscito sul cancello il commendator Vincenzo: "Alla fine del mese i soldi li prenderete da questi signori" e la linea Maginot cominciò a cedere. 

Nel 1963/’64 una sera, durante lo sciopero dello straordinario, una ventina di lavoratori sono andati su delle macchine e dei camion alla stazione di Besana dove c'erano 15 vagoni di farina di pesce da scaricare. Eravamo all'inizio dell'inverno. L'orario senza gli straordinario finiva alle 17,30. Dieci minuti prima, perché bisognava considerare il tragitto fino a Casatenovo, io, che ero il portavoce, dico al signor Vincenzo che dobbiamo rientrare perché c'è lo sciopero dello straordinario. La reazione fu violentissima e quasi arrivavamo alle mani. Urlando ci disse che mancavano ancora cinque minuti e quindi si doveva lavorare fino alla fine della giornata. Io allora dissi ai miei compagni, che nel frattempo erano scesi dai vagoni, di risalire sul treno e riprendere a scaricare fino al termine dell'orario. Era quasi buio e uno di noi, un po’ esagitato, ha lasciato cadere un sacco di 50 chili accanto al Vismara, il quali capì che le cose stavano prendendo una brutta piega e, minacciando che l'avremmo pagata tutti, se ne andò con i camion, lasciandoci a piedi. 

Noi allora siamo partiti a piedi da Besana. Arrivati sul piazzale della Vismara c'erano duemila persone ad aspettarci. Quando siamo arrivati si è sentito un boato come quando si segna un goal allo stadio. Poi nello spogliatoio è arrivato il nipote del commendatore e ci ha chiesto cosa avevamo fatto a suo zio che era in ufficio a piangere come un bambino. Se c'è qualcuno che deve piangere, qui siamo noi, che abbiamo scaricato tonnellate di farina e poi si è rifiutato di portarci a casa. 

Negli anni successivi la situazione è profondamente cambiata. Anche la Cisl interna è cambiata. Siamo stati tra i primi ad eleggere il consiglio di fabbrica e siamo diventati un'azienda così sindacalizzata che il capo del personale ci diceva "A questo punto gestite voi l'azienda perché io non ce la faccio più". 

Questo in particolare quando decidemmo gli scioperi articolati. 

Avevamo alcuni punti di forza. Alla Vismara c'era un bagnone, una vasca di 60 metri, con i suini che dovevano stare dieci minuti prima di entrare alla macchina pelatrice. Allora noi, quando la situazione si esasperava, facevamo scattare lo sciopero e i suini rimanevano bloccati nel bagnone e non potevano più essere macellati. Il sig. Vincenzo una volta mi ha preso per il braccio "Tu, a questo punto la devi smettere con queste cose e me li devi pagare tutti quei suini. Devi lavorare una vita per pagarmi quei maiali". Spesso però gli facevamo prendere solo paura e dopo pochi minuti di pausa riprendevamo a lavorare. 

Alla fine siamo diventati una fabbrica con un grande maturità sindacale. Eravamo nella condizione di gestire anche le altre fabbriche, come il Salumificio Milano, il Salumificio Molteni, dove andavamo a fare i picchettaggi. 

Il problema dell'ambiente di lavoro è sempre stato sentito in Vismara e c'è stata molta contrattazione per cambiare la situazione. Abbiamo però avuto anche delle esperienze negative. In azienda avevamo delle celle frigorifere che erano mantenute a 20 gradi sottozero. Il lavoro era tutto manuale e gli operai entravano ed uscivano per accatastare le carni. Noi, sensibili alle esigenze di salvaguardia della salute di questi lavoratori, avevamo fatto la proposta di ridurre l'orario da otto ore a 6 e 20. Però i lavoratori ci hanno detto di no perché avrebbero avuto una riduzione delle indennità. I lavoratori erano avidi di soldi. Per quanto riguarda la contrattazione sui salari eravamo una delle aziende all'avanguardia. Per quanto concerne invece le condizioni di vita e di lavoro migliori, abbiamo sempre trovato molte, ma molte difficoltà e su queste cose, sui problemi del caldo e del freddo, non siamo mai riusciti a far capire ai lavoratori che era necessario stare di meno in quegli ambienti, perché loro preferivano guadagnare di più. Anche all'interno dello stesso consiglio di fabbrica non tutti erano così convinti di portare fino in fondo queste battaglie. 

Era così anche per gli straordinari. Ma in quel caso il problema si risolse da solo nel ‘72, ‘73 con il primo periodo di crisi dell'azienda. Ci fu una richiesta di riduzione del personale di circa 300 unità, anche se poi non ci furono licenziamenti e fu fatto un accordo per delle uscite con incentivi per chi aveva l'anzianità ed altre forme che hanno evitato ogni licenziamento. 

I Vismara erano due fratelli Vincenzo e Luigi, ciascuno di loro aveva tre figli. Col passare del tempo si manifestarono problemi nella gestione dell'azienda, probabilmente per incomprensioni tra le famiglie. Il settore era in crescita e noi continuavamo a regredire. Le difficoltà portarono alla vendita a De Benedetti e poi alla Nestlè nel 1987. 

Sono uscito dalla fabbrica nel 1986. 

Nel 1968 eravamo 2.004 dipendenti, quando sono uscito io a fine '86 eravamo in 1.200. Sono passati dieci anni e sono circa 500. Certamente ci sono state le innovazioni tecnologiche che richiedono meno manodopera, però le quote di mercato hanno continuato a diminuire. 

Dal '62 al '68 in commissione interna, poi sempre nel consiglio di fabbrica.