venerdì 13 novembre 2020

Maria Grazia Fabrizio - Il patto di Milano 3

Intervista al segretario generale della Cisl di Milano Maria Grazia Fabrizio. Terza e ultima parte. Pubblicata nel volume "Il patto di Milano. Un patto per la persona", Edizioni Lavoro, Roma, 2000 

L’unità d’azione è definitivamente chiusa a Milano? 

Non so se l’unità d’azione è finita. Sicuramente si è rot­to il modello di unità che ho conosciuto fino a qualche tempo fa. Quello è sicuramente morto, non c’è più. Una volta bastava anche solo una telefonata e ci si raccorda­va sugli interventi da fare, oggi prevale la logica d’or­ganizzazione. Prima penso alla mia organizzazione e poi, caso mai, vedo di relazionarmi con gli altri. Molto spesso ci si incontra alle trattative senza esserci parlati. Cosa che prima non accadeva mai. È capitato che fosse­ro le controparti a fare mediazione tra le organizzazioni sindacali. 

Con il segretario della Uil cittadina, Amedeo Giuliani, com’è il rapporto? 

Con Giuliani il rapporto è stato sempre di grande lealtà e sincerità. Con lui non abbiamo mai avuto problemi di relazioni, anche se mi ha portato via molti iscritti. 

E stato bravo lui, o ha sbagliato la Cisl? 

Abbiamo sbagliato noi, perché in alcune situazioni, con alcune categorie, si poteva evitare. 

E il rapporto personale con il segretario generale della Camera del lavoro, Antonio Panzeri? 

Il rapporto personale è ottimo. Essendo entrambi interi­sti, quando parliamo di calcio riusciamo sempre ad an­dare d’accordo. Per quanto riguarda il modo di far sin­dacato siamo veramente su pianeti diversi. Senza voler giudicare le modalità con cui si gestisce il sindacato, mi interessa evidenziare che mentre la Cisl ha un’organizzazione orizzontale, in Cgil ho il sospetto che ci sia una trattura molto verticale. 

Qualcuno dice che Panzeri soffra il fatto di doversi confrontare con una donna. 

Credo possa esistere una componente di questo tipo. Per molti risulta assolutamente non accettabile che una donna sia riuscita a mettere in difficoltà l’organizzazione sindacale più potente di Milano. È una cosa un po’ stupida, perché difficilmente faccio pesare la mia femminilità all’interno del sindacato. Vengo accettata molto di più dalle controparti che non dai sindacalisti. 

Il segretario della Camera del lavoro è molto seguito dai mass media, come mai? 

Onestamente non so se è più capace di comunicare con i mass media di quanto non sia in grado di fare io. Sicuramente ha un accesso privilegiato ai mezzi di informazione. Non credo sia solo per le cose che dice, ma perché esiste un suo ruolo a metà tra il sindacalista e il politico diessino milanese, una componente che in qualche modo lo fa assurgere a unico leader dell’opposizione a Milano. 

E questo suo ruolo politico, quanto ha influito sulle vi­cende del Patto? 

Abbastanza, è sotto gli occhi di tutti che non esiste una Mera opposizione alla giunta di destra milanese. L’unica opposizione è incarnata dalla Cgil e questo probabil­mente ha influito nella gestione del Patto. 

Parliamo dei partiti politici. Hanno contribuito in qual­che modo alla definizione del Patto? 

Grazie al cielo no. I partiti sono stati tranquillamente fuori da questa vicenda e non c’è mai stato un loro in­tervento diretto. Devo dire che gli unici che ho visto, al­meno ufficialmente, sono stati tutti interventi a com­mento, ma fatti dopo la sottoscrizione del Patto. Ci sono state prese di posizione dei partiti locali di diversa natu­ra. Sorprende in modo particolare la posizione del Par­tito popolare che ha assunto una posizione positiva ri­spetto al Patto, ma anche I’Udeur e lo Sdì, pur apparte­nendo alla stessa coalizione di opposizione con i Ds, hanno espresso apprezzamento per il Patto. Mentre i Ds hanno manifestato un giudizio assolutamente negativo, così come Rifondazione comunista. 

E il Polo? 

Il Polo non ha mai espresso valutazioni, anche perché probabilmente si sente rappresentato dal sindaco e quel­ lo che fa Albertini va bene anche a loro. 

Nessuno, però, nemmeno i Ds, si sono mossi prima per frenare l’intesa? 

No. Si è visto solo durante l’ultima nottata, quella che ha portato alla definizione del testo, che esisteva una chiamata di carattere politico a non sottoscrivere l’ac­cordo. Le titubanze della Lega delle cooperative e della Cna sono probabilmente legate proprio al richiamo del partito di riferimento. 

In precedenza ha avuto dei confronti con le forze politi­che? Nessuno è venuto a chiederle di capire di più? 

Assolutamente no. Ho partecipato a dibattiti in tutti i luoghi possibili e immaginabili dopo la firma della preintesa, ma a livello informativo. Mi hanno chiamato il Partito popolare, Forza Italia e Alleanza nazionale, ma solo perché illustrassi i contenuti della preintesa. Per il resto, le forze politiche sono state abbondantemente ai margini. Per quanto mi riguarda non c’è stato nessun ti­po di interferenza. 

Veniamo alle imprese. Ad un certo punto è parso che Benedini, presidente di Assolombarda, non volesse fir­mare il Patto senza la Cgil. 

Sì, in effetti c’è stato un momento in cui sembrava ci fosse una sorta di alleanza tra Assolombarda e Cgil, ov­viamente su posizioni diametralmente opposte, perché le motivazioni per non sottoscrivere il Patto erano agli antipodi. Assolombarda ha sempre ritenuto un proble­ma dover gestire l’accordo solo con due organizzazioni ' sindacali. Nelle ultime fasi, prima della sottoscrizione del Patto vero e proprio, c’è stato un richiamo, anche at­traverso gli organi di stampa, dello stesso Benito Bene­dini che ha invitato la Cgil a rivedere la propria posi­zione. Poco prima della firma, però, la posizione di Assolombarda è stata chiarissima, esplicitando che qualo­ra il testo fosse stato condivisibile lo avrebbe sottoscrit­to anche solo con Cisl e Uil. 

Non c’è in questo comportamento Videa che infondo, per gli industriali, il sindacato sia la Cgil? 

Il fatto assolutamente nuovo è che proprio a Milano, do­ve le associazioni imprenditoriali sono tutte molto forti, si sia arrivati ad una sottoscrizione senza l’organizza­zione sindacale più rappresentativa. La Cgil a Milano conta il doppio degli iscritti della Cisl, con una presenza e un radicamento consistente. Il fatto che gli impren­ditori abbiano tutti scelto di firmare senza la Cgil signi­fica due cose: che il testo è veramente eccezionale, con­divisibile e frutto di un lungo lavoro, e che è finita l’e­poca in cui le controparti datoriali vedevano nella Cgil il vero sindacato del paese. La sottoscrizione del Patto dimostra che, perlomeno a Milano, le organizzazioni de­gli imprenditori ritengono che Cisl e Uil abbiano la stessa dignità della Cgil. 

Una terza ipotesi è che ci sia un secondo fine da parte delle imprese. Aprire un varco sulla flessibilità a Mila­no per poi tentare di generalizzarlo. 

Abbiamo usato un grande senso di responsabilità impe­gnandoci a non sottoscrivere qualcosa che avesse solo lontanamente questa parvenza. Posso dire con estrema certezza che il Patto non scardina proprio un bel niente. Questo non è il cavallo di Troia per entrare nel mercato del lavoro senza regole. Infatti, quello che non riesco tuttora a capire è come gli imprenditori abbiano potuto accettare la Commissione di concertazione. Cambia completamente lo scenario delle relazioni industriali, perché non solo si farà una verifica sui progetti che le imprese presentano, ma addirittura le aziende non po­tranno attivare i nuovi posti se non dopo che il sindaca­to avrà dato il suo benestare. 

Che opportunità concrete può offrire l’industria, visto che l’occupazione che si è immaginata fino ad ora ri­guarda solo aree marginali? Qual è l’interesse di Asso­lombarda? 

Qui si sfida la capacità di Assolombarda, perché le altre associazioni sono preparate a modalità nuove. Mentre le medie e piccole aziende hanno dimostrato da subito capacità e interesse nell'inventare nuovi modelli d’impresa, Assolombarda rappresenta in qualche modo il vecchio dell’imprenditoria. Al tavolo della trattativa si vedeva che esisteva una differente impostazione tra le di­verse associazioni imprenditoriali, e anche una certa in­sofferenza, su come poi l’intesa si trasformerà in fatto concreto. Poteva apparire che l’interesse di Assolom­barda fosse quello di utilizzare per le proprie imprese esistenti le forme di flessibilità che abbiamo individuato. Posto che non è così, o Assolombarda presenta progetti davvero innovativi per il territorio milanese, o altrimenti rimane fuori dalla partita sostanziale. 

Ma questa non è la conferma che Assolombarda non fosse interessata all’aspetto concreto del Patto, ma de­cisamente più attenta alla valenza politica dell’intesa? 

Allora perché ha firmato? Perché ha insistito per modi­ficare addirittura le virgole del testo dell’accordo? Il Soggetto che ha veramente pressato le associazioni sin­dacali è stata Assolombarda. Al tavolo delle trattative i problemi maggiori li abbiamo avuti con gli industriali. Perché tanto interesse a scrivere un testo e a rimanere air interno di uno schema negoziale di questo tipo se non per sperimentare davvero qualcosa di innovativo? Io mi auguro che lo faccia, anche perché con questo si cancel­la una visione della struttura confindustriale molto bu­rocratica e, nonostante le affermazioni di grande dispo­nibilità all’innovazione, molto conservatrice, molto più vecchia delle associazioni dei piccoli imprenditori. 

E la cooperazione? 

Le tre centrali cooperative hanno ottenuto da questo ta­volo più di quanto potessero immaginare. Prima di tutto per il fatto stesso di esserci, al pari di Assolombarda e di altre associazioni datoriali di lunga militanza ai tavoli negoziali. Hanno acquisito man mano un ruolo preciso. Soprattutto perché, trattandosi di lavoratori marginali, sono solo le cooperative che oggi gestiscono questo mer­cato del lavoro, in modo particolare le cooperative so­ciali e le cooperative di produzione e lavoro. Per il sin­dacato era normale che partecipassero al tavolo negozia­le, mentre la loro presenza è stata molto difficile da ac­cettare da parte delle associazioni imprenditoriali. Oltre­tutto le proposte che hanno presentato le cooperative so­no importanti perché hanno portato al tavolo il bagaglio della loro esperienza nella gestione della marginalità so­ciale. Anche sulla formazione e sullo Sportello unico han­no dato un contributo forte. Le cooperative hanno pre­sentato idee di progetto molto interessanti che riguarda­no soprattutto l’intervento nell’ambito dei servizi alla persona. 

Nonostante il no della Cgil anche la Lega delle coope­rative alla fine ha firmato il Patto. Quale elemento ha consentito questa decisione? 

Non vorrei apparire eccessiva. Credo sia stato il busi­ness. Io immagino che il cuore, sia per la Lega che per la Cna, continuerà a battere dove ha battuto fino a ieri, però esiste una visione imprenditoriale. Con il Patto c’è lavoro e c’è attività d’impresa e siccome il compito del­le cooperative è quello di creare impresa e lavoro, l’inte­resse per questo secondo aspetto ha prevalso sul primo. 

Anche la Lega ha presentato dei progetti? 

Le tre centrali cooperative hanno sempre lavorato insie­me e hanno presentato progetti comuni. 

Parliamo del mondo cattolico milanese. Quali sono state le posizioni rispetto al Patto? 

Di grande discrezione rispetto alle relazioni tra le organizzazioni sindacali. Mai in nessun caso c’è stato un intervento diretto sui problemi che avevamo, mentre hanno sempre manifestato un grande interesse per il merito della questione. In modo particolare il cardinale di Mi­lano, Carlo Maria Martini, pur con tutto il riserbo del caso, ha decisamente sostenuto il lavoro che stavamo fa­cendo. C’è un bellissimo discorso, che ha fatto al Con­gresso provinciale delle Acli, nel quale ha riservato die­ci righe, senza mai citare esplicitamente il Patto, di con­senso a quanto la città di Milano e tutte le sue espres­sioni economiche e sociali stanno facendo per rispondere al problema degli emarginati. Sapendo quanto il Car­dinal Martini tenga ad alcune figure quali gli extraco­munitari, gli handicappati, gli ex carcerati è quasi nor­male. Il mondo cattolico si è mosso sempre con grande discrezione e rispetto dei ruoli. 

Discrezione, lei dice. Però ci sono stati anche tentativi di mediazione rispetto alla divisione tra le forze sinda­cali operati da organismi della Chiesa milanese. 

C’è stato in particolare un incontro presso la Pastorale del lavoro per capire quali fossero i problemi che esistevano tra le organizzazioni sindacali e dove ci è stato for­mulato un chiaro invito a superare le divisioni, visto che l’obiettivo era positivo. Questo è avvenuto prima della preintesa. 

Le organizzazioni cattoliche giocheranno un ruolo nell’applicazione dei progetti? 

Soprattutto nella parte che riguarda l’accompagnamen­to. In modo particolare saranno la Caritas, con le sue strutture, le cooperative e le associazioni di volontariato che daranno un contributo, soprattutto per quanto ri­guarda la selezione delle persone e per l’accompagna­mento. Immagino la difficoltà a inserire in questi pro­getti un malato psichico piuttosto che un ex carcerato. Nessuno può pensare che queste persone possano esse­re abbandonate a se stesse. 

Veniamo ad Albertini. Il sindaco è partito con l’idea di umiliare il sindacato? 

Sicuramente sì. Penso che nelle sue intenzioni non ci fossero pensieri particolarmente positivi quando ha for­mulato la proposta del Contratto d’area. Averla presen­tata proprio il giorno prima della nostra manifestazione era chiaramente un tentativo di metterci in difficoltà. Poi, in tutta la vicenda il sindaco è uscito di scena e non ha mai partecipato alle trattative. Credo che Albertini sia molto contento che le tre organizzazioni sindacali si siano divise, e questa è una delle ragioni per cui ci ab­biamo pensato bene prima di sottoscrivere. E sicuro che da parte dell’Amministrazione comunale non ci sia un atteggiamento favorevole nei confronti della Cgil, ma neanche da parte della Cgil nei confronti di Albertini. C’è una chiara ostilità reciproca. Uno dei risultati che questa Amministrazione può ascriversi è quello di aver rotto l’egemonia della Cgil a Milano, però la Cgil ci ha messo del suo. 

E non la imbarazza l’aver fatto un accordo con un cam­pione del Polo? 

Quando si fa un accordo di questo tipo non si è neutrali. Però l’accordo è buono. Dire di no all’intesa, dopo che l’avevamo costruita con fatica e vedendo che chi era al tavolo della trattativa per conto dell’Amministrazione comunale ci dava una mano nella costruzione dell’ipo­tesi conclusiva, sarebbe stato un grave errore. L’obietti­vo dell’Amministrazione era fare il Patto e quindi lavo­rava perché l’accordo si facesse, a prescindere da chi lo avrebbe sottoscritto. Ora il problema è: se si arriva alla fine di un percorso lungo, travagliato e complicato e il risultato è positivo, è possibile che per motivi di caratte­re politico si dica di no? Le tradizioni della Cisl ci di­cono che un accordo positivo si firma sempre, anche se questo può essere usato dal sindaco per la sua futura cam­pagna elettorale. Se la Cgil avesse firmato, per l’Am­ministrazione questo risultato sarebbe stato minore e an­che la portata del suo successo sarebbe stata sicuramen­te inferiore. È stato un errore clamoroso da parte della Cgil, anche in questa prospettiva. 

Quindi a Milano, si è consumato uno scontro tra destra e sinistra con la vittoria della destra? 

Direi proprio di sì. Per quanto riguarda lo schieramento politico è sicuramente così, dal punto di vista sindacale si sono scontrate le forze sindacali e le forze imprendi­toriali con un risultato positivo per entrambe. 

Il sindaco era interessato alla firma della Cgil, o no? 

Credo che se avesse firmato anche la Cgil sarebbe stato Contento, ma il fatto che la Cgil non abbia firmato lo rende ancora più felice. 

Qual è il suo rapporto con il sindaco Gabriele Albertini? 

È una persona assolutamente gradevole. Dal punto di vi­ltà politico non condivido praticamente niente di quello Che dice e di quello che fa. 

Nell’ambito dell’Amministrazione comunale, data l’as­senza del sindaco, quali sono stati gli attori principali del confronto? 

Il direttore generale, Stefano Parisi, e l’assessore al Personale, Carlo Magri. Hanno viaggiato in coppia per tut­ta questa vicenda, mantenendo relazioni vaste ed estese con tutti. Avevano delle posizioni molto chiare anche nel rapporto con le associazioni sindacali. Sapevamo che si svolgevano incontri informali, ma il fatto che tut­ti fossero informati li rendevano accettabili. Non ci so­no mai state operazioni trasversali. Questo è uno degli elementi che ha giocato a favore del tavolo. È stato loro il lavoro di costruzione del Patto, perché lo volevano a tutti i costi. 

L’Amministrazione comunale avrà un ruolo anche nel­la gestione pratica del Patto? 

Tutta la parte organizzativa di gestione vera e propria degli atti formali per rendere possibile la concertazione sono a carico del Comune. L’Amministrazione avrà il compito di agevolare le varie fasi di attuazione concre­ta dell’accordo. 

Ci saranno dei costi da sostenere per l’attivazione del Patto? 

Occorre considerare che questo progetto potrebbe avere dei finanziamenti esterni. Alcune iniziative potranno essere finanziate sia dal Fondo sociale europeo che con fondi regionali e provinciali. Spero che l’Unione euro­pea prenda buona nota di questa esperienza e possa so­stenerla, perché dopo tutto è esattamente quel che l’U­nione ha messo in uno dei suoi programmi, cioè la lotta all’emarginazione tramite l’intervento degli attori so­ciali nel territorio. Credo sia un caso da studiare anche a livello comunitario. Può essere che ci siano delle spese per la sua attuazione, ma sono costi che si possono re­cuperare. 

I mezzi di comunicazione come hanno raccontato la vi­cenda ? 

Mi rendo conto della difficoltà a descrivere argomenti che sono difficili da comunicare, però non tutti i giorna­li hanno avuto atteggiamenti neutrali davanti alle vicen­de. Ci sono stati alcuni strumenti di comunicazione che hanno tenuto comportamenti chiaramente partigiani. Ho ricevuto richieste di intervento, di interviste o com­mento da molti giornali, ma non da tutti. Ci sono gior­nalisti che hanno escluso dalla loro agenda il numero te­lefonico della Cisl e questo, a mio modo di vedere, ha pregiudicato l’equilibrio dell’informazione. La faziosità della stampa è un fattore che non ha giocato a favore del confronto. C’è stata molta disinformazione e qualche volta l’effetto è stato devastante. 

Scorrettezza da parte di alcuni, dunque, ma il modo in cui i mezzi di informazione hanno raccontato le vicende ha aiutato i milanesi a capire quanto stava avvenendo? 

Fino a quando abbiamo parlato della preintesa, sicuramente no. La gente ha solo capito che i sindacati stava­no litigando. Dopo la firma del Patto anche la cittadi­nanza è riuscita ad avere un’informazione più semplice e chiara: si può dare lavoro a delle persone che altri­menti stanno in mezzo alla strada e possono essere possibili prede della delinquenza. Questo la gente ora l’ha capito molto bene. Sulla diatriba tra le tre organizzazio­ni sindacali i cittadini non hanno la reale percezione delle differenti motivazioni. Quello che si è colto è che si è trattato di un fatto politico. Ai cittadini di capire cos’è un contratto a tempo determinato di tipo soggettivo non interessa nulla. Per cui una divisione che ha per og­getto questa questione non la comprende nessuno. 

L’informazione attraverso stampa, radio e televisioni, la mobilitazione delle organizzazioni sindacali, la pre­senza di numerosi attori diversi, sono riusciti a far di­ventare il Patto per il lavoro un avvenimento per la città oppure no? 

Secondo me comincia solo adesso a diventarlo. Soprat­tutto perché di fronte alla disponibilità di mille posti di lavoro la gente ha un impatto positivo. Nell'immagina­rio collettivo mille posti di lavoro sono una cosa bella, interessante. Rispetto a quanto si conosceva soltanto sei o sette mesi fa ora la consapevolezza è maggiore. Il fat­to stesso che proprio sulla base delle informazioni di stampa arrivino le telefonate, e sono telefonate positive, di adesione, di ricerca di lavoro, di richiesta di informa­zione, significa che ormai si è passati dalla fase del giu­dizio alla valutazione concreta: è una cosa che va bene. Credo che il Patto sarà ricordato come un fatto forte di questo periodo. 

E la Cisl, si è rafforzata o indebolita? 

Spero che si rafforzi. La fatica è stata fatta insieme a tut­te le categorie e i dipartimenti, con le nostre associazio­ni collegate. Almeno un effetto l’abbiamo ottenuto: sic­come stiamo litigando con la Cgil, nei luoghi di lavoro i nostri rappresentanti hanno un ruolo importante, che è quello di confrontarsi con opinioni diverse. Per poterlo fare bisogna avere consapevolezza della posizione del­l’organizzazione e dunque c’è una richiesta forte di informazione. Se c’è interesse e condivisione vuol dire che il risultato è positivo e l’orientamento non può che essere quello di andare avanti su questa strada. Che tutto ciò si trasformi in maggiore coraggio, anche dal pun­to di vista dell’identità Cisl nei luoghi di lavoro, è il secondo successo che io mi aspetto da questa vicenda. La visibilità dell’organizzazione è stata molto forte, tutti hanno capito che quello che si stava facendo era difficile, che non era una scelta che ci riempiva di gioia. Essendo una decisione sofferta, ma fortemente condivisa, credo abbia creato identità. La gente sa perché sta nella Cisl, questo la rafforza. 

La Cisl si è rafforzata anche in termini di relazioni e di peso politico? 

Nelle relazioni esterne sicuramente. Soprattutto nell’ultima nottata, quando più difficile era il lavoro da fare, anche politicamente molto pesante, il tavolo l’ha tenuto la Cisl. Se la Cisl avesse tentennato troppo verso posizioni di mediazione, il Patto non ci sarebbe stato, perché gli imprenditori non avrebbero accettato un pasticcio dell’ultimo minuto. Il richiamo forte che è stato fatto alla coerenza è stato molto apprezzato. Questo ci qualifica moltissimo nei rapporti esterni, perché oggi si identifica la Cisl come il sindacato che con più coerenza ha sostenuto il Patto e i suoi obiettivi. 

Per finire, che cosa insegna questa vicenda? 

Tante cose. Sicuramente che occorre avere il coraggio proporre nuove idee, con nuovi soggetti con una mentalità nuova. Non avrei mai pensato di poter condividere con gli imprenditori e con l’Amministrazione milanese un progetto di tipo sociale come quello che abbiamo costruito. Probabilmente insegna anche che con un po’ di spregiudicatezza a volte si riesce a rompere gli schemi e sulla rottura quasi certamente si può ricostrui­re. In fondo, perché la gente vede il sindacato come una cosa vecchia? Perché individua in Cgil, Cisl, Uil la struttura che cerca di conservare quelli che, sbagliando, vengono definiti privilegi. Se il sindacato riesce a dimo­strare che non è così e c’è davvero la volontà di costrui­re anche in forme nuove, forse cambia anche la visione del sindacato diffusa nel paese. 

E adesso? 

Adesso è tutto da scoprire. Ora c’è da capitalizzare. Se il Patto si può considerare un successo per la Cisl di Mi­lano occorre procedere lungo questa strada. C’è da co­struire, sempre con questo sistema di relazioni, altri sce­nari che riguardano non solo l’emarginazione ma anche le attività produttive vere e proprie. Dobbiamo andare avanti confermando la nostra linea.

fine

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