Tempo libero. Tempo di lavoro. Una contrapposizione che non ha più senso.
Il lavoro è ormai un bene prezioso e scarso e come tale deve essere diviso. Eppure, fino a non molti anni fa, la battaglia sindacale per la riduzione dell’orario di lavoro era basata essenzialmente sulla richiesta di poter disporre di più tempo «per vivere» e non per creare nuova occupazione. In questa impostazione erano presenti però forti limiti e negli anni successivi si sono dovute cercare altre vie più produttive.
E tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che si sviluppa nella politica contrattuale del sindacato tessile la strada della riduzione dell’orario settimanale di lavoro quale strumento per difendere l’occupazione. Nel 1972 si raggiungono finalmente le 40 ore.
Spinto dalla concorrenza dei paesi emergenti, il settore tessile, in maniera più pressante rispetto ad altri comparti industriali, si trova a fare i conti con il problema della crescita della produttività e del contenimento dei costi attraverso l’innovazione tecnologica. L’industria tessile e dell’abbigliamento è infatti la prima che si consolida in un paese in via di sviluppo e la presenza di queste giovani economie sui mercati internazionali comincia già a farsi sentire negli anni Sessanta. In quegli anni, per le aziende, c’è anche la necessità di recuperare i maggiori costi derivanti dalle conquiste sindacali.Sono condizioni che
favoriscono il salto tecnologico che si concretizza con l’introduzione del
sistema open-end in filatura e dei telai senza navetta, ad alta produttività,
in tessitura. Di conseguenza, assistiamo ad una forte crescita dell’investimento
necessario per la creazione di un posto di lavoro ed un notevole incremento
della produttività che fa sì che siano necessari meno lavoratori per produrre
una maggiore quantità di beni.
Questi processi
cambiano profondamente il settore tessile italiano. Quello lombardo, in
particolare, dove si concentrano le principali aziende del comparto cotoniero,
subisce un mutamento radicale.
Il sindacato insiste
nella sua battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro che si innesta su
questa nuova situazione e comincia a confrontarsi con le pressanti esigenze
aziendali. Mentre si raggiungono le 40 ore settimanali, già si aprono dunque le
vie per ulteriori riduzioni dell’orario di lavoro e l’introduzione di nuove
forme di flessibilità.
Nel contratto
collettivo che viene rinnovato nel 1970, appunto quello che prevede il raggiungimento
delle 40 ore entro il 1972, si afferma: «Un orario settimanale di 40 ore verrà
normalmente distribuito nei primi cinque giorni della settimana, altre
distribuzioni di orario, per singoli reparti o per stabilimento, nell’ambito
della settimana o anche di cicli di più settimane, saranno concordate tra le
direzioni aziendali e le rappresentanze sindacali dei lavoratori».
Un verbale aggiuntivo
ribadisce e motiva la scelta di una maggiore flessibilità «al fine di
rispondere alle particolari caratteristiche del settore, alle esigenze di
utilizzo degli impianti, alla possibilità di mantenere e di incrementare
l’occupazione».
Tale indicazione
troverà immediata applicazione in alcuni accordi aziendali che non faranno
altro che accogliere e generalizzare le disponibilità contenute nel verbale
aggiuntivo. Particolarmente significative le intese realizzate nel gruppo
Cantoni, alla Bassetti di Rescaldina ed alla Adda Filo di Crespi d’Adda. In
tutte queste aziende l’introduzione di particolari sistemi di turnazione sono
legati alla realizzazione di nuovi investimenti.
In questi accordi, ed
in altri casi di imprese minori, la soluzione dei problemi aziendali, in primo
luogo l’aspetto occupazionale, è stata realizzata passando da turni di lavoro
di otto ore al giorno, per tre turni, per cinque giorni la settimana, a turni
che hanno portato gli impianti a lavorare per sei giorni settimanali. I turni
sono impostati in modo diverso in base alle differenti esigenze aziendali.
Sei ore giornaliere per quattro turni, per sei giorni settimanali, si
realizzano alla Cantoni. L’orario passa da 40 a 36 ore settimanali.
Alla Bassetti,
l’utilizzo degli impianti per sei giorni viene realizzato con il sistema a
scorrimento: tre turni di otto ore al giorno con il riposo al sesto giorno, a
scorrimento nei sei giorni della settimana.
Anche in questo caso
l’orario medio settimanale viene ridotto sotto le 40 ore.
Alla Adda Filo si
sceglie ancora il 6 x 6 con un orario individuale settimanale di 36 ore.
L’accordo con il
gruppo Cantoni viene firmato il 31 gennaio 1973. Sono interessate sette
aziende, per un totale di 1.300 addetti su 2.400 occupati. L'intesa viene
applicata a partire dalla tessitura di Trecate, il 22 marzo. Nello stesso 1973
seguiranno poi le filature di Ponte Nossa. L’utilizzo degli impianti su sei
giorni viene successivamente esteso alla filatura di Arluno (1976), alla tessitura
di Legnano (1978), alla filatura di Cordenons ed alla ex tessitura
Olmina/Legnano (1979). Infine, e siamo già al 1981, nove anni dopo la firma
dell’accordo quadro, alla tessitura di Castellanza.
L’azienda di Crespi
d’Adda, la Adda Filo, in provincia di Bergamo, ha avuto una vita travagliata
con successivi passaggi di proprietà: dalla famiglia Crespi, alla Rossari e
Varzi per finire alla Gepi.
In occasione del
passaggio alla Gepi, il 19 novembre 1972, viene siglato un accordo con lo scopo
di consentire il salvataggio dell’azienda. In questa occasione viene introdotto
lo schema del 6x6, coinvolgendo 450 operai nel lavoro su sei giorni. Successivamente,
il 15 ottobre 1973, l’intesa viene ampliata con l’introduzione di un nuovo
turno di sei ore dalle 24 del sabato alle ore 6 della domenica mattina. Viene
costituita una squadra volontaria di 70- 80 operai, che lavorano cinque giorni
la settimana: quattro in giorni ordinari, più la domenica. L’orario
settimanale viene ridotto a 30 ore, con una retribuzione pari a 40.
Dieci anni dopo, nel
1983, viene introdotto il secondo turno domenicale. Alla Bassetti di
Rescaldina, 530 dipendenti, l’accordo è raggiunto il 28 dicembre 1973. Il
Natale porta così la buona notizia di un posto di lavoro a 147 addetti
considerati esuberanti in seguito all’introduzione di nuove tecnologie
produttive. Sono previsti infatti oltre tre miliardi di investimenti per
sostituire 250 vecchi telai con 110 nuovi Sulzer. L’utilizzo degli impianti
passa da cinque a sei giorni e si lavora dalla sei del lunedì alle sei della
domenica mattina. Contrariamente alle esperienze della Cantoni e della Adda
Filo, in questo caso si sceglie di lavorare con tre turni di 8 ore, per cinque
giorni la settimana, con lo scorrimento del sabato. L’orario individuale si
abbassa a 36 ore, pari a 248 giorni, circa 1911 ore annue.
Negli anni successivi
questi schemi di turnazione vengono applicati in molte altre realtà.
Adeguandoli alle diverse esigenze aziendali, gli accordi della Bassetti,
Cantoni e Adda Filo, fanno
scuola. I forti processi di
ristrutturazione che investono il settore, non consentono molte altre
alternative. L’esigenza di salvaguardare al massimo l’occupazione impone
queste scelte. Va sottolineato, infatti, che in entrambi gli schemi di turno —
nel 6 x 6, passando da 3 a 4 turni al giorno; nello scorrimento, con la squadra
in più che ruota quando i lavoratori dei tre turni sono a riposo — c’è bisogno
del trenta per cento in più circa di lavoratori rispetto al sistema precedente.
Si raggiunge così l’obiettivo di difendere manodopera che altrimenti verrebbe
espulsa per l’accresciuta produttività aziendale.
La strada aperta da
centinaia di accordi aziendali viene infine generalizzata dal movimento
sindacale, che nel contratto nazionale del 1979 introduce una normativa che
prevede esplicitamente il lavoro su sei giorni settimanali, con riduzione
dell’orario a 36 ore.
Negli anni Ottanta, a
seguito di una ulteriore fase di ristrutturazione e di innovazione tecnologia
e dell’apparire sul mercato dei nuovi e più temibili concorrenti orientali,
nasce il problema degli impianti a ciclo continuo, operanti per sette giorni la
settimana. Un accordo sul pieno utilizzo degli impianti, in verità, fu realizzato
già nel 1972 alla Eliolona di Mantova, ma si trattava di una realtà del tutto
particolare, assai vicina agli impianti chimici a ciclo continuo.
C’è un ampio
dibattito nel sindacato. Le tre organizzazioni, Filta-Cisl, Filtea-Cgil e
Uilta-Uil, passano da una posizione di chiusura pregiudiziale ad una
contrattazione vera e propria.
Sei accordi che
prevedono il lavoro per sette giorni la settimana vengono realizzati nel 1984.
Ma siamo già ai giorni nostri. Negli anni successivi il lavoro domenicale
diventa una realtà significativa delle aziende tessili.