martedì 8 settembre 2020

Contrattazione degli orari nel tessile

Breve saggio pubblicato nel volume "Lavorare di domenica. Esperienze della Filta Cisl Lombardia", Contributi 31, Edizioni Lavoro, Roma, 1988

Tempo libero. Tempo di lavoro. Una contrapposizione che non ha più senso.

Il lavoro è ormai un bene prezioso e scarso e come tale deve essere diviso. Eppure, fino a non molti anni fa, la battaglia sinda­cale per la riduzione dell’orario di lavoro era basata essenzialmente sulla richiesta di poter disporre di più tempo «per vivere» e non per creare nuova occupazione. In questa impostazione erano pre­senti però forti limiti e negli anni successivi si sono dovute cercare altre vie più produttive.

E tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che si sviluppa nella politica contrattuale del sindacato tessile la strada della riduzione dell’orario settimanale di lavoro quale stru­mento per difendere l’occupazione. Nel 1972 si raggiungono final­mente le 40 ore. 

Spinto dalla concorrenza dei paesi emergenti, il settore tessile, in maniera più pressante rispetto ad altri comparti industriali, si trova a fare i conti con il problema della crescita della produttività e del contenimento dei costi attraverso l’innovazione tecnologica. L’industria tessile e dell’abbigliamento è infatti la prima che si consolida in un paese in via di sviluppo e la presenza di queste giovani economie sui mercati internazionali comincia già a farsi sentire negli anni Sessanta. In quegli anni, per le aziende, c’è an­che la necessità di recuperare i maggiori costi derivanti dalle con­quiste sindacali.

Sono condizioni che favoriscono il salto tecnologico che si concretizza con l’introduzione del sistema open-end in filatura e dei telai senza navetta, ad alta produttività, in tessitura. Di conseguenza, assistiamo ad una forte crescita dell’investimento necessa­rio per la creazione di un posto di lavoro ed un notevole incremen­to della produttività che fa sì che siano necessari meno lavoratori per produrre una maggiore quantità di beni.

Questi processi cambiano profondamente il settore tessile ita­liano. Quello lombardo, in particolare, dove si concentrano le prin­cipali aziende del comparto cotoniero, subisce un mutamento radi­cale.

Il sindacato insiste nella sua battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro che si innesta su questa nuova situazione e co­mincia a confrontarsi con le pressanti esigenze aziendali. Mentre si raggiungono le 40 ore settimanali, già si aprono dunque le vie per ulteriori riduzioni dell’orario di lavoro e l’introduzione di nuove forme di flessibilità.

Nel contratto collettivo che viene rinnovato nel 1970, appun­to quello che prevede il raggiungimento delle 40 ore entro il 1972, si afferma: «Un orario settimanale di 40 ore verrà normalmente di­stribuito nei primi cinque giorni della settimana, altre distribuzioni di orario, per singoli reparti o per stabilimento, nell’ambito della settimana o anche di cicli di più settimane, saranno concordate tra le direzioni aziendali e le rappresentanze sindacali dei lavoratori».

Un verbale aggiuntivo ribadisce e motiva la scelta di una mag­giore flessibilità «al fine di rispondere alle particolari caratteristi­che del settore, alle esigenze di utilizzo degli impianti, alla possibi­lità di mantenere e di incrementare l’occupazione».

Tale indicazione troverà immediata applicazione in alcuni ac­cordi aziendali che non faranno altro che accogliere e generalizzare le disponibilità contenute nel verbale aggiuntivo. Particolarmente significative le intese realizzate nel gruppo Cantoni, alla Bassetti di Rescaldina ed alla Adda Filo di Crespi d’Adda. In tutte queste aziende l’introduzione di particolari sistemi di turnazione sono le­gati alla realizzazione di nuovi investimenti.

In questi accordi, ed in altri casi di imprese minori, la solu­zione dei problemi aziendali, in primo luogo l’aspetto occupaziona­le, è stata realizzata passando da turni di lavoro di otto ore al gior­no, per tre turni, per cinque giorni la settimana, a turni che hanno portato gli impianti a lavorare per sei giorni settimanali. I turni so­no impostati in modo diverso in base alle differenti esigenze azien­dali. Sei ore giornaliere per quattro turni, per sei giorni settimana­li, si realizzano alla Cantoni. L’orario passa da 40 a 36 ore setti­manali.

Alla Bassetti, l’utilizzo degli impianti per sei giorni viene rea­lizzato con il sistema a scorrimento: tre turni di otto ore al giorno con il riposo al sesto giorno, a scorrimento nei sei giorni della set­timana.

Anche in questo caso l’orario medio settimanale viene ridotto sotto le 40 ore.

Alla Adda Filo si sceglie ancora il 6 x 6 con un orario indivi­duale settimanale di 36 ore.

L’accordo con il gruppo Cantoni viene firmato il 31 gennaio 1973. Sono interessate sette aziende, per un totale di 1.300 addet­ti su 2.400 occupati. L'intesa viene applicata a partire dalla tessi­tura di Trecate, il 22 marzo. Nello stesso 1973 seguiranno poi le filature di Ponte Nossa. L’utilizzo degli impianti su sei giorni vie­ne successivamente esteso alla filatura di Arluno (1976), alla tessi­tura di Legnano (1978), alla filatura di Cordenons ed alla ex tessi­tura Olmina/Legnano (1979). Infine, e siamo già al 1981, nove an­ni dopo la firma dell’accordo quadro, alla tessitura di Castellanza.

L’azienda di Crespi d’Adda, la Adda Filo, in provincia di Bergamo, ha avuto una vita travagliata con successivi passaggi di proprietà: dalla famiglia Crespi, alla Rossari e Varzi per finire alla Gepi.

In occasione del passaggio alla Gepi, il 19 novembre 1972, viene siglato un accordo con lo scopo di consentire il salvataggio dell’azienda. In questa occasione viene introdotto lo schema del 6x6, coinvolgendo 450 operai nel lavoro su sei giorni. Successiva­mente, il 15 ottobre 1973, l’intesa viene ampliata con l’introduzio­ne di un nuovo turno di sei ore dalle 24 del sabato alle ore 6 della domenica mattina. Viene costituita una squadra volontaria di 70- 80 operai, che lavorano cinque giorni la settimana: quattro in gior­ni ordinari, più la domenica. L’orario settimanale viene ridotto a 30 ore, con una retribuzione pari a 40.

Dieci anni dopo, nel 1983, viene introdotto il secondo turno domenicale. Alla Bassetti di Rescaldina, 530 dipendenti, l’accordo è raggiunto il 28 dicembre 1973. Il Natale porta così la buona no­tizia di un posto di lavoro a 147 addetti considerati esuberanti in seguito all’introduzione di nuove tecnologie produttive. Sono pre­visti infatti oltre tre miliardi di investimenti per sostituire 250 vecchi telai con 110 nuovi Sulzer. L’utilizzo degli impianti passa da cinque a sei giorni e si lavora dalla sei del lunedì alle sei della domenica mattina. Contrariamente alle esperienze della Cantoni e della Adda Filo, in questo caso si sceglie di lavorare con tre turni di 8 ore, per cinque giorni la settimana, con lo scorrimento del sa­bato. L’orario individuale si abbassa a 36 ore, pari a 248 giorni, circa 1911 ore annue.

Negli anni successivi questi schemi di turnazione vengono ap­plicati in molte altre realtà. Adeguandoli alle diverse esigenze aziendali, gli accordi della Bassetti, Cantoni e Adda Filo, fanno

scuola. I forti processi di ristrutturazione che investono il settore, non consentono molte altre alternative. L’esigenza di salvaguarda­re al massimo l’occupazione impone queste scelte. Va sottolineato, infatti, che in entrambi gli schemi di turno — nel 6 x 6, passando da 3 a 4 turni al giorno; nello scorrimento, con la squadra in più che ruota quando i lavoratori dei tre turni sono a riposo — c’è bi­sogno del trenta per cento in più circa di lavoratori rispetto al sistema precedente. Si raggiunge così l’obiettivo di difendere ma­nodopera che altrimenti verrebbe espulsa per l’accresciuta produt­tività aziendale.

La strada aperta da centinaia di accordi aziendali viene infine generalizzata dal movimento sindacale, che nel contratto nazionale del 1979 introduce una normativa che prevede esplicitamente il la­voro su sei giorni settimanali, con riduzione dell’orario a 36 ore.

Negli anni Ottanta, a seguito di una ulteriore fase di ristrut­turazione e di innovazione tecnologia e dell’apparire sul mercato dei nuovi e più temibili concorrenti orientali, nasce il problema de­gli impianti a ciclo continuo, operanti per sette giorni la settimana. Un accordo sul pieno utilizzo degli impianti, in verità, fu realizza­to già nel 1972 alla Eliolona di Mantova, ma si trattava di una realtà del tutto particolare, assai vicina agli impianti chimici a ci­clo continuo.

C’è un ampio dibattito nel sindacato. Le tre organizzazioni, Filta-Cisl, Filtea-Cgil e Uilta-Uil, passano da una posizione di chiu­sura pregiudiziale ad una contrattazione vera e propria.

Sei accordi che prevedono il lavoro per sette giorni la settima­na vengono realizzati nel 1984. Ma siamo già ai giorni nostri. Ne­gli anni successivi il lavoro domenicale diventa una realtà significa­tiva delle aziende tessili.