Un anno impegnativo per la nuova segreteria guidata da Annamaria Furlan dopo il discusso abbandono di Raffaele Bonanni. Contributo pubblicato ne l'Annuario del lavoro 2015, Roma
La
nuova squadra di comando della Cisl è stata chiamata a confrontarsi con un
sistema delle imprese critico nei confronti dell’azione sindacale e restio a
procedere al rinnovo dei contratti di lavoro, e con un esecutivo che ha
marciato deciso lungo l’asse tracciato da Matteo Renzi su lavoro, scuola,
previdenza, fisco. Con il premier che non ha mai mancato di accusare le
organizzazioni sindacali di costituire un freno al cambiamento del Paese,
sostenuto in questo da una Confindustria apparsa quanto mai incerta su quale
sia il comportamento migliore da seguire: se quello del confronto con Cgil,
Cisl, Uil piuttosto che dello scontro.
Nella seconda parte dell’anno la Cisl si è trovata anche a
dover fronteggiare le polemiche sorte intorno alla pubblicazione dei compensi
di alcuni dirigenti. La strada scelta è stata quella di non rispondere agli
aspetti strumentali della vicenda, sottolineando che fin dal cambio delle
segreteria è stato avviato un percorso di cambiamento nella consapevolezza che
“un sistema doveva essere modificato perché permetteva scelte sbagliate e ha
consentito a qualcuno di approfittarne”.
L’anno si è chiuso con la celebrazione della
Conferenza programmatica organizzativa. Una convocazione decisa subito dopo
l’insediamento del nuovo gruppo dirigente, un segnale politico forte che si è
voluto dare alle strutture cisline. Con l’ambizioso obiettivo di cambiare per “guidare
il movimento sindacale del XXI secolo”.
Con una rappresentanza sociale indebolita, nella crisi il sindacato è apparso esposto e vulnerabile, non riuscendo a offrire concrete opportunità ai bisogni delle nuove professionalità e dei settori più innovativi, faticando a costruire risposte efficaci alle sfide che la politica e l’economia hanno proposto. Una consapevolezza che ha spinto la Cisl ad avviare un processo di cambiamento verso un sindacato più presente nei luoghi di lavoro, che rafforzi e valorizzi il ruolo dei delegati, forte nella contrattazione decentrata e attivo sui temi del welfare. La conferenza organizzativa è stata l’ambito di queste decisioni, che hanno coinvolto tutte le strutture dell’organizzazione: 62 unioni territoriali, 19 regionali e 14 federazioni nazionali di categoria. Un appuntamento, conclusosi con l’assemblea di Riccione, che nel suo percorso ha visto la partecipazione di oltre quindicimila delegati e dirigenti che si sono confrontati su come costruire una Cisl più trasparente, più snella, più radicata nei posti di lavoro e nei territori, capace di parlare ai giovani.
L’assemblea
nazionale ha consentito anche di fare il punto sui processi di riorganizzazione
delle realtà territoriali e di aggregazione delle categorie della Cisl che hanno
vissuto una fase di rallentamento dovuto al cambio della segreteria, ma che ora
dovranno ripartire con maggiore convinzione. Unica novità, la nascita della
First-Cisl, la federazione che ha riunito Fiba-Cisl e Dircredito in rappresentanza
delle diverse aree professionali di banche e assicurazioni, con circa 100mila
iscritti.
I primi giorni del 2015 sono vissuti dell’eco delle parole del presidente Napolitano che nel suo ultimo discorso di capodanno ha invitato tutti alla responsabilità e al dialogo sociale. Parole che la Cisl ha fatto sue, rivolgendole però al governo e alle forze politiche, proponendo la costruzione di un nuovo patto sociale. “Occorre raccogliere l'appello di Napolitano con coerenza e determinazione. Anche la Cisl è pronta a dare il proprio contributo con le sue proposte - ha commentato Annamaria Furlan - come ha fatto sempre nella sua lunga storia, per favorire una stagione di sviluppo e di riforme condivise. Solo con un patto tra tutti i soggetti politici, sociali ed economici della vita pubblica, sarà possibile far uscire il paese dalla crisi".
Ma gli appelli hanno trovato scarso ascolto e la Cisl,
mentre ha cercato, come è nel proprio Dna, il dialogo con il governo, si è mossa
autonomamente lanciando una raccolta di firme per una legge di iniziativa
popolare che riformi il sistema fiscale “nel segno dell'equità e della
giustizia sociale”. L’obiettivo dichiarato è quello di introdurre
più equità, dare più risorse a lavoratori e pensionati, ridistribuire ricchezza
e sostenere le famiglie. La Cisl propone l'introduzione di un bonus di mille
euro annui per tutti i contribuenti con un reddito individuale fino a 40mila
euro e di ammontare ridotto e via via decrescente per chi ha redditi superiori.
Se i beneficiari degli 80 euro sono 9,8 milioni circa, a godere del bonus
proposto dalla confederazione di via Po sarebbero 38,5 milioni. La proposta
prevede, inoltre, l’introduzione di un assegno familiare che si alzi al
crescere dei carichi familiari e si riduca all'aumentare del reddito,
l’adozione di una nuova fiscalità locale al servizio del cittadino con
l’eliminazione delle tasse sulla prima casa, una imposta progressiva sulla
grande ricchezza, il rafforzamento delle sanzioni amministrative e penali, l’aumento
dei controlli per combattere l’evasione fiscale. Secondo i calcoli del
sindacato, l'insieme delle misure avrebbe un costo di circa 39 miliardi:
risorse che potrebbero essere trovate dai fondi destinati al bonus per gli 80 euro,
dall’imposta patrimoniale, dalla lotta all'evasione, da una revisione delle
agevolazioni fiscali, dalla rimodulazione degli assegni familiari. Il 2
settembre il segretario generale della Cisl si è presentata in Piazza
Montecitorio con una carriola, depositando presso la
Camera dei deputati le 500mila firme raccolte
in sei mesi nelle città italiane.
A marzo Cgil, Cisl e Uil hanno affrontano le elezioni per il rinnovo delle Rsu nella scuola e nel pubblico impiego. La Cisl ha confermato, e in molti casi aumentato, la presenza nella scuola, mentre nel pubblico ha condiviso una caduta di consenso con le altre sigle confederali a favore di nuove aggregazioni di tipo professionale. Siamo in attesa dei dati Aran per una conferma di questi processi.
Se nel pubblico risulta semplice
misurare la rappresentatività nei singoli luoghi di lavoro, ma complicato
conoscere i dati complessivi delle preferenze dei lavoratori, nel privato si è proceduto
lungo la strada tracciata con l’accordo del 10 gennaio 2014. Il 16 marzo è stata siglata la
convenzione tra Inps, Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per
l'attività di raccolta, elaborazione e comunicazione dei dati relativi alla
rappresentanza del sindacato. “Un accordo che abbiamo fortemente voluto per
rendere assolutamente certe le relazioni industriali e trasparente la
rappresentanza delle organizzazioni sindacali” ha commentato il segretario
generale della Cisl, soddisfatta per l'intesa. “Credo - ha
aggiunto - che da una parte il testo unico sulla rappresentanza, dall'altra il
dato sull'affluenza alle elezioni delle Rsu della pubblica amministrazione
disegnino un sindacato moderno e trasparente dove gli iscritti contano”.
Con l’occasione Annamaria Furlan è tornata a respingere
l’idea di un intervento legislativo sulla misurazione della rappresentanza: “Non
serve una legge, abbiamo già un importante accordo, il governo lo rispetti”. C’è
però la consapevolezza che, faticando le intese a trovare pratica applicazione
e rimanendo scoperti vasti settori, alla fine una legge sarà necessaria,
confidando che ricalchi le intese tra le parti sociali che, oltre a
Confindustria, hanno coinvolto anche Confservizi e cooperative.
Al governo, infatti, sembrano non accontentarsi degli
accordi tra le parti e più volte si sono levate voci a minacciare interventi
legislativi non solo sulla rappresentanza, ma anche su scioperi e
contrattazione.
La Cisl, per storia e cultura contraria a provvedimenti in
materia di relazioni sindacali, è però convinta della necessità di riformare la
contrattazione e, allo scopo di sollecitare le altre confederazioni e le
imprese a procedere speditamente sulla via della riforma e bloccare i progetti
della politica, il 21 luglio ha presentato una sua proposta con l’obiettivo di
costruire un nuovo modello contrattuale e aumentare i salari.
La Cisl propone un contratto nazionale “più votato alle tutele
generali normative e salariali e alla governance del sistema di relazioni”. In
questo quadro il contratto nazionale dovrebbe fissare i minimi salariali in
alternativa a un salario minimo di legge e promuovere la previdenza
complementare. L'obiettivo centrale della proposta è la tutela del potere di
acquisto dei salari, con riferimento non più all’inflazione nazionale ma a
quella dell'Eurozona. Si insiste inoltre sul rafforzamento della contrattazione
di secondo livello aziendale e territoriale, con l’istituzione di un salario di
garanzia per i lavoratori delle aziende in cui non si fa contrattazione
decentrata.
La Cisl ha ben presente le difficoltà di arrivare ad una
sintesi unitaria, ma ritiene che sia ormai tempo di avviare una discussione
anche con Confindustria, lavorando per
un accordo con Cgil e Uil e con il sistema delle imprese. I primi passi del
confronto, però, non paiono assecondare questo proposito, anche se la firma del
contratto nazionale dei chimici, senza un’ora di sciopero e con più di due mesi
d’anticipo sulla scadenza, sembra indicare una direzione diversa e più
costruttiva.
Se sulla riforma della contrattazione le posizioni di Cgil,
Cisl e Uil sono distanti, il 2015 ha visto una lunga serie di significative
mobilitazioni unitarie su questioni come la scuola, la previdenza e il pubblico
impiego.
La scuola, in particolare, è stata teatro di un confronto
assai aspro con la ministra Giannini e la sua riforma della “buona scuola”, con
ripetute proteste di insegnanti e personale non docente, con scioperi,
manifestazioni, sit-in. La contrarietà delle organizzazioni sindacali è totale
e agli inizi di maggio in tutta Italia le piazze sono state invase da cortei
che hanno visto insieme i sindacati di categoria confederali, le sigle autonome,
gli studenti e qualche genitore. Quando il 12 maggio il governo ha incontrato
le organizzazioni sindacali, la Cisl è apparsa fiduciosa sulla possibilità di
cambiare il provvedimento, sottolineando come fossero stati posti problemi che
riguardano tutti e non solo gli insegnanti. Allo stesso tempo si è opposta al
ventilato sciopero degli scrutini. Ma il governo ha proseguito spedito per la
propria strada e a luglio la buona scuola è diventata legge nonostante la
strenua opposizione sindacale. Lo sciopero degli scrutini non c’è stato, ma le
proteste non si sono fermate e sono proseguite anche dopo la definitiva
approvazione del provvedimento in Parlamento e l’avvio delle prime assunzioni. Per
correggere gli aspetti negativi della riforma, per la Cisl la strada maestra è
quella della contrattazione.
Altro tema che ha visto una costante pressione della Cisl
sul governo è stato quello delle pensioni. Anche in questo caso con
mobilitazioni e iniziative unitarie. L’obiettivo principe è stato la richiesta
di aumenti delle pensioni, per sostenere le persone anziane ma anche per far
ripartire i consumi e favorire la crescita. La decisione della Corte costituzionale,
che il 30 aprile ha bocciato il blocco degli assegni previdenziali deciso dal
governo Monti, ha spinto il sindacato ad alzare la voce, ma il governo non è stato
in grado di assicurare il rimborso totale delle cifre bloccate. La Cisl, commentando le soluzioni annunciate per ottemperare alla
sentenza della Corte, ha denunciato ancora una volta la mancanza di un confronto con le parti sociali che avrebbe potuto favorire
l’individuazione di “soluzioni eque e socialmente giuste”, dando priorità alle
pensioni medio basse, pur lasciando fuori i trattamenti di importo molto
elevato. La
risposta del governo, invece, è stata “inadeguata e insufficiente”.
Ma la partita delle pensioni è sempre aperta. Mentre è stato
avviato il tavolo di confronto con le categorie dei pensionati sulla questione
della rivalutazione delle pensioni e della perequazione, sul tappeto rimangono
i problemi degli esodati e quello della revisione della riforma. La Cisl
insiste sulla necessità di un cambiamento della Fornero, a partire dalla
flessibilità in uscita, sollecitando nuovamente un confronto vero con il
governo per dare la possibilità di lasciare il lavoro prima dei 67 anni. Una
necessità per restituire alle persone una maggiore possibilità di scelta, per
gestire meglio le crisi economiche e aziendali, per offrire ai giovani nuove
prospettive di ingresso nel mercato del lavoro.
Anche per quanto riguarda il pubblico impiego, è stata ancora
una sentenza della Consulta a rianimare i sindacati di categoria. Esclusi da un
reale confronto sulla riforma della pubblica amministrazione e impossibilitati
a qualunque contrattazione, sono stati rimessi in gioco dell’intervento della
Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti pubblici, anche se non per
il passato. “La sentenza cancella una palese ingiustizia, che
dura da ben sei anni, nei confronti di milioni di lavoratrici e lavoratori del
pubblico impiego”, ha sottolineato Annamaria Furlan.
Per la Cisl, aver bloccato con una decisione unilaterale i contratti di lavoro
per tutti questi anni, oltre ad aver provocato un impoverimento per milioni di dipendenti
pubblici, ha arrestato tutti i processi di modernizzazione e di
riorganizzazione della pubblica amministrazione. Ora, dopo la
sentenza della Corte, si chiede al governo di aprire la trattativa per il
rinnovo dei contratti.
Ad agosto è partito un pesante attacco al sindacato, puntando
a metterne in discussione il ruolo nella società e il grado di rappresentanza
dei lavoratori. “Più tessere che idee”, li ha apostrofati Matteo Renzi, mentre
sui quotidiani sono state pubblicate analisi e tabelle che dovrebbero
dimostrare un crollo degli iscritti e la disaffezione dei lavoratori nei
confronti di Cgil, Cisl e Uil. “Il fatto che Renzi conosca poco la storia del
sindacato confederale non è una novità – ha reagito decisa la segretaria della
Cisl -. Le tessere sono uomini e donne che danno una delega sociale al
sindacato perché le rappresenti. In Cisl lo fanno in 4milioni e 300mila”.
La Cisl, che pure ha perso 76.277 iscritti, è cresciuta tra
gli attivi, che sono aumentati di 22.494 unità, contro una flessione di 95.302
adesioni tra i pensionati. Le crescite maggiori ci sono state nella scuola, nel
turismo e commercio, nei trasporti. In riduzione le costruzioni, che risentono
della pesante crisi del settore. Ma il dato più significativo del tesseramento è
rappresentato dai 400mila lavoratori attivi iscritti in più rispetto ai
pensionati.
Costantino Corbari