domenica 27 settembre 2020

Informazione e sviluppo

Intervento pubblicato negli Atti del seminario Iscos Cisl su "Il ruolo dell'informazione nel rapporto Nord-Sud. Mass-media, fattori di sviluppo o strumenti di emarginazione", Clusone (Bg), 5-7 novembre 1992

Credo che la mia professione possa essere definita quella del 'banalizzatore dei temi e delle questioni importanti' per cercare di farle capire a chi lavora nei giornali.
Lavoro nel sindacato ed uno dei grossi problemi che abbiamo è fare in modo che ciò che dal sindacato - e quindi dal mondo del lavoro - emerge arrivi correttamente ai giornalisti, proprio perché c'è questa difficoltà di reciproca comprensione che spesso porta poi a interpre­tazioni, a scritture non sempre corrette. 
Detto questo, non aspettatevi da me nessuna relazione di sintesi o grandi riflessioni. Mi appassiona il tema dell'informazione ma non ho mai approfondito in modo particolare i temi che avete affrontato in questi giorni, cioè quello dell'informazione legata ai problemi dello sviluppo, del terzo mondo, ecc... 
Il taglio di questo mio breve intervento è molto vicino a quello di Colleoni. Anch'io in questi giorni ho avuto l'impressione che ci troviamo di fronte ad un grande mostro di dimensione planetaria, una macchina che marcia, dove ci sono degli ingranaggi, dei giornalisti che, per quanto bravi, sono soffocati e dove spazi per correggere, per tentare di influenzare questa macchina praticamente non ce ne sono. 

Vorrei anch'io tentare una lettura, per così dire, ottimistica: ottimista perché, comunque, credo che l'informazione mondiale sia potenzial­mente un elemento di maggiore democrazia, di partecipazione della gente e, quindi, anche dei popoli. 

L'esempio raccontato ieri da Somoza, quando diceva che Maurizio Chierici non c'entra niente con il Corriere della Sera però continua a scrivere sul Corriere in un modo che a noi piace, credo sia già un piccolo elemento di ottimismo. 

Ho individuato due o tre aspetti di questo dibattito. Partirei da un elemento emerso nella relazione di Ghirelli, il curatore di "Non solo nero', che ha parlato di un dibattito che c'è stato alcuni anni fa: quello tra il libero flusso delle informazioni contrapposto al nuovo ordine internazionale delle informazioni. 

Mi sembrava, dalla lettura che ne dava Ghirelli, che ci fosse una sottovalutazione di questo dibattito, quasi che il libero flusso di infor­mazioni fosse il mantenimento pari pari di quello che c'è, e il nuovo ordine di informazione sia soltanto informazione legata a governi autoritari, più o meno fantoccio, che esistono nei paesi terzi, e quindi è un dibattito in fondo banale e che non ha portato a niente. 

Vorrei rivalutare quel dibattito, perché attraverso il rapporto Mac Bride, che per l'Unesco era la base del confronto, forse, per la prima volta, abbiamo cominciato a capire quali erano i meccanismi del­l'informazione a livello internazionale. 

Oggi tutti sappiamo che l'80% delle informazioni passa attraverso gli Stati Uniti, il primo mondo, ma prima del rapporto Mac Bride questa cosa era sconosciuta, o comunque era conosciuta solo da pochi. 

E' stato quindi merito di quel dibattito, di quegli studi e confronti nell'ambito dell'Unesco, se si è riusciti a sollevare, a portare ad un'attenzione più ampia il problema che anche la risorsa informazione non era cosa separata dai problemi dello sviluppo. 

Quel dibattito è stato il primo momento di conoscenza diffusa, più ampia, e di attenzione sui temi dell'informazione. Da lì è partita una presa di coscienza che prima non c'era. 

Un secondo aspetto che mi piace sottolineare parte sempre da una riflessione fatta da Ghirelli sul ruolo dei governi locali di questi paesi del Terzo mondo, e sul fatto che, comunque, ci sia un utilizzo strumen­tale del potere che deriva dal controllo dei mezzi di informazione. 

Se questo è un dato negativo, certamente ha anche un risvolto decisamente positivo; ciò se c'è uno sviluppo dei mezzi di comuni­cazione in questo paese, se c'è la possibilità che nascano forme alternative di comunicazione. 

Abbiamo ricordato la radio in Ecuador, i progetti che si fanno ora in Sudafrica per lanciare televisioni, giornali e radio per il sindacato locale che sta nascendo... Dunque, la diffusione di mezzi di comu­nicazione diventa un elemento di democrazia. 

Ci sarà sempre un governo che può essere autoritario, che può essere fantoccio finché volete e che quindi controlla i mezzi di comunicazione ma, nello stesso tempo, c'è la possibilità che la dif­fusione dei mezzi di comunicazione porti a una maggiore democrazia a un cambiamento all'interno del paese e questo ancora di più grazie alle tecnologie. 

I satelliti, queste trasmissioni sovranazionali che vengono captate nel paese, impediscono di fatto a qualunque governo autoritario di chiudere completamente i canali di comunicazione. Quindi, nel paese entrano informazioni ed è possibile, per la popolazione, il confronto con quella che è l'informazione locale. 

Un terzo aspetto è questo: pensiamo all'informazione sostanzial­mente come ad un'impresa. Noi parliamo di informazione nel rapporto nord-sud ma l'informazione è fatta da grosse imprese, grosse multi­nazionali. Sapete tutti che i gruppi maggiori sono uno tedesco e uno americano, due grosse multinazionali che hanno sì come obiettivo quello di lavorare nel campo della comunicazione, ma anche quello di fare dei profitti. Questa logica, che a volte contestiamo, può avere risvolti positivi nelle aree marginali del mondo. Nel momento in cui un'impresa decide, in un paese, dì lanciare un giornale, di dar vita ad una rete televisiva e il suo obiettivo è far profitto attraverso l'in­formazione, è difficile poi metterla a tacere. 

Ho voluto individuare tre aspetti che mi sembravano interessanti. Potevano essercene molti altri, non è una sintesi la mia, ma certamente dobbiamo aver presente che l'informazione non è il mostro di cui spesso sentiamo parlare. L'importante è saperla valutare, conoscere. 

Ci sono possibilità per evitare di farsi condizionare pesantemente dalla comunicazione. Innanzitutto, c'è la possibilità data dalla ricchez­za, dalla molteplicità delle fonti, e c'è la possibilità di conoscere e studiare le tecniche. 

Non so se i ragazzi che sono qui in questi giorni hanno raccolto anche questo elemento, ma credo che i relatori abbiano fornito tantissimi strumenti per capire, per leggere ciò che i giornali scrivono, per capire come sono fatti e quello che poi trasmettono. 

C'è bisogno di studiare, di prepararsi, e mi chiedevo che prepa­razione hanno, rispetto al tema dell'informazione, le persone che si occupano del problema del sottosviluppo, che è un problema cruciale. Che immagine di ritorno abbiamo di questi paesi? Spesso è un'im­magine distorta: proprio quelli che vanno là per un'esperienza di volontariato ci rimandano un'immagine che non è quella reale. 

Per concludere, questo è un elemento importante in particolar modo per il sindacato. Non voglio arrivare ai temi che affronteranno coloro che parleranno dopo di me, ma è chiaro che questo è un grosso limite anche per noi. In un dibattito che si è tenuto alcuni giorni fa a Milano il prof. Zaninelli,, docente di storia all'Università Cattolica, ad alcuni sindacalisti che dicevano "Ma i giornali parlano male di noi, non ci capiscono...', ha risposto 'Allora, chiudeteli per qualche giorno questi giornali, prendete i libri e rimettetevi a studiare'. 

Ecco, noi abbiamo questa grande opportunità che non è da poco.