domenica 9 agosto 2020

LORENZO ROTA - Fim, Filta – Milano

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “Impegno e passione. Gli anni caldi della Cisl in Lombardia”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2016 

Sono nato a Milano 12 marzo 1935, in via Milazzo. Poi ci siamo spostati in via Vigevano, parrocchia di Santa Maria al Naviglio, zona Porta Genova, e lì ho frequentato l'oratorio. Ho frequentato la scuola dell'obbligo. E basta. Terminata la scuola dell'obbligo non avendo vocazione allo studio ho fatto l'avviamento professionale di tre anni.Terminata la scuola professionale ho trovato lavoro presso la ditta Costruzioni Meccaniche Riva. Il proprietario era l'ingegner Guido Ucelli di Nemi, ma di fatto erano i figli che conducevano la fabbrica. Ho trovato un posto di lavoro lì perché nel mio cortile abitava un operaio della Riva e quando ho terminato la scuola mi ha detto “Vieni che c'è un corso di formazione professionale”. Allora si chiamava Cap, Centro di addestramento professionale, oggi Cfp. La mia vocazione non era operaia, nel senso che mi venivano le fiacche sulle mani se dovevo tirare la lima. Si vedeva che non ero tagliato e lo stesso capo aveva visto che mi sforzavo, ma non avevo la caratteristica dell'operaio. Teniamo presente il periodo, quindi 1951, '52 e com'erano fatte le aziende. C'era molto lavoro manuale, il tornio tradizionale, la fresatrice, oggi tutte macchine superate. 

Così, concluso l'anno al Cap mi hanno messo all'ufficio tempi e metodi della Riva, cioè l'ufficio cottimi. 

Nel frattempo frequentavo le Acli e avevo anche cominciato a conoscere Pierre Carniti, Fausto Gavazzeni, i dirigenti dei metalmeccanici della Cisl dell'epoca. Cominciavano a emergere le loro difficoltà nelle trattative per il cottimo. Nelle aziende, infatti, era in vigore la prassi di retribuire il salario in rapporto alla quantità di prodotto e sia Carniti che Gavazzeni o non conoscevano la fabbrica oppure non sapevano come fare. Allora mi han fatto il filo dicendo “Dato che hai esperienza all'ufficio cottimi abbiamo bisogno di un esperto”, anche perché era il periodo in cui si dava molto sviluppo alla contrattazione aziendale. Andare a trattare senza un esperto in materia di cottimi voleva dire fare il gioco del padrone, che invece si presentava sempre con un esperto e il sindacalista non aveva modo di ribattere. 

Io quindi svolgevo per il sindacato questo ruolo di esperto, insieme a chi trattava. Poi col passare degli anni, e a quel punto dovendo anche prendere uno stipendio, sono stato assunto al sindacato e sono entrato nella segreteria dei metalmeccanici, quando c'erano ancora Pier Carniti e Fausto Gavazzeni. Eravamo noi tre, però mentre Carniti e Gavazzeni erano dei leader, io ero quello che conduceva le trattative con le aziende perché ero l'unico che aveva la possibilità di controbattere o di sostenere le nostre tesi con la controparte. 

Quello è stato un periodo d'oro anche del sindacato, perché siamo riusciti a fare molti accordi nelle aziende proprio attraverso la contrattazione dei tempi e del metodo di lavoro, che erano problemi grossi. Se tempi e metodi non erano il frutto di una trattativa con il sindacato era abbastanza logico pensare che il lavoratore venisse sfruttato. 

Era un periodo di grande contrattazione aziendale, molto positiva. Ma non chiedermi che anno era perché non ricordo. 

Non ricordo l'anno in cui sono entrato in segreteria della Fim. C'era ancora Pietro Seveso segretario. Poi Carniti ha preso in mano la segreteria. E sono entrato anch'io come rappresentante della Fim. 

In quegli anni – metà anni '50 - con persone come Carniti che avevano una forte personalità e qualità di leader e con la capacità che avevamo nelle trattative di fare contratti che i lavoratori accettavano nelle assemblee di fabbrica, il sindacato assumeva dignità e quindi anche l'adesione al sindacato tendeva sempre di più ad aumentare anche perché prima era contestativo e poi diventa contrattuale. 

Si potevano fare gli accordi, accordi che davano dignità al rapporto di lavoro e al lavoratore. Carniti con le sue capacità dialettiche, io con l'esperienza contrattuale, avevamo anche credito e credibilità nei confronti della Cisl e particolarmente della Cgil. C'era Antonio Pizzinato, uno dei personaggi storici del sindacato. Avevamo grande rapporto unitario tra di noi però l'immagine dei due sindacati era ideologica. Cgil voleva dire comunisti e Cisl voleva dire democristiani o cattolici. Non democristiani nel senso pieno della parola, però mondo cattolico. Queste due cose erano difficili da superare, stante anche la situazione politica. Ma c'era grande stima reciproca. Con Pizzinato, per esempio, che era la persona più brillante, non c'è mai stato motivo di tensione, di incomprensione. Ci si riuniva, si trovano le soluzioni e nelle trattative non c'era la posizione della Cisl o della Cgil: c'era la posizione dei sindacati. Anche perché prima si facevano le riunioni con i delegati di fabbrica e poi anche con Antonio, che era l'esperto della Cgil come io della Cisl. Eravamo noi quelli che avevano in mano la trattativa. Quello è stato un periodo abbastanza lungo e abbastanza significativo per il sindacato, perché in quel momento ha assunto una sua dignità non solo di difesa politica dei lavoratori, ma di difesa con il contratto di lavoro, che è stato una conquista importante, particolarmente per i contenuti. Teniamo presente il contesto, lo sviluppo del sistema del cottimo nelle aziende, ovvero lo sfruttamento dei lavoratori: con la contrattazione si dava dignità ai lavoratori. E anche i lavoratori capivano che quelle erano mediazioni, pur sempre mediazioni, ma frutto della capacità del sindacato di affermare attraverso la trattativa col datore di lavoro i diritti dei lavoratori. 

Nel '53, se non ricordo male, mi sono impegnato in commissione interna, per dare una voce anche agli impiegati di area Cisl. In commissione interna c'erano operai della Cisl e della Cgil e c'era un impiegato indipendente che era il mio vice capoufficio all'ufficio cottimi che poi col tempo ho scoperto che faceva la tessera della Cgil ma la teneva nel cassetto e nessuno lo sapeva. Figurati se potevo accettare una cosa del genere. Così oltre ad aver detto a tutti che non era un indipendente ho presentato la lista Cisl. Il problema era trovare chi mettere in lista, perché il coraggio a parole l'avevano tutti ma quando c'era da testimoniare in fabbrica, dato che era in mano ai rossi e anche negli operai la Cisl era una minoranza, era difficile trovare qualcuno. C'era uno che si chiamava Chiesa e cantava nel coro del Duomo. Era impiegato in falegnameria. Sapendo che era un cattolico gli ho detto di aiutarmi perché dovevamo cercare di essere presenti anche noi in commissione interna. E lui mi ha detto di sì. All'ufficio tecnico, invece, c'era un vecchio disegnatore che si chiamava Bigatti. Lista Cisl: “La sacra Rota dei Bigotti che vanno in Chiesa”. Ci mettevano in ridicolo così. Presentata la lista, sono stato eletto e questo ha dato enormemente fastidio al mio vice capoufficio ma anche alla direzione. 

Scaduto il mandato, che allora era annuale e non biennale, mi sono ammalato di tifo. 

Bisognava presentare la lista e io non potevo. C'era stato un tentativo del mio vice capoufficio, che era l'indipendente, di farmi mettere in lista con lui, ma io mi ero rifiutato perché volevo che accanto al mio nome ci fosse il nome della Cisl. Hanno messo comunque il mio nome sulla lista indipendente e hanno votato me. L'hanno fatto gli impiegati, perché ormai ero conosciuto, ero giovane e sapevano del mio impegno. Il problema era con la direzione perché era infastidita. La Cgil era buona, trovava sempre l'occasione per fare gli accordi, non contestava. 

Io ero un fimmino, metalmeccanico, le altre categorie non le consideravo. Non ricordo quando son passato ai tessili. E' stata sicuramente un'esperienza non lunga. Ricordo che ad un certo punto si era creata della tensione in Fim e c'era il problema dei tessili, che erano un po' indietro, avevano bisogno della mia esperienza di contrattualista. Allora Carniti ha ritenuto opportuno che cambiassi categoria, così si risolveva anche un problema dialettico in Fim. C'è sempre stata una grande stima tra noi, ma lui non era molto disponibile, se non quando decideva lui. Aveva una forte personalità e non potevi non riconoscerla. Una forte personalità che non era data dall'esperienza ma dalle sue capacità di leader. Io invece portavo l'esperienza, ma non ero leader. A volte il dialogo era difficile, perché non ci integravamo. Io avevo bisogno di lui, ma lui non sentiva il bisogno di me, se non strumentalmente e intelligentemente. Però è stato un momento di grande sviluppo del sindacato e di grande crescita. Eventuali problemi erano dovuti al lato umano. 

Il sindacato per gli imprenditori era abbastanza strumentale: o eri con loro o eri contro. Dove lavoravo io, alla Riva, se tra gli operai vinceva la Cgil era perché erano comunisti, ma non ti accorgevi che erano comunisti nei rapporti con gli imprenditori. Alla Riva, Ucelli di Nemi era per la Fiom un padrone da rispettare perché aveva allargato la ditta, col sindacato trattava... In un certo senso eravamo più di sinistra noi della Cisl, che eravamo minoranza. I cattolici non necessariamente aderivano alla Fim, mentre i comunisti aderivano alla Cgil ma era una Cgil sempre pronta all'accordo col padrone. Ucelli di Nemi, figura importante – ha anche fondato il museo della Scienza e della Tecnica - aveva lasciato ai figli e l'ingegner Gianfranco Ucelli era quello che gestiva la fabbrica, era il classico padrone. Complessivamente quegli anni sono stati un'esperienza di rafforzamento del sindacato. Gli imprenditori capivano che la contrattazione articolata era una conquista per il sindacato, ma che poteva convenire anche a loro, che realizzavano all'interno della fabbrica delle condizioni che andavano a beneficio dei lavoratori ma che loro non subivano perché erano comunque il frutto di una mediazione. La contrattazione articolata migliorò anche i rapporti all'interno della fabbrica. Non c'era più il padrone nemico, c'era il padrone e c'erano i lavoratori. La contrattazione aziendale, articolata, è stata una grande scoperta per il sindacato. Si andava in Assolombarda a trattare condizioni di miglior sviluppo per i lavoratori e le aziende, che erano in una fase di crescita e potevano anche concedere dei benefici, sia normativi che economici. 

Anche con la Cgil non c'erano problemi. La Cisl era più rivendicativa, più dura, perché era minoranza. E dava fastidio ai padroni, anche cattolici. 

Noi eravamo temuti, in senso buono, dalla Cgil perché portavamo avanti la logica della contrattazione articolata e avevamo gli esperti, loro invece avevano questa grande fede nel sindacato, ma erano ideologici. 

Non ho mai frequentato corsi al centro studi di Firenze, perché mi sono sposato presto, ho messo al mondo presto quattro figli e assentarmi da casa era un problema. La sede di Milano era il mio unico riferimento importante in Cisl. 

L’incompatibilità è stata una cosa convinta in Cisl. Forse perché essere cattolici non voleva necessariamente dire essere democristiani, mentre essere comunisti voleva dire essere del Pci. Non c'è stata difficoltà in Cisl a sostenere questa tesi dell'incompatibilità tra incarichi sindacali e politici, dell'autonomia del sindacato dai partiti. 

Il problema era con la Cgil perché anche nei rapporti personali l'anima comunista emergeva sempre. Pizzinato, per esempio, aveva capito i tempi nuovi, ma lui era un comunista. A me poteva darmi del cattolico, ma non poteva mai darmi del democristiano nel senso brutto del termine. Per lui il comunismo era una fede, un motivo di militanza a difesa dei lavoratori. Per la Cgil era il marxismo comunista che dava la risposta alla classe operaia, non certo il cattolicesimo del “vogliamoci bene”. Queste cose ci dividevano, perché le nostre matrici erano profondamente diverse, ma nei rapporti sindacali riuscivamo sempre a lavorare bene. Io e Pizzinato eravamo diventati amici, avevamo grande rispetto reciproco. C'è stato un rapporto di stima, si sapeva che si partiva da premesse diverse ma la capacità di trovare le soluzioni e il rispetto reciproco c'è sempre stato. 

Non avendo le altre categorie l'esperienza del rapporto Fim/Fiom, il pericolo dell'unità d'azione con la Fiom era che potevamo esser considerati noi “venduti” perché perdevamo la nostra autonomia. E invece no. Non c'è mai stato nessun tentativo da parte della Cgil di farci diventare comunisti, perché ognuno aveva la sua anima. La premessa condivisa era che avevamo due anime diverse e l'importante era raggiungere l'intesa tra di noi per ottenere conquiste a favore dei lavoratori in fabbrica. Per cui noi ci siamo un po' aperti al rivendicazionismo della Cgil e loro hanno capito che la rivoluzione proletaria non era da farsi. 

Non ho vissuto la fase della Flm, che è stata la naturale evoluzione del lavoro unitario. 

Con la Cisl ci sono sempre stati rapporti dialettici. Romei era uno dei nostri, però era segretario della Cisl, mentre Pier Carniti era fimmino. Questi distinguo ci son sempre stati, ma i rapporti son sempre stati cordiali e si son sempre trovate delle intese. C'erano momenti anche di difficoltà, perché certo come segretario della Cisl Romei doveva tener presente le altre categorie, ma ha sempre capito la linea d'avanguardia che aveva la Fim. E' sempre stato un nostro sostenitore, non ci ha mai messo in difficoltà. 

Io faccio sempre questa battuta: il sindacato di maggioranza di ieri era la Fim, oggi sono i pensionati. Ma non è una colpa della Fim e non è un merito dei pensionati. La Fim ha sempre meno aziende e i pensionati aumentano sempre di più. Se la Cisl e la Cgil hanno più pensionati che metalmeccanici è perché per far le pratiche e spendere meno ti iscrivi al sindacato dei pensionati e paghi meno l'assistenza del patronato. 

Il pensionato che motivo ha di iscriversi al sindacato? Che cosa fa il sindacato a difesa dei pensionati, che potere ha per i pensionati? Ti accorgi che le sedi locali del sindacato passano la giornata a far pratiche di pensione. 

Non vivendo più in prima persona il sindacato, seguo la cronaca. E' indubbio che c'è stato un cambiamento, ma secondo me dovuto al fatto che vengono a mancare le categorie industriali, anche solo rispetto a vent'anni fa. Oggi prevalgono le categorie commerciali e i pensionati. Quindi cosa puoi chiedere al sindacato oggi? Anche perché la stessa dirigenza diventa una dirigenza frutto di compromessi tra questi sindacati che hanno la maggioranza. Pensare che oggi diventi segretario generale della Cisl o della Cgil di Milano un metalmeccanico è puro desiderio. Perché le altre categorie hanno i voti per mettere altri. Questo condiziona le politiche del sindacato, è una realtà. 

Ho sentito parlare del progetto della Cisl di accorpare le categorie: è un passaggio inevitabile. Come fai a pagare le strutture di sindacati che oggi hanno migliaia di iscritti in meno? Non vedo soluzioni diverse. 

La domenica quando vado a mangiare da mio figlio che abita a Sesto e passo di fianco all'area ex Falck o Marelli, quando vedo quei ruderi piango perché andavo lì a fare comizi, trattative. Non ci sono più le grandi fabbriche. Anche in Italia i lavoratori hanno ceduto, perché non hanno più lo stesso potere contrattuale. Una volta fischiavi “fuori tutti” e in un minuto uscivano tutti dalla fabbrica, oggi puoi fischiare anche 8/10 minuti e non esce nessuno. Ricordo una volta: eravamo in via Tadino con Carniti, abbiamo detto "Telefoniamo ai nostri alla Marelli e facciamo un corteo verso piazza Duomo" e subito uscirono tutti e andarono in piazza. Adesso, a chi telefoni? Anche il sindacato non ha più il potere che aveva prima, perché non esiste più il potere, non esiste più la grande fabbrica, sono venute a mancare le condizioni che hanno permesso al sindacato di diventare una grande cosa, a prescindere dal merito dei dirigenti. Adesso dove vai a prendere i dirigenti sindacali? 

Ricordo le assemblee nelle fabbriche. Portavi ipotesi di soluzioni per i contratti e trovavi riscontro e consenso tra i lavoratori. Non ho mai fatto vertenze per licenziamenti perché era una fase economica di sviluppo, i lavoratori chiedevano che il sindacato portasse a casa più poteri e più benefici, e noi avevamo la forza per farlo. Bastava che Carniti telefonasse al delegato della Marelli o all'altro della Falck e in 10 minuti di organizzava una manifestazione. Adesso come fai? Quali compagni trovi nelle fabbriche che al fischio del sindacalista si muovono? Prima erano conquiste che ottenevi, adesso cosa puoi conquistare più di quello che hai? Prima avevi la fabbrica che usciva, per rivendicare migliori condizioni, oggi in quelle fabbriche che dovrebbero uscire per difendere il posto di lavoro non c'è il sostegno dei lavoratori che non rischiano. Magari fanno un'ora di sciopero, ma non chiedergli di star fuori due giorni! Sono cose umane. Manca la classe operaia, il potere operaio, parole che ieri avevano un senso e oggi hanno perso significato e valore. E non per colpa di nessuno. La classe operaia nel senso tradizionale non c'è più, perché manca la grande fabbrica. Il dramma che vive la Fiat è che pur essendo decine di migliaia di lavoratori non hanno il senso di classe, hanno la difesa del proprio posto di lavoro. Perché non ci son più le condizioni. Perché ieri quando rivendicavi, il padrone bene o male cedeva. Oggi ti dice “Ah sì? Allora ne licenzio 100”. E allora non rivendichi più e quel poco che rivendichi devi valutare bene che non comporti poi un domani una riduzione di personale. 

Quindi il sindacato oggi vive questa crisi di crescita, non per colpa del sindacato, ma perché non ci sono più le condizioni sociali che gli permettono di avere più potere. Questo in base alla mia esperienza. 

Per alcuni anni sono stato presidente nazionale dello Ial.