Ho fatto la terza media e poi ho frequentato cinque anni di corso per meccanico all'interno dell'Abbazia di Pomposa. Dormivamo nelle cellette dei frati e mangiavamo nel refettorio. Avevamo lezioni in aula il mattino e di pomeriggio facevamo pratica sui trattori mastodontici che spianavano le dune del delta padano per dare la terra ai contadini quando nel 1950 venne avviata la riforma Fanfani dell'agricoltura. C'erano gli anziani che ci insegnavano a guidare quelle grosse macchine e in officina a fare la manutenzione e le riparazioni. Finita la scuola siamo stati occupati a eliminare le dune alle dipendenze della Società bonifiche terreni ferraresi che nel 1951 è diventata Ente delta padano di cui mio papà era il direttore generale. La sede era nel castello di Mesola.
Sono
rimasto lì fino al servizio militare e finito il militare, nel 1952, siccome
nel frattempo era morto mio padre, sono andato a Sesto San Giovanni dove, dopo
una breve esperienza in una piccola industria chimica, sono stato assunto alla
Pirelli Sapsa dove si producevano i materassi. Lì sono rimasto per dodici anni
e poi sono passato alla Bicocca.
Sono
stato fortunato al mio arrivo a Milano. Ero ancora sul treno, tornando dalla
caserma, e parlando ho detto che ero preoccupato perché non avevo un lavoro.
Accanto a noi c'era un signore che leggeva il giornale e quando siamo arrivati
in stazione centrale, mentre stavamo uscendo, quel signore mi ha fermato
dicendomi che aveva sentito quello che avevo detto in treno e mi ha dato un
biglietto da visita dicendo di andare da lui perché poteva offrirmi un lavoro.
Erano le Distillerie italiane resine, un'azienda che dal petrolio produceva la
bachelite per fare i dischi. Ho lavorato in quell'azienda per un anno,
l'ambiente era un disastro, tra puzze e polveri, era uno stabilimento grande ma
con pochi lavoratori, eravamo cinque o sei. In quel momento abitavo in casa di
mio suocero. Una mattina gli ho chiesto la bicicletta, ho fatto un giro e
passando davanti alla Pirelli Sapsa ho notato un pezzo di cartone appeso al
cancello con scritto “cercasi operai”. In quel momento le fabbriche non stavano
assumendo e mi è andata bene. Sono entrato, mi hanno fatto alcune domande poi
mi hanno dato l'indirizzo dell'ambulatorio di piazzale Loreto dove facevano le
visite per i dipendenti Pirelli. Dopo qualche giorno mi hanno mandato a
chiamare e ho iniziato. Lavoravo in sala mescola dove si diventava tutti
bianchi a causa del talco che veniva utilizzato. I prodotti erano zolfo, talco,
lattice, ammoniaca e altri ma non si usavano questi nomi, ma quelli dei fiori:
margherita, fiordaliso e così via. Tutti bei nomi, ma in realtà nascondevano
anche delle sostanze pericolose. Io ero bravo nel mio lavoro, conoscevo tutte
le ricette e le dosi a memoria.
Un
bel giorno la Pirelli ha venduto la fabbrica dei materassi e quindi sono stato
trasferito in Bicocca e anche lì sono andato al reparto mescole dove si facevano
i battistrada degli pneumatici. Ero in contatto con il laboratorio che mi
diceva le quantità dei prodotti che dovevano essere mescolati per fare le basi,
l'interno gommoso degli pneumatici. Probabilmente è stata una sorta di
punizione nei miei confronti per il mio impegno sindacale e perché non
risparmiavo niente ai dirigenti. Quel reparto era un inferno. Era tutto nero,
con temperature bestiali in estate, si usava nerofumo che buttavano dall'alto dentro
cilindri roventi, soda caustica, e si lavorava con una maschera. Entravamo il
mattino e dopo un'ora di lavoro non riuscivamo più neppure a vedere. Ci davano
due tute bianche al giorno e tutti i giorni dovevamo fare la doccia a fine
turno. Il nerofumo è volatile e si appiccica dappertutto e anche dopo fatto la
doccia non eravamo mai completamente puliti. Quando mi alzavo dal letto la
federa del cuscino aveva l'impronta della mia testa. Il nerofumo è carbon black
macinato che viene mescolato con zolfo e talco. Il medico dell'azienda mi
diceva che “solo se imbottigliamo il latte non diventiamo neri”. In quel
reparto sono rimasto fino a quando sono andato in pensione.
Sindacato
Alla
Sapsa facevamo i turni di notte e il giorno di paga dovevamo ritornare in
fabbrica per ricevere la busta perché lo sportello veniva aperto solo dopo le
nove, mentre agli impiegati la busta veniva portata direttamente sulla
scrivania. Era una situazione insopportabile doversi alzarsi di nuovo dopo una
notte di lavoro per andare a ritirare la busta ed era particolarmente pesante
per quelli che abitavano lontano dalla ditta. Io protestavo per questa
situazione e prendevo la difesa dei lavoratori anche se non ero ancora
impegnato nel sindacato e una sera ho detto al capo delle guardie di dire in
direzione che se l'indomani mattina non ci fosse stato qualcuno a consegnarci
la busta a fine turno noi la notte non avremmo lavorato. Dato che non sono
stato ascoltato, la sera successiva sono sceso in reparto e ho fermato la
fabbrica e i lavoratori mi hanno seguito. Abbiamo passato la notte a giocare a
carte. A fine turno sono tornato a casa e la mattina è arrivato il capo delle
guardie dicendomi di partecipare all'incontro con il sindacato per il giorno
successivo. Forse pensavano di potermi ammansire in questo modo, ma avevano
sbagliato a capire. Abbiamo fatto l'incontro con il direttore dello
stabilimento, che mi rispettava perché sapeva che i lavoratori mi seguivano
mentre i rappresentanti della Cgil facevano solo battaglie ideologiche. Il
giorno dopo sia a inizio che a fine turno c'era una persona allo sportello che ci
consegnava la busta paga.
Dopo
quella vicenda qualcuno della Cisl è venuto a chiedermi di iscrivermi, l'ho
fatto e ho scelto la Cisl perché vedevo che quelli della Cgil sbraitavano e
basta, facevano solo propaganda e poi accettavano tutto quello che diceva
l'azienda e col tempo molti di questi hanno fatto carriera diventando dei
capetti. La Uil non c'era.
Alla
Sapsa succedeva che si facevano scioperi senza sapere bene perché. I comunisti
spingevano per ragioni ideologiche, io invece chiedevo che prima di scioperare
si dovesse discutere con l'azienda e trattare.
L'ambiente
di lavoro era molto pesante e brutto e abbiamo fatto molte battaglie, ma era
impossibile modificarlo più di tanto perché o si cambiava produzione o
altrimenti non c'era niente da fare.
Quando
abbiamo saputo che stavano trattando la vendita della Sapsa abbiamo fatto un
giorno di sciopero per avere informazioni dalla Pirelli sul destino dei
lavoratori, in particolare di quelli che non avevano l'età per andare in
prepensionamento. Ho chiesto un incontro con il direttore generale, il dottor
Castiglioni, ho chiesto garanzie per il nostro trasferimento a Bicocca, che in
quel momento assumeva, e mi è stato garantito che nessuno sarebbe stato
licenziato ed è stato così. Ma in Pirelli Sapsa lavoravano molte donne e in Bicocca
non ci siamo trasferiti in molti.
In
Bicocca sono sempre stato eletto delegato e ho fatto parte dell'esecutivo del
consiglio di fabbrica insieme a Cofferati. Ho sempre avuto un buon rapporto con
i lavoratori che mi ascoltavano e io ascoltavo le loro richieste, anche se
qualche volta abbiamo bisticciato, ma il legame è rimasto e ancora oggi mi vedo
con molti.
In
Pirelli tutte le mattine, quando sono entrato, arrivavano cinque o sei pullman
di lavoratori dalla Bergamasca. Eravamo circa 12mila, poi hanno dismesso tutta
una serie di reparti. L'età media dei lavoratori era molto alta. Mio figlio lavora
alla Pirelli a Bollate e sono meno di cinquecento persone.
Le
Brigate rosse sono nate in Bicocca. C'è stato uno che ha incendiato il
magazzino ed è morto soffocato dai fumi dell'incendio. Conoscevo qualcuno di
questi, ma non sapevo che fossero dei terroristi. I gruppi extraparlamentari
erano presenti, però non hanno mai avuto una grande forza anche se noi come
sindacato abbiamo avuto degli scontri molto duri con alcuni di loro.
C'erano
i Cub in azienda ed erano sempre pronti a mobilitarsi e quando noi discutevamo per
fare un'iniziativa o uno sciopero loro coglievano al volo la nostra idea e si
muovevano immediatamente come se fosse stata un’iniziativa loro. Erano
preparati e abili nel muoversi in azienda. Abbiamo avuto discussioni ma non c'è
mai stata violenza.
Ho
lasciato la fabbrica nel 1990. Andato in pensione mi sono impegnato nel
patronato della Cisl nella sede del sindacato in via Nota, vicino alla Pirelli,
e spesso passava a salutarmi uno degli ingegneri dell'azienda che stava nel
gruppo con cui noi andavamo a trattare e con cui avevamo stabilito un buon
rapporto.
Relazioni industriali
L'iniziativa
sindacale era unitaria. Tutti i mercoledì come esecutivo avevamo un incontro
con l'azienda e discutevamo di tutti i problemi che c'erano, ma prima ne
parlavamo tra di noi. Però succedeva che se c'era un problema l'azienda cercava
di mettersi d'accordo prima con la Cgil. I capisquadra erano quasi tutti
comunisti.
In
Bicocca non ci sono mai stati licenziamenti, neanche nei periodi di crisi, e
non abbiamo mai avuto grandi problemi con l'azienda perché era una fabbrica con
lavoratori anziani e quindi è stato possibile ridurre il numero degli occupati
attraverso i prepensionamenti e le uscite senza bisogno di altri interventi.
Bisogna poi ricordare che contemporaneamente c'era anche qualche assunzione.
Welfare aziendale
In
Pirelli c'erano le colonie, ma io non ho conosciuto nessuno che le utilizzava,
i meridionali quando andavano in ferie d'estate si portavano tutta la famiglia
al paese. Queste cose c'erano in Bicocca, ma non alla Sapsa. I lavoratori
incaricati di seguire queste cose erano quasi tutti della Cgil e li sceglieva
l'azienda.