mercoledì 12 agosto 2020

DOMENICO TRUCCHI - Segretario gen. Federchimici e Flerica

Testimonianza raccolta in occasione della pubblicazione del libro “L’idea del dialogo. Cultura del lavoro, contrattazione, relazioni industriali nella chimica italiana”, di Costantino Corbari, BiblioLavoro, Sesto San Giovanni (Mi), 2017

Ho compiuto ottant'anni, sono nato a Imperia. Nel 1980 sono stato eletto segretario generale di Federchimici che nel 1981, con l'unificazione con l’energia, è diventata Flerica e quindi sono stato il primo segretario della nuova categoria e lo sono stato fino al 1986. Incarico che ho lasciato per entrare in segreteria della Cisl. Vengo dal settore metalmeccanico, lavoravo alla Piaggio ed ero stato eletto rappresentante degli impiegati, ma in seguito alle vicende interne alla Cisl e agli schieramenti che si erano formati i chimici mi hanno proposto di andare a Roma, ma io ho risposto di no perché non volevo lasciare né il mio posto di lavoro né il mio mare. Per convincermi sono andati anche da mia moglie e alla fine mi sono trasferito con la moglie e la figlia che aveva due anni. A Roma inizialmente mi sono occupato un po’ di tutte le emergenze della chimica degli anni Settanta.

Quando sono diventato segretario generale dentro il sindacato era sentita l'esigenza di cambiare. Siamo riusciti a stabilire rapporti umani, meno formali, con i rappresentanti delle imprese. Organizzavamo degli incontri durante il gran premio di Monza e stavamo tre giorni insieme e così costruivamo le basi di fiducia per fare i contratti. Per questo si pagava un prezzo, che era quello di stare tranquilli e accontentarsi di un po' di soldi, anche se è vero che i nostri contratti arrivavano a guadagnare il 35% in più. Per andar bene bisogna dire di sì, ma dirlo al servizio dei lavoratori, che è un principio meraviglioso. Nella sostanza pace sociale in cambio di aumenti retributivi.

Allora c'erano le diverse imprese chimiche e poi c’era Montedison e il potere era nelle sue mani. Montedison aveva esigenze diverse, per cui prima abbiamo cercato gli accordi con tutto il resto del settore e poi siamo intervenuti nei confronti di Montedison, un’azione che era complicata dal fatto che il segretario generale che mi ha preceduto, Danilo Beretta, era stato presidente della Commissione interna centrale della Montedison stessa. Questo ha comportato alcuni condizionamenti. E scalfirli è stato molto difficile. Noi siamo riusciti, con il sostegno delle altre imprese del settore, a vincere anche in Montedison e a impostare relazioni industriali nuove. Con Montedison facevamo trattative lunghissime, mi è capitato di chiedere all'azienda di darci da dormire.

L'Eni influiva sulle relazioni sindacali del settore, però lì non c'era niente da conquistare perché c'erano già tutti gli spazi di cui avevamo bisogno.

Certamente quelli della chimica e dell’energia erano settori che disponevano di maggiori risorse, ma noi siamo andati avanti perché li abbiamo costretti con le nostre azioni, fermando gli impianti, facendo lotte che costavano molto agli imprenditori e così abbiamo raggiunto obiettivi importanti. Le battaglie si facevano con i forti e poi i risultati si trasferivano nelle aree più deboli, a volte invece si partiva proprio dai settori meno significativi. Non sempre, però, anche i chimici, successivamente, hanno saputo mantenere questa linea.

L'alleanza con Cofferati è stata facile, perché ha capito che continuare a fare battaglie di tipo conflittuale da soli non era utile ed era meglio stare insieme e così durante il periodo della sua guida alla Filcea Cgil abbiamo fatto tutto unitariamente.

Insieme, Cgil Cisl Uil del settore e rappresentanti delle imprese, siamo stati più volte all'estero, sono stati incontri che ci hanno aiutato a conoscere le altre realtà e a conoscere meglio noi stessi.

Le nuove relazioni industriali

L'assenza di un nostro reale potere nella società (i problemi della casa, dell'equità fiscale, dell'occupazione, della produttività della pubblica amministrazione, ecc., sono infatti insoluti) fa nascere ancora — soprattutto ha fatto nascere — la tentazione e il pericolo di trasferire all'interno della fabbrica i problemi di potere e le situazioni di “dualismo di potere” che si pongono nella società.

Ma come è possibile lavorare per una società più giusta ed equa e allo stesso tempo danneggiare la struttura delle imprese?

Da questa contraddizione se ne esce abbandonando l'illusione di “residui politico-rivoluzionari” nell'azione sindacale diretta e passando alla ricerca di nuovi “contenuti politici” nella programmazione rivendicativa contrattuale del sindacato, riflettendo anche sul ruolo dell'impresa in cui lavoriamo. Siamo infatti noi lavoratori e gli imprenditori che creano l'impresa, che costituisce a sua volta il lievito dell'attività economica.

Questo approccio critico ci ha portato, sulla base dell’esperienza, a ipotizzare un nuovo assetto di relazioni industriali alternativo a quello esistente nel passato, soprattutto per quanto riguarda i suoi motivi ispiratori.

Non abbiamo avuto certezze su tutto questo, né certezze ce le siamo permesse in presenza dei primi pur significativi risultati, ma ci è stato chiaro che non si trattava di un modello astratto costruito a tavolino, pur con molte intuizioni, nella vana ricerca della soluzione ottimale, ma era la sistemazione, logica e a posteriori, di un bagaglio di valutazioni e di fatti che sono accaduti.

Abbiamo rivendicato di gestire con lo scambio (senza l’idillio e senza rappresentanza nei consigli di amministrazione, ma con la coesistenza competitiva)!

Agli imprenditori abbiamo ribadito che esistono indubbi interessi contrapposti (compiti dell'impresa sono: sviluppare l'azienda, il profitto, il proprio mercato; compiti del sindacato sono: sviluppare l'occupazione, la massa salariale, il proprio ruolo negoziale e di rappresentanza) ma l’importante è che si riconoscano reciprocamente come legittimi questi compiti e quindi da perseguire, nello scambio contrattuale.

Banalizzando, in termini provocatori vorremmo dire: imprenditori, pretendiamo di contare (di gestire) nella definizione delle strategie, siamo consci della nostra esigenza di gestire l'azienda senza una somma di rigidità.

Per gestire i fenomeni al meglio dobbiamo codeterminare in anticipo gli aspetti, la natura, le applicazioni e le conseguenze dell’innovazione tecnica.

Per altri è solo la fabbrica il centro dello scontro del proletariato contro il capitalismo, è nella fabbrica che il sindacato esprime il suo peso politico: la società si modifica di conseguenza.

E negli anni Ottanta questa è la posizione dalla quale sono nati i comportamenti del Pci (magari non tutto) e, con tutta evidenza, della componente comunista della Cgil. I documenti del Pci invitavano la Cgil ad assumere un ruolo sindacale dirigente “nel vivo della classe, dentro la fabbrica stessa”.

E’, questa delle relazioni industriali, un’ulteriore dimostrazione decisiva della più vasta questione sindacale nel nostro Paese.